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“Devo andare a cercarlo?” domandai al mio signore e lui rispose: “No: aspetteremo”
Eravamo in una stanza degli uffici dell’Esposizione, una stanzetta piccola, con scrivania, casellari, sedie, e un’innumerevole quantità di carte. Mancava qualche minuto a mezzogiorno.
Uscendo dagli Uffici giudiziari con Wolfe, ero stato sorpreso nel ritrovare fuori la nostra automobile: ma il principale mi aveva spiegato che un dipendente di Osgood l’aveva guidata fin là. Poi mi aveva ordinato di condurlo all’Esposizione. Là avevamo dato un’occhiata alle orchidee, spruzzandole di quello stesso liquido che era servito per annaffiare così opportunamente ed egregiamente il capitano Barrow; e Wolfe si era messo d’accordo con un addetto alle sale perché ne avesse cura sino al sabato, e, ad esposizione chiusa, le rimettesse accuratamente nelle cassette e le rispedisse a New York. Infine eravamo andati agli uffici. Soltanto allora avevo saputo che avremmo dovuto trovarci Louis Bennett, il quale però non era ancora arrivato. Alle dodici passate lo aspettavamo ancora.
“Se volete che vi dica la mia opinione” ripresi “penso che la miglior cosa da fare per noi sarebbe quella di travestirci il meglio possibile, saltare in automobile e correre a rotta di collo verso New York. Oppure andare nel Vermont e là nasconderci in una vecchia cava di marmo fino a pericolo passato.”
“Archie, smettetela di grattarvi, per l’amor del cielo!”
Mi cacciai le mani in tasca, e soggiunsi: “Voi vi rendete conto infatti che da dieci anni studio la vostra faccia; e da quanto posso leggervi ora sono portato a credere, sia detto col minor rispetto possibile, che la prova di cui parlavate all’amico Waddell non esiste. Per essere precisi, parlo della prova che avete promesso di dargli entro le ventiquattr’ore.”
“Non esiste, infatti.”
“E allora, come manterrete la promessa?”
“La manterrò.”
“Benissimo” commentai, guardando meravigliato quel diavolo d’un uomo. “Una volta o l’altra doveva pur finire così.”
“Tacete! La prova non esiste, ma la creerò. Il toro è stato bruciato e così non rimane più nulla a dimostrare il motivo dell’uccisione di Clyde Osgood; ma se anche vi fossero stati altri particolari rivelatori non ci sarebbero serviti. Quanto a Bronson, lo sceriffo non ha scoperto più di zero. Non impronte digitali all’infuori di quelle vostre sul portafogli, non testimoni che ricordino di aver visto la vittima entrare là dentro o passare in compagnia di qualcuno, non la più lontana parvenza di un movente plausibile. Da New York finora nulla; voglio dire che non sono ancora riusciti a trovare le tracce di quella telefonata. Insomma, fiasco completo. In queste circostanze non c’è che da… Oh, buongiorno, signor Bennett!”
Il segretario della “Lega Guernsey” era entrato in quel momento. Aveva l’aspetto dell’uomo disturbato nel bel mezzo d’un’importante occupazione, ma non sembrava esasperato come il giorno precedente.
“Grazie per essere venuto, signor Bennett” tubò Wolfe “e tanto più, in quanto evidentemente avete molto da fare. E’ interessante, osservare in quanti modi si possa essere occupati! Credo che il signor Osgood vi abbia detto per telefono che vorrei chiedervi un favore in nome suo. Sarò breve, ad ogni modo. E cominciamo con lo stabilire dei fatti, semplici ma d’importanza essenziale. Gli atti della Lega di cui siete segretario sono nel vostro ufficio a Fernborough, cioè a centottanta chilometri da qui; e l’aeroplano del signor Sturtevant, che accetta passeggeri a pagamento e che si trova all’aeroporto dall’altra parte dell’Esposizione, può andare fin là e ritornare a Crowfield in circa due ore. Questi sono i fatti.”
Bennett pareva meravigliato; e replicò: “Sì, ho capito, questi sono fatti: soltanto, non vedo…”
“Un momento. Mi sono informato presso il signor Sturtevant in persona, e mi sono assicurato la sua cooperazione, quindi è pronto a partire e a ritornare nel termine voluto. Ora, signor Bennett, mi occorrerebbe avere prima delle tre i cartellini riguardanti i seguenti tori Registro Extra: Caesar Hickory Grindon, Willowdale Zodiaco, Orinoco, quello della signora Linville, di cui ignoro il nome, e Buchingham Hickory Pell. Il signor Sturtevant è disposto a partire immediatamente. Voi potreste andare con lui a prendere i cartellini, o potrebbe andarvi per voi il signor Goodwin al quale dovreste però favorire una lettera per i vostri impiegati.”
“I cartellini originali volete dire?” domandò Bennett accigliato.
“A quanto ho capito, sono i soli di cui voi potete disporre; dato che gli altri, riprodotti sui certificati d’iscrizione nel Registro Extra, sono in possesso dei proprietari dei rispettivi tori, vale a dire sparpagliati qua e là.”
“Mi dispiace, signor Wolfe, ma quei cartellini non possono uscire dall’archivio” rispose Bennett scotendo il capo. “E’ una regola alla quale non si deve derogare. Non si possono sostituire, e non vogliamo correre il rischio di smarrimenti irreparabili.”
“Capisco; e appunto per questo dicevo che potreste andare voi stesso a Fernborough. Quando mi avrete portati i cartellini mi starete vicino mentre li esaminerò di modo che li avrete sempre sott’occhio. Ne ho bisogno per una mezz’ora e forse anche meno.”
“Ma se vi dico che non devono uscire dall’archivio! E per di più io non posso allontanarmi da Crowfield.”
“Questo favore ve lo chiede il signor Osgood.”
“Mi dispiace, ma non è possibile. E… e non è ragionevole, ecco.”
Wolfe si appoggiò allo schienale del seggiolone e sospirò. Poi riprese: “Signor Bennett, una delle prove per cui si riconosce l’intelligenza di una persona è l’abilità di affrontare una situazione insolita quando se ne presenta la necessità. Le regole cui ci dobbiamo attenere sono una necessità universalmente riconosciuta, ma non sempre si possono osservare. Per esempio, è buona regola che nessuno esca di casa in camicia, ma se la casa s’incendia, questa regola è violata, e nessuno ci trova a ridire. Ora, voi forse non potete capire che ci troviamo in uno di questi momenti, ma io sì, e potete fidarvi della mia parola. Credetemi, è d’importanza vitale, che io veda quei cartellini. Se non volete fare quel che vi chiedo come un favore al signor Osgood, fatelo nell’interesse della società. Ma devo vedere i cartellini.”
Bennett pareva un po impressionato, tuttavia obbiettò ancora: “Intendiamoci, non ho detto che non potete vederli, ho detto che non si devono portar fuori dall’archivio. Andate voi a Fernborough e ve li mostreranno.”
“Impossibile! Guardatemi, e ve ne persuaderete.”
“Ebbene, e che cosa avete di straordinario voi? Credete che l’aeroplano non vi trasporterà?”
“Impossibile, ripeto.” E Wolfe rabbrividì al solo pensiero di andare in aeroplano. “Anche per questo dovete fidarvi della mia parola. In aeroplano io! Perdinci, voi avete difficoltà a violare regole di scarsissima importanza sostanziale, ed avreste la faccia tosta di consigliarmi… Siete mai stato in aeroplano, voi?”
“No.”
“E allora, in nome del cielo, andateci almeno una volta! Sarà una prova che vi istruirà e vi divertirà insieme. Ho sentito dire che il signor Sturtevant è un abile pilota al quale ci si può affidare senza timori, e che il suo aeroplano è ottimo. Andate, dunque, e portatemi quei cartellini.”
Secondo me fu l’idea di fare una bella gita gratis in aeroplano che decise Bennett, qualche minuto dopo. Comunque, più o meno di buona grazia finì col cedere. Prese un appunto dei cartellini desiderati, fece un paio di telefonate e disse che era pronto. Lo accompagnai fino all’aeroporto, che era semplicemente un vasto campo d’atterraggio, e qui trovammo Sturtevant che ci aspettava; era un ragazzone simpatico dal viso pulito e dalla tuta sporca di grasso che si affaccendava intorno al motore di un piccolo biplano giallo. Disse che era pronto a partire, e Bennett montò sull’apparecchio. Mi tirai indietro quanto bastava perché non mi capitasse un malanno, e vidi l’aeroplano correre sul prato, poi prender quota lentamente. Aspettai che si fosse elevato di cento metri, dirigendosi verso oriente, poi ritornai dal mio principale, col quale avevo appuntamento alla solita tenda dei Metodisti. Una piccola zona d’azzurro rallegrava ora il grigiore del mio cielo, e cioè la prospettiva di mangiare ancora una volta l’insuperabile fricassea della signora Miller.
E feci quella colazione in santa pace, sebbene, a quanto seppi poi, il mio signore avesse un suo programma che avrebbe dovuto svolgere tutto l’infelice sottoscritto. Quanto a Wolfe, che due minuti prima aveva sbraitato contro l’inflessibilità delle regole, dimostrando che tutto è relativo, manteneva intatta la sua proibizione di parlare d’affari mentre mangiava; e d’altra parte, poiché pareva piuttosto di malumore, non ci fu neppure un tentativo di conversazione. Quando arrivò il caffè il principale si accomodò il meglio possibile sul suo infame seggiolino e cominciò a dirmi di che si trattava. Dovevo prendere l’automobile e andare a casa Osgood per fare un bagno e cambiarmi da capo a piedi. Poiché la casa era piena di ospiti, parenti e amici del povero Clyde, avrei dovuto dare il minor fastidio possibile e tanto meglio se riuscivo a non farmi vedere da Osgood, dato che mi sospettava ancora d’aver procurato un colloquio alla signorina Nancy con un rampollo dell’aborrita stirpe dei Pratt. Dopo di che avrei dovuto preparare il nostro bagaglio e caricarlo nell’automobile, fornire questa di benzina, di lubrificante e di tutto il necessario per un viaggio, e ritornare da lui, Wolfe, nella stanza in cui ci eravamo trovati con Bennett. Tutto questo non oltre le tre.
“Il bagaglio?” osservai sorbendo il caffè. “Dunque ci prepariamo alla fuga, eh?”
“Ritorniamo a casa” sospirò Wolfe. E ripeté, come assaporando le parole: “A casa!”.
“Senza fermarci da nessuna parte?”
“Ci fermeremo un momento dai Prattà A proposito, dimenticavo due punti importanti. Avete con voi un taccuino o qualcosa di simile?”
“Ho un blocchetto per appunti: sapete, di quelli che uso di solito.”
“Potreste favorirmelo? E la vostra matita anche. Grazie.” Poi Wolfe guardò il blocchetto ed osservò: “Sarebbe stato meglio che i foglietti fossero più larghi, ma anche questi potranno andare. Seconda cosa: ho bisogno di un bugiardo molto abile e di cui mi possa fidare”.
“Pronto!” risposi e mi toccai baldanzosamente il petto.
“No, non voi. O meglio, mi occorre un altro bugiardo all’infuori di voi. Ma il campo di scelta è limitato. Dev’essere una delle tre presone che erano presenti mentre me ne stavo su quel mucchio di terra lunedì, nel recinto di Pratt.”
“Vediamo…” E sporsi le labbra, riflettendo. “Dite, il vostro amico Dave potrebbe andare, come bugiardo; fa anche della filosofia, a volte…”
“Niente Dave. Piuttosto, che ne direste della signorina Rowan? Sembra che abbia una certa tendenza ad esservi amica; soprattutto dopo che è venuta a visitarvi in carcere.”
“E come diavolo lo sapete?”
“Non lo so, lo deduco da alcune circostanze. Per esempio, la voce di vostra madre al telefono era quella della signorina Rowan. A proposito, discuteremo di quest’episodio quando saremo ritornati a casa. Voi le avete suggerito quella commediola, e quindi dovete essere stato in comunicazione con lei. I detenuti non vengono chiamati al telefono e perciò la signorina non avrebbe potuto telefonarvi. Conclusione: è venuta a vedervi. Ora, se vi si è mostrata amica sino a questo punto, forse si piegherebbe a dire qualche bugia per farvi cosa gradita.”
“Non mi piace fare uso del mio fascino personale per questioni di affari.”
“Questo importa poco. Ditemi, piuttosto, credete che vorrà mentire?”
“Perché no?”
“Sicché potremmo contare su lei?”
“Direi di sì.”
“Allora dovete fare un’altra cosa: telefonate alla signorina, rintracciatela e assicuratevi che sia dal signor Pratt dalle tre in poi. Ditele che appena arriveremo là dovremo parlarle…” Qui Wolfe vide passare una dama metodista, la chiamò con un cenno, e la pregò di portargli un altro caffè. Indi soggiunse: “Ormai è passata l’una, il signor Bennett deve essere a mezza strada verso Fernborough. Non avete tempo da perdere.”
Finii di bere il mio caffè e uscii a razzo.
Lo svolgimento del programma andò liscio come un olio.
Per prima cosa telefonai a casa Pratt chiedendo di Lily, la mia amata sorellina venne all’apparecchio, e ci mettemmo d’accordo. Poi andai a casa Osgood, e riuscii, entrando per la porta posteriore e passando per la scala di servizio, ad evitare d’incontrarmi con l’iracondo duca; ma probabilmente non si sarebbe accorto di me neppure se fossi passato dall’ingresso principale, poiché la casa era affollata quasi come i viali dell’Esposizione. Fuori c’era a dir poco un centinaio di automobili tanto che dovetti smontare dalla mia molto prima di arrivare in fondo al viale e nell’uscire dovetti trasportare fin là i bagagli.
Mancavano cinque minuti alle tre quando, pulito e rivestito decentemente, con l’automobile carica di bagagli e provvista di tutto l’occorrente, smontai davanti agli uffici dell’Esposizione e andai alla stanza numero 9. Evidentemente Sturtevant non si era vantato a sproposito della sua velocità, perché trovai Wolfe già al lavoro, con le agognate schedine. Era là solo, seduto a una scrivania con tutti i cartellini in fila davanti a sé. Uno però lo teneva proprio sotto il naso e ne distoglieva lo sguardo solo per concentrarlo, a regolari intervalli, sul mio blocchetto d’appunti, dove tracciava un disegno con la matita. Il mio signore era concentrato come un artista sul punto di creare il suo capolavoro. Per qualche minuto lo guardai, notando che il cartellino dal quale pareva trarre la sua ispirazione era intestato a Buchingham Hickory Pell, poi Wolfe posò la matita e si appoggiò allo schienale della sedia.
“E Bennett non avrebbe dovuto tener sempre d’occhio i suoi preziosi cartellini?” domandai. “Siete riuscito a ispirargli assoluta fiducia, o l’avete corrotto. Non lo vedo nei paraggi.”
“E’ andato a far colazione. Del resto, io non glieli sciupo, i suoi cartellini. Ma tacete, ora, e non mi disturbate. Soprattutto non vi grattate.”
“Non ho più bisogno di grattarmi.”
“Sia lodato il cielo.”
Mi misi a sedere e per passare il tempo riflettei a diverse combinazioni del gioco di pazienza che teoricamente avremmo dovuto essere sul punto di mettere a posto.
Dopo un po entrò Bennett, con uno stuzzicadenti in bocca. Allora Wolfe si ficcò nella tasca interna della giacca il mio blocchetto, al quale erano ancora attaccati i fogli coi disegni, poi sospirò, si alzò, e fece un lieve inchino a Bennett, dicendo: “Vi ringrazio molto. Eccovi i vostri cartellini intatti. Custoditeli accuratamente, mi raccomando: se prima erano preziosi, ora lo sono doppiamente. E’ una saggia precauzione, quella di insistere perché tutte le sfumature siano tracciate in inchiostro colorato. Così ogni alterazione diventa impossibile o per lo meno si scopre facilmente. Senza dubbio anche il signor Osgood troverà l’occasione di ringraziarvi. Andiamo, Archie.”
E uscimmo, lasciando Bennett curvo sulla scrivania a guardare i suoi cartellini, come se volesse accertarsi che non erano stati stregati.
Quando arrivammo alla nostra automobile, Wolfe si mise a sedere vicino a me: questo significava che aveva qualcosa da dirmi. Infatti, mentre passavamo lentamente lungo il margine di viale, cominciò: “Ora a noi, Archie. Tutto dipende dall’esecuzione del programma che vi spiegherò brevemente…”