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La stanza degli uffici dell’Esposizione in cui Bennett ci condusse era ampia, alta di soffitto, con due polverose finestre nella parete di legno. Le altre tre pareti erano nude. Unica mobilia, tre grosse tavole rustiche e una diecina di sedie impagliate. Su una delle tavole stava un mucchio di bandiere sbiadite, e una cesta piena per metà di mele; sulle altre due non c’era nulla. Sidney Darth, il presidente dell’Esposizione, era seduto sull’orlo di una sedia ma al nostro ingresso balzò in piedi. Anche Frederick Osgood, il duca americano, era seduto, con le spalle incurvate, l’atteggiamento stanco, ma un’espressione arcigna e risoluta. C’era pure Nancy Osgood, curva anche lei, e con un’aria quanto mai infelice.
Bennett fece le presentazioni, superflue, poiché ci conoscevamo già tutti. Darth borbottò qualche cosa a proposito di certe persone che l’aspettavano, e sgattaiolò via. Gli occhi di Wolfe guardavano le sedie con un’espressione pressoché disperata, e infine si fissarono su di me, dicendo, più chiaramente d’un fiume di parole: “In nome del cielo, andate a scovare qualche sedile decente!”. Tentennai il capo, senza pietà, ben sapendo come sarebbe stata inutile quell’impresa. Il mio principale strinse le labbra, mandò un sospiro e si mise a sedere.
“Rimarrò, se volete” disse Bennett. “Se posso essere comunque utile, voglio dire…”
Wolfe guardò Osgood, e questi tentennò il capo, replicando: “No, grazie, Bennett. Potete andarvene.”
Il segretario della “Guernsey” esitò un momento, a quanto mi parve, perché in fondo non gli sarebbe spiaciuto fermarsi, ma infine si decise e uscì. Quando la porta si fu richiusa, io requisii una sedia (durissima, per la storia) e mi ci accomodai alla meglio.
Intanto Osgood guardava Wolfe con un suo aristocratico cipiglio. E cominciò: “Dunque, voi sareste Nero Wolfe… A quanto ho sentito dire siete venuto a Crowfield per esporre orchidee.”
“Chi ve l’ha detto?” domandò il mio signore in tono piuttosto acido.
Il cipiglio aristocratico s’era andato attenuando, ma a quelle parole riapparve, più fiero che mai.
“Ha importanza, che me l’abbia detto Tizio o Caio?”
“No, ma neppure il motivo per cui sono a Crowfield ha importanza. Il signor Bennett mi diceva che vorreste consultarmi; non in materia d’orchidee immagino.”
Trattenni un sorriso, sapendo che così Wolfe non solo rimetteva a posto quell’altezzoso di Osgood, ma sfogava anche il suo risentimento per essere stato mandato a chiamare e per essere venuto all’Esposizione.
“Me ne infischio, io, delle orchidee!” ribatté Osgood, sempre accigliato. “Il motivo della vostra presenza qui è un altro, molto più importante. Ho bisogno di sapere se siete amico di Thomas Pratt, oppure se avete avuto, o state per avere, qualche incarico da lui. Ieri sera eravate in casa sua.”
“Ma che importanza ha, tutto questo? O voi volete consultarmi, o non lo volete. In caso affermativo sarò io a giudicare se verrò a trovarmi in una situazione d’incompatibilità tra opposti interessi, e ve lo dirò. Avete cominciato male, e in modo offensivo, signor Osgood. Perché diavolo dovrei dar conto a voi dei motivi della mia presenza a Crowfield o altrove? Se avete bisogno di me, eccomi. Posso esservi utile in qualche cosa?”
“Siete amico di Pratt?”
Wolfe sbuffò, esasperato, si alzò, e fece un passo verso la porta, ordinandomi: “Venite, Archie.”
Ma Osgood lo trattenne, alzando la voce: “Maledizione, dove andate? Non ho dunque il diritto di domandarvi…”
“Nossignore” replicò Wolfe, guardandolo irritato. “Non avete il diritto di farmi alcuna domanda. Io sono un investigatore di professione, abbastanza noto e apprezzato, e se accetto un incarico lo adempio; se invece per un motivo qualsiasi non posso accettarlo, onestamente lo rifiuto. Chiaro? Su, Archie, venite.”
Mi alzai ma non senza una certa riluttanza, perché da un lato mi dispiaceva vedere sfuggire così quello che poteva essere un buon affare, dall’altro la mia curiosità era stata risvegliata dall’espressione del viso di Nancy Osgood. Infatti, quando Wolfe si era alzato accennando a volersene andare, la ragazza m’era parsa come sollevata; e ora che, nonostante le proteste del padre, il mio principale sembrava deciso a salpare per il suo destino, quel sollievo diventava sempre più evidente. Perciò fui contento quando alla fine Osgood s’arrese.
“Va bene, scusatemi” borbottò. “Prego, rimettetevi a sedere. Sì, ho sentito parlare di voi, e anche del vostro maledetto spirito d’indipendenza… Ma devo mandar giù questo ed altro, adesso, perché ho bisogno di voi e non posso far diversamente. Questi imbecilli qui… Punto primo, non hanno un dito di cervello; in secondo luogo sono un branco di vigliacchi. Insomma, vorrei che indagaste sulla morte di mio figlio.”
Non m’ero sbagliato: ora che Wolfe, accettando le scuse, si rimetteva a sedere, l’espressione di sollievo era completamente scomparsa dal viso della ragazza. Nancy aveva unite le mani in grembo e le stringeva convulsamente.
“Su quale aspetto della morte di vostro figlio vorreste che indagassi?” chiese Wolfe.
“Perdinci!” replicò Osgood con freddo furore. “Voglio sapere come è stato ucciso.”
“E’ stato ucciso da un toro, no? Non sono venute a questa conclusione, le autorità mediche e legali?”
“Al diavolo le autorità e le loro sciocchezze! Mio figlio s’intendeva meravigliosamente di bestiame; perché, dunque, sarebbe andato in quel recinto ieri sera? L’idea di Pratt, cioè che volesse portargli via il toro, è semplicemente ridicola. E Clyde, oltre tutto, non era tanto sciocco da lasciarsi massacrare così, al buio.”
“Eppure è stato ucciso” osservò Wolfe, agitandosi sulla scomodissima sedia. “Se non è stato il toro, chi e in qual modo avrebbe potuto farlo?”
“Non lo so; ma voi siete un investigatore, e vorrei che lo scopriste. Si dice che abbiate un’intelligenza e un’abilità di gran lunga superiori alla media; e dunque, che ne pensate? Voi eravate in casa Pratt, e conoscendo le circostanze come le conoscete, credete che Clyde sia stato ucciso dal toro?”
“Le opinioni dei professionisti costano denaro, signor Osgood” sospirò Wolfe. “Specialmente la mia. Io mando ai clienti parcelle piuttosto salate, vi avverto. D’altra parte non credo di potere accettare da voi l’esplicito incarico di investigatore sulla morte di vostro figlio. Avrei intenzione di ripartire per New York giovedì mattina, non vorrei rinviare di molto il viaggio. A me piace stare in casa mia, e se me ne allontano non vedo l’ora di tornarci. Quanto al noto affare vi dirò che, senza impegnarmi a fare indagini a fondo, per riferirvi la mia opinione chiedo mille dollari.”
“Che cosa? Mille dollari soltanto per dirmi che cosa pensate di questa faccenda?”
“Per dirvi che cosa ne penso dopo un certo lavorio di induzione e deduzione, sì. Ma dubito che per voi valga la pena di sostenere una spesa simile.”
“E allora, perché diavolo mi avete chiesto questi mille dollari?”
“Papà” intervenne Nancy, in tono di protesta, con una povera vocina velata. “Ti avevo avvertito, no? E’ una sciocchezza… Tutto questo è così puerile, così…”
Wolfe le diede un’occhiata, guardò di nuovo il padre, e si strinse nelle spalle, mormorando: “Insomma, questo è il prezzo, signor Osgood.”
“Mille dollari per sapere che cosa pensa un uomo di una certa cosa?”
“Oh, no! Per sapere la verità.”
“La verità! E potreste dimostrarla?”
“No. Io la vendo come un’opinione personale. Ma è la verità, non una semplice congettura infondata.”
“Va bene, pagherò i mille dollari. Parlate.”
“Benissimo.” E Wolfe chiuse a mezzo gli occhi, sporgendo le labbra. “Clyde Osgood non è entrato nel recinto volontariamente: e quando vi è stato trasportato era privo di sensi, sebbene ancora vivo. Non è stato preso a cornate, e quindi non è stato ucciso dal toro: è stato assassinato, invece; probabilmente da un uomo solo, ma forse anche da due, se pure non si trattava, cosa improbabile ma non impossibile, di un uomo e di una donna.”
Nancy si raddrizzò, mandando un’esclamazione soffocata; e rimase così come irrigidita. Osgood guardava Wolfe, muovendo lentamente il capo a destra e a sinistra; poi disse: “E secondo voi sarebbe la verità, questa? E cioè mio figlio è stato assassinato?”
“Sì, la verità, ma senza garanzia di prove; e ve la vendo come una opinione, ripeto.”
“E allora, a che mi serve? E come potete sapere che è la verità? Perdinci, se volete prendermi per il naso…”
“Signor Osgood! Non andate troppo oltre, vi prego. Io non prendo per il naso nessuno. Vi assicuro che la mia opinione rispecchia la verità. Il fatto poi che valga o non valga il suo prezzo, dipende dall’uso che ne farete.”
Osgood si alzò, fece due o tre passi, e guardò la figlia, dicendole, come se l’accusasse di qualche cosa: “Hai sentito, eh? Hai sentito che cosa dice quest’uomo? Lo sapevo! Ti dico che lo sapevo! Dio mio! Clyde morto… assassinato…”
Si voltò verso Wolfe, aprì la bocca quasi per dire ancora qualcosa; la richiuse, e ritornando alla sedia vi si lasciò cadere come esausto. Anche Nancy guardò Wolfe, ed esclamò indignata: “Ma perché avete detto così? Come potete esser certo che… che Clyde è stato assassinato?… Perché lo affermate come se… come se poteste sapere…”
“Lo affermo perché sono giunto a questa conclusione, signorina” rispose pacatamente Wolfe.
“Ma come? Ma perché?”
“Sta zitta, Nancy!” ordinò Osgood; poi di nuovo a Wolfe: “Va bene, mi avete riferita la vostra opinione. Adesso però vorrei sapere su che cosa la basate”.
“Non ve l’ho detto? Sulle mie deduzioni. Ieri sera ero là con una torcia elettrica…”
“Deduzioni tratte da che cosa?”
“Dai fatti. Posso riferirveli, se volete; ma prima bisogna che vediamo le cose come stanno. Avete accennato a ”questi imbecilli qui“, e li avete definiti un branco di vigliacchi. Vi riferivate forse alle autorità?”
“Appunto: al procuratore distrettuale e allo sceriffo.”
“Li avete definiti vigliacchi perché esitano a imbastire una vera e propria istruttoria sulla morte di vostro figlio?”
“Non esitano, ma si rifiutano addirittura, dicendo che i miei sospetti sono arbitrari e infondati. Cioè, non usano proprio queste parole, ma la sostanza è questa. Insomma, non vogliono correre il rischio di trovarsi di fronte a un compito che poi non saprebbero portare a buon fine.”
“Ma voi avete una posizione, una influenza politica, un potere…”
“No: non ho nessun potere, nessuna influenza, specialmente su Waddell, il procuratore distrettuale. Quando, nel 1936, fu eletto a quella carica, io fui il suo oppositore più accanito; ma lui riuscì ugualmente grazie al denaro di Pratt. Questa volta però va troppo oltre, perché, dopo tutto, si tratta di un delitto. Lo avete detto voi stesso, che si tratta di un delitto.”
“Ma forse loro son convinti del contrario: cosa plausibilissima, date le circostanze. Oppure vorreste dire che, secondo voi, il procuratore distrettuale e lo sceriffo sarebbero disposti a mettere a tacere una cosa grave come un assassinio semplicemente per evitare delle noie al signor Pratt?”
“No… O forse sì… Insomma, non lo so, e non me ne importa un fico. So soltanto che loro non vogliono ascoltare la ragione, e che io non so che cosa fare, sebbene desideri con tutta l’anima che l’assassino di mio figlio, chiunque sia, paghi la pena del suo delitto. Per questo ho dovuto ricorrere a voi.”
“Capisco.” E Wolfe si agitò di nuovo sull’incomoda sedia. “Sta di fatto, però, che voi non avete dato a quei due un vero e proprio motivo per prendere sul serio le vostre affermazioni. E mi spiego. Voi avete detto loro che vostro figlio non sarebbe entrato nel recinto, invece c’era; che non sarebbe stato tanto sciocco da farsi assalire da un toro al buio, mentre invece è stato trovato mentre il toro, appunto, lo faceva rotolare sul prato con le corna. Insomma, vi siete servito di congetture, non di fatti dimostrati. Mi avete chiesto di indagare sulla morte di vostro figlio; ma io non posso accettare questo incarico se contemporaneamente non si muove la polizia. Vi sarà molto lavoro da fare, ed io non ho chi mi aiuti, all’infuori del signor Goodwin. Non ho nemmeno autorità per far parlare gli eventuali testimoni, o per ottenere le prove che possono occorrermi. Perciò, se dovessi occuparmi di questa faccenda, la prima cosa da fare sarebbe quella di aver con noi la polizia. E’ a Crowfield, l’ufficio del procuratore distrettuale?”
“Sì.”
“E credete che il procuratore sia in ufficio, a quest’ora?”
“Sì.”
“Allora vi proporrei che andassimo a parlargli. M’impegno di persuaderlo io a iniziare immediatamente un’inchiesta. Questo, naturalmente, richiederà ulteriori compensi per me; ma cercherò di non gravar troppo la mano, date le circostanze. Dopo questa visita deciderò sulla vostra richiesta, e cioè se mi occuperò della cosa direttamente: dico questo perché potrebbe darsi che voi non lo giudicaste più necessario, o a me sembrasse poco pratico. Avete un’automobile qui? E potrebbe guidarla il signor Goodwin? La mia ieri è andata a sfasciarsi contro un albero.”
“La mia vettura me la guido da me, oppure la lascio guidare da mia figlia. Però non mi va molto a genio l’idea di ritornare da quel pagliaccio di Waddell.”
“Purtroppo è inevitabile.” E Wolfe s’alzò, dopo i debiti preliminari. “Ci son cose che bisogna fare senza por tempo in mezzo, e che richiedono l’appoggio dell’autorità.”
Andò a finire che guidò Nancy. Trovammo l’ampia automobile nera di Osgood che aspettava in uno spazio privilegiato vicino a un angolo dell’edificio dell’Amministrazione, dove troneggiava in superba solitudine. Io mi misi a sedere accanto alla guidatrice, gli altri due nell’interno.
La strada maestra e le vie laterali erano affollate di gente, ma Nancy, sebbene apparisse piuttosto impulsiva nell’uso del volante e dell’acceleratore, se la cavò abbastanza bene. Mi voltai a guardare un momento verso l’interno della vettura, e vidi Wolfe aggrappato ai braccioli, coi piedi puntati contro il nostro sedile, e tutt’altro che tranquillo. Finalmente imboccammo un vialetto a curva, e ci fermammo davanti a un grosso edificio di pietra, che recava la scritta, sul portone: “Uffici giudiziari della contea di Crowfield”.
Osgood fu il primo a smontare; e disse, rivolto alla figlia: “Adesso tu ritorna a casa dalla mamma. Era inutile che mi accompagnassi. Vi telefonerò appena avrò qualcosa di positivo da dirvi.”
“Sarebbe bene se la signorina ci aspettasse qui” intervenne Wolfe. “Se accetterò quest’incarico dovrò parlare immediatamente con lei.”
“Con mia figlia!” esclamò Osgood, aggrottando la fronte. “Ma che c’entra lei? Sciocchezze!”
“Come volete.” E Wolfe si strinse nelle spalle. “Intanto vi dirò che questo lavoro non lo desidero né punto né poco, e per diversi motivi, primo fra i quali il fatto che siete troppo combattivo come cliente.”
“Ma che diavolo vorreste domandare a mia figlia, se mi è lecito saperlo?”
“Nulla: vorrei soltanto chiederle qualche informazione. Date retta a me, signor Osgood: ritornate a casa con la signorina, e dimenticate il vostro desiderio di vendicarvi, o di far giustizia, come preferite. Nell’attività umana non c’è nulla di impertinente come un’inchiesta giudiziaria fatta a dovere, e temo che non siate preparato a tollerare certe indiscrezioni. Perciò abbandonate l’idea. Con vostro comodo mi manderete a New York un assegno per il poco che ho fatto…”
“Invece andrò fino in fondo, ecco!”
“Sì? Allora preparatevi a fastidi di ogni genere: indiscrezioni, domande, pubblicità…”
“Andrò fino in fondo.”
“Benissimo.” E Wolfe accennò ad un lieve inchino verso l’amabile ma dolorosamente perplesso faccino di Nancy, che rimaneva al suo posto, dietro al volante. “Allora, signorina Osgood, abbiate la bontà di aspettarci qui.”