5
Ai piedi della scalinata mi venne incontro Pratt, con le mani sprofondate nelle tasche e le mascelle serrate. Con un cenno del capo, senza pronunciare una parola, mi guidò nel salotto vero e proprio e più precisamente verso un signore dalle gambe lunghe che se ne stava seduto in una poltrona mordendosi il labbro inferiore. Quando fui a quattro o cinque passi, quel bel tipo, senza aspettare che Pratt facesse una sia pur sommaria presentazione, o che io dicessi qualcosa, domandò con voce secca e autoritaria: “Voi vi chiamate Goodwin, vero?”
Capii subito l’antifona: si trattava di uno di quegli uomini che sembrano nati per comandare, e che a me non sono stati mai eccessivamente simpatici. Tuttavia, deciso a comportarmi bene, risposi quietamente: “Si, Archie Goodwin.”
“Siete stato voi a far scappare il toro e a sparare quei colpi di pistola?”
“Sì, dottore.”
“Che dottore e non dottore! Io non sono il medico, sono Frederick Osgood. E’ stato ucciso mio figlio, il mio unico figlio.”
“Scusatemi: avevo creduto che foste il dottore.”
Pratt, che si era tirato indietro e stava ad ascoltarci sempre tenendo le mani in tasca, a questo punto credette bene di spiegarmi: “Il medico non è ancora qui. Il signor Osgood abita a meno di un chilometro e mezzo da casa nostra, ed è arrivato in pochissimo tempo.”
“Raccontate che cosa è successo” mi ordinò Osgood, sempre con quel tono imperioso. “Ho bisogno di saperlo.”
“Va bene.”
E glielo dissi, infatti. So come riferire brevemente ma completamente certe cose e non mi smentii… terminando il rapporto al momento in cui gli altri erano arrivati sul luogo della disgrazia, e soggiunsi che il resto gliel’aveva probabilmente già detto il signor Pratt. Ma lui replicò, ruvidamente: “Non vi occupte di Pratt. E voi dite che non eravate presente quando mio figlio è entrato nel recinto?”
“V’ho già detto come sono andate le cose.”
“Voi siete un investigatore di New York, vero?”
“Sì: investigatore privato.”
“Lavorate per conto di Nero Wolfe e siete venuto qui con lui?” insisté Osgood, affermando più che domandando.
“Infatti. Il signor Wolfe è su in camera sua.”
“E che diavolo fate qui, voi e Wolfe?”
“Be” risposi col tono con cui avrei detta una qualsiasi amenità “se ci tenete a prendere un pugno in faccia abbiate la cortesia di alzarvi.”
“Maledizione!” scattò quello, cominciando ad alzarsi, evidentemente infuriato. “Come vi…”
“Un momento!” interruppi, alzando la mano. “So che vostro figlio è stato ucciso poco fa, e nei limiti del ragionevole son disposto a tollerare molte cose; ma voi andate troppo in là e fate la figura dello stupido. Che diamine vi prende? Siete isterico, forse, che non potete parlare tranquillamente?”
Osgood si morse le labbra, e dopo un secondo rispose, questa volta un po meno altezzosamente: “No, non sono isterico, e cerco di non fare la figura dello stupido ma devo sapere tanto da decidere se è il caso di far venire qui lo sceriffo e la polizia. Non riesco a capire che cosa è successo di preciso, e ad ogni modo non credo che le cose siano andate come voi dite.”
“Me ne dispiace molto” replicai, guardandolo diritto negli occhi. “Ma per quanto mi riguarda ho una testimonianza che può confermare quel che ho detto. Qualcuno era con me in quel momento: una… una signorina.”
“E dove sarebbe questa ragazza? Come si chiama?”
“E’ Lily Rowan.”
Osgood mi guardò per un bel po, guardò anche Pratt, e finalmente domandò: “E’ qui, lei?”
“E’ qui” risposi. “Adesso vi dirò com’è andata. Io e il signor Wolfe abbiamo avuto un incidente di macchina, e siamo venuti qui a piedi per telefonare a Crowfield. Non conoscevamo nessuno in questa casa, e tanto meno la signorina Rowan. Stasera, dopo cena, la signorina è uscita a fare una passeggiata, mi ha trovato che facevo la guardia al recinto e mi ha tenuto compagnia. Era con me quando ho visto il toro e l’ho fatto scappare sparando in aria. Se volete far venire la polizia, e se gli agenti vorranno onorarmi delle loro attenzioni, vi avverto che perderemo tempo e nient’altro. Vi ho detto tutto quel che ho visto e fatto, senza omettere nulla: e credo che basti.”
Osgood premeva quasi convulsamente le unghie sui ginocchi, come se cercasse di afferrarsi a qualche cosa. Domandò ancora, brevemente: “Quella Lily Rowan era con mio figlio?”
“Non certo mentre era con me. Ci siamo incontrati sulla strada, dall’altra parte del recinto, verso le nove e mezzo; e io non avevo più visto vostro figlio dopo che era stato qui nel pomeriggio. Quindi non so se la signorina l’abbia visto o no. Domandateglielo, se volete saperlo.”
“Preferirei torcerle il collo, accidenti a lei! Che cosa ne sapete voi di una scommessa che mio figlio avrebbe fatto con il signor Pratt?”
“V’ho già detto tutto a questo riguardo, Osgood” brontolò Pratt. “In nome del cielo, cercate di calmarvi un po adesso!”
“Mi piacerebbe di sapere che cosa ha da dire questo giovanotto. Dunque, Goodwin? Li avete sentiti fare quella scommessa?”
“Certo: tutti li abbiamo sentiti, compresi vostra figlia e l’amico di vostro figlio, quel tale Bronson” risposi, guardandolo con compassione. “E ora accettate un consiglio da chi s’intende di certe cose, e ha il vantaggio di veder lavorare Nero Wolfe. Voi siete sconvolto. Ne ho vista tanta, di gente che rimane sconvolta per una morte improvvisa, e se è soltanto questo che vi mette in un certo stato d’animo tutti siamo pronti a simpatizzare con voi. Ma se avete una vostra idea, e credete che qui ci sia qualcosa di poco chiaro, la miglior cosa da fare è di rivolgersi ai professionisti in materia. Avete qualche sospetto?”
“Sì.”
“E che cosa sospettate?”
“Non lo so neanch’io, ma non capisco bene che cosa è successo e la faccenda non mi sembra liscia. Non credo, non posso credere, che mio figlio sia entrato spontaneamente in quel recinto, per uno scopo qualsiasi. Pratt dice che voleva condur via il toro; ma questa è una supposizione quanto mai stupida, e mio figlio non era stupido. E non era un novellino in fatto di bestiame. E’ inverosimile che sia entrato nel recinto per prendere il toro, e che vedendo la bestia inferocita sia rimasto là al buio, permettendole di massacrarlo.”
Qui Pratt emise un altro brontolio.
“Avete sentito che cosa ha detto Mac Millan, mi pare: vostro figlio può avere inciampato, cadendo, e il toro era troppo vicino a lui perché…”
“Non ci credo!” interruppe Osgood con violenza. “Perché avrebbe dovuto entrare nel recinto?”
“Per vincere la scommessa di diecimila dollari.”
Osgood s’alzò. Era largo di spalle, più alto di Pratt, ma un po panciuto. Avanzò verso il nostro ospite coi pugni chiusi, e ringhiò, a denti stretti: “Villanaccio della malora, cercate di non dire un’altra volta una cosa simile, altrimenti…”
Fui pronto a mettermi fra i due uomini (finalmente non si trattava di tori); e dissi a Osgood: “Suvvia, calmatevi, altrimenti quando verrà il medico dovrà per prima cosa fasciare la testa a voi. Sarebbe veramente carina, con un morto in casa. Se Pratt crede che vostro figlio sia entrato nel recinto per cercare di vincere la scommessa, ebbene, lui la pensa così; e del resto siete stato voi a domandargli la sua opinione. Perciò finitela, adesso. Aspettate fino a domani per vedere le cose alla luce del giorno e farvi un’idea più chiara, o altrimenti mandate a chiamare lo sceriffo e sentite che cosa pensa lui dell’opinione di Pratt. Ma allora i giornali la riferiranno, e riferiranno anche l’opinione di Dave, di Lily Rowan e via dicendo, sicché sapremo anche l’opinione del pubblico su tutta la faccenda. Poi qualche intraprendente reporter di New York pubblicherà un’intervista col toro…”
“Eccomi qua, signor Pratt” disse una voce dietro di noi. “Mi dispiace di non aver potuto venir prima…”
Ci voltammo: quello era evidentemente il medico; un ometto tarchiato completamente senza collo, con l’immancabile valigetta nera. Continuava a scusarsi: “Ero fuori quando è arrivata la vostra telefonata… Oh, signor Osgood! Una cosa veramente terribile, eh? Veramente, veramente terribile…”
Seguii i tre uomini nella stanza attigua, dov’era il cadavere. Mi pareva assurdo che Osgood ritornasse di là: ma vi andò. Jimmy Pratt che stava seduto sullo sgabello del pianoforte si alzò e uscì, senza una parola. Il medico andò verso il divano, posò la valigetta su una sedia vicina; e Osgood, avvicinatosi alla finestra, si mise a guardar fuori, voltandoci le spalle. Quando sentì il dottore dire a voce alta, involontariamente: “Oh, Dio mio!” voltò la testa a mezzo, ma subito riprese a guardar fuori.
Una mezz’ora dopo ritornai da Wolfe a riferirgli che cosa era accaduto. Il principale, in pigiama giallo, era nel camerino da bagno a pulirsi i denti.
“Signor Wolfe, il dottor Sachett ha certificato che la morte è avvenuta per disgrazia, in seguito a ferite inflitte alla vittima da un toro. Frederick Osgood, quel povero padre che sarebbe un duca se qui in America avessimo dei duchi, sospetta che le cose non siano andate così lisce. Non sapendo quali potessero essere i vostri desideri…”
“Vi avevo consigliato di limitarvi a dire quel che avevate visto, e nulla più.”
“E’ presto detto! Vi ripeto che Osgood ha l’arte di un duca abituato a comandare, e che secondo lui le cose non sono andate come sono andate, per due ragioni soprattutto: la prima, che il figlio non avrebbe avuto nessun plausibile motivo per entrare nel recinto; la seconda, che era troppo svelto, e s’intendeva troppo di bestiame per aspettare al buio che il toro gli andasse addosso. Ha ripetuto queste osservazioni al dottor Sachett, ma questi ha creduto che parlasse così per effetto dell’emozione e del dolore, sicché si è rifiutato di sospendere il rilascio del certificato, ed ha invece preso accordi telefonici con un impresario di pompe funebri perché il cadavere sia rimosso domattina. Allora Osgood, senza neppure chiedere a Pratt il permesso di servirsi dell’apparecchio, ha telefonato personalmente allo sceriffo ed alla polizia.”
“Davvero?” domandò Wolfe indifferente appendendo l’asciugamano sulla sbarra di nichel. “Archie, ricordatemi di telegrafare a Theodore, domani; ho trovata una cocciniglia su una delle piante di orchidee.”