13

 

Alle dieci del mattino seguente, mercoledì, un gruppo eterogeneo di persone era stivato nell’automobile di Osgood diretta a Crowfield. Osgood rimaneva arcigno e silenzioso, e durante un breve colloquio con Wolfe aveva mostrato una certa tendenza a mordere. Bronson era di nuovo lustro e agghindato, ma aveva la mascella destra gonfia, e se ne stava tutto immusonito. Nancy, al volante, era pallida e aveva gli occhi iniettati di sangue. Nella mattinata aveva già dovuto andare a Crowfield, per ricevere alla stazione due parenti venuti per il povero Clyde. Il funerale era fissato per il pomeriggio dell’indomani, e il maggiore afflusso di parenti e di amici si sarebbe avuto nelle ventiquattr’ore successive. A quanto pareva, Wolfe non pensava più ad alleviare le preoccupazioni della povera Nancy a proposito del documento fatale, poiché mi aveva detto di non riferirle che l’avevo io: non c’era fretta.

Durante il tragitto nessuno parlò. A Crowfield, Osgood smontò per primo ed entrò in una bottega in Main Street sovrastata da una piccola insegna che diceva: Pompe funebri. La seconda fermata seguì poco dopo, davanti all’albergo, dove Bronson ci lasciò in un silenzio e in un’atmosfeva non precisamente amichevoli: poi Nancy mi domandò: “All’autorimessa Thompson, vero?”

Le risposi di sì, e circa tre minuti dopo smontai anch’io all’autorimessa, mentre la signorina proseguiva per scaricare Wolfe all’Esposizione. Era stata un’idea del principale, nel caso che la nostra automobile non fosse ancora pronta; e io gliene ero grato perché non sarebbe stato un piacere celestiale rimorchiare Wolfe a piedi per mezzo paese.

L’automobile era pronta, invece. Pagai le riparazioni senza tirare sul prezzo, e mi allontanai, pronto alle più brillanti imprese.

Secondo le istruzioni, avrei dovuto ripescare Bennett, segretario della “Lega Guernsey” A un certo punto scesi per telefonare in una cabina pubblica, e ci rimasi per venti minuti buoni, ora perché la linea era occupata, ora perché mi davano un numero sbagliato. Comunque, di Bennett neppure l’ombra. Si aveva l’impressione generica che fosse all’Esposizione. Allora andai all’Esposizione; e dopo essere riuscito, con una vera battaglia, a lasciare l’automobile in uno degli spazi riservati agli espositori, mi lanciai nella folla, diretto agli uffici. Là seppi che quel giorno si sarebbe giudicato il bestiame esposto, e che Bennett era ingolfato nel suo lavoro fino ai capelli. Comunque, dove avrei potuto trovarlo precisamente? Nei capannoni, laggiù in fondo. Così andai da quella parte, facendomi largo fra uomini, donne, bambini, palloncini e corna; un vero manicomio.

Non avevo ancora visto quella parte dell’Esposizione. Era una piccola città di capannoni, ognuno lungo una cinquantina di metri e largo la metà. Entrai nel primo che mi venne a tiro. Puzzava maledettamente, e non me ne meravigliai, perché era zeppo di bovini di tutti i generi. Un tramezzo alto un po meno di due metri lo divideva in tutta la sua lunghezza, e da una parte e dall’altra erano legati tori, mucche e vitelli. Anche alle pareti si allineavano schiere di quelle care bestiole. Nessun toro, però, mi ricordava per bellezza e per mole Caesar Hickory Grindon buon’anima. Pochi visitatori passavano lentamente negli spazi liberi, e io me ne andai per direttissima verso un ometto in tuta che stava spulciando la coda di una mucca, per domandargli se aveva visto Bennett, soggiungendo che a quanto avevo saputo, Bennett stava dove si giudicavano i bovini.

“Allora è più in là” rispose lo spulciatore di code. “Ma adesso si giudica il bestiame svizzero; per quello nostrano cominceremo all’una.”

Trovai finalmente il mio uomo in un quinto capannone, tutto attivo e agitato, occupatissimo a discorrere e fare toletta alle bestie esposte. Andava su e giù come un matto. Non mi riconobbe, e per fermarlo un momento dovetti addirittura afferrarlo alle spalle. Gli ricordai dove e come ci eravamo visti, e gli dissi che Wolfe voleva parlargli al più presto possibile, nell’edificio principale dell’Esposizione, o in un altro luogo qualsiasi, a sua scelta.

“Ma non lo dite nemmeno!” replicò lui, quasi inferocito. “Non ho avuto neanche il tempo di mangiare un boccone… Si giudicherà il bestiame all’una.”

“Il signor Wolfe sta risolvendo un omicidio per conto del signor Osgood, ed avrebbe bisogno di importanti informazioni da voi.”

“Informazioni? Non ne ho.”

“Vuol farvi qualche domanda, per lo meno.”

“Be, ad ogni modo adesso non posso; proprio, non posso. Dopo l’una, quando avranno cominciato a giudicare, forse… Avete detto che Wolfe è nel padiglione principale? Verrò, allora oppure gli farò sapere..”

“Farà colazione alla tenda dei Metodisti. Cercate di sbrigarvi, eh? All’una, o poco dopo, lo troverete là.”

Bennett promise che avrebbe fatto il possibile.

Quando ritornai dove erano esposte le nostre orchidee era mezzogiorno. Trovai Wolfe che stava curando amorosamente le sue pianticine, dato che alle quattro avrebbero dovuto essere giudicate. Il suo rivale, Shanks, gli stava al fianco, in estatica ammirazione. Dissi al principale che l’automobile ormai andava benissimo, poi gli riferii di Bennett.

“Uhm!” commentò lui, con una smorfia. “Allora dovrò aspettare qui.”

“Stare in piedi vi fa bene.”

“Già, e il ritardo? Oggi è mercoledì, e domani dovremmo partire. Ho telefonato al signor Waddell, e ho saputo che il randello di Bronson non è stato ritrovato. Quanto a fotografare il toro, la polizia non ci ha neppure pensato. Pfui! La signorina Osgood riferisce che nessuno dei domestici ha visto il signor Bronson rientrare. La nostra prossima mossa, dunque, dipende dal signor Bennett.”

“Lui sostiene che non ha niente da dirvi.”

“Invece sì: soltanto ignora che potrei servirmi di certe cose che lui sa. Forse, se ritornaste da lui a spiegargli…”

“Niente da fare, se non volete che usi la forza. Dice che non ha avuto neppure il tempo di mangiare un boccone.”

A questo Wolfe dovette rassegnarsi; e con un sospiro ritornò da Shanks.

Quanto a me, mi appoggiai all’orlo della tavola delle dalie, e sbadigliai. Ero seccato. Non avevo potuto condurre Bennett da Wolfe, ero stato alleggerito di sessantasei dollari del denaro del principale, in conto riparazioni per un danno provocato da me (personalmente) e la sera avremmo dovuto mangiare e dormire in una casa dove la famiglia e i parenti si preparavano a un funerale. Per di più, nonostante la tranquilla sicurezza di Wolfe, non vedevo quando avrebbe portato a termine il compito affidatogli da Osgood.

Probabilmente, immerso nelle mie profonde meditazioni, avevo chiuso gli occhi, perché a un tratto mi sentii tirare per la manica, mentre una voce flautata diceva: “Su, Escamillo, svegliatevi e accompagnatemi a vedere i fiori.”

“Oh, siete voi, signorina Rowan?” risposi, riaprendo gli occhi. “Andatevene: sono di guardia.”

“Siete un villanzone” ribatté lei, e sorrise. “Del resto, questo è un luogo pubblico: ho pagato il biglietto d’ingresso, e ho il diritto di rimanere. Voi siete un espositore, vero? Ebbene, accompagnatemi a vedere i fiori che avete esposti.”

“Non sono l’espositore, ma un impiegato dell’espositore. Venite qui.” E condussi Lily dal mio principale. “Signor Wolfe, voi conoscete già la signorina Rowan; ebbene, vorrebbe che le mostraste le orchidee.”

“Questo è un complimento al quale cedo sempre” rispose Wolfe, inchinandosi. Lily lo guardò diritto negli occhi e replicò: “Signor Wolfe, vorrei riuscirvi simpatica, o per lo meno non antipatica. Io e il signor Goodwin probabilmente diventeremo buoni amici. Vorreste darmi un’orchidea?”

“Signorina, raramente le donne mi sono antipatiche, ma non mi sono mai simpatiche. Un’orchidea, dite? Potrò mandarvene qualcuna alle cinque, dopo che saranno state giudicate, se vorrete dirmi dove.”

“Grazie; verrò a prenderle io.”

Insomma, andò a finire che Lily venne a far colazione con noi.

La tenda dei Metodisti era anche più affollata del giorno precedente. A quanto pareva, la signora Miller non aveva giorni di libertà, perché la fricassea di pollo e il budino di riso erano squisiti come sempre, e poiché temevo che fosse l’ultimo giorno in cui potevo deliziarmene, ne presi anch’io due porzioni. Wolfe, come sempre quando mangia bene, era socievole ed espansivo. Quando seppe che Lily era stata in Egitto le parlò della sua casa al Cairo e chiacchierarono per un bel pezzo, facendo un viaggio per l’Arabia a dorso di cammello.

Mentre finivo di bere il caffè, il principale osservò: “Il signor Bennett non si vede ancora! E’ l’una e mezzo. E’ molto lontano quel capannone, Archie?”

“Non molto.”

“Allora, fatemi il favore, andate a cercarlo: devo vederlo ad ogni costo! Se non potrà venire subito ditegli che starò qui fino alle tre, dopo mi troverà nelle sale dell’Esposizione.”

“Va bene.”

E mi alzai. Si alzò anche Lily dicendo che doveva raggiungere il signor Pratt e Caroline, che probabilmente la cercavano. Uscì con me, ma io le dissi che quelle erano ore di lavoro, e che contavo di procedere attraverso la folla con un’energia incompatibile con la sua piacevole presenza. Lei rispose che fino a quel momento non si era accorta che giudicavo la sua presenza particolarmente piacevole, mi informò che ci saremmo riveduti alle cinque e mi lasciò dirigendosi verso l’edificio principale. Io dovevo andare dalla parte opposta.

Nel capannone si giudicava il bestiame paesano e la folla era addirittura raddoppiata. Bennett era dietro il gruppo dei giudici, in un codazzo di gente che li seguiva. Per un momento mi balzò il cuore in petto alla vista di un toro che era l’immagine vivente del compianto Caesar, ma poi mi accorsi che era di pelo un po più chiaro ed aveva sulla fronte una macchia bianca molto più piccola. Manovrai in modo da portarmi al lato opposto, dove la folla era meno fitta, e rimasi là ad aspettare l’occasione di parlare a Bennett.

A un certo punto mi sentii tirare per la manica e credetti che fosse di nuovo Lily, invece vidi Dave Smalley, in giacca, camicia e cravatta, con in testa un cappello di paglia nuovo fiammante.

“Lo dicevo io che vi si trova sempre dove succede qualche cosa” disse allegramente. “Siete qui da un pezzo?”

“Sono appena arrivato, ma… Toh, non è il nostro amico Mac Millan, quello laggiù?”

“Sì; l’ho accompagnato io in macchina stamattina. Povero Monte, praticamente gli tocca ricominciare dal principio. Si è messo in testa di comprare qualche bestia, se i prezzi non saranno troppo alti, perché vuol far su un nuovo allevamento. Non lo si sarebbe creduto un anno fa, quando…”

Non sentii il resto perché mi ero chinato per passare sotto il cordone divisorio. Bennett era rimasto solo per un momento, e se ne stava là ad asciugarsi la fronte col fazzoletto. Quando mi vide ammiccò, come se non mi riconoscesse, poi mi disse che gli dispiaceva, ma che non era riuscito a trovare il tempo per venire da Wolfe. Risposi che era perdonato, ma che poteva venire subito con me alla tenda dei Metodisti, dove il mio principale lo aspettava. Mi rispose che era impossibile, e che ad ogni modo non aveva niente da dire a Wolfe. Comunque, io non potevo rimanere dentro le corde…

“Prego!” risposi un po imperiosamente. “Il signor Wolfe si occupa di un delitto, dice che ha bisogno di parlarvi e che fino a quando non vi avrà visto non potrà più fare nulla di costruttivo. Siete un cittadino e un amico di Osgood o un sergente d’armi in una Corte in cui si giudicano i bovini? Se credete che la giustizia fra le mucche sia più importante…”

Bennett m’interruppe dicendo che non poteva dirsi particolarmente amico di Osgood, che per lui era solo un socio della Lega; ma comunque sarebbe venuto alla tenda dei Metodisti di lì a mezz’ora, senza fallo.

Uscii dal recinto, ma invece di andarmene, decisi di rimanere nei paraggi ad aspettare Bennett. Per qualche minuto mi fermai a vedere come si faceva a giudicare mucche e tori, ma poiché la folla mi sballottava impedendomi la visuale, uscii e cominciai a passeggiare su e giù davanti al capannone vicino. Non c’era nessuno; la gente era stata richiamata tutta dalla cerimonia della premiazione. Date le circostanze osservai bene la sola persona che vidi, tanto più che si trattava di Nancy Osgood e lo sguardo che aveva lanciato dietro di sé mentre entrava in un capannone mi era parso piuttosto furtivo. La cosa non avrebbe dovuto interessarmi personalmente; ma un investigatore che bada ai fatti suoi è una contraddizione in termini, quindi mi intrufolai nel capannone incriminato.

Nell’interno non vidi Nancy. C’erano molte mucche bianche e nere, e alcuni visitatori sullo sfondo ma nient’altro. Avanzai con aria indifferente e mi accorsi così che verso la metà del capannone, a sinistra, c’era uno scompartimento chiuso da un tramezzo. Diedi un’occhiata là dentro e vidi tre cose: Jimmy Pratt, Nancy Osgood e un grosso covone di paglia dal quale sporgeva il manico di un tridente. Sarei passato oltre, ma ero già stato visto; e Jimmy mi domandò ruvido e scortese: “Ebbene, che c’è?”

“Nulla” risposi, stringendomi nelle spalle. “Sto bene e passeggio. Spero che stiate bene anche voi.”

Feci di nuovo per allontanarmi; ma il baldo giovincello osservò, più ruvido e scortese di prima: “Guardate e ascoltate eh? Più guardate e ascoltate, più avrete da riferire.”

“No, via, Jimmy!” protestò Nancy, angustiata. Poi posò su di me gli occhi, più che mai iniettati di sangue, e soggiunse: “Signor Goodwin, mi seguivate? E perché?”.

Un paio di visitatori che passavano parvero disposti a soffermarsi; e così, per tenere la cosa in famiglia, entrai nello scompartimento mentre rispondevo: “Sì, vi ho seguita, ma per una quarantina di secondi appena. Voglio dire che vi ho vista entrare in questo capannone dopo che vi eravate guardata alle spalle come per assicurarvi che nessuno vi osservasse e vi ho seguita per curiosità.” Poi soggiunsi rivolto a Jimmy: “E’ un bene che voi vi avviate all’architettura anziché alla diplomazia, perché mancate di tatto nel modo più completo. Se questo è un appuntamento clandestino e sospettavate che potessi parlarne a chi di dovere, avreste agito più prudentemente usando la dolcezza anziché la scortesia.”

“Oh, in questo caso…” fece lui mettendosi la mano in tasca. Tirò fuori alcuni biglietti di banca arrotolati, ne scelse uno da dieci dollari con dita malferme e me lo gettò dicendomi con un sorrisetto poco convincente: “Va bene così?”

“Ottimamente: siete davvero munifico” risposi, prendendo il biglietto.

Il mio primo pensiero fu quello di mettere i dieci dollari in tasca a Nancy dicendole di comprarsi delle calze; ma proprio in quel momento si unì al nostro piccolo gruppo un tizio alto e magro, in tuta, con un forcone sulla spalla. Ci lanciò un breve sguardo e immerse la sua forca nel covone. Stava per sollevare un fascio di paglia, quando gli porsi il biglietto da dieci dollari dicendo in tono ufficiale: “Qua, amico. Io rappresento l’Amministrazione dell’Esposizione. Abbiamo dovuto riconoscere che vi facciamo lavorare troppo e quindi vi diamo questi dieci dollari come prova della nostra considerazione.”

“Che… che cosa significa questo?” domandò l’uomo in tuta sbalordito.

“Ve l’ho detto. Ma se non avete capito non cercate di capire, e prendete i dieci dollari. Vi faranno comodo, no?”

“Me li dà l’Amministrazione?”

“Precisamente.”

“Oh, questa poi! Devono essere diventati tutti matti, dico io.” Ma nonostante le sue espressioni disfattiste, l’uomo in tuta afferrò il biglietto e se lo mise in tasca “Ad ogni modo vi ringrazio molto.”

“Oh, non c’è di che!” replicai, con un gesto da gran signore.

Dal canto suo il premiato sollevò sulla punta del forcone il fascio di paglia, che era press’a poco il quarto del covone, se lo caricò in spalla con un abile movimento, e se ne andò.

“Non avevate detto che avrei dovuto trattarvi con dolcezza?” protestò Jimmy, risentito. “Come potevo sapere che volevate fare l’incorruttibile?” Poi si rivolse a Nancy: “Del resto lui sa tutto di Bronson e della ricevuta di Clyde, perché era presente quando ne hai parlato a Wolfe. Per quanto riguarda tuo padre che potrebbe venire a sapere che ci siamo trovati qui…”.

Fui veramente contento che fosse tanto occupato a parlare con Nancy perché così mi dava modo di fare una cosa più che necessaria. Riconosco di avere una certa presenza di spirito e di non perdere la trebisonda facilmente; e tuttavia, ripensandoci, mi meraviglio di esser rimasto quasi impassibile, in quel momento. Infatti, quando quel fascio di paglia se ne era andato con l’uomo del forcone, avevo visto apparire da sotto il mucchio qualcosa che non avrebbe dovuto esser là: cioè parte di una scarpa, una calza, e l’estremità di un risvolto di pantalone. E la stoffa di quei pantaloni la riconoscevo.

Perciò, come ho detto, fui lieto che Jimmy fosse tutto intento a parlare con la sua compagna perché così potei spostare un po di paglia col piede in modo da ricoprire quel che avevo visto. E finii appena in tempo perché Nancy si voltò a dirmi: “Forse non avrei dovuto farlo, dopo che il signor Wolfe mi ha promessa di aiutarmi; ma stamattina, incontrando Jimmy, ho… ho chiacchierato un po con lui e… e gli ho parlato della ricevuta che ha Bronson. Lui credeva di poter fare qualcosa per impedire a quel furfante di parlare con papà, e io invece pensavo che non avrebbe dovuto fare nessun tentativo senza prima aver parlato col signor Wolfe. Così siamo rimasti d’accordo che ci saremmo visti qui alle due per discutere la questione…”

Mentre Nancy parlava, senza dar nell’occhio ero passato dall’altra parte del mucchio di paglia, cioè nel punto da cui emergeva il manico del forcone. Sempre guardando la ragazza, e con l’aria d’interessarmi a quel che diceva, passavo la mano sulla paglia come se mi piacesse sfiorare una cosa soffice, e così, senza eccessivo sforzo, trovai il punto in cui il manico del forcone si inscriva nella parte metallica. Poi con le unghie di due dita (le unghie non lasciano impronte identificabili) esplorai una delle punte del forcone fino alla profondità di cinque o sei centimetri cioè fino a che sentii qualcosa che non era né legno, né metallo, né paglia. Tastai accuratamente quel qualcosa, poi ritrassi la mano senza parere.

Intanto Jimmy mi diceva: “A che scopo lusingare Nancy? O voi o Wolfe vi comportate in questa faccenda come lui ha promesso.”

“Lusingare?” sorrisi. “Ma neppure per sogno, figliolo. Io e Wolfe facciamo sempre quel che promettiamo. Però vi avverto, ragazzi, che renderete le cose più difficili, facendovi vedere insieme, qui, nel recinto dell’Esposizione. Sa il Cielo se Osgood è già un cliente difficile a trattare; se venisse a sapere anche questo, chissà che cosa succederebbe. Perciò rimandate questi piacevoli colloqui di un paio di giorni almeno. Tutti vi conoscono nella contea e qui chiunque vi può vedere. Se farete a modo mio, vi garantisco che io e Wolfe aggiusteremo le cose, il signor Osgood non vedrà mai quel famoso documento.”

“Insomma?” domandò Jimmy accigliato.

“Non mi sono spiegato? Separatevi; e separatevi immediatamente. Voi andate a destra, io accompagnerò la signorina dalla parte opposta.”

“Il signor Goodwin ha ragione, Jimmy” riconobbe Nancy. “Abbiamo commesso una grande imprudenza, e mi pento di…”

“Su, sbrighiamoci!” insistei. “In questi ultimi tre minuti a dir poco dieci persone si son fermate qua davanti a guardare.”

“Ma io devo sapere…”

“Perdinci, ma fate come vi dico, insomma!”

“Sì, Jimmy, separiamoci, sarà meglio” mi appoggiò di nuovo Nancy.

Il baldanzoso giovincello le prese una mano, la guardò negli occhi, pronunciò due volte in tono dolente il nome di lei, come se la lasciasse legata al palo del supplizio, e infine si decise a staccarsene. Da parte mia uscii con la ragazza dallo scompartimento e mi diressi verso la porta del capannone, dalla quale ero entrato. Quando fummo fuori le presi un braccio, e camminando le dissi: “Io ho qualcosa da fare, e devo lasciarvi. Vi siete comportata come una scioccherella, scusate se ve lo dico. Il sentimento è sentimento, lo capisco: ma il cervello è cervello. Andate a chiedere aiuto a Jimmy Pratt quando avevate già Nero Wolfe! Basta, immagino che avrete appuntamento con vostro padre per trovarvi da qualche parte e ritornare a casa assieme a lui: se è così, andate là ed aspettatelo finché arriva. Nel frattempo cercate di riflettere.”

“Ma io non ho… Parlate come se…”

“Be, non vi preoccupate di come parlo, e state attenta, questo è tutto. Ma qui vi devo lasciare. Arrivederci.”

Lasciai Nancy in mezzo alla folla e mi feci largo nella corrente a furia di gomiti. Mi ci vollero meno di cinque minuti per arrivare sino alla tenda dei Metodisti. Wolfe era ancora a tavola appollaiato sull’incomodo seggiolino pieghevole. Molto probabilmente non aveva mai digerito una buona colazione in circostanze così difficili.

“Be? E il signor Bennett?” domandò subito, accigliandosi.

Mi misi a sedere e risposi, abbassando la voce: “Ho parecchie cose da riferirvi e lo farò brevemente. Punto primo, Bennett sarà qui fra una diecina di minuti; o almeno così ha promesso. Punto secondo, ho trovato Nancy Osgood e Jimmy Pratt in uno scompartimento di un capannone del bestiame, a discutere sul modo di riavere la famosa ricevuta che io ho in tasca. Punto terzo, in quello stesso scompartimento ho trovato Bronson morto sotto un mucchio di paglia: morto e coi denti di un forcone infissi nel cuore o giù di lì. Quest’ultima cosa però la sapevo soltanto io quando sono uscito di là.”

Wolfe chiuse lentamente gli occhi, poi li riaprì a mezzo, e mandò un profondo sospiro.

“Stupido!” borbottò. “L’avevo detto a quell’uomo che era uno stupido!”