Quando suonò il campanello, alle sei meno cinque di lunedì pomeriggio, io ero alla mia scrivania con i piedi appoggiati sul ripiano.
Leggevo la prima pagina della “Gazette”.
RITROVATO IL DENARO DEL RISCATTO
Mezzo milione di dollari in un baule pieno di vecchie uova di uccello.
Con quella seconda esclusiva, regalata a Lon Cohen, il suo credito nei nostri confronti cominciava ad assumere proporzioni davvero colossali.
L’articolo era ottimo. Parlava di Wolfe, di me, di Saul, di Fred e di Orrie.
Avevo accennato alla rivoltella, perché una rivoltella rende interessante a qualunque storia.
Il denaro era in banca, ma non nella banca da cui era uscito. Noel aveva dimostrato di non essere un debole. Quando avevo depositato la valigia sul divano dello studio, e ci eravamo raccolti per ammirarne il contenuto, incluso Nero Wolfe, il ragazzo aveva tirato fuori un mazzo di banconote, aveva contato duemila dollari e li aveva consegnati a Saul, poi altri duemila a Fred, e altri duemila ancora a Orrie. Alla fine, aveva domandato a Wolfe: – Li volete subito, i vostri?
Wolfe aveva risposto che prima bisognava contarli tutti, perché la sua parte era una percentuale sul totale. Poi era andato in cucina, per avvertire Fritz che avremmo avuto quattro ospiti per cena. Alle sette, Fritz ci aveva messi a tavola e ci aveva nutriti con manna del cielo. Poi ci eravamo organizzati perla notte.
Noel si era rifiutato di portare la valigia a casa, e siccome non entrava nella cassaforte, l’avevo portata in camera mia, ficcandola sotto il letto. Poi avevo accompagnato Noel nella stanza a sud, sopra a quella del mio signore e padrone.
Il denaro era stato contato lunedì mattina, in una stanzetta della Continental Bank, dove Wolfe è cliente da circa vent’anni. Avevano cominciato alle dieci ed erano le dodici e un quarto, quando dichiararono che la valigia conteneva quattrocento-novantaquattromila dollari. Il nostro cliente tirò fuori dal malloppo mille dollari da spendere subito, e consegnò centomila dollari a Wolfe.
Una volta sul marciapiede, Noel e io c’eravamo stretti amichevolmente la mano. Lui aveva preso un taxi per tornare a casa. Ora non aveva più paura di sua madre. Mi ero aspettato che Wolfe cominciasse a fare una lunga disquisizione su com’era stato semplice dedurre dove si trovava il denaro, invece non aveva aperto bocca. Quando, alle cinque e cinquantacinque, suonò il campanello e io tirai giù i piedi dalla scrivania per andare ad aprire, mi trovai davanti l’ispettore Cramer.
Per la prima volta da che lo conoscevamo, l’ispettore aveva rotto una tradizione. Conoscendo gli orari di Wolfe, era sempre arrivato alle undici e un minuto, o alle sei e un minuto, ma mai alle sei meno cinque. Significava forse che voleva passare cinque minuti a quattrocchi con me? A quanto pareva, no. Lo introdussi nello studio. Si piazzò sulla poltroncina rossa, posò il cappello sul bracciolo, strinse la mascella e restò zitto. Eravamo immobili come due statue di sale, quando entrò Wolfe.
Il mio padrone e signore emise un grugnito soffocato, passando accanto alla poltroncina rossa, e Cramer rispose con un grugnito identico.
Una volta calata la mole notevole sulla poltrona dietro la scrivania, Wolfe domandò: – Da quanto tempo siete qui?
Cramer rispose: – Ieri mattina avete mentito. Mi avete detto che pensavate di sapere dov’era il denaro, invece ne eravate sicuro. Come facevate a esserne sicuro? Spiegatemelo...
Wolfe sollevò le sopracciglia di un paio di millimetri. – Avete lasciato la Squadra Omicidi per passare ai rapimenti, per caso?
– No. Se sapevate dov’era, sapevate anche chi ce l’aveva messo.
«Dev’essere stato Jimmy Vail. Vail è morto mercoledì sera. Ieri mi avete assicurato che non avevate prove, né sulla morte di Vail né sul posto in cui era nascosto il denaro. Ora avete intenzione di usare per scopi vostri le prove che negate di avere. Quante volte sono rimasto seduto in questa poltrona a cercare di farvi capire che ostacolare il corso della giustizia è un’azione criminale?»
– Venti. Trenta.
– Ora è diverso. Ora vi dico che se le prove di cui siete in possesso sulla morte di Vail sono sufficienti per stabilire che si è trattato di un omicidio, ve la farò pagare cara. A meno che non me le consegniate immediatamente. Ve la farò pagare cara, ripeto, e accuserò Goodwin di complicità.
– Mmm – mugolò Wolfe. Si voltò nella mia direzione. – Archie. Io ho una buona memoria, ma la vostra è incomparabile. Ditemi, siete in possesso di una prova qualunque sulla morte di Jimmy Vail?
Scossi il capo. – Nossignore. Anzi sono convinto che l’ispettore sa più cose di noi, in proposito. Tutto sta che impari a usarle. – Mi rivolsi a Cramer. – Sentite, so tutto quello che sa il signor Wolfe, ma lui ha capito chi è l’assassino, mentre io sono lontano un chilometro da questa conclusione.
Il mio capo sbuffò: – Signor Cramer, ieri avete detto che cercavo di far colpo. A quanto pare, non lo pensate più, e la cosa non mi sorprende, visto che ho trovato il denaro. Ma la verità è che volete che io interpreti i fatti al vostro posto.
– Non è vero!
– Invece sì. – Wolfe sollevò una mano, a palmo in su. – Pensateci bene. Come vi ho spiegato ieri, ero giunto alla conclusione di sapere tutto sulla morte del signor Vail e su dove si trovava il denaro. Ma come ci ero giunto? Semplice... Attraverso delle deduzioni. Ieri, avete affermato che non sapevate che farvene, delle mie deduzioni. Oggi, invece, venite qui a urlare e a minacciare, pur di venirne a conoscenza.
– Come al solito, cercate di menare il can per l’aia.
– Non sto urlando.
– Voglio chiarire la mia situazione. Non ho alcun dovere, né come cittadino né come investigatore privato, di esprimere ad alta voce i miei processi mentali. Potrei decidere di farlo, ma dipende solo da me. Prenderò in considerazione la cosa, e se dovessi...
Suonò il campanello. Intanto che mi dirigevo verso la porta, mi domandai se era Andrew Frost o qualche giornalista curioso. Nessuno dei due. Era Ben Dykes, della Contea di Westchester, in compagnia di uno sconosciuto. Poteva anche essere poco consigliabile lasciarli entrare, perciò aprii l’uscio di pochi millimetri e domandai: – Già di ritorno?
– Già. Ho portato anche la fanfara.
– Siete Archie Goodwin? – chiese lo sconosciuto. Aveva un accento che non mi era nuovo. Non era della Contea di Westchester, ma di New York. – Aprite.
– Lo studio è chiuso. Datemi tre buone ragioni perché dovrei...
– Provate allora a dare un’occhiata alla fanfara che ho portato con me. – Dykes infilò un foglio di carta attraverso la fessura.
Lo presi e io studiai a fondo. Aveva uno stile voluto e retorico, ma capii perfettamente. – Il signor Wolfe, senza dubbio, vorrà vederlo. È un ottimo lettore. Scusate un attimo. – Tornai nello studio, aspettai che Wolfe finisse una frase, poi dissi: – Scusate se vi interrompo. È arrivato Ben Dykes, con un poliziotto di New York, e ha portato questo. – Gli mostrai il foglio. – Un ordine della Corte di Giustizia. Dice che Archie Goodwin deve essere arrestato subito con l’accusa di furto. È stato denunciato dalla signora Althea Vail.
In genere, i fogli come questo vengono definiti mandati d’arresto. – Dopodiché mi rivolsi a Cramer: – Avete qualche domanda da farmi, prima che vada a porgere i polsi alle manette?
Non mi degnò neanche di uno Sguardo. I suoi occhi erano fissi su Wolfe, che aveva appena ammesso di sapere chi era l’assassino.
Questi allungò la mano e gli consegnò il foglio, che Cramer lesse.
– Quella donna è veramente una cretina – sbottò Wolfe. – Fate entrare quei due.
– Non abbiamo bisogno di Goodwin – dichiarò Cramer. – Domattina potete liberarlo sotto cauzione.
– Fateli entrare! – tuonò Wolfe.
Tornai alla porta, tolsi la catena, aprii, li invitai ad accomodarsi e rimasi un po’ sorpreso nello scoprire che erano in tre. Presumibilmente, il terzo era rimasto nascosto in fondo ai gradini, come riserva nel caso mi fossi messo a sparare. Bisogna stare attenti, quando si va ad arrestare un gorilla.
Quando entrammo nello studio, mi resi conto di aver sbagliato tutto: il terzo schizzò verso la scrivania del mio capo tirò fuori un foglio e disse: – Per voi.
Poi si girò di scatto e fece per uscire. Ben Dykes lo afferrò per un braccio. – Chi siete?
– Jack Duffy, ufficiale giudiziario – rispose quello. Poi si liberò con uno strattone, e trotterellò fuori dello studio.
Quando tornai dall’atrio, Wolfe stava studiando il foglio con aria disgustata. Non appena ebbe finito, lo lasciò cadere sulla scrivania, appoggiò la testa allo schienale, chiuse gli occhi e spinse in fuori le labbra. Dopo un attimo, le spinse in dentro, poi ancora in fuori e così per circa un minuto...
Dykes disse: – Andiamo, Goodwin.
Il poliziotto di New York aveva riconosciuto l’ispettore Cramer, e stava tentando di incontrare il suo sguardo per potersi sbattere sull’attenti, ma Cramer continuava a fissare Wolfe. Dopo un attimo, il mio signore aprì gli occhi, si raddrizzò e chiese al suo “femminologo”, cioè al sottoscritto: – È pazza?– Picchiò l’indice sul foglio. – È una citazione. Mi ha denunciato, non solo perché ho sono riuscito a recuperare il denaro del riscatto, ma anche perché vuole rientrare in possesso dell’onorario che mi ha pagato.
– Bel colpo, per voi! – grugnì Cramer.
Wolfe posò gli occhi su di lui. – Signor Cramer, vorrei farvi una proposta. Preferisco non parlarne di fronte a degli estranei, e sono certo che siete d’accordo. Credo che i funzionar! di polizia abbiano la facoltà, a loro discrezione, di rimandare l’entrata in vigore di un mandato d’arresto. Vi domando di pregare il signor Dykes e il vostro agente di aspettare fino a domani a mezzogiorno, prima di arrestare Goodwin, Quando se ne saranno andati, farò la mia proposta.
L’altro piegò il capo da un lato e strinse le labbra. Finse di pensarci, ma non ce la dava da bere. Ormai si era reso conto che Wolfe non cercava di far colpo. Alla fine, disse: – Dykes è di Westchester. È accompagnato da un agente di New York per pura cortesia, ma il mandato dipende da lui.
– Si voltò. – Che ne dite, Dykes? Dovete telefonare a White Plains?
Dykes scosse il capo. – Non è necessario, ispettore. Mi permettono di ragionare con la mia testa.
– Allora vedete di usarla. Avete sentito che cos’ha detto Wolfe. Si tratta solamente di rimandare. Potrete avere Goodwin domani.
Dykes esitò. – Se non vi dispiace, ispettore, preferirei dire che me l’avete chiesto voi.
– Bene. Ve l’ho chiesto io.
Questi andò a prendere il mandato dalla scrivania di Wolfe, poi si voltò a guardarmi: – Goodwin, non tentate di lasciare lo Stato, intesi?
Risposi che non ci pensavo neanche, e lui uscì, seguito dall’agente di New York, che ancora non era riuscito a mettersi sull’attenti di fronte a Cramer. Li accompagnai e, non appena tornai nello studio, Wolfe stava dicendo: —... prima di tutto, devo assicurarmene. Come ben sapete, non ho nessuna prova. Il signor Goodwin è già stato colpito da un mandato d’arresto, e io da uno di comparizione. Non ho intenzione di espormi a una querela per diffamazione.
– Frottole. Parlatene con me, e nessuno vi querelerà. Ve lo prometto...
– Devo essere sincero. Il punto più importante non è questo. Ho intenzione di compiere una data azione, ma se dovessi svelarvi le mie intenzioni, fareste di tutto per impedirmelo, ne sono certo. E non osereste esporvi ufficialmente, perché, come me, non avreste prove. Vi svelerò tutto in nottata, o, al più tardi, entro domani a mezzogiorno.
Cramer non era per niente soddisfatto. – È una proposta fasulla.
– Non posso offrirvi di meglio – Wolfe guardò l’orologio. – Vorrei procedere.
– E va bene. – Cramer prese il cappello e se lo piazzò sulla testa.
– Lo sapevo... Avrei dovuto permettere a Dykes di portarsi via Goodwin. Dormirei meglio, se lo sapessi in cella. Ricordatevi una cosa, comunque. Se domani mi confesserete che avete scoperto che le vostre deduzioni sono sbagliate, potete pregare per la vostra anima.
Lo accompagnai alla porta, e quando tornai, Wolfe sbottò: – Chiamate subito la signora Vail.
Non fu così semplice. Prima parlai con una donna, poi riuscii a far venire all’apparecchio Ralph Purcell. Dopo che ebbi insistito per alcuni minuti, Ralph mi chiese di restare in linea. Quando tomo, mi comunicò che sua sorella non aveva nessuna intenzione di parlare né con Wolfe, né con me. Gli spiegai che Wolfe voleva raccontarle come aveva fatto a sapere che il denaro era nella villa. Lo scherzetto funzionò. Dopo una breve attesa, mi giunse la voce della signora.
– Qui Althea Vail. Nero Wolfe?
Wolfe aveva sollevato il suo apparecchio. – Sì. Sono disposto a dirvi come ho fatto a scoprire che il denaro era nella villa, ma temo che il vostro telefono sia sotto controllo. Inoltre...
– Perché mai dovrebbe essere controllato?
– La polizia è morbosamente curiosa. Sono disposto a raccontarvi molte altre cose. Per esempio: il nome dell’uomo al quale avete consegnato la valigia, in Iron Mine Road; perché sono sicuro che non è mai esistito nessun signor Knapp; la ragione per cui il signor Vail è stato ucciso. Vi aspetto nel mio studio per stasera alle nove.
Silenzio. Non aveva riattaccato, ma il silenzio durò tanto che alla fine pensai che la signora se ne fosse andata. Wolfe domandò: – Siete ancora in linea?
– Sì – seguì ancora silenzio, più breve questa volta. —Vengo subito, allora.
– No. Dopo cena.
– Va bene.
Riattaccammo. Wolfe mi guardò. – Il nostro registratore funziona?
– Credo di sì. L’ultima volta che l’abbiamo usato era perfetto.
– Proviamolo.
Mi alzai, passai una mano tra la mia scrivania e il muro, abbassai un interruttore, infine andai a sedermi nella poltroncina rossa, e, con voce bassa, sussurrai: – Nero Wolfe sta per partire all’attacco. Speriamo che non si rompa il muso.
Tornai alla scrivania, abbassai un altro interruttore, andai in cucina, aprii una credenza, mi detti da fa re intorno a dei fili, e dopo un attimo mi giunse la mia voce “Nero Wolfe sta per partire all’attacco. Speriamo che non si rompa il muso.”
Quando tornai nello studio, comunicai: – Funziona benissimo. Altre istruzioni?
– Sì. Quell’idiota potrebbe avere una pistola, se non addirittura una bomba. Restate al suo fianco.
– Se intendete parlare della signora Vail, potrebbe avere anche un avvocato.
– No, non credo proprio. Non è idiota fino a questo punto. – Afferrò il mandato di comparizione e lo fissò con occhi di fuoco.