È probabile che io vi abbia dato un’impressione sbagliata su Jimmy Vail.
In questo caso, desidero correggerla.
Età: trentaquattro anni. Altezza: un metro e settanta. Peso: settantatré chili. Occhi: neri, a volte distratti e come spenti, altre acuti e penetranti.
Capelli: lisci, castano scuro. Faccia: pallida, dalla bocca carnosa.
L’avevo visto in giro per la città nelle stesse occasioni in cui avevo visto sua moglie, perché erano sempre insieme, sia nei ristoranti sia a teatro. Nel 1956 Jimmy Vail aveva fatto centro, al Glory Hole del Greenwich Village, presentandosi al pubblico con un monologo di mezz’ora farcito di commenti pungenti su tutto e su tutti. Althea Tedder, vedova di Harold F. Tedder. l’aveva conosciuto appunto quella sera, e l’aveva sposato. O lui aveva sposato lei.
Dipende dai punti di vista.
Secondo me, quando una donna si fa accalappiare da un uomo più giovane di almeno dodici anni, deve saperlo in partenza che alle sue spalle vocifereranno numerosissime chiacchiere tra i suoi amici. Per non parlare dei nemici... Comunque, un fatto era certo: signore e signorine andavano matte per Jimmy Vail e per la sua compagnia.
Senza alcun dubbio, Jimmy avrebbe potuto tradire Althea ogni giorno della settimana, ammesso che se la fosse sentita. Ma io non l’avevo mai colto sul fatto. Sto tentando semplicemente di dire che, nonostante i pettegolezzi, Jimmy era un marito modello. Avevo pensato che Althea fosse venuta da Wolfe per chiedergli di pedinarlo, solo perché ero saltato alla conclusione che qualche amica di buon cuore si fosse presa la briga di metterla al corrente delle chiacchiere che circolavano sul conto di Jimmy.
Anche Althea aveva fatto centro, venticinque anni prima, interpretando la parte della mungitrice in Meadow Lark, ma in seguito aveva lasciato le scene per sposare un uomo più anziano e molto, molto più ricco di lei. Avevano avuto due figli, un maschio e una femmina, che avevo visto un paio di volte al Flamingo. Tedder era morto nel 1954, e Althea aveva aspettato un periodo di tempo abbastanza decente, prima di rimpiazzarlo.
Né Jimmy, né Althea avevano fatto qualcosa di famoso, e neppure di lontanamente notevole, durante i loro cinque anni di matrimonio.
Apparivano spesso sui giornali solo perché tutti si aspettavano che combinassero qualcosa da un minuto all’altro. Lei aveva lasciato Broadway nel bei mezzo di uno spettacolo di gran successo, per sposare un uomo più giovane, e lui aveva lasciato le scene nel bei mezzo del suo successo, per sposare una donna molto più vecchia. Con la casa e il patrimonio dei Tedder finiti in mano a quei due, poteva accadere qualunque cosa. Ecco come la pensava la stampa.
Ora qualcosa era successo, qualcosa di sensazionale, ma sui giornali non era apparsa una sola riga in proposito. Nell’inserzione di Nero Wolfe al signor Knapp non c’era niente che potesse collegare i Vail alla cosa. Se Helen Blount, l’amica di Althea, avesse letto l’annuncio, avrebbe potuto immaginare che cosa c’era sotto, ma non avrebbe avuto elementi sufficientemente attendibili da passare alla stampa.
Vidi la “Gazette” poco dopo che Wolfe era salito nella serra. Non aspettai le cinque e mezzo, ora in cui il giornale viene regolarmente infilato sotto la porta della vecchia casa di arenaria, ma feci una passeggiata fino all’edicola della Trentaquattresima Strada. L’inserzione era a pagina cinque, e spiccava chiaramente, in mezzo a uno spazio bianco.
Quella sera avevo un impegno: cena e poi teatro, in compagnia di un’amica. Meglio così. Dovete sapere che il mestiere di investigatore privato, sia pure come braccio destro di Nero Wolfe, è piuttosto monotono, e l’idea di pedinare una donna carica di mezzo milione destinato a un rapitore, era molto allettante.
Non solo mi avrebbe offerto qualche minuto di distrazione, ma chissà quante cose avrebbero potuto scaturirne. Dato, però, che il caso era stato affidato a Nero Wolfe e che io lavoravo per lui, non potevo muovermi senza il suo consento. Ero sicuro che avrei sprecato il fiato, se gliene avessi accennato. Avrebbe risposto “pfui” e si sarebbe immerso nella lettura del suo libro. Di conseguenza, alle sei salii in camera mia, mi cambiai e uscii per andare al mio appuntamento.
Durante tutta la serata, però, continuai a pensare alla nostra cliente.
Dov’era? Come se la cavava? Che cosa aveva ottenuto?
Quando tornai a casa, verso l’una, dovetti fare uno sforzo enorme per non telefonarle, prima di cacciarmi sotto le coperte.
In piena notte, uno squillo mi lacerò le orecchie. Mi secca sempre essere svegliato, ma soprattutto mi secca se questo avviene per colpa di una telefonata un po’ troppo insistente.
Strinsi i denti, mi rigirai nel letto e finalmente riuscii ad aprire gli occhi quel tanto che bastava per rendermi conto che non era affatto piena notte: le lancette dell’orologio segnavano le sette e cinquantadue, e il sole splendeva. Afferrai il ricevitore, me lo portai all’orecchio e riuscii a biascicare: – Casa Wolfe. Sono Archie Goodwin.
– Il signor Goodwin?
– Così ho detto, se non mi sbaglio.
– Sono Althea Vail. Devo parlare con Wolfe.
– Impossibile. Wolfe non risponde mai al telefono prima di colazione. Se è urgente, potete riferire pure a me. Avete...
– Mio marito è tornato! Sano e salvo!
– Bene. Splendido. E lì con voi?
– No. Mi ha telefonato dieci minuti fa dalla nostra villa di campagna. Ora fa il bagno, si cambia, mangia un boccone e poi viene in città. Sta benissimo. Ha promesso al rapitore di non dire niente, assolutamente niente, prima che siano passate quarantott’ore dal suo rilascio. Quindi, anch’io terrò la bocca chiusa. Non sa ancora che mi sono rivolta a Nero Wolfe. Lo metterò al corrente quando sarà arrivato qui. Vi prego di non parlare del rapimento con nessuno, per il momento.
– D’accordo. Siete sicura che fosse proprio vostro marito, al telefono?
– Certo!
– Meglio così. Chissà se l’inserzione di Wolfe ha in fluito sulle decisioni del rapitore. Mi date un colpo di telefono, quando arriva vostro marito?
Promise che l’avrebbe fatto, e riattaccò. Mi stiracchiai di gusto, pensando: “Al diavolo, qualunque cosa potrà dire Jimmy Vail, il signor Knapp deve aver letto l’inserzione!”. Sbadigliai e decisi che ce ne voleva, di forza di volontà, per alzarsi.
Non avevo niente di urgente di cui occuparmi, perciò me la presi comoda. Erano le otto e mezzo quando scesi le due rampe di scale che portavano al pianterreno. Entrai in cucina, augurai il buongiorno a Fritz, afferrai il bicchiere che aveva preparato per me e ingollai una lunga sorsata di succo d’arancia. Sentii che il mio stomaco mi ringraziava con un gorgoglio soddisfatto, Avevo pensato per un attimo di entrare in camera di Wolfe, passando, ma poi avevo deciso che era meglio lasciar perdere.
L’avrei trovato a metà colazione, dato che Fritz gli porta il vassoio del cibo in stanza alle otto e un quarto esatte, e di conseguenza non mi avrebbe neanche dato retta.
– Non mettete la salsa sulle salsicce, oggi mi raccomandò Fritz. – Sono le migliori che il signor Howie ci abbia mai mandato.
– In questo caso, doppia razione. – Ingollai il succo d’arancia. – Mi hai dato una bella notizia, perciò io ne do una a te. La donna che è venuta ieri ci ha affidato un incarico che è già arrivato in porto. Ci frutterà di che pagare i nostri stipendi per mesi.
– Mi fa piacere. – Stava versando la besciamella a cucchiaiate in un tegame. – L’avete risolto voi ieri sera, questo caso?
– No. L’ha risolto Wolfe, restando seduto comodamente nella sua poltrona.
– Davvero? È strano... In genere, si mette al lavoro solo dopo che voi avete svolto le solite indagini all’esterno. Mai prima... Non risposi.
Posai il bicchiere vuoto, andai a prendere la mia copia del “Times” dal porta-giornali, vicino al tavolo a muro, e tornai a sedere. Tenni d’occhio l’orologio: alle otto e cinquantasette, dopo aver ingollato la prima frittella e la seconda salsiccia, mi avvicinai al telefono interno e chiamai la camera di Wolfe. Mi giunse una specie di grugnito: – Sì?
– Buongiorno. Un’ora fa ha telefonato la signora Vail. Suo marito l’aveva appena chiamata dalla villa di campagna. È sano e salvo, e verrà in città non appena si sarà cambiato e avrà mangiato. Ha promesso a qualcuno, probabilmente al signor Knapp, che né lui né sua moglie avrebbero aperto il becco per quarantott’ore. La signora Vail ci chiede di fare altrettanto.
– Soddisfacente.
– Già. Un affare piuttosto semplice. Devo andare in banca per depositare gli assegni della signora, e la i banca è a cinque isolati dalla “Gazette”. Prima o poi, la cosa diventerà sicuramente di dominio pubblico; avrei pensato, a questo punto, di raccontarne i particolari a Lon Cohen, pregandolo di tenerli in serbo per quando gli daremo il via. Ce ne sarebbe grato.
– No.
– Intendete forse dire che non aspetterebbe il nostro via per caso?
– Non è di questo che mi preoccupo. U signor Cohen ci ha già dimostrato che possiamo fidarci di lui. Ma non abbiamo ancora parlato col signor Vail, né voi, né io. Sarebbe utile assicurarci la gratitudine del signor Cohen, ma non sarebbe una buona mossa. Forse più tardi, in giornata. – Riattaccò. Guardai l’orologio: avrebbe ritardato di due minuti il suo ingresso nella serra sul tetto. Quando Fritz mi portò la seconda frittella e la terza salsiccia, dissi: – In certi momenti, mi sentirei di ammazzarlo.
Nelle due ore successive, mentre finivo di far colazione, leggevo il “Times” (l’annuncio si trovava a pagina ventisei), aprivo la posta, spolveravo le scrivanie, andavo alla banca e ritornavo, mettevo dell’acqua fresca nel vaso delle orchidee, e svolgevo piccoli compiti di poca importanza, continuai a pensare alla situazione. Mi sembrava idiota, essere assunti per un affare grosso come il rapimento di Jimmy Vail, per poi limitarsi a inserire un annuncio sui giornali e riscuotere l’onorario. Ma che altro avremmo potuto fare?
Sarei stato ben lieto di dimostrare a Wolfe che c’era ancora qualche particolare da risolvere, ma non potevo: Jimmy Vail era tornato sano e salvo, dunque il caso era chiuso. Non appena la notizia fosse giunta alle orecchie di chi dicevo io, plotoni di poliziotti, agenti federali e specialisti della Scientifica si sarebbero sguinzagliati alle calcagna del signor Knapp, e prima o poi l’avrebbero acciuffato.
Il nostro compito era finito. Ci mancava solo di assicurarci personalmente che il signor Vail fosse davvero vivo e vegeto.
Sua moglie mi aveva promesso di telefonarmi, non appena fosse arrivato. Quindi sarei andato da Jimmy e gli avrei chiesto se il signor Knapp aveva letto l’inserzione apparsa sulla “Gazette”, in modo che Wolfe potesse stabilire quanto trattenere dai sessantamila dollari datici da Althea Vail.
Fui privato anche di questo piacere. Alle undici e venticinque squillò il campanello. Wolfe era sceso dalla serra e si era piazzato alla scrivania, dopo aver infilato nel vaso cinque orchidee Oncidium Marshailianum e aver strappato dal calendario da tavolo il foglio con la data del giorno prima. Mi stava dettando una lettera per un coltivatore di orchidee del Guatemala. Detesta essere interrotto quando fa qualcosa di veramente importante, ma Fritz era al piano superiore, perciò toccò a me andare a vedere chi poteva essere. Sbirciai dallo spioncino, tornai nello studio e annunciai: – Il signor Vail in persona. – Poi andai ad aprire la porta. Jimmy mormorò: – Forse mi conoscete già. Io vi conosco, almeno. Siete un ballerino davvero bravo.
Risposi che anche lui non ballava male, il che corrispondeva a verità; poi gli presi il cappotto e il cappello, li appesi all’attaccapanni, e lo condussi nello studio. Dopodiché, andò fino alla scrivania di Wolfe.
– So che non stringete mai la mano a nessuno. Una volta, sono stato sul punto di prendere a pugni un tipo che vi aveva definito “pallone gonfiato”. Sono Jimmy Vail. Posso sedermi? Preferibilmente nella poltroncina rossa. Ah, eccola là! – Si accomodò, appoggiò i gomiti sui braccioli, accavallò le gambe, e riprese: – Se comincio a singhiozzare, scusatemi... Per due giorni, non ho fatto altro che mangiare fagioli freddi in scatola, e stamattina ho esagerato con le uova al prosciutto. Mia moglie mi ha detto di avervi assunto. Credo che mai, al mondo, qualcuno abbia speso tanto per così poco. Non mi è piaciuto molto essere chiamato “oggetto di proprietà” di mia moglie, ma mi rendo conto che non potevate agire altrimenti. Ho visto l’inserzione solo quando me l’ha mostrata Althea. Non so se loro l’abbiano letta. È importante?
Non si sarebbe mai pensato, guardandolo, che aveva passato sessanta ore nelle grinfie di un rapitore e che si fosse nutrito solo di fagioli freddi in scatola, con la prospettiva di essere fatto fuori da un momento all’altro. Ma in fondo aveva mangiato e si era cambiato, prima di venire da noi. E poi, per quanto ne avessi sentite di tutti i colori sul suo conto, nessuno l’aveva mai definito un vigliacco, n suo viso era cereo, ma lo era sempre stato. Gli occhi neri scintillavano.
– Mi sarebbe utile saperlo – stava dicendo Wolfe – ma non è molto importante. Siete venuto per comunicarmi che non sapete se il rapitore ha letto l’inserzione?
– Non esattamente. – Vail portò la mano destra all’altezza della tempia, e fece schioccare il medio contro la punta del pollice. Aveva reso quel gesto famoso, durante la sua carriera al Glory Hole. – Ne ho parlato perché potrebbe essere importante per mia moglie e per me. Se qualcuno di loro ha letto l’inserzione, ora sanno che Althea si è rivolta a voi. E potrebbe essere pericoloso. Ecco perché sono venuto qui da voi senza perdere tempo. Mi hanno ordinato di tenere il becco chiuso per quarantott’ore, fino a venerdì mattina, e di fare in modo che neanche mia moglie parlasse, se non volevo pentirmene. Non scherzavano. Ho avuto l’impressione di avere a che fare con dei tipi decisi. Quindi, mia moglie e io non apriremo bocca fino a venerdì mattina. In quanto a voi, potreste mettere Un’altra inserzione sui giornali, per dire al signor Knapp che, essendo l’oggetto di proprietà della signora Vail tornato sano e salvo, considerate il caso chiuso. Che ne pensate?
Wolfe aveva chinato la testa da un lato e lo studiava con gli occhi socchiusi. – Signor Vail, siete arrivato a una conclusione arbitraria, se pensate che anch’io starò zitto fino a venerdì mattina... Come ho detto a vostra moglie, spesso si è costretti a non denunciare un reato, se c’è di mezzo la salvezza di una vita umana. Ma voi non siete più in pericolo. Ora che vi ho visto sano e salvo, e in libertà, non posso più rimandare: dovrò denunciare il vostro rapimento alle autorità competenti. Sono un investigatore privato, e come tale ho degli obblighi che vanno oltre a quelli dei cittadini privati. Non voglio esporre voi o vostra moglie a...
Squillò il telefono. Feci roteare la poltroncina girevole, per afferrare il ricevitore.
– Qui lo studio di Nero Wolfe...
– Sono Althea Vail. Mio marito è ancora da voi?
– Sì, sta...
– Devo parlargli.
Sembrava sconvolta. Naturalmente, non agii per pura curiosità: a quanto pareva, Wolfe e Jimmy Vail non sarebbero più stati in rapporti tanto cordiali, dopo la presa di posizione del mio capo riguardo al suo obbligo dì denunciare il rapimento. Di conseguenza, mi poteva essere utile scoprire la ragione dell’irrequietezza della signora Vail; potevamo barattarla in qualche modo in cambio di un’autorizzazione a parlare con le autorità. Perciò pregai la signora di restare in linea, passai il ricevitore a suo marito e me la battei: in cucina, ascoltai dall’apparecchio collegato con lo studio. Quando mi portai il ricevitore all’orecchio, Althea Vail era nel bei mezzo della discussione.
—... è accaduto qualcosa di terribile. Mi ha telefonato un certo capitano Saunders, della polizia di Stato di White Plains. Dice che hanno trovato un cadavere, il cadavere di una donna. Pensano che si tratti di Dinah Utley e vogliono che io vada a identificarlo, o che mandi qualcuno. Mio Dio, Jimmy, pensi che possa essere veramente Dinah?
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Jimmy: – Non lo so. Forse Archie Goodwin ne sa più di me... Ci sta ascoltando da una derivazione. Ti hanno detto com’è morta?
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Althea: – No. Ha...
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Jimmy: – O dov’è stato trovato il cadavere?
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Althea: – No. Ha...
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Jimmy: – O per quale motivo sospettano che si tratti di Dinah Utley?
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Althea: – Hanno trovato dei documenti in macchina e nella borsetta. Non credo... non voglio... non potrei mandare Emil?
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Jimmy: – Perché no? Che ne pensate, Goodwin? Emil è l’autista. Può benissimo dire se si tratta di Dinah o no. O devo andare io?
Era inutile fingere di non essere là. – No, per l’identificazione basterà l’autista. Ma se è davvero Dinah, vorranno rivolgervi qualche domanda, soprattutto se c’è qualcosa di poco chiaro nel modo in cui è morta. In questo caso, comunque, verranno loro da voi. Per l’identificazione, basterei io. Perché non chiedete al signor Wolfe di mandare me?
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Althea: – Sì, Jimmy! Chiediglielo!
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Jimmy: – Be’... forse... ti ha detto dove bisogna andare, una volta arrivati a White Plains?
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Io: – Lo so io!
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Althea: – Dev’essere Dinah! Non è tornata a casa, ieri sera, e ora... è terribile!
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Jimmy: – Calmati, Althea. Cercherò di tornare presto. Calmati e...
Riattaccai e tornai, nello studio. Anche Vail stava riattaccando, quando entrai. Gli dissi: – Sapete, devo tenermi al corrente di quello che può essere accaduto a una cliente del signor Wolfe evidentemente sconvolta da qualcosa, soprattutto se la cliente in questione telefona qui. – Mi rivolsi a Wolfe: – Un poliziotto ha chiamato la signora Vail da White Plains. Hanno trovato il cadavere di una donna, non è stato specificato il luogo, e dai documenti recuperati hanno pensato che potesse trattarsi di Dinah Utley. Doveva esserci anche qualcosa che la collegasse con la signora Vail. Magari solo l’indirizzo. Il poliziotto ha invitato la signora Vail a recarsi a White Plains per l’identificazione, ma la signora non ci vuole andare, così anche il signor Vail. Gli ho suggerito di chiedervi di mandare me.
Wolfe stava fissando Vail con occhi corrucciati. Dopo qualche secondo, si rivolse a me: – È deceduta in seguito a morte violenta?
– La signora Vail non lo sa. Vi ho riferito tutto quello che ho sentito.
– È una faccenda orribile – esclamò Vail, che era in piedi, vicino alla mia scrivania. – Santo cielo! Forse dovrei andare personalmente.
– Se si tratta della signorina Utley – intervenne Wolfe – e se è deceduta di morte violenta, vi chiederanno dov’eravate ieri sera. Rientra nella prassi.
– Non dirò a nessuno dov’ero ieri sera. Neanche a voi. Non aprirò bocca fino a venerdì mattina.
– In questo caso, sarete sospettato. Se sarà il signor Goodwin a identificare il cadavere, vorranno sapere come e quando aveva conosciuto la defunta. Sapevate che la signorina Utley è stata qui, ieri?
– Sì. Me l’ha detto mia moglie. Accidenti, il signor Goodwin non può raccontare alla polizia la ragione della visita di Dinah!
Wolfe si appoggiò allo schienale della poltrona e chiuse gli occhi.
Vail fece per dire qualcosa, si rese conto che non sarebbe stato ascoltato, e richiuse la bocca. Andò a sedersi sulla poltroncina di pelle rossa, si rialzò, arrivò fino a metà strada dalla porta, si voltò, tomo alla scrivania e rimase a fissare Wolfe.
Questi aprì gli occhi, riprendendo una posizione eretta. – Archie, chiamate la signora Vail.
– Non serve, ci sono io! – sbottò Vail. – Potete parlare con me.
– Non siete voi il mio cliente, signore. Formai il numero, che mi ero impresso nella memoria martedì sera, quando l’avevo cercato sulla guida.
Una voce femminile disse: – Qui casa Vail. – Risposi che Nero Wolfe desiderava parlare con la signora. Dopo un attimo, mi giunse la voce della nostra cliente: – Signor Wolfe? – Feci un cenno d’assenso a quest’ultimo, che sollevò il suo ricevitore. Restai in linea, ma dovetti lottare, per conservarmene il diritto. Jimmy Vail tentò di strapparmi il ricevitore: gli detti una manata sulle dita e mi ritrassi, sollevando un piede con aria minacciosa: non ascoltai le sue proteste. Mi interessava molto di più il discorsetto che Wolfe stava facendo alla signora Vail. – Buongiorno, signora. Sono lieto di vedere che vostro marito è ritornato, ma la telefonata che avete ricevuto da White Plains fa nascere un nuovo problema. Mi permetto di darvi un suggerimento. Stando a quanto mi è stato riferito, preferite non recarvi a White Plains a vedere se si tratta realmente della signorina Utley. Giusto?
– Sì. Archie Goodwin mi ha riferito che ci sarebbe andato lui.
Wolfe grugnì. – Il signor Goodwin è sempre pronto a partire. È un tipo... pieno di vitalità. Ma la cosa non è semplice come credete. Se si tratta della signorina Utley, vorranno sapere dal signor Goodwin dove e quando l’ha vista per l’ultima volta; lui risponderà che è stato ieri, nel mio studio, e loro pretenderanno di avere tutti i particolari. Tali particolari includono che quando la signorina ha lasciato il mio studio, il signor Goodwin e io avevamo ottime ragioni per sospettare che fosse coinvolta nel rapimento di vostro marito...
– Dinah? Coinvolta nel rapimento? Ma è ridicolo! Perché pensate una cosa simile?
– Per il momento preferisco non parlarne. Ve lo spiegherò in un secondo tempo... ammesso che sia necessario. A questo punto, la polizia vorrà tutti i particolari del rapimento, e non si accontenterà della nostra versione. Interrogherà anche voi e vostro marito, e vi assicuro che non saranno disposti ad aspettare fino a venerdì mattina. È probab...
– Ma perché sospettate di Dinah?
– Vi ho già detto che ne parleremo in un secondo tempo. Dunque, torniamo al fatto: mi avete dato due assegni, per un ammontare di sessantamila dollari. Vi avevo promesso che ve ne avrei restituita una parte, se vostro marito fosse tornato vivo, perché la somma globale doveva servire a coprire l’eventualità che fossi costretto a mantenere l’impegno preso con l’inserzione pubblicata sui giornali. Preferirei tenermi i quattrini, ma, in questo caso, dovrò guadagnarmeli. Ecco qual è il mio suggerimento: mando il signor Goodwin a White Plains, a identificare il cadavere. Se si tratta della signorina Utley, il signor Goodwin affermerà di averla vista ieri per la prima e ultima volta nel mio studio, in relazione a un incarico strettamente confidenziale da voi affidatomi; e aggiungerà che, su mie istruzioni, si rifiuta di dare altri particolari. Nel contempo, mi impegno a non rivelare il rapimento di vostro marito fino alle undici di venerdì mattina, a meno che non mi autorizziate a farlo. Tutto questo, ci esporrebbe a difficoltà e a imbarazzo; di conseguenza, non mi sentirei più obbligato a restituirvi il denaro. Saremmo pari. Ora sapete qual è il mio suggerimento. A questo punto, non mi resta che aggiungere una cosa, non per costringervi ad accettare, ma tanto per informarvi: se non accettate il mio consiglio, non siete più mia cliente; di conseguenza, non mi sarà possibile nascondere oltre un crimine grave come il rapimento, e sarò costretto a informare subito le autorità.
– È una minaccia! Un ricatto!
– Pfui! Mi sono offerto di correre un considerevole rischio in cambio di un onorario più che modesto. Ritiro il suggerimento. Oggi stesso vi invierò un assegno, che concluderà...
– No! Non riattaccate! – Silenzio per cinque secondi. – Voglio parlare con mio marito.
– Benissimo. – Wolfe si guardò intorno, dopodiché puntò gli occhi su di me. – Dov’è? Coprii il ricevitore.
– Se n’è andato, subito dopo che avete dichiarato che Dinah poteva essere implicata nel rapimento. Ho sentito chiudere la porta d’ingresso, immediatamente dopo che è uscito di qui.
– Io non ho sentito proprio niente. – Tomo al telefono. – Vostro marito se n’è andato, signora Vail, probabilmente per venire da voi. Non me n’ero accorto. Vi manderò un assegno...
– No! – Un altro silenzio, un po’ più lungo del primo. – Sì.
Mandate Archie Goodwin a White Plains.
– Con l’accordo da me proposto?
– Sì. Ma voglio sapere perché pensate che Dinah è implicata in questa faccenda. È incredibile!
– Si tratta di una semplice congettura, probabilmente basata su alcuni elementi non del tutto attendibili. Potrei spiegarmi meglio» ma non ora. Devo far partire il signor Goodwin. Col vostro permesso...
Riattaccò, e così feci io. Andai nell’atrio, controllai che la porta d’ingresso fosse davvero chiusa, detti un’occhiata nella stanza centrale. Non che pensassi che il marito della nostra cliente potesse giocarci qualche scherzo, ma poteva essere così distratto da non accorgersi di essere ancora in casa e da chiudere la porta restando nell’atrio. Tornai nello studio. – Se n’è proprio andato. Istruzioni?
– No. Avete sentito cos’ho detto alla signora Vail.
– Sì. Che diamine, al massimo possono buttarmi in una celiai E in fondo, siete pagato, per questo. Ma non siamo curiosi? Non vogliamo sapere che cos’è successo alla ragazza? Dove e quando?
– No. Non ci interessa.
Mi diressi verso l’atrio, ma sulla soglia mi fermai: – Sapete, un giorno o l’altro potrebbe costarvi caro. Sapete benissimo che i particolari della morte della ragazza ci interessano; quindi, tanto varrebbe seguire la pista finché è calda. Ma siete disposto ad ammetterlo?
No. Perché? Perché pensate che io sia... mhh... tanto pieno di vitalità da raccogliere ugualmente i fatti e da tenerli a vostra disposizione, per quando ne avrete bisogno. Bene, vi sbagliate. Questa volta, non lo farò. Se qualcuno volesse raccontarmi qualcosa, risponderò che non mi interessa.
Andai nell’atrio, presi il cappotto dall’attaccapanni, aprii la porta, scesi i sette gradini che conducono al marciapiede, arrivai fino alla Decima Avenue, svoltai all’angolo, entrai nel garage e salii sulla Heron che Wolfe ha pagato e che io guido.