Intermezzo 11.
Flammarion e la fine del mondo
La colpa fu sua, di Camille Flammarion, il celebre divulgatore di astronomia, un’autorità riconosciuta da tutti nel suo campo, fondatore della Société Astronomique de France. Erano gli inizi di gennaio 1910 quando scrisse un articolo in cui annunciava che la cometa di Halley stava per passare, nel suo eterno ciclo, accanto alla Terra. Questa volta però, aggiungeva, tra il 18 e il 19 maggio, alle ore 2, la Terra sarebbe stata allineata esattamente al Sole e alla testa della cometa. E siccome in quel momento la distanza tra la Terra e la testa della cometa sarebbe stata di soli ventisei milioni di chilometri, se la coda fosse stata più lunga avrebbe sicuramente investito il nostro pianeta.
Fino ad allora, il ritorno della cometa di Halley era stato solo una curiosità, dominio degli astronomi. Invece la notizia data da Flammarion, ripresa dalla stampa, scatenò il panico. Non era la prima volta che una cometa generasse paure irrazionali. Ma questa volta c’era la scienza ad alimentare l’allarme. Il problema era che anche Flammarion non era stato tanto cauto. Certo, quella di cui parlava era solo una possibilità, ma il tono non era per niente tranquillizzante. L’avvelenamento dell’umanità in conseguenza del passaggio letale dei gas della cometa non era possibile, diceva da un lato; dall’altro, invece, prospettava la diversa maniera in cui gli uomini potevano morire: se l’ossigeno dell’atmosfera terrestre si fosse combinato con l’idrogeno della coda, gli uomini sarebbero morti rapidamente, soffocati. Se invece ci fosse stata una diminuzione dell’azoto, si sarebbe sviluppata in tutti i cervelli una tale sensazione di parossismo e di delirio che avrebbe portato tutti alla follia universale. E così via. L’articolo comunque si concludeva in modo rassicurante: certo, la coda della cometa passerà ma non preoccupiamoci troppo, perché la sua densità è leggerissima mentre l’atmosfera terrestre è assai densa. Quindi aspettiamoci che la Terra sarà protetta e l’incontro con la coda della cometa sarà simile a quello del passaggio di una veloce locomotiva attraverso un banco di nebbia. Niente paura, insomma, diceva Flammarion. Se c’è qualche pericolo, la Terra stessa farà in modo da evitarci problemi. D’altra parte, aggiungeva, altre code di comete avevano strisciato lungo la Terra – nel 1819 e nel 1861 – e non era successo niente di grave. Anche questa volta ce la saremmo cavata.
Intanto però, inattesa, proprio in quei giorni nei cieli non arriva la cometa di Halley, ma un’altra. Molti le confusero e pensarono che fosse già quella di Halley. La paura serpeggiò. E l’articolo di Flammarion passò di mano in mano, in un crescendo di terrore irrazionale. Scrisse allora un secondo articolo, con un bel titolo in grassetto, in modo che fosse ben visibile: La fin du monde n’arrivera pas le 19 mai prochain, la fine del mondo non arriverà il 19 maggio prossimo. Ma il contenuto dell’articolo non era troppo tranquillizzante come ci si aspettava, e anzi riprendeva più o meno gli argomenti adoperati in quello precedente. Mediaticamente, un disastro.
Intanto la cometa di Halley era a un passo. Ormai la vedevano tutti e la coda nella quale la Terra si sarebbe dovuta immergere era lì, lunga circa trentatré milioni di chilometri. Cosa significava? Che la sua estremità sarebbe andata ben al di là della distanza tra la Terra e la testa della cometa. Era la fine? Inutilmente, gli astronomi cercarono di barcamenarsi in questo torrente d’irrazionalità in piena. Non c’era da preoccuparsi, dissero. Si sottolineava che i gas erano concentrati nella testa della cometa e, come già aveva detto Flammarion, la densità dell’atmosfera terrestre avrebbe fatto da scudo. Ma non ci fu verso. L’inquietudine di giorno in giorno si moltiplicò. Cominciarono qua e là i suicidi. A Benezenburg, in Germania, una madre impazzita dal terrore gettò in un pozzo il figlio di sei mesi. In tutto il mondo chiese e monasteri si riempirono, in un clima superstizioso e di follia collettiva. In Ungheria, un gendarme si rivolse alle autorità dicendo che bisognava intervenire per fermare questa cometa perché non ce la si faceva più a contenere la pazzia della gente per le strade. Si cominciarono poi a vendere prodotti “scientifici” per salvaguardare la gente dai gas venefici, come pillole e bombole di ossigeno, e si immaginarono addirittura apparecchi per purificare l’aria degli ambienti umani e scongiurare la morte per soffocamento.
Nella notte fatale del 18 maggio ci fu chi si barricò in casa; o in cantina, sigillando accuratamente ogni fessura. Ma la notte passò e con lei ogni paura che la cometa avrebbe portato via con sé l’umanità. Con buona pace di Camille Flammarion.