Intermezzo 6.
Quando Giotto fotografò
la cometa di Halley
Giotto di Bondone sapeva che stava per dipingere qualcosa di unico. L’aveva vista passare nel cielo di Firenze, tra il settembre 1301 e il gennaio 1302. Una cometa particolare, speciale nel suo genere. La osservavano dappertutto e la descrivevano ovunque. Per esempio il già menzionato Giovanni Villani, che osservò: «nel detto anno 1301, nel mese di settembre, apparve nel cielo una stella commata con grandi raggi di fumo dietro». Fu vista in Islanda fino alla metà dell’inverno. A Bergen, in Norvegia, apparve prima di Carnevale. A Roma, invece, prima delle feste di Pasqua. A Bisanzio, Giorgio Pachimere, vissuto tra il 1244 circa e il 1310, la seguì fin dal primo momento, così fulgida, splendente, che «non seguiva il percorso di nessuna stella fissa: ogni notte si vedeva alzarsi sempre più verso la parte più alta del cielo. Rivenendo infine nel luogo in cui aveva fatto splendere la sua chioma all’inizio, la coda si dissolse ed essa cessò di essere vista». I cinesi che la videro la descrissero invece così, con la precisione che li contraddistingueva: «da un giorno Kêng-chen nell’8° mese a un giorno i-chou del 9° mese del 5° anno del periodo di regno Ta-Tê [dal 16 settembre al 31 ottobre 1301] una cometa hui apparve entro 24 tu e 40 fên di Tung-Ching [22° casa lunare corrispondente ad una parte della costellazione dei Gemelli], raggiungendo la grande stella di Nan-ho [Procione, la stella più brillante della costellazione del Cane Minore]. Era di colore bianco e misurava cinque piedi di lunghezza e formava una linea retta in direzione nord-ovest». E fu brillante, tanto da eguagliare lo splendore di Procione. Per i coreani, invece, «in un giorno wu-yin nell’8° mese del 27° anno di Ch’ungnyol Wang [14 settembre 1301] apparve una cometa nella divisione Tzu-Wei [tra le costellazioni del Drago, dell’Orsa Minore e della Giraffa]. Un giorno i-wei [1° ottobre] entrò nella divisione Thien-Shih [tra le costellazioni di Ercole, dell’Aquila, del Serpente e dell’Ofiuco, o Serpentario]». Osservazioni che mostrano come fosse seguita con attenzione e a lungo, fino al limite massimo.
Dunque, anche Giotto la vide. E, dobbiamo presumere, ne rimase incantato, e impresse nella sua memoria quell’immagine, vivida e lucente, che correva nel cielo. E così la dipinse nella decorazione ad affresco della cappella degli Scrovegni a Padova: con la sua coda scintillante, sulla capanna che ospita la Sacra Famiglia nell’Adorazione dei Magi, una delle scene evangeliche dipinte sulle pareti della cappella. Non una semplice stella stilizzata a otto punte, come nella secolare tradizione figurativa, ma la rappresentazione “dal vero” di un fenomeno naturale: dietro uno sfondo blu intenso, tra lo sfavillio dorato delle aureole di Giuseppe, della Madonna, di un angelo e dei re magi, al di sopra di un riparo, più che di una capanna, eccola lì, la prima raffigurazione al naturale di una cometa. Giotto, però, non poteva sapere che non si trattava di una semplice cometa, ma della cometa per eccellenza che accompagna da sempre l’umanità e si ripresenta costante ogni settantasei anni: la cometa di Halley.
Quella cometa che si staglia con così abbacinante lucentezza nell’affresco della cappella degli Scrovegni fu una sconvolgente e inattesa novità: fu la prima rappresentazione realistica di questo corpo celeste realizzata in Occidente. Un unicum assoluto. Da allora, nella nostra tradizione, la stella sulla grotta di Betlemme si è trasformata in una cometa. Ed è solo per questo motivo che essa – col suo lungo strascico tripartito – compare oggi in tutti i presepi ed è diventata uno dei simboli natalizi per eccellenza.