Intermezzo 8.
Le vie tortuose di Galileo
Galilei
Stupisce che per Galileo Galilei le comete non fossero dei corpi celesti, ma dei riflessi di luce. Che strano: proprio lui, tra i più grandi rivoluzionari in campo astronomico, rimaneva ancorato a idee ormai – già nel Seicento – al tramonto. Come mai, considerato che il mondo stava andando avanti e, da Tycho Brahe in poi, le comete erano considerate dei corpi celesti? Forse perché Galileo non aveva le idee chiare? No, per niente. Le idee le aveva chiare, anzi chiarissime. È che le vie della scienza non sono mai così lineari e rettilinee, certe e rassicuranti, ma spesso tortuose, complesse, tutte da verificare. Talvolta inspiegabili. È vero: nella disputa sulle comete, il grande scienziato toscano si schierò contro la tesi corretta che le comete fossero dei corpi celesti. Un errore, certo, che sa di oscurantismo. Ma non dovuto a un conservatorismo di fondo, all’adesione ortodossa alla tradizione aristotelica. Il problema era di altra natura. Di vita o di morte, diremmo. Galileo si trovava di fronte a un dilemma, di difficile risoluzione. La questione non erano le comete di Tycho Brahe ma il suo sistema planetario, il modello di universo geostazionario che continuava a conservare al centro la Terra, sistema accreditato dai Gesuiti. Se Galileo avesse accettato le sue teorie sulle comete, questo fatto sarebbe apparso come un cedimento alle posizioni dei suoi avversari, cosa che egli certo non desiderava.
Nel 1618 comparve una cometa che suscitò, come prevedibile, molte angosce. Tra la gente comune e nelle corti europee si credeva che non portasse niente di buono. Era un segno di guerra. La data di inizio di un terribile conflitto che sarebbe durato trent’anni, per terminare nel 1648. Gli astronomi, che stavano discutendo del sistema copernicano, speravano che questa apparizione avrebbe fornito degli indizi che spostassero l’attenzione verso la loro teoria eliocentrica. D’altro canto, c’era la Chiesa; e il collegio romano della Compagnia di Gesù aveva preso posizione a favore della teoria geostazionaria di Tycho Brahe. Galileo era al centro di questo dibattito. Cosa fare? Che posizione assumere tra i due campi?
Non si trattava di una semplice discussione, della confutazione di una tesi a favore di un’altra. Ma ciò che era in questione era la sua stessa libertà. Solo due anni prima, nel 1616, era stato ammonito dalla Chiesa a causa della sua posizione filocopernicana. Quando comparve la cometa, Galileo si ritrovò in un pericoloso dilemma: da un lato era tenuto a prendere una posizione ufficiale, dall’altro, se avesse negato le opinioni di Tycho Brahe, sarebbe tornato a difendere le tesi copernicane, suscitando così le ire dei Gesuiti, sostenitori dell’astronomo danese. Poteva Galilei mettersi contro la potente Compagnia di Gesù proprio mentre le sue opinioni erano sospette di eresia?
Afflitto da una malattia, Galilei prese tempo. Finché scrisse il Discorso delle comete nel quale, per sfuggire a ogni insidia argomentativa, prese di petto il problema: le comete non erano corpi celesti ma dei semplici riflessi di luce, dei fenomeni ottici. Insomma, cosa fece Galileo? Ciò che spesso si fa: sostenere una tesi sbagliata pur di difendere un sistema corretto ma inviso ai più, in questo caso il sistema copernicano. Un errore? Una falla nel cammino scientifico di Galileo? Per niente. Liberarsi da idee preconcette, da pregiudizi, da pressioni non solo intellettuali ma anche fisiche e psicologiche, non è facile, e non sta a noi sottoporre Galilei a un processo alle intenzioni. Il suo cammino verso la conoscenza incontrò tanti, troppi ostacoli, soprattutto nella circostanza in cui non gli era garantita la libertà di esporre le proprie tesi liberamente e di discuterle senza incorrere nei rigori del tribunale del Sant’Uffizio. Il pensiero scientifico era agli albori, né si era ancora affermato il concetto di tolleranza politica e religiosa: chi la pensava diversamente diventava un nemico, talvolta pericoloso se riusciva ad avere sostegno presso le autorità, mentre le opinioni a confronto diventavano spesso causa di odio reciproco. E alcuni sostengono che l’insistenza con la quale Galileo si oppose alle tesi dei Gesuiti sulle comete nel suo scritto Il Saggiatore fosse una delle cause non secondarie dei suoi guai con il tribunale del Sant’Uffizio.