LA MIA CAMERIERA IDEALE
Leggeva libri difficili, lavorava senza posa dalle sei di mattina alle undici di sera, si nutriva principalmente di tè e tozzi di pane nero, non si lamentava mai, era sempre di buon umore, considerava la vita un duro e ineluttabile dovere contro il quale lottare era semplicemente impossibile! Non capiva affatto che si potesse essere così stupidi e sfrontati da ribellarsi, poiché migliaia di forze congiurano ogni ora contro la nostra felicità per trascinarci alla rovina!?! Nonostante la sua giovanile, mobile bellezza, aveva sempre ininterrottamente un’aria rilassata, e cantava di continuo, come se sulla terra tutto andasse liscio, e addirittura quasi allegramente. Mai un tragico cenno di perplessità e d’abbandono! Il dovere la dominava, così come un maestro ideale domina la sua orchestra ideale, non sapeva adirarsi col destino, considerava tutto una ineluttabile necessità di questa vita. Per questa ragione, sì, solo per questa ragione, cantava di continuo, e ogni corona che riceveva in regalo era per lei un avvenimento particolare, gioioso, inaspettato, nella sua dolce, negletta esistenza!
IL REGISTRO DEI DEFUNTI
Casanova, conte di Seingalt, famigerato seduttore di donne e cavaliere (ciò che purtroppo s’intendeva con questo termine), morì a 84 anni, naufrago da decenni sotto ogni aspetto. Una rovina di se stesso.
Su di lui il registro dei defunti:
Signor Giacomo Casanova, veneziano, 84 anni: «Me quaero, nec adsum, fui!». (Mi cerco invano, Casanova di Seingalt, ma non sono più presente, sono stato!) Morì molto prima della sua morte, che fu solo un avvenimento senza importanza.
CHIACCHIERATA
«Essere allegri» è una mezza follia, una delle più impudenti menzogne della vita su questa terra. Di cosa, infatti, si potrebbe essere seriamente e onestamente allegri?! Non sono forse in agguato dappertutto pericoli mistici e infidi, psicologici, spirituali, sessuali, economici, pericoli che insidiano ogni singola componente del tuo corpo, ahimè a te stesso così sinistramente sconosciuto?! Non cammini tu eternamente e ogni ora sull’orlo dei tuoi orridi abissi, così vicino, così vicino che il tuo precipitare, il tuo sfracellarti psicologico, sessuale, economico, in rapporto alle funzioni gastriche e intestinali può essere, e in effetti è, solo una coincidenza sommamente ridicola?!
Speranza, o delittuosa e vile follia dei nostri troppo deboli, troppo pigri cervelli, incapaci di reazione, speranza nascosta in noi, assassina della nostra intelligenza, della nostra privata genialità, sii tu maledetta! Non sperare mai!
Quanto meno credo alla benedizione della mia vita che sotto ogni aspetto è densa di pericoli – spero che la vipera bruna e perfida, silenziosamente e invisibilmente arrotolata nell’alta erba di montagna, non mi morderà all’improvviso e mortalmente il piede mentre le passo davanti con noncuranza –, tanto più riuscirò a superare i miei stessi labirinti per raggiungere la delicata, naturale luce della mia vera personalità!
La speranza è un delitto nei riguardi della propria, altrimenti forse abbastanza pregevole personalità, e una malvagità contro quella di tutti gli altri, che perciò non possono trarre alcun vantaggio da te! Non sperare mai! Vai per la tua strada, la strada che ti è stata imposta dall’inesorabile destino per l’eternità, e sotto ogni aspetto (economico, sessuale, stomaco, intestino, amore, ambizione, invidia, mille bisogni completamente inutili e per te solo apparentemente necessari) e non superare mai!
Amen.
DEPRESSIONE
Una strana depressione psichico e intellettuale in questi primi giorni di novembre (del tutto indipendente dalle questioni politiche, che non capisco affatto, e anche da tutto il resto, che capisco ancor meno).
Ma questo stato d’animo: che vivi a fare?! Che scopo c’è, per l’amor di Dio, per un essere pensante?!? Tutti vivono così alla giornata, come se fosse ovvio. Ma è poi così?! Neanche per sogno. È una desolata follia. I giorni non portano mai nulla di diverso dal desiderio spaventoso di non esistere più! Tranne che per gli idioti svagati, che accuratamente, davanti allo specchio, si fanno il nodo alla cravatta lavorata a maglia! Com’è possibile liberarsi da se stessi e dalle nullità di tutto ciò che esiste?! Non è tutto così ridicolmente inutile nella vita, a cominciare dal lavarsi e cambiarsi la biancheria, fino alle funzioni più intime, dunque più disumane?! Perché trascorrere il giorno, senza averlo trascorso anche solo per un’ora conformemente all’uomo?!? Perché seguire la massa terribilmente idiota, per la paura di essere diversi, cioè migliori, più veri?!? Questa fetida schiavitù della collettività, per la quale soprattutto vai in malora?!?
Non occorre che nessuno vada a passeggio nudo come un verme, ma avere addosso più di quanto richieda l’igiene e la salute è veramente una bassezza e una viltà, sostenuta da uomini svagati, deboli e vili, impegnati in tutt’altre faccende! Il lusso è un delitto che le donne hanno avuto l’abilità di presentare al maschio idiota come una necessità! Sii bella senza veli; la veste comprata è un’offesa per tutta la natura! Essa vive in semplice, nudo splendore!
IDEALISMO
In quasi ogni uomo che abbia un’esistenza rispettabile (ci sono anche uomini che non l’hanno affatto) il più alto idealismo è incapsulato in lui stesso, come genialmente protetto e profondamente nascosto contro il mondo pieno di pregiudizi, privo di comprensione, perfidamente sorridente; l’idealismo attende per così dire con ansia la sua liberazione che non viene mai! Rarissimamente e con estrema timidezza si arrischia ad uscire, dato che teme l’enorme gregge di coloro che s’insuperbiscono stupidamente, che si dimostrano incomprensivi quasi di proposito, che sorridono con falso imbarazzo. Se a lui piace partecipare alla vita degli altri, dimentica con ciò stesso la sua vera identità. Così donne rispettabili si dimostrano continuamente arrendevoli nei confronti di coloro ai quali dovrebbero, per l’appunto, mostrare giorno e notte chi esse sono in realtà e chi gli altri non sono. Vivere insieme e vivere al contempo la propria vita è una «nobile condotta di vita» che rivela cultura, educazione, umanità. Le concessioni sono sempre vili, le «non concessioni» villane! Ecco la nobile via di mezzo: Tatto e educazione! Ma chi è capace di percorrerla?!?
SCHEGGE
Ogni uomo vede ogni situazione da un punto di vista diversissimo, e questo è naturale. Per conseguenza è stupido seguire un qualsiasi consiglio isolato, bisognerebbe invece prima raccogliere insieme tutti i consigli nel proprio cervello, nella propria anima, e solo poi estrarre da essi una pietanza digeribile per il proprio organismo.
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Arroganza è il ridicolo-disumano tentativo di proteggersi contro qualcosa!
Mio padre salutava per primo tutti i subalterni (?!?), commessi, vetturini, facchini, camerieri, cameriere. Mia madre ne era indignata. Mia madre è morta per una malattia di cuore a sessant’anni, mio padre è spirato in poltrona a ottantasei anni!
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Quando mi sveglio al mattino non assisto che a miracoli ed enigmi: esisto ancora, ho un lavabo, del sapone, il giorno trascorso è stato come un lungo e stravagante brano musicale suonato fino alla fine, spesso noioso, abbastanza incomprensibile e senza una vera conclusione; e poi la sgradevole tensione del nuovo giorno che incomincia e potrebbe diventare troppo lungo e povero di esperienze preziose: insomma, già il risveglio è un mistero per chi ha avuto in sorte un’anima mistica che funziona a dovere.
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Gli aforismi non devono essere verità «escogitate», ma illuminazioni istantanee che vengono dall’inconscio.
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Malattia non è altro che non riconoscere, non trovare le strade della propria guarigione!
LA SERA DELLA VITA
Ogni uomo può ancora salvarsi da se stesso e dai suoi numerosi errori (in quale sfera, per Dio e per il demonio, non ce ne sarebbero?!?), soprattutto in età piuttosto avanzata, quando finalmente si rende conto che egli, durante la sua infelice esistenza, si è ingannato sotto quasi ogni aspetto! Ma occorre assolutamente una cognizione «spirituale» (gnōthi seautón). Poiché di per sé il cosiddetto ingranaggio vitale tende a frantumarsi in mille pezzi senza valore!
Ricostruirsi è tutto, nessun medico è in grado di farlo, solo tu ne sei capace! E la parte spirituale insita in te.
Come fare per riconoscere finalmente con chiarezza i propri bisogni?!?
I più sono troppo vili per riuscirci, o anche solo per volerlo! Si nascondono di fronte alla parte migliore del loro Io, proprio quando essa sarebbe abbastanza matura per salvarli finalmente da loro stessi e dalle loro tortuose vigliaccherie, portandoli nella libera aura della loro più libera umanità! Così irrompe all’improvviso in te la sera della tua vita; alle tue spalle, marcendo intorno a te, giacciono, tragicamente inutili, le tue mille stupide, superflue esperienze, e invece di un sublime sorriso goethiano, hai conservato solo il ghigno dell’imbecille, l’imbecille che sei sempre stato!
SOCIEVOLEZZE
Ho lasciato Paula a poco a poco, con intenzionale brutalità, perché non sopporto più a nessun costo di essere, a causa del mio sventurato talento, l’intrattenitore della squallida vacuità di tutti gli uomini, che per questo mi cercano, ossia abusano di me. Paraldeide, solitudine, noia, sonno, sono infinitamente più sani per l’anima e per lo spirito che non essere la vittima di un cosiddetto talento mondano, che viene ignominiosamente spremuto come un limone. Vuoti siete, assolutamente vacui, e volete diventare uomini sfruttando noi. Sfruttandoci e basta!
Voglio finalmente godere il mio «essere solo», dal momento che per caso sono la vittima di qualsiasi altra persona che si avvinghia a me e istintivamente mi sfrutta. Questa terribile, falsa commedia «P.A.» deve finire, e voi, uomini stolti, crogiolatevi nella vostra esistenza incomprensiva, e non aggrappatevi al più saggio che grazie a Dio non ha bisogno di voi! Il vostro modo di fare conversazione mi è diventato odioso, mi strappa a forza lontano da me stesso, da questa «Esistenza-P.A.»! Per anni sono stato il vostro stupido schiavo, no, il vostro servo, il vostro pagliaccio. Ora desidero, esigo la mia pace e non sono più disposto a offrire a nessuno servigi da schiavo che mi danneggiano profondamente! Non posso far nulla contro il mio sventurato talento, un talento che di per sé mi pone al centro di una società completamente rimbecillita, divorata dalla noia più abissale! Sfruttarmi per questo è indecente vigliaccheria e sfacciata malvagità. Cosa mi offrite?! La mia solitudine continua a crescere su se stessa e perciò di ora in ora io torno a me stesso.
Voi invece mi umiliate nella vostra stupida, orrenda, noiosa esistenza, pretendete che io vi guarisca dalle vostre disumane, ridicole morbosità! Fatela finita, da ora in poi e per sempre! Lasciatemi a me stesso! Sopportate da soli i vostri infami pregiudizi, non aggrappatevi più a colui che ha la fortuna di non averne alcuno! Vivetevela da soli la vostra esistenza completamente rincretinita e non cercate più il mio sostegno spirituale e psicologico! Da ora in poi procedo da solo!
LA FATALITÀ
Il medico vorrebbe essere di aiuto, seguendo la sua professione, il suo dovere, il suo desiderio – – – ma non ci riesce. Questa è la sua fatalità. Egli vede la natura, si spaventa in parte, ma non può padroneggiarla in nessuna maniera. Da qui le stupide «terapie naturiste», ossia gli infelici tentativi di stendere un velo sull’insipienza dei medici! Impara a conoscere l’ingranaggio vitale e i suoi, ahimè, numerosi disordini, ma non pasticciare, pasticcione che sei! Sistema come si deve, o piuttosto non sistemare affatto!
Correggere la natura è già una genialità, persino se si tratta soltanto di una graziosa, agile andatura! Chi osa ripristinare i valori ideali in una natura più o meno difettosa?!? Chi si assume questa sacra, geniale fatica?!? Ciascuno fa funzionare come può la sua macchina vitale. Le «cure termali» sono una specie di follia e di autoinganno! Solo il tuo spirito può salvarti dai tuoi abissi! Medici e acque termali non potranno mai salvarti!
Aiutare un organismo sconosciuto, sì, ma bisognerebbe essere dei veri geni di comprensione e di altruismo! E chi lo è?!? Ciascuno non fa che eseguire quello che considera il suo dovere, ed è ovvio che non si curi del calvario degli altri. Egli lascia che tutti vadano in rovina, perché si accorge fin troppo bene che lui stesso sta crollando! Dove andare dunque?! Nell’abisso, al quale non sembra sfuggire nessuno che non abbia ereditato abbastanza cervello!
GIORNO D’OTTOBRE
Su ogni piano si udivano vacui e insignificanti discorsi delle persone di servizio, che non avevano la minima idea delle complicazioni della convulsa e irrequieta vita di ogni giorno. Essere così, ritirate in se stesse, occupate coi tappeti e le tende, speriamo solo che le tarme non prendano il sopravvento, e sopportare ogni destino sfavorevole come qualcosa di ineluttabile, non proprio con gioia, questo è naturale, ma ancor meno con un senso di tragico abbattimento, in verità perché non si è nient’altro che umili eroi dell’esistenza quotidiana. Perché protestare, e contro chi, mio Dio?! La stanca sera, che inconsciamente ci libera e ci rilassa, giungerà comunque. Che ne viene agli altri dalle loro eterne ambizioni, che nascondono solo delusioni, in un modo o nell’altro?!? I nostri «drappeggi» sono per noi più importanti, e anche che il velluto non s’impolveri troppo. Che c’importa del mondo e delle sue angosce, se le nostre stanze sono tenute in perfetto ordine?!? Noi facciamo il nostro dovere e non pensiamo ad altro; pensare mentre si fa il proprio dovere è una tale fatica! Viene la primavera, l’estate polverosa, il noioso autunno, l’interminabile inverno. Ma a noi che importa?! Le stanze sono in ordine e il mangiare ci basta, anche se talvolta è un po’ scarso. Quei discorsi dei clienti ricchi!? Credete che ci allettino?! Un cavallo ha vinto, un cavallo è crollato, di chi sarà la colpa, che scemenze!? Si potevano guadagnare, vincere, carpire 500 corone, ma, guarda un po’, non è andata così. Un cavallo è crollato. Le corone le ha vinte un altro idiota. Ci penserà lei a prendergliele. Noi però mettiamo in ordine le nostre dodici camere e la sera è una liberazione dalla fatica del giorno. Otto ore di ben meritato sonno sono più importanti delle vostre insulse spiritosaggini. Noi siamo esseri dediti al dovere senza pretese. A proposito, pare che ci siano delle nuove, meravigliose palline tarmicide che non mandano cattivo odore. E la spazzola per tappeti marca «Bissel» è proprio l’ideale. Certo per tutto ci vuole amore, nulla va avanti, né avviene da sé. Ogni cosa deve poterci rallegrare, anche quando non ci riguarda personalmente. Senza interesse non c’è vita, non c’è lavoro. Ci si rinchiude a poco a poco in se stessi. Chi canta durante il lavoro è uno che si è salvato dal suo Io. L’acqua tiepida nella bacinella di smalto scuro per lavarsi i piedi, per non parlare di altre cose, be’, sono occupazioni che comunque tornano utili ora a lui, ora a lei. Ma aspettare uno che non viene?! Addossati l’onere a te assegnato di questa vita insulsa e inutile e non protestare, tanto non ti servirebbe a niente, ti danneggerebbe soltanto. Le poche rose che deporranno sulla tua tomba ti ricompenseranno!
UN QUADRO
Nella mia fanciullezza le aurore sullo Schneeberg, Kaiserstein. Alla mia età le aurore dietro la laguna, al Lido di Venezia. Entrambe rosso sangue, e nebbia fumante, luminosa. Nel mezzo la mia complicatissima esistenza. Allora ero felice inconsapevolmente, oggi la felicità è consapevole. Allora essa poteva andare perduta, oggi non più. Questo è tutto. Allora amavo il mio precettore, la mia governante, la mia mamma. Oggi amo la signora R.R. Nella nebbia fumante si leva il sole rosso sangue, Schneeberg, Kaiserstein. Rosso sangue il sole tramonta sulla laguna, al Lido. Nel mezzo la mia vita! –
CALZE VERDI
«E perché proprio stamani quelle calze di seta verdi?».
«Perché?! Be’, perché le ho! Non sono forse graziose?!?».
«Sì, ma perché proprio oggi, oggi?!».
«Perché non oggi! È un giorno come tutti gli altri!».
«No, non è un giorno come tutti gli altri! Tu lo sai bene, canaglia!».
«Lei è pazzo! Devo forse rendere conto a lei?! Allora!».
Giunse colui al quale erano dedicate le calze di seta verdi.
Non se ne accorse affatto.
E nonostante tutto tanta disperazione, odio, umiliazione e amore!?!
Sì, nonostante tutto, nonostante tutto!
La donna potrebbe risparmiarcelo! Ma in cosa consisterebbe il suo potere se ce lo risparmiasse!?!
CABINA
Ora lei non c’è più – – –
La vita si svolge come al solito.
Nella sua cabina sono entrate delle persone estranee. Con un meraviglioso bambino.
Biancheria estranea è appesa ad asciugare, dove era appeso il costume da bagno bianco e nero che nascondeva il suo corpo.
Questa cabina era una chiesa.
Io amavo l’armadio e il lavandino.
Adesso è una cabina d’affitto come le altre trecento.
Per me essa era una chiesa, sì, lì ho recitato le mie preghiere del mattino. Nessuno sa quanto ho amato quella cabina.
Ora è una cabina d’affitto.
La gente che la occupa è molto gaia.
Nell’alta stagione è difficile trovare una cabina.
Costumi da bagno sono appesi ad asciugare, al vento e al sole.
Ma a me non importa se domani, quando li indosserete, saranno asciutti o bagnati. I vostri reumatismi mi sono indifferenti. La spiaggia è bella, una vita molto animata... Io brontolo per la solitudine che adesso è subentrata.
NOX
È calata di nuovo la notte,
e dunque la pace. Sparite le inquietudini, le profonde angosce del giorno e dell’ora!
Un termine è di nuovo fissato per il dolce non-vivere, il non sapere che tutto è vano.
eppure le ore procedono inesorabili
verso il nuovo, insignificante, ma vecchio e oneroso giorno,
che ancora una volta, come sempre, non ti porterà nulla di nuovo,
ma solo il tuo Io, il tuo Io che tutto distrugge!
Il tuo Io, cioè l’altra vita, viveva indisturbato.
Notte, ora mi fai scendere dolcemente per qualche ora nella tomba delle mie innumerevoli insufficienze! Ave, nox!
NOTTE INSONNE
È un destino inesorabile, nient’altro, e lottare contro di esso sarebbe una follia!
La tua notte non ha fine, ma non puoi accusare nessuno, poiché la notte è pacifica e a tutti reca sollievo, tranne che a te!
Dormi poco, proprio come un bimbo che si sveglia spontaneamente da un dolce sonno mattutino.
Solo l’orologio della nave triestina ti indica inesorabilmente la durata interminabile di questa notte eterna!
Già, ma è proprio necessario dormire?! O non è una sorta di pericolosa follia voler dormire quando non si ha sonno?!
Cercare così la propria morte temporanea, della quale non si ha bisogno sotto nessun aspetto?!?
È poi la morte così preziosa, da volerla addirittura ottenere per forza, anche quando non
viene da sé?!?
La notte insonne, al massimo, può essere noiosa, ma mai dannosa!
Sei sveglio come durante il giorno, cosa c’è di strano?!? Ci sono ben altre catastrofi nella vita!
«PUNTINE»
«Caro signor Peter, mi potrebbe togliere dagli impicci dandomi qualche puntina da fissare alla parete?!?».
«Anch’io ho bisogno di tre puntine, e purtroppo non riesco a procurarmele!».
«Dov’è che si possono trovare?!?».
«In nessun posto. Credo che Rothschild ne abbia ancora dieci. Ma in questi tempi difficili non le cede a nessuno!».
«Ecco, sono queste dunque le nostre tragedie del tempo di pace, infinitamente meglio, comunque, di un braccio o di una gamba perduti in guerra. Non appena riuscirò a trovare delle puntine gliene darò qualcuna. Una volta si desideravano gioielli e sete, adesso puntine per fissare quadri alle pareti! O umanità, forse diventerai di poche pretese! O sarai costretta a diventarlo!».
LA FEBBRE SPAGNOLA
La graziosa, tenerissima moglie di Egon Schiele è morta a ventidue anni dopo due giorni di malattia, nel suo sfavillante lettino d’ottone. Di notte non voleva impacchi freddi sul corpo ardente e grondante sudore! Era già fin troppo stanca, stremata da morire, e invero anelava il non essere. Due giorni dopo morì suo marito trentenne,97 che aveva trascorso le notti per terra su un’ampia coperta a quadri marrone, ma alla povera malata non era servito a niente. Schiele era un buon pittore, un pittore particolare, cioè diverso. Credo che in fondo non gli sia dispiaciuto di seguirla così presto!
SUICIDIO
Per mille motivi, la vita gli era divenuta insopportabile.
Lei parlava col più profondo entusiasmo del ciclo di Lieder Die Winterreise di Franz Schubert e dell’interprete ideale, il signor Duhan. Ma a lui tutto appariva lontano, lontano, lontanissimo. A lei no, invece. Come una che sta per annegare, lei si aggrappava a questa vita assolutamente e completamente futile, senza significato. Franz Schubert morì a trentun anni. Avrebbe potuto far felice il mondo almeno per altri venticinque anni! Perché allora occuparsi delle proprie nullità, che non giovano a nessuno, non fanno felice nessuno, soprattutto non trasportano nessuno, neanche per un’ora soltanto, oltre il vuoto del proprio non-vivere! Casa di Franz Schubert, nella Nussdorfer Strasse, Wien IX, chi nascondevi fra le tue mura?! Dormivi in un letto come tutti gli altri e ti lavavi in un lavabo di latta. Portavi una brutta giacca nera, troppo pesante, troppo lunga e ampia, e nei dolci dintorni di Vienna ti venivano in mente i tuoi Lieder immortali! Non fosti mai amato e tuttuvia desti tutto al mondo, un mondo che non ti capì mai e mai ti ringraziò! Per dire «Grazie», infatti, bisogna capire di che si deve ringraziare!
CASA DI CURA
La casa di cura non ha alcun valore, poiché in essa non c’è un solo medico che abbia un sufficiente interesse filantropico e scientifico per studiare il caso specifico di un singolo paziente considerandolo come un mondo per così dire «nuovo e sconosciuto» dal quale lui stesso può imparare qualcosa. Al contrario, il medico cerca subito, in base a un perfido automatismo, di «sussumerti», di rubricarti, e la frase: «Purtroppo casi simili mi sono ben noti da anni» gli esce con estrema amabilità dalle labbra assassine! In realtà a lui non è noto proprio nulla. Il malato non è per lui un gradito oggetto per ampliare naturalmente il suo orizzonte (?!?), ma al contrario, lo sventurato paziente deve assolutamente essere ciò che quel pigro idiota ha da sempre pensato di lui! Estrema mancanza d’interesse per lo strano e complicato caso individuale è quasi il suo più personale e scientifico motto di vita. «Se ognuno ritiene di essere un malato particolare, bene, glielo toglieremo subito dalla testa!». L’osservazione di un caso più o meno incomprensibile dovrebbe diventare una sorta di scienza particolare! Ma lo diverrà?! Neanche per sogno.
AI GIOVANI
Perché, perché vi allontanate sempre, così morbosamente e quasi di buon grado dallo splendore o dalla semplice malinconia delle normali cose terrene?!?
Non c’è forse in esse, per l’amor di Dio, abbastanza da vedere, da ascoltare, da provare, da pensare?! Giorno e notte?! Quali tremende e inutili stravaganze sono divenute ora, o giovani, i cosiddetti vostri nuovi e più preziosi mondi?!?
Creazioni di una megalomania superflua che dovrebbe sottolineare una «personalità» che in verità non possedete?!? Le vostre non sono poesie, ma parole, vuote e aride parole, seppure apparentemente altisonanti!
L’anima, vedi, è semplice, e così pure lo spirito! Ma voi volete salire in luoghi che assolutamente non vi competono. Questa è la vostra, no, la nostra disgrazia. Ritornate ai romantici ruscelli dei prati montani e lasciate perdere la filosofia della non esperienza e della falsa esistenza!
Il giorno e l’ora offrono in abbondanza dolori e gioie all’animo del poeta; mentre il luogo dove voi vi rifugiate è lontano dalle vostre vanità e vacuità! Volete andare da qualche parte, già, ma dove?!
Chi volete ingannare con le vostre misere belle parole?!
Vergognatevi di complicare ancora di più un mondo già talmente complicato che
non si riconosce più!
E questo si chiama: poeta moderno, puah?!
SUNT CERTI DENIQUE
FINES
(Orazio)98
Il 9 marzo 1919 compirò sessant’anni, vado in giro senza cappello, coi piedi nudi che non asciugo mai dopo il pediluvio, in sandali di legno, non posseggo né biancheria intima né camicie da notte, dormo sempre con le finestre spalancate; in breve, sono l’organismo più robusto che mai si sia visto in un uomo che fra i diciannove e i venticinque anni ha sofferto di un gravissimo catarro bronchiale e che i medici davano per spacciato! L’altro ieri notte, il 19 dicembre all’una, è caduto un bicchiere pieno di vino sul mio lenzuolo, e io ho continuato tranquillamente a dormire nella gelida umidità con le finestre spalancate. La mattina avevo il mio catarro bronchiale della giovinezza. Sunt certi denique fines!
PARALDEIDE
«Se lei mi domanda con la massima cortesia (?!?) se dopotutto io non possa, naturalmente a poco a poco, perdere l’abitudine del presunto sonnifero “Paraldeide”, è come se domandasse a una vivace trota se non voglia provare a vivere nell’acqua ferma di uno stagno! Sarebbe molto più sano e meno faticoso».
«Già, ma gli uomini sono davvero organizzati in modo così diverso?!».
«Non tutti, ma alcuni sì. E immischiarsi nella loro intima economia vitale è una specie di delitto senza pistola e senza pugnale! Nessuno immagina chi sia veramente l’altro e questi consigli amichevoli da quattro soldi altro non sono che subdoli delitti! Bisogna imparare ad aver rispetto per le incomprensibilità di ciascuno, per i suoi mondi totalmente estranei!».
«Ma si vuole soltanto aiutarla!».
«Con amichevoli consigli (ah, ah, ah)?! Senta, ma lei ha idea di quel che sta dicendo?! Non ha proprio il minimo rispetto per un estraneo! Lei vuole comodamente sovrapporre, addirittura imporre la sua persona a quella di un altro o di un’altra!».
«È questa la sua gratitudine per il nostro interessamento?!».
«No, è il mio odio fanatico per la vostra ottusità e mancanza di riguardo!».
«Come possiamo dunque aiutarla?!?».
«Col denaro, solo col denaro, mai e poi mai coi presunti amichevoli consigli! Metti la trota in uno stagno tranquillo e caldo ed essa cesserà di essere trota e morirà a poco a poco, impercettibilmente. È questo il tuo salvataggio, puah! Lascia dunque che ognuno, uomo o donna, percorra la strada ineluttabile già fissata da un destino avverso! I tuoi buoni consigli sono ‘crimini interiori’ per i quali non hai alcuna giustificazione! Discorsi lontani mille miglia dalla “nobile saggezza”. Guai a chi si lascia gabbare! Sono perfide maschere di un interessamento affatto inesistente. Lascia che ciascuno vada per la sua strada, e anche se essa conduce alla tomba, a te cosa importa?! I dieci anni di supposta felicità non lo salveranno dalla nullità di tutta la sua esistenza! Tutti prima o poi precipitano nei propri abissi, e i buoni consigli sono dettati da occulta perfidia.
«Io l’ho salvato?!». Da se stesso! E tu ci credi, pigro filantropo?! Per salvare un uomo ci vuole un’anima ben più profonda, più saggia, più autenticamente filantropica! Colloqui e ammonimenti sono veleni, veleni che fanno male! Nessuno ne sente la responsabilità. Sono parole che in nessun modo possono risanare! Ma sono parole! E molti ne sono ingannati, quelli che non sono degni di non esserlo! Così i genitori coi figli, e poi si lamentano dell’ingratitudine. Di che si lamentano? Che si è resa loro più gravosa, credendo di far bene, un’esistenza di per sé quasi insopportabile?!? Lasciate che ognuno percorra la sua via crucis. Anche Giovanni e Maria non poterono salvare nessuno. Condividere le sofferenze, i lutti, le disperazioni di un altro è un segno di umana dignità. Prova a regalargli ancora dieci anni per falsa bontà! Credi che ti ringrazierà?! Sono altri dieci anni di delusioni e disperazione. E i pochi sprazzi di luce fanno apparire ancora più buia la tua già oscura esistenza! Puoi pregare sulla sua tomba, piangere o deporre una rosa. Lui ce l’ha fatta, tu non ancora, tienilo a mente, filantropo!
SITUAZIONE PATOLOGICA
Ho un giovane delizioso barbiere che da anni mi rade gratis, sale lui da me e addirittura rifiuta le mance. Tale è il suo entusiasmo per l’arte. Eppure, quante volte il povero ragazzo è costretto ad andarsene, quasi offeso, senza aver concluso nulla, poiché a me, che non mi muovo dalla mia stanza, manca l’energia di farmi «far bello» col mio sapone, col mio pennello, col mio rasoio di corno giallo. Persino questa cura di ringiovanimento così comoda e gratuita supera le mie forze di volontà, è orribile. Questa è dunque l’esistenza di un folle, di un uomo che ha perso la capacità di vivere, e pensare che se ne accorge, ma non riesce a liberarsi «dal suo stesso capestro!».
MORIRE
Dunque il 9 marzo 1919 compio sessant’anni. Prima di me, invero del tutto senza motivo, semplicemente intorno a me, sono morte quarantatré persone molto più giovani, più sane, sotto tutti gli aspetti più vitali di me, una fossa comune di gigantesche vitalità! Sette morfinomani, tre di febbre spagnola, un suicida per debiti di gioco, molti di cancro, tre in guerra. Nessuno però è morto in modo naturale, ma tutti per una qualche colpa, seppure nascosta!
Nessuno è morto tranquillamente come avrebbe dovuto! Morire è infatti uno spegnersi naturale, un estinguersi, sì, un dolce, semplicissimo estinguersi. Ma nessuno vuole che questo avvenga, ognuno si difende proprio contro l’ineluttabile! Che idiozia opporsi al destino di tutta una vita!!! Il tuo tempo è il tuo tempo, e quando è finito non c’è niente da fare! La colpa di tutto non è forse tua?! Credi davvero, o criminale solitario, di essere una vittima delle circostanze?!? Quei suicidi, ai quali non restò altra scelta, perché altrimenti, tanto per fare un esempio, avrebbero perduto la loro «posizione sociale», puah!
Quelle «morfinomani» che semplicemente non erano abbastanza belle e aggraziate per il gusto del mondo! Quelli che in qualche modo se la sono svignata dal mondo poiché non avevano più niente da offrire! Quarantatré intorno a me sono morti prematuramente, escludendo i sette dei «paradisi artificiali», i morti per malattie misteriose, e infine i morti di «febbre spagnola». Non c’è nessuno, comunque, che non sia in qualche modo colpevole della propria morte, sempre prematura! Ognuno è uno stupido colpevole! Il medico è quello che meno di tutti capisce queste cose, dato che il suo mestiere consiste appunto nel non capire! Non morire prematuramente sarebbe in effetti una naturale genialità se per questo non fosse necessaria un’«intelligenza» che per caso, appunto, non si possiede! Il saggio non muore, si spegne, si estingue – – –. Muore una candela, la candela si estingue – –.
LA MORTE
L’ora della morte si avvicina
con passi leggeri, morbidi, un poco esitanti,
come se di proposito volesse lasciarsi il tempo di ricapitolare ancora una volta il peso delle tue colpe!
Troppo grande fu il carico, e
perciò niente perdono,
nonostante la perfezione fisica!
Alcool e sonniferi in eccesso ti portarono, o corpo ideale, per così dire nelle braccia della morte, in questo caso riluttante!
Eri ancora capace di fare la verticale sott’acqua, di camminare all’indietro sui trampoli, eppure, Peter, c’era già la morte al tuo fianco, profondamente afflitta, che scrollava il capo! Non si lasciava incantare dalle tue elasticità fisiche, mai viste da che mondo è mondo, ti guardava, disperandosi, nel cervello e nel midollo spinale, e scrollava il capo! Quanto più elastico il mio perfetto corpo sessantenne, tanto più paralizzati cervello e midollo.
La morte disse: «Perché ti sei autodistrutto a poco a poco, sicché sono costretta mio malgrado a stare dinanzi a un “cadavere vivente”, questa volta contro il mio desiderio e la mia volontà!?!».
Io risposi: «Era mio destino, e tu, o morte, non hai alcuna colpa di questa ineluttabile catastrofe della mia esistenza! Vieni e conducimi nel luogo che ormai mi compete per l’eternità!».
3. 8. 1918
Mi sento completamente abbandonato, isolato, messo in un canto. Non che abbia mai nutrito ambizioni esagerate in rapporto a una organizzazione abbastanza modesta, questo no. Ma la usualissima vita del giorno e dell’ora non ha concesso a me, ipersensibile, nulla, assolutamente nulla. Valevo forse meno di molti altri?! No, valevo di più! Pensavo cose giuste, avevo una sensibilità troppo profonda e desideravo portare aiuto, per puro altruismo. Avevo fatto delle esperienze, esperienze dolorose, e il mio più ardente, quasi patologico desiderio era che gli altri ne traessero vantaggio! Purtroppo non ci sono riuscito, ognuno è andato per la sua strada, per la sua stupida, brutale e banale strada. Nessuno mi ha seguito, sebbene lo suggerissi con amabile, ansiosa, amorevole insistenza. Nessuno ha voluto o potuto imboccare la strada giusta, tutti hanno seguito il loro tragico destino. Perché sono isolato, abbandonato?! Nessuno «vuole attingere al suo Io migliore», forse accadrà dopo la mia morte, quando sarò spento definitivamente e si crederà alla mia «premura altruistica». La «materia» è troppo sorda, inerte, ostinata, ottusa, rigida e incapace di sviluppo, per lasciarsi rigenerare dallo «spirito» e dalle splendenti innovazioni! Essa striscia al suolo sotto il peso dei suoi plumbei pregiudizi, e quando è troppo tardi per una più profonda conoscenza, non c’è più niente da fare. È questo il tormento del filantropo.
Ognuno si avvia barcollando nel proprio abisso. L’osservatore obiettivo è disperato, ma non può aiutare, né proteggere, né salvare. Può solo contrapporsi violentemente e perciò diventa una persona scomoda. Un tragico destino non poter aiutare mai, da nessuna parte. Alcuni, specialmente le ragazze, ascoltano con tensione, stupore, interesse. Ma la vita del giorno e dell’ora malvagia spazza via di nuovo tutto. Sono pochi i «santi» che trasformano e migliorano radicalmente la loro vita dall’interno. Sulla maggior parte degli uomini arte, scienza, esperienza privata fanno presa come l’olio sull’acqua. Molti per sfuggire alla vita indecifrabile si rifugiano in convento, molti insorgono con vana arroganza e subiscono la loro inevitabile sconfitta.
8. 8. 1918
7 del mattino. Per fortuna l’aria è fresca e umida, una specie di immeritata grazia del destino, una specie di salvezza da mille afflizioni. Il termometro davanti alla finestra segna 12 gradi e mezzo, la mia temperatura ideale. È un grigio, opaco giorno da suicidio senza le necessarie conseguenze. La stupidissima speranza che un giorno il tutto possa diventare più chiaro, più gradevole, più accettabile, più sopportabile ancora non è strozzata. Nel cadavere c’è ancora un poco di vita. Giungono lettere di apprezzamento del mio ultimo libro (Vita ipsa), lettere di apprezzamento per colui, per coloro che l’hanno scritto, pensato, sentito! Ma non per me. Io faccio quel che posso e devo fare. Poco, piuttosto poco. La mia graziosa e devotissima cameriera ventitreenne lavora per gente del tutto estranea dalle quattro del mattino alle undici di sera. Mai un apprezzamento. Compie il suo dovere quotidiano senza lamentarsi, anche se non è allegra. Nessuno le dice mai: «Oggi la stanza era rassettata con particolare cura, non c’era neanche un granello di polvere!». Con automatica genialità assolve i suoi impegni indifferenti, forse addirittura ripugnanti, per i suoi poveri giovani nervi. Ha eliminato la riflessione su questa «maledetta» esistenza. Come si fa?! Ci vuole quasi la forza di un genio. «Accontentarsi in silenzio» è religioso e geniale. Cosa sarebbe diventata in condizioni di vita più favorevoli?! Un’etera annoiata. Quando una domenica su due si lava, si pettina e si veste con cura per andare in qualche posto, tutta speranzosa, solo allora abbandona le spoglie della paziente, nobile, compassionevole, distinta, dolce e persino desiderabile ragazza. Prende contatto con un mondo che non è un mondo. La sua allegria piena di speranza è ingannevole e tragica, un vuoto, vano stordimento. Quando la sera s’abbandona stanca nel suo lettuccio è troppo esaurita per poter riflettere sui suoi numerosi errori e sulle sue disillusioni. Il mattino la ritrova attentissima cameriera. I «veli della presunta libertà» sono caduti, nessuno le dà un soldo con spontaneità, o per un impulso generoso, o per qualsiasi altro motivo; tutto quello che ha se lo guadagna con serietà e fatica. Quale delle tue vite è più comoda?! Non mi crederai, ma io dico quella tua attuale. Libera dal pallore tragicamente inibitorio del pensiero, compi il tuo dovere canticchiando quasi rosea. Ogni quindici giorni ti ho visto come una «regina detronizzata» (non lo eri forse?!) e il martedì di nuovo amabilmente e umilmente sottomessa!
Non sopporto più nessuno all’infuori di me stesso, una tendenza dei miei nervi che in verità è grottesca. Ma che ci posso fare?!? Questa lotta, sia pure interiore, con mondi estranei del tutto ottusi ma in apparenza comprensivi, è atrocemente logorante. Tutti dubitano di continuo della tua personalità eccentrica, cercano di ritagliarla e adattarla a una misura comprensibile! Nessuno legge con attenzione e interesse come i personaggi di Knut Hamsun. Ciascuno, adagiandosi nell’errore, considera l’altro come un suo pari! Perciò scappa, eccentrico, là dove nessuna contraddizione ti possa trascinare fuori dall’equilibrio delle tue necessità psicologiche e intellettuali! Tu non hai bisogno né di amore né di apprezzamenti, hai solo bisogno di tacita tolleranza e sopportazione per le tue inevitabili, presunte stravaganze! Se un riconoscimento venisse, sarebbe un’eccezione, ma esso non viene! Tu puoi, tu devi esistere anche senza questa eco, in questo mondo equivocante. Amen.
2. 11. 1918
Vivere ancora abbastanza da vedere il mio ultimo libro!99 A che pro? Ma perché no? Per gli altri, non per me, perché io mi conosco!
Gli uomini intorno a me sono del tutto ottusi, quasi un’altra razza che vuole dimenticare le proprie nullità stordendosi con qualcosa. Suicidi che cercano una via d’uscita più comoda. Ma è davvero una via d’uscita?!? Gli uomini (?!?) che ci circondano sono bestie completamente stupide, ottuse, malvage, pronte a distruggere di proposito o a mettere in dubbio ciò che di meglio ciascuno di loro ha nella vita.
Nessuno ti protegge da te stesso, al contrario tutti gioiscono della tua imminente rovina. I loro consigli sono perfidi e idioti, in ogni caso vengono da un mondo che non è il tuo, né, grazie a Dio, potrebbe mai esserlo! Perché dunque lottare, perché esistere?!? Semplicemente perché non si ha il coraggio di staccarsi da questo idiota, insolente, indecoroso, spietato, stupido mondo! Queste eterne, penose, miserabili, vili concessioni di uomini veri ai mostri! Non ci sono purtroppo tanti calci quanti ne sarebbero necessari per tener lontana da sé la «marmaglia»! Ma proprio là essi si attaccano di preferenza.
Odio gli uomini che non sono uomini! Parlano di denaro, di donne, e di appagata, faticata ambizione. Mai un’osservazione obiettiva. Sempre: «La mia sala da pranzo, il mio salotto, mia figlia – – –».
Vi colga la spagnola, questa nuova, imperscrutabile, misteriosa malattia! Dunque dovesti scomparire a ventotto anni, pittore Egon Schiele! Due giorni prima, nel suo fragile e sfavillante lettino d’ottone scomparve per la stessa malattia la tua dolce moglie ventiduenne che sembrava una silfide. Naturalmente non avresti mai raggiunto alcunché di particolare, anzi avresti continuato a disegnare sempre le stesse ragazze quasi morte di fame, deformi, decisamente abnormi, mai e poi mai ideali veramente smaterializzati. Il tuo idealismo non aveva forza, la tua forza non aveva idealismo! La tua fatica fu tragica, appunto perché in nobile e vano conflitto con forze artistiche di cui non eri provvisto a sufficienza. Ma comunque volevi, volevi qualcosa di cui certo non si accorse nessuno se non gli snob, che per definizione non s’accorgono mai di nulla! La «febbre spagnola» ti ha risparmiato tutte le delusioni. E le ha risparmiate forse anche a lei, la tua delicata sposa ventiduenne simile a una silfide nel suo sfavillante lettino d’ottone. Non si è artisti perché si desidera o si vuole esserlo, ma soltanto perché si deve esserlo, per grazia, o più spesso per disgrazia di Dio. Non c’è niente di meno artistico della volontà nell’arte, l’arte deve scaturire dai misteri dell’inconscio totale! La «febbre spagnola» cancella in modo atroce e amorevole le tue tormentose ambizioni! Già da tempo, infatti, eravate completamente incurabili a causa di questa malattia insignificante e salvatrice, così come la maggior parte degli uomini! Solo che il loro istinto di conservazione è più forte, per loro disgrazia, ma ciò emerge soltanto dopo molti anni! Ciascuno si porta perpetuamente in sé il suo pezzetto di «febbre spagnola»!
7. 11. 1918
Per undici mesi, a causa di una doppia frattura del polso e conseguente necessario avvelenamento da sonniferi, ho creduto di non essere più «P.A.», mi consideravo dunque perduto, rovinato. Ma oggi ho visto nel negozio di specialità gastronomiche T. una ragazza che mi ha trasformato all’istante in un giovanetto entusiasta, o meglio di nuovo in P.A.! Lei serviva come servono le altre commesse, ma già il suo modo di venire incontro allo spudorato egoismo degli estranei, di riequilibrarlo addirittura col suo comportamento nobile e dignitoso era commovente e toccante! O voi, ricche signore, che ne sapete voi della più intima cultura della vita?!? Prima della mia morte, sperabilmente prossima, voglio renderle onore con animo intenerito. Grazie a lei dopo tanti anni sono ridiventato «P.A.», un uomo esaltato, entusiasta, appagato. Sebbene lei non facesse altro che affettare salsicce di fegato d’oca, con la sua dolce, nobile, goethiana espressione del viso mi ha reso all’istante quello che non ero più da molti anni, il P.A. da tanto tempo spento, in rovina! Salute a te, o sconosciuta!
20. 12. 1918
Evitare assolutamente contraddizioni e disperazione psichica: la vita non dura comunque tanto a lungo, accetta l’inevitabile, altissima economia di forze nell’ambito dell’igienico! Mens sana in corpore sano!
Kurella, due cucchiaini colmi al giorno, mescolare con poca acqua fino a formare una pasta, aggiungere poi ancora un po’ d’acqua! Non stancarsi mai per qualcosa, castità assoluta, il fumo solo un passatempo, non un bisogno! Evitare nella maniera più rigorosa ogni pensiero che dia preoccupazione, il bue nella stalla sia il tuo modello ideale. Fino al momento di andare al macello non si preoccupa neanche per un istante del suo ineluttabile destino. Riflettere, lambiccarsi il cervello paralizza le scarse energie vitali che forse esistono ancora. Rassegnarsi al proprio destino può essere una salvezza! Ogni riflessione triste e spossante è distruttiva, arrenditi docilmente al destino, solo così puoi salvare le scarse energie vitali che ancora ti rimangono!
Il malato cerca patologicamente i mezzi che possono mitigare la sua eventuale, ancora possibile guarigione. Il medico non ha idea alcuna di questi profondissimi misteri, ma guarda ad essi con l’occhio criminale e distruttivo di un tiranno spietato. Nulla può ancora salvarti dall’orlo del tuo precipizio se non la tua stessa conoscenza che deve rimanere celata a chiunque altro! Vivi la tua, soltanto la tua vita! Quei pochi che potrebbero liberarti dalle trappole della vita che tu stesso hai teso, sono esseri troppo deboli e incerti, temono la responsabilità e perciò preferiscono lasciarti perire, oppure ti danno dei consigli pericolosamente errati. Nessuno può leggerti dentro, gli altri, sia pure in buona fede, ti consigliano in modo deleterio e superficiale! Ti rovinano senza riflettere e con bonarietà, addirittura con amore. Sono animati da buone intenzioni nei tuoi confronti! Meglio sarebbe che le loro intenzioni fossero cattive, ma cogliessero nel segno! Il medico ha la perfida e perniciosa megalomania che si addice alla sua posizione esteriore, e questo ti intimidisce e ti porta alla rovina! «Non saper nulla» dovrebbe essere il suo compito sacro e rispettabile! Ma sapere fa parte del suo mestiere, e anche se dovrebbe sapere che non può sapere nulla, preferisce mandare in rovina gli sventurati che non sanno aiutarsi da sé.
La genialità della tua organizzazione più segreta è imperscrutabile per chiunque! Nessuno ti crede, sebbene sia impossibile che gli altri la conoscano, e questa soltanto è la tua rovina. E anche quella di tutti gli altri!
23. 12. 1918
La notte. L’una prima della vigilia di Natale. La fine della mia vita di uomo e di poeta.
Un’orribile fatalità del mio cervello completamente patologico, per disgrazia di mio padre e di mia madre! Simili esseri eccezionali non dovrebbero mettere al mondo dei bambini, nei quali poi naturalmente la maledizione fisico-psichico-intellettuale dell’esser diversi da tutti i milioni di altri bambini che ti circondano, assurge subito a una dimensione incommensurabile, altamente tragica perché altamente innocente, e insormontabili abissi si aprono dappertutto intorno a te, in tutte le sfere e in un modo o nell’altro ti devono annientare!
I genitori hanno dei sacri doveri nei confronti di quelli che essi introducono senza motivo in questa medioevale-idiota-raffinata camera di tortura che si chiama «Vita». Cosa immaginavano i miei genitori, quegli idealisti a metà o in sedicesimo (soprattutto antisessuali e fanatici amici della natura – mio padre, commerciante, trascorreva sei settimane di ferie ogni anno come un vero taglialegna, di cui portava anche il costume originale, sull’alpe Lockerboden del conte «Hoyos», estraniandosi totalmente «dal mondo» in modo geniale – originale), cosa immaginavano i miei genitori dell’insormontabile maledizione dell’«idealismo totale» che essi avevano dato e donato all’infelice primogenito, proprio perché perfetto nel corpo e nell’anima? Questo fanatico amico della natura, sempre alla ricerca dei piani e del volere di Dio, quest’uomo eternamente disilluso e intimamente ingannato fu costretto a diventare «poeta», cioè a fallire ignominiosamente e con infiniti tormenti in questo mondo, in questa vita, tra questi uomini!!! Fu il dono della disgrazia di genitori patologici! Egli cercò quindi istintivamente, come spinto da una maledizione ereditata dai suoi genitori, la verità, il romanticismo, il più profondo entusiasmo per ciò ch’era degno d’entusiasmo! A che pro?! È questo il fine di uno che si trascina a fatica – che vacilla senza sostegno, malato di nervi e povero in canna?! O genitori malati di un figlio ancora più malato, un figlio che fu costretto così a percorrere da solo la via del dolore che è propria di un poeta inflessibile, per motivi profondi e insormontabili, a ciò destinato da una sorte ineluttabile, funesta, fatale, che lo ha portato alla rovina!? L’entusiasmo consumò fino in fondo le sue scarse energie vitali, che certo avrebbero dovuto essere utilizzate per la naturale «lotta per l’esistenza»! Il crollo, alquanto prematuro, fu totale, e avvenne poco prima del sessantesimo compleanno che cadeva il 9 marzo 1919; si era ridotto a un «cadavere vivente» che bisognava lavare e al quale bisognava annodare la cravatta e prendere un fazzoletto pulito dal cassettone. E altro ancora. Si trovarono ancora tre «sacre adoratrici», Johanna St., Josephine Kirchoff e Liana Ertl che gli dedicarono il loro sacro altruismo. Ma anch’esse, com’è naturale, sentivano il peso del dovere e del lavoro e non era giusto che crollassero anch’esse sotto il peso della mia sacra esistenza. E tuttavia salvarono la povera tremolante fiammella di questa vita martoriata di peccatore e di poeta che andava spegnendosi, per quanto era comunque nelle possibilità di queste tre sacre donne, moderne sante, dalle anime dolci e disinteressate.
DI NOTTE 27 DICEMBRE 1918
Avverti dunque finalmente la morte, tu
colpevolissimo P.A., nonostante la tua
anima di poeta che cantava così en passant, avverti un fenomeno
maligno – perfido – giusto,
che compensa ogni peccato
della tua forsennata esistenza,
la senti la morte che si avvicina finalmente strisciando
e, strozzando d’un tratto spirito e mente,
si impadronisce
della tua anima profonda,
per caso ancora piena di slancio e in possesso
di giovanilissime elasticità?!?
Josephine K., Johanna St., Járo Fürth, le due v. Gomperz e Else Körber resistettero ancora accanto a questo «cadavere della vita, vivente e paralizzato».
«P.A., cadavere vivente, per quanto ancora, non lo so!?».
Nessuno si diede pena di conoscermi a fondo, mi diedero invece, ammantandosi della subdola parola «amicizia», presunti buoni consigli, per me in sommo grado deleteri! Guai a colui che non guarda con seria attenzione a nature a lui estranee, sconosciute, anzi veramente avverse! È un assassino in buona fede, dunque dieci volte assassino! Chi può ancora aiutarmi, se non la natura, il destino e il caso?!?
Gli uomini mai. Essi sono pieni di delittuosi pregiudizi, e il loro semplice veder chiaro è perciò stesso intorbidato, impedito per l’eternità!
Vuoi seguire coloro che sotto il pericolosissimo manto dell’amicizia ti indicano le loro strade, anziché le tue?!? Perché nessuno ha rispetto per la tua vita, che non è la loro?!? Conoscere a fondo, esplorare un organismo ignoto – – – Chi è in grado di farlo, chi vuole farlo, con sommo amore, riguardo, saggezza?! Il poeta, soltanto, soltanto il poeta!
UNA DOMENICA (29. 12. 1918)
Sedevano tutti intorno a lui nel piccolo, caro caffè coi parati giallo bruni, e tutti, tutti eravamo desiderosi di aiutarlo, e nessuno, naturalmente, aveva la più pallida idea di quali impercettibili distruzioni si verificassero senza posa in quel cervello e midollo spinale distrutti (cadavere vivente!), minati dall’eccesso di sonniferi (paraldeide), mentre tutti gli altri organi erano, nonostante i sessant’anni, perfettamente sani. Bevevano tè con succo di lamponi, cioccolata, caffè, mangiavano pane imburrato, e uno addirittura pane burro e prosciutto. Nessuno immaginava cosa c’era di distruttivo e di deleterio nel poeta, ma tutti volevano, naturalmente nel modo più impacciato possibile, aiutare quell’organismo strano, particolarmente per loro, per il loro stesso essere e cercare, sperare e disperare, anzi per tutta la loro esistenza, ahimè complicatissima e misteriosa ai loro stessi occhi; volevano insomma salvare lui dagli abissi della sua vita, in un certo senso in nome della propria! Invano.
Egli s’era cacciato troppo profondamente nel peccaminoso pantano dei suoi sonniferi, e la sollecitudine dei suoi pochi, autentici amici non fece quasi presa su di lui, scivolò via come palline di mercurio da una lastra di vetro!
Sedevano tutti angosciatissimi intorno a lui nel piccolo, caro caffè coi parati giallo bruni, bevevano tè con succo di lamponi, cioccolata (1918!), piccole birre al doppio malto di Schwechat e altro ancora, volevano aiutarlo, aiutarlo, aiutarlo, e tuttavia non avevano la minima idea di come il poeta, pur essendo vivo, venisse distrutto dall’interno nella sua essenzialità! Non c’è aiuto, né amicizia, né altruistica dedizione che ancora potrebbe salvarlo, dato che il suo cervello, renitente a tutto, sembra rifiutare quasi di proposito, per propria morbosità, quella che ancora potrebbe essere la sua salvezza! Tutti, dunque, in certi periodi ti abbandonano profondamente delusi, e tu sei costretto a sopportare e a vivere in solitudine le tue ultime pene! Non trascinerai nessuno con te nell’abisso della tua vita, o meglio della tua morte, tutti, uomini e donne, nell’ultima ora d’angoscia fuggiranno davanti a te, uomo segnato, dato che non potrebbero fare per te più di quello che hanno già fatto! Addio, infelice poeta, che donò a tutti noi la sua anima e si rovinò con le sue stesse mani!
Addio!
APPUNTI DI DIARIO
Cura di rigenerazione. Inizio 7. 2. 1918: sandali e pediluvi benefici. Refrigeri del capo. Dietetica dello stomaco. Dietetica dell’intestino. Dormire con le finestre spalancate! Rheum et magnesia usta. Natura, spirito, anima, aria fresca, asciugarsi. Gustav Klimt è morto il 6. 2. 1918 a 56 anni. Voler valutare o correggere il destino è una follia! Percorri la strada a te assegnata e sparisci!!! P.A.
9. 3. 1918. Cinquantanovesimo compleanno, 6 di sera al cinema Tuchlauben: Erna Morena in La storia di Giulia Tobaldi, insieme col dottor Demant e la cugina Lotte. Ho bagnato di lacrime tutto ciò che c’è da bagnare di lacrime su questa terra per un uomo perduto anzitempo! P.A.
Giovedì, 24. 5. 1918. Annientamento totale. Non ho il coraggio di suicidarmi, dunque mi tocca sopportare una vita che è insopportabile! Peter Altenberg.
25. 5. 1918. La mia vita è assolutamente perduta! Si tratta ormai soltanto di qualche settimana durante la quale mi manterrò in vita artificialmente!
29. 5. 1918. Chi non è ben lavato interiormente come lo è esteriormente (mani, piedi, viso) è un gran criminale nei riguardi dell’ingranaggio intellettuale e psicologico della sua vita. Oltre a ciò diventa un uomo cattivo e senza cuore.
7. 6. 1918. Dopo cinque mesi di doppia frattura ai polsi e avvelenamento da paraldeide, apprendo ora che mi hanno tolto la mia cena gratuita. Completa distruzione organica del mio sistema nervoso, profondissima melanconia, costrizione del poeta. Destino, sei dunque più forte del mio spirito.
11. 6. Convalescenza, ma non salute. La macchina si è inceppata da qualche parte! Peccato! P.A.
12. 6. I «sollievi» sono esauriti. Gli ingranaggi si bloccano nonostante tutto. Disperazione. Scrivo i miei ultimi schizzi per informare gli altri. È questo il mio naturale e ineluttabile dovere –! Ciò che ho appreso meglio e più giustamente devo trasmetterlo agli altri! Norma del proprio spirito, della propria anima. P.A.
14. 6. 1918. Per la prima volta nella mia vita mi sveglio col «mal di denti». Il 9. 3. 1919 compirò sessant’anni. Ciò che avevo da dire agli altri l’ho detto. Spero in modo accettabile! Dunque devo «resistere» fino al 9. 3. 1919, sebbene mi sia invero già quasi impossibile.
14. 6. Da anni si abusa della mia ideale e moderna capacità di intrattenere la gente in società, specialmente la sera dalle otto alle dodici. Ora sono troppo anziano e malato, non posso più dedicarmi a questa occupazione unilaterale. Che paghino per la mia personalità e le mie iniziative! Sono «a buon mercato», 100 corone al mese!
17. 6. Eterna gratitudine per la diciottenne E.K. che mi ha curato altruisticamente per sei settimane. Oggi 17. 6. lei inizia un nuovo lavoro che io le ho procurato.
26. 6. 1918. Dalle dieci di mattina alle due del pomeriggio improvviso sollievo dopo sei mesi di lunghe, incommensurabili sofferenze! Con profonda gratitudine per il benigno destino! P.A.
29. 6. Comincia oggi una nuova cura di rigenerazione!
OGNISSANTI 1918
Possa io, disperato della vita, riuscire ancora a vedere il mio ultimo libro, Sera della mia vita, per il mio sessantesimo compleanno che cade il 9 marzo!!! Mi sento già completamente inabile alla vita. Vivere fino al mio sessantesimo compleanno e poi andarmene! Possa Georg tenere in buona custodia le mie cose!
PRIMA DELLA VIGILIA DI NATALE
L’una di notte, 23. 12. 1918. La fine della mia vita di uomo e di poeta. Costretto a percorrere la via del dolore segnata da un giudice inflessibile. Costretto da motivi profondi, a ciò destinato da una sorte ineluttabile, funesta, fatale, che lo ha portato alla rovina!?100