IDILLIO
Singolare, questo «amore borghese», mai una vetta, e ogni attimo stracolmo di un dolce dovere. Si scrivono sempre, sempre, non dimenticano mai nulla, neanche i più piccoli dettagli della vita quotidiana. Per esempio: «Pensa, Karl, oggi a mezzogiorno abbiamo mangiato il budino alla panna con succo di lamponi, il tuo dessert preferito!». Oppure: «Ieri sera non mi sono sentita molto bene, ma già stamane era passato tutto». Oppure: «Tu mi manchi in ogni momento, mi manca dappertutto la tua tenera apprensione!». Si scrivono continuamente per non uscire, per carità, dal tiepido prolungato bagno della loro insulsa comunanza! Un vuoto nulla si trasforma per loro in un problema vitale, uno dei due deve sempre salvare l’altro da una qualche fatale, difficile situazione; per esempio, qual è il modo migliore di far lavare qui le camicie inglesi, senza il rischio di – – –. Non riesco a capire come due persone possano giocare questo ruolo sino alla fine della vita!? C’è un misterioso mastice di importantissime inezie, una perfida solidarietà, un far resistenza contro il mondo con le sue centomila complicazioni, una geniale politica dello struzzo dell’anima! Vogliono vedere soltanto ciò che a loro fa comodo vedere! Se almeno si trattasse di un cane fedele; ma si tratta di esseri umani, esseri umani?!? Amore che non è amore, attenzioni che non sono tali, preoccupazioni senza essere preoccupati, gioie senza essere allegri. E vogliono essere invidiati e apprezzati! Oscar Wilde, Paul Verlaine, e voi altri mostri della vita siate lodati e benedetti! August Strindberg era un anarchico con un’«anima borghese»! Questa è stata la sua sventura! Bisogna essere anarchici con un’anima anarchica!
COLAZIONE A KLAGENFURT
Le sei. Nel giardino del caffè ci sono sei castagni secolari. Su una enorme e piatta vasca di granito c’è una ragazza quindicenne di bronzo tutta nuda che si asciuga i capelli. Lungo i capelli, intrecciati con le piccole mani, gocce d’acqua scorrono lente e ininterrotte nel bacino di granito. Il viso dolcissimo mi ricorda lei. Guardo il suo viso, e poi, ad un tratto, un’altra parte del suo splendido corpo.
Ed ecco, quel viso è lei, lei, diversa da tutte. L’altra parte invece sono Tutte, Tutte, Tutte. Torno a guardare una parte e poi l’altra, e comprendo la tragedia della nostra vita!
COSÌ DIVENNI QUEL CHE SONO
Ero seduto nel trentaquattresimo anno della mia scellerata vita (altri dettagli non sarebbero adatti a un quotidiano) nel Café Central, Vienna, Herrengasse, in una sala con parati inglesi di colore giallo oro. Davanti a me lo «Extrablatt» con la fotografia di una ragazza quindicenne scomparsa per sempre mentre si recava a una lezione di pianoforte. Si chiamava Johanna W. Profondamente scosso scrissi su un foglio in quarto lo schizzo «Cronaca locale».89 In quella entrarono nel caffè Arthur Schnitzler, Hugo von Hofmannsthal, Felix Salten, Richard Beer-Hofmann, Hermann Bahr. Arthur Schnitzler mi disse: «Non sapevo proprio che lei poetasse!? Vedo che scrive su un foglio in quarto con davanti un ritratto, questo mi insospettisce!». E si prese il mio schizzo «Cronaca locale». La domenica seguente Richard Beer-Hofmann organizzò una «cena letteraria» e al momento del dessert lesse il mio schizzo. Tre giorni dopo Hermann Bahr mi scrisse: «Ho sentito leggere a casa di Richard Beer-Hofmann il suo schizzo su una ragazza quindicenne scomparsa. La invito a inviare al più presto contributi per il mio nuovo settimanale “Die Zeit”». In seguito Karl Kraus, detto anche «Fackel-Kraus»90 perché agita la fiaccola della sua collera faceta e geniale per bruciare il mondo corrotto o almeno «purificarlo col fuoco», inviò al mio attuale editore, S. Fischer, Berlin W., Bülowstrasse 90, un pacco di miei «Schizzi» raccomandandomi come un personaggio stravagante, un genio, un diverso insomma. S. Fischer pubblicò le mie cose, e così divenni quel che sono! A pensarci bene, da quali coincidenze dipende il destino di un uomo! Non è vero?! Se quel giorno nel Café Central avessi scritto la lista dei caffè non pagati da mesi, Arthur Schnitzler non si sarebbe entusiasmato per me, Beer-Hofmann non avrebbe dato certo una Soirée letteraria, Hermann Bahr non mi avrebbe scritto. Karl Kraus, certo, avrebbe mandato comunque il mio pacco di schizzi a S. Fischer, poiché lui è un «originale», una persona «non influenzabile». Eppure, tutti insieme mi hanno «formato». E cosa sono diventato?! Uno scroccone!
LOCA MINORIS RESISTENTIAE91
Ogni organismo ha il suo cosiddetto «tallone d’Achille», vale a dire un punto in cui è molto sensibile e facilmente vulnerabile! Io per esempio ho il mio tallone d’Achille nel cervello, ma non, come crederanno i miei malvagi e perfidi amici (i nemici sono molto più benevolmente disposti, in quanto condannano qualcuno globalmente e una volta per tutte), nella parte dov’è localizzato il pensiero, ma in quella misteriosa parte del cervello dove ha stabilito la sua sede diabolica l’invidia, e precisamente l’invidia per gli uomini che posseggono più capelli, più soldi e meno intelligenza di me, tre qualità dunque che le donne apprezzano particolarmente! Non appena scorgo da qualche parte un simile mostro che possiede più capelli, più soldi e meno intelligenza di me, mi sale subito, come si dice in gergo, il cosiddetto «sangue alla testa», e penso soltanto alle pistole Browning, all’arsenico o allo scudiscio per il cane, da usare naturalmente sull’altro! Considero la mia amante, che finora mi idolatrava, come già definitivamente perduta e mi accingo a picchiarla di santa ragione senza alcun motivo! Questi sono dunque i miei «loca minoris resistentiae», vale a dire, in tedesco, quelle parti del nostro complicato organismo che reagiscono agli stimoli con particolare sensibilità, e cioè subito! Simili parti molti le hanno nei riguardi dei camerieri e dei barbieri che li servono male; sebbene, in tali casi meno pericolosi, una mancia più generosa renda perlopiù buoni servigi.
PERFEZIONE
Perfezione è al giorno d’oggi una parola del tutto fraintesa. Si dice: Gustav Klimt, il perfetto pittore moderno; la signora Bahr-Mildenburg, la perfetta interprete wagneriana; il consigliere superiore ai lavori pubblici Otto Wagner, il perfetto architetto; Peter Altenberg, il perfetto scrittore di schizzi! Ma perfetto può essere chiunque, in qualsiasi cosa! Un venditore di arance può essere perfetto, se riconosce con sicurezza infallibile già dall’esterno, cioè dalla buccia, il sapore, la succosità, la percentuale zuccherina delle arance e dei mandarini! Un venditore di caldarroste può essere perfetto se è in grado di accorgersi quando e in quali circostanze le sue castagne si abbrustoliscono di un bel colore giallo oro senza indurirsi e prendere un colore brunastro. Un barman può essere perfetto, una donna che ama, un fox-terrier col pelo ruvido, una lavandaia di camicie, un commesso nel suo modo di servire, una stenografa, in breve: tutti, tutti, tutti, purché raggiungano la perfezione nel loro campo! Alla malora le ditte registrate del successo comune; evviva gli sconosciuti che mentre si lavano e si vestono cantano divinamente senza per questo essere ingaggiati all’Opera di Corte! Viva gli eccezionali tessitori e fabbricanti di panni, viva l’industria domestica croata, bosniaca, ungherese, scozzese, irlandese, danese, svedese! Ciò ch’è perfetto è perfetto, dovunque e comunque si realizzi! Solo l’imperfetto, se pure proviene da una «ditta registrata, accreditata», vada in malora, in malora, in malora!
STRASCICO D’INVERNO
9 marzo. Il mio cinquantatreesimo compleanno. È caduta di nuovo la neve per tutta la notte, pieno inverno a marzo. Non si può ancora andare in slitta, dato che la neve è ancora soffice come soffici piume d’edredone. L’occhio però non ne sa nulla. Solo le orme dei passi sono grigio brune. Ci sono zero gradi all’ombra. È un quadro invernale, al quale non si riesce bene a credere. Soldati ritardatari di una armata «Inverno»! I miei scarponi da neve, un regalo che il famoso architetto Adolf Loos mi ha fatto cinque anni fa, sono andati smarriti ieri. Il rispettabile ladro forse non ha fatto i conti con questa ricaduta d’inverno che ora mi mette in imbarazzo! Essi mi erano cari, sebbene non mi fossero costati nulla. Per cinque anni ho avuto l’ambizione di non farmeli né scambiare né rubare. Il cameriere mi diceva spesso: «Lasci pure dove vuole i suoi scarponi da neve, non gli succederà nulla!». Ebbene, in effetti non gli è successo nulla, hanno soltanto cambiato proprietario. Possa lui trattarli delicatamente e premurosamente quanto me, e possa io trovare presto una nuova fonte di scarponi da neve! Una persona ha già fatto una leggera allusione, ma è risultato poi che voleva solo comunicarmi che questo strascico d’inverno non può comunque durare molto a lungo, e che perciò bastano delle comuni galosce. Quando gli ho replicato che non possiedo neanche quelle, lui ha dichiarato che le galosce sono poco igieniche e impediscono la traspirazione. Dunque in questo splendido inverno festeggio il mio cinquantatreesimo compleanno. Non pioverà denaro, poiché non sono una Danae. Ma nel cattivo bilancio dell’anno 1912 una partita in attivo nella mia vita devo pur registrarla: «Strascico d’inverno a marzo sul Semmering e un romantico “amore petrarchesco”!».
L’atmosfera è serena, qui, bastoni da montagna di nocciolo scambiati, scarponi da neve scambiati, donne scambiate sono gli unici avvenimenti di rilievo. Ma ci si adatta a tutto. Una signora mi ha detto: «Vede, questo signore da lei ieri così lodato non è affatto un Gentleman. Pensi che di sera mette i calzini di lana con le scarpe di vernice scollate!». – «Pardon,» risposi «tutto preso com’ero dal mio entusiasmo non me ne sono accorto!». – «Un così acuto osservatore come lei, signor Altenberg?!». – «Sì, anche noi siamo soltanto poveri mortali che sbagliano!».
LA FELICITÀ
Per anni avevo aspettato invano la felicità. Finalmente essa giunse e si sedette confidenzialmente sul mio letto. Aveva un incarnato bruno dorato come le giavanesi, mani e dita lunghe e sottili, gambe di gazzella e dita dei piedi lunghe, mobili. Io le dissi: «Dimmi, sei davvero tu, sei davvero e finalmente tu la felicità, così a lungo agognata e alla quale ho rinunciato con dolore?!?». – «Ti scriverò domani, se lo sono veramente o no. Giudicherai tu stesso – – –».
La mattina successiva trovai un biglietto con su scritto «Addio, addio per sempre – – –». Dunque era stata proprio e veramente «la felicità»!
CASA DI CURA PER
MALATI DI NERVI
(ma non quelle in cui son stato io!)
Visita del mattino
Il dottore, lo sguardo serio e indagatore di un pubblico ministero, è seduto davanti a una enorme scrivania.
Il delinquente (paziente) entra.
«Prego, si accomodi – – –».
Pausa, durante la quale il pubblico ministero (medico) squadra il criminale come per accertare se abbia una paralisi o stia simulando – – –.
«Dunque, mio caro Peter Altenberg, io la conosco già da molto tempo attraverso i suoi interessantissimi libri, e mi permetto perciò di tralasciare per un uomo famoso come lei il convenzionale “Signor”. A proposito, pare che le sue ammiratrici la chiamino proprio “P.A.”! Per ora io non oso servirmi di questa abbreviazione onorifica – – –.
«Ma veniamo al sodo! Dunque, mio caro Peter Altenberg, cosa prendiamo per colazione?!?».
«Noi?! Non ne ho idea. Io per me prendo caffè, un caffelatte chiaro – – –».
«Caffè?! Ah, è così?! Caffè dunque, “caffelatte chiaro” – – –?!? E va bene, caffè – – –!».
«Di grazia, è la mia bevanda consueta, alla quale sono abituato da trent’anni – – –».
«Benissimo. Lei però si trova qui per disabituarsi dal suo precedente stile di vita, che finora non pare le abbia giovato gran che, o meglio, per acquisire l’energia necessaria a intraprendere, almeno gradualmente, quelle trasformazioni del suo abituale, forse fin troppo abituale, stile di vita!?! Comunque, per ora beva pure il caffelatte. Ma perché questa decisa avversione per il tè?! Anche il tè si può bere allungato col latte – – –?!».
«Certo, ma io sono abituato al caffè col latte – –».
«Signor Altenberg, ha un motivo particolare per ritenere il tè al mattino non confacente al suo sistema nervoso?!?».
«Sì; il tè non mi piace – – –».
«Ah, è quel che volevo sapere. Dunque, mio caro signore, con cosa lo prende questo suo così amato e a quanto pare insostituibile “caffelatte”?!?».
«Con cosa?! Con niente!».
«Ma come, qualcosa di consistente dovrà pur prenderlo! Un caffè solo non può piacere a nessuno – – –».
«No, io non prendo nient’altro, a me piace solo un caffelatte e nient’altro – – –».
«Ebbene, mio stimatissimo signore, questo da noi non è possibile. Lei dovrà essere cortese e farmi la concessione di due panini imburrati – – –».
«Odio il burro, odio i panini, ma ancor più odio i panini imburrati!».
«Dunque, cercheremo di vincere quest’odio. Son riuscito a spuntarla in casi ben più difficili, mio caro – – –. Bene, ora vada pure felice e contento a fare colazione in veranda. Ancora una cosa: È solito riposarsi dopo la colazione?!?».
«Dipende – – –».
«Dipende non esiste. O va a fare un riposino oppure fa un po’ di moto – – –».
«Bene, allora mi riposerò – – –».
«No, allora farà una passeggiata di mezz’ora – – –!».
Il delinquente lascia barcollando l’ufficio e va sulla veranda a far colazione, per iniziare a scontare la pena aggravata da due panini imburrati.
Alcuni giorni dopo. Il pubblico ministero: «Dunque, vede, mio caro poeta famoso, ha un’espressione già molto più libera, direi quasi più umana, non così dominata da idee fisse – – –. Le hanno fatto male i due panini col burro?! Ha visto!».
Infatti, non gli avevano fatto male per nitente, dato che li aveva sbriciolati ogni giorno nel cortile del pollaio – – –.
Visita del pomeriggio
«Il signor Peter Altenberg è pregato di recarsi subito dal signor direttore – – –».
«Si accomodi, prego».
«Lo sa che le ho severamente proibito le bevande alcoliche – – –».
«Sì, signor direttore – – –».
«Conosce questa batteria di bottiglie vuote di slìvoviz?!?».
«Sì, sono mie – – –».
«Le hanno trovate oggi sotto il suo letto – – –».
«Certo, dove altro mai dovevano trovarle?! Sono io che ce le ho messe – – –».
«Come è riuscito a far entrare il veleno nella mia clinica?!».
«Ho corrotto una persona la cui onesta coscienza di fronte a due corone non ha ceduto. Allora gliene ho offerte tre».
«Lei dunque non c’entra in tutta questa faccenda, il colpevole è l’inserviente disonesto. Gli chiederò conto dell’accaduto, sebbene egli lavori qui da venticinque anni e abbia tenuto sempre, per quanto ne so io, una condotta irreprensibile – – –».
«Signor direttore, non mi ha detto proprio ieri che nella sua casa di cura e attraverso la vita sana e regolata che qui si conduce sono ringiovanito di vent’anni e quasi non mi si riconosce più?!?».
«L’ho detto per motivi pedagogici, per rafforzare la sua autocoscienza – – –».
«Signor direttore, posso più tardi mandare a prendere da lei le bottiglie vuote di slìvoviz?!? Per ogni vuoto che restituisco ricevo infatti sei centesimi di deposito – –».
Il direttore, rivolto all’impiegato disonesto: «Anton, come ha potuto, dopo venticinque anni di servizio irreprensibile, lasciarsi corrompere e procurare una tale quantità di acquavite a un paziente, anche se si tratta di un poeta famoso, un uomo originale?!?».
«Ma signor direttore, se per anni non avessi fatto lo stesso con centinaia di alcolizzati, se ne sarebbero andati tutti dopo tre giorni, e in questa clinica non ci sarebbe nessuno!».
«Va bene, Anton, ma d’ora in poi faccia almeno in modo che non si trovino le bottiglie vuote – – –».
«Signor direttore, questo tiro me l’ha giocato l’inserviente Franz, per vendicarsi, dato che guadagno parecchio coi lavori extra – – –».
Il direttore all’inserviente Franz: «Franz, lei si occupi degli affari suoi! Guadagna già abbastanza lasciando che i nostri alcolizzati “corteggino” un po’ le nostre isteriche – – –. A ognuno il suo settore. In una casa di cura deve regnare l’ordine!».
CANZONE D’AUTUNNO
Le foglie degli aceri sono di nuovo giallo oro, nella foresta scura si possono contare uno ad uno gli alberi dorati. Dunque è autunno.
La vidi proprio un anno fa, 25 settembre 1911.
Lei aveva undici anni. Undici! Ma che importa?!?
Il bosco offriva allora tutto ciò che offre oggi e offrirà sempre – – –.
Solo io son diventato più tetro, poiché penso troppo al suo futuro.
Quando la vidi allora, andai nel bosco per dire a me stesso con giubilo: «Hai visto quel che c’è di più splendido al mondo!».
Ora però, profondamente preso di lei, vedo nella fosca foresta autunnale oscure ombre di futuri conquistatori!
O pietà, pietà, signori, per la mia amata bambina!
Non fatele nulla!
Le foglie degli aceri sono di nuovo giallo oro, nella foresta scura si possono contare uno ad uno gli alberi dorati. Dunque è autunno.
RITORNO DALL’APPUNTAMENTO
Salì pel ripido sentiero nel prato,
andò all’appuntamento.
Vidi cespugli bruni sfiorarle le vesti. La seguii con lo
sguardo.
Ben presto i cespugli di lamponi la inghiottirono.
L’aspettavo per l’una meno un quarto.
Ritornò tutta coperta di baci.
Come se la mano destra fosse consacrata,
mi porse la sinistra,
che trattenni sulle mie labbra,
finché non sopraggiunse la tristezza e traboccò – – –.
DOMANDA
Cos’è un poeta?!
Uno che sa già piangere,
quando gli altri sono ancora a cuore asciutto – – –.
Uno che ama teneramente la principessa Sonja Dungyersky di sei anni
così come la ama la sua nonna!
Uno che la sera in montagna acchiappa la sfinge dell’oleandro e la posa in giardino
sull’unico alberello di oleandro che l’ha attirata qui da lontane pianure!
Uno che porta con delicatezza la bruna lumaca ignuda dal sentiero del bosco nel cespuglio – – –.
Uno che regala rose, e le paga coi soldi della cena – – –.
Uno che sfiora la mano amata e prova una felicità da prima notte di nozze!
Uno che soffre, soffre – – –
e tutti dicono: «Ma cosa gli manca per essere felice?!».
Uno che compra la tazza dalla quale lei ha bevuto il cioccolato.
Uno che è un «bombardiere interiore»,
e tuttavia così dolce, così mite e comprensivo per tutto!
Uno che tutti deridono,
e che piangeranno quando non ci sarà più!
LETTERA DI UNA CONTESSA
Caro Peter Altenberg,
perché mi dice queste cose sulla «perfezione divina del mio corpo» che lei vede in ogni caso nudo sotto le vesti?! Pensare che ho già tutti i vizi che il nostro ceto, la nostra spensieratezza, il nostro esser viziati dalla mattina alla sera portano con sé senza che noi alziamo un dito!? Adesso a tutto questo si aggiunge l’entusiasmo di un poeta, di un uomo cioè che vuole soltanto essere entusiasmato, inebriato, commosso?! Un tale donatore! Ma non riuscirà a farmi diventare vanitosa, mio nobile amico, penserò soltanto: «Forse ciò lo aiuta a comporre una poesia che a sua volta aiuterà gli altri che la leggeranno!?». E tuttavia mi sono guardata la sera nel grande specchio e ho pensato: «I poeti sanno tutto!».
FAVOLE DELLA VITA
La più grande prova di cultura e di tatto di una donna consiste nel sopportare il corteggiamento comunque piacevole di un uomo che lei non ama senza mai mortificarlo! Una signora tollerò per sei settimane la mia struggente infatuazione con un dolce sorriso sulle labbra. Al momento del commiato la pregai di sfilarsi il guanto di camoscio perché io potessi, per la prima e l’ultima volta, baciare la sua amata mano – – –.
«Ma Peter, che vantaggio ne ha, nessuno. Non ha proprio senso. Non le pare?!».
«Certamente» risposi.
«Si consolerà facilmente!» replicò lei.
«Al contrario, non riesco a consolarmi del fatto che da bambina lei abbia avuto troppo poche istitutrici inglesi e francesi!»
VISITA
E va bene, sono un eterno entusiasta, malgrado i miei cinquantatré anni e la malattia che pure mi divora impercettibilmente le forze come un giaguaro folle e insaziabile che grufola nel sangue e beve senza aver sete! Di fronte a me, nelle stanze 142 e 143, abita da ieri una piccola bambina, non so se ungherese, bulgara o serba; gira in costume nazionale, le meravigliose gambe tutte nude, Quando oggi l’ho incontrata per le scale, la mamma ha sorriso per il mio viso entusiasta. Ero fermo e guardavo. Perché viaggiare se i paesi stranieri si premurano di venire da noi col loro sfarzo favoloso?! La cameriera dell’albergo mi ha fatto entrare nella stanza ancora in disordine. Mi sono inginocchiato presso il letto della bambina e ho baciato il lenzuolo su cui ha riposato il suo sacro corpo! La cameriera ha detto: «Quando vuole mai che siano belle le bambine se non finché sono piccole?! Poi ‘si sviluppano’ e diventano tutte uguali – –».
Le regalai due corone poiché era diventata la mia collaboratrice per questo schizzo, che invero non è stato ancora accettato e pagato. Ma bisogna pur rischiare qualcosa – – –.
UNA GIORNATA DI PIOGGIA
Piove. 9 luglio 1912, le cinque di pomeriggio. Grandi cortine, fitte e grigie, sfilano sulla foresta alpina davanti alle mie finestre. Tutto gocciola, tutto sprofonda nella nebbia. I fiori hanno perso il loro colore, i tetti di lamiera brillano, liberi dalla polvere, lucidati dall’acqua! L’altalena, l’altalena. Ancora stamattina lei si dondolava al sole, i capelli biondi di luce, donna serissima, voce melodiosa! Io la vedevo dondolare e piangevo. A me non resta altro che piangere. Non sono capace di comporre Lieder celebrativi come Brahms, Hugo Wolf, Grieg. Conosco una sola melodia – – – il pianto. Klara, Klara. Piove. Cortine grigie sfilano sulla foresta alpina davanti alle mie finestre. C’è profumo di bosco bagnato, naturalmente. Tutto è come annegato. Klara, Klara, tu siedi nella tua stanza, impari cose importanti per l’anno prossimo, per gli esami, per la vita. Le nuvole di riccioli biondi sfiorano la carta bianca sulla quale stai scrivendo – – –. Tu dici: «In un pomeriggio uggioso come questo si studia ancora meglio – – –!».
POETA MODERNO
Nella nostra vita ci sono tante nuances – – –
Una dice: «Medico della mia anima malata!».
L’altra dice: «Però ha un aspetto orribile».
Una, curiosa, spia la personalità, l’altra, stizzita, osserva com’è diverso dagli altri!
Una scrive: «Posso venire da lei?!».
L’altra lo ritiene un cinico se durante il colloquio
le sfiora con dolce tenerezza la mano.
Una dice: «Un romantico senza cuore!».
L’altra dice: «Un tipo cordiale senza romanticismo!».
E ognuna vede un «pro» e un «contro» – – –
ma nessuna si accorge che «pro» e «contro» sono una cosa sola per uno nel quale «pro» e «contro»
coesistono!
MENO ANCORA CHE SCHEGGE DI PENSIERI
Quando dissi al giovane ufficiale che lo ritenevo il tipo del «conquistatore» e gli invidiavo la sua fortuna con le donne, egli mi rispose: «Mi creda, Peter, la fortuna non esiste! Le donne con le quali si ha fortuna non rappresentano una fortuna. Sono donne che si conquistano comunque, senza alcuno sforzo. Solo allora si potrebbe parlare di fortuna, quando non si ha fortuna. E invece è proprio allora che non si ha fortuna!».
*
Il pudore è «una protezione per le proprie inadeguatezze». Si nasconde ciò che c’è da nascondere! Anche la fedeltà è una protezione. Se solo sapessi contro cosa?! Ah, sì, contro i pericoli dell’infedeltà!
*
Non c’è nessun bagno tiepido a 27 gradi e nessun buon sapone anidro che non sia in grado di mondare tutti i peccati delle donne!
*
La cosa più terribile è non poter scacciare «con una bella dormita» un qualsiasi stato patologico, come ad esempio l’ebbrezza o la gelosia! Il sonno serve a questo, infatti, a farci tornare «in mente» che siamo stati delle «bestie»!
*
I milionari ci consolano sempre dicendo che si possono fare anche delle «indigestioni» di ostriche. Ma la fortuna consiste, appunto, nel trovarsi in quella condizione!
*
Si è spesso costretti nella buona società a pronunciare la parola «incantevole». Ho escogitato perciò tante nuances nell’inflessione di questa parola; così una volta che trovai una cosa «incantevole», una signora mi disse: «Individuo rozzo e insolente! La cosa non è affatto così ripugnante come pensa lei!».
*
«L’ammiro da anni, Maestro Altenberg. Ma a che servono le parole?! Vorrei comprare la sua ultima opera. Quanto costa?».
«Cinque corone».
«Per tre la prenderei – – –.
«Ma naturalmente le chiedo una bella “dedica personale”»!
Gli scrissi la seguente dedica personale: «Lei mi ha tolto mercanteggiando due corone, io ho lasciato che me le togliesse; adesso sa cosa tocca a lei e cosa tocca a me!».
*
Un bambino di tre anni, fanatico della verità, che forse diventerà qualcuno:
«A chi vuoi più bene, piccolino?! Alla mamma?!».
«Non in modo particolare – – –».
«Alla sorellina?!».
«Non in modo particolare – – –».
«A chi vuoi più bene allora?!».
«Alla cioccolata!».
*
Inviai alla splendida undicenne Margit Kr. un mazzo da me preparato di scabiose azzurre e rose tea gialle. La mamma mandò indietro il mazzo di fiori con l’osservazione che la figlioletta era ancora minorenne. Le scrissi: «Gentile signora, quando ha luogo la dichiarazione della maggiore età per la bellezza e la grazia?! Dio, Gesù Cristo e i poeti non capiscono nulla dei calcoli di calendario!».
*
In ogni bella donna, in ogni donna ben fatta s’annida la «puttana». Sempre, giorno e notte, deve essere stimolata, solleticata, eccitata dalla sensazione: «Potrei rendere felice ogni uomo, procurargli le più profonde ebbrezze!». Volere e potere concentrare su di sé una donna con una tale sensibilità esistenziale è l’essenza dell’amore felice! Dubito che ciò riesca con una donna veramente stupenda! Ma quante donne stupende ci sono?! Dunque ci sono pure molti «amanti felici». E poi: la donna fa i conti col suo graduale «sfiorire». Ciò accresce le chances degli – –– idioti! Del resto c’è ancora la cosiddetta «buona educazione». Sì, gli idioti ne hanno di chances!
REMINISCENZE
Una piacevole distrazione durante lo studio era il momento in cui veniva accesa la lampada a petrolio nei pomeriggi d’inverno. Di fuori si vedevano indistinte case grigie come mondi estranei. Allora veniva la cameriera e accendeva la lampada a petrolio. Toglieva con cautela il globo di opaline e il cilindro lucente di vetro. Alzava con la vite d’ottone lo stoppino già tagliato di mattina alla misura giusta, posava, incrociandoli sullo stoppino giallo, due legnetti sottili impregnati di resina (una nuovissima invenzione della tecnica) e li accendeva alle estremità. Spesso lo stoppino bruciava, spesso no. Alla fine comunque si accendeva. La cameriera rimetteva sopra con cautela il cilindro di vetro e poi il globo di opaline. A questo punto veniva girata ancora un poco avanti e indietro la vite di ottone, sulla quale c’era il nome «Ditmar» e due ali di Mercurio, affinché la lampada non facesse fumo. Finalmente brillava di una luce fioca giallo uovo. Allora ci si sedeva a scrivere l’introduzione al tema Carattere di Wallenstein: «Se facciamo passare dinanzi all’occhio dello spirito i grandi eroi dei tempi passati – – –».
«Senta, Maria, lo stoppino fa fumo dalla parte sinistra – – –».
«Ma signorino, è una vera seccatura. Pensare che stamani l’ho tagliato proprio dritto».
Carattere di Wallenstein: «Giunto al culmine della sua potenza, fu preso, come del resto la maggior parte dei mortali, dal desiderio di cose ancora più elevate, irraggiungibili – – –».
La lampada mandava una luce fioca giallo uovo e andava bene, a sinistra faceva un po’ di fumo e anneriva persino il cilindro di vetro.