Capitolo diciassette
Seguii Blake fino al parcheggio della sua elegante macchina sportiva. Da quanto tempo mi stava osservando? Come faceva a sapere dove ci saremmo incontrati? Era inquietante che fosse a conoscenza dei miei spostamenti, ma in quel momento non avevo intenzione di sollevare la questione.
Aprì la portiera per me, un semplice gesto dettato dall’abitudine, considerando il fatto che non mi rivolse una parola da quando salimmo in macchina fino all’arrivo a casa. Scendemmo dall’auto e lo fermai sulla soglia.
«Sei arrabbiato con me?»
«Non sono molto felice di averti vista baciare quel bastardo, se è questo che volevi sapere».
«Ma lui mi ha… io non volevo».
«Lo so, ma non ti saresti trovata in quella situazione se mi avessi ascoltato».
Mi vennero i brividi, mi dispiaceva dargli ragione. Quella situazione era molto imbarazzante per me. «Mi ha presa alla sprovvista. Sarei riuscita a reagire, se mi avessi lasciato fare».
«Avresti accettato che Max venisse con te, in veste di investitore?».
Puntai il piede sul pavimento. Era una domanda trabocchetto. «Blake, non puoi venire con me a ogni incontro di lavoro. Non è possibile».
«Rispondimi».
Esitai. «Può essere».
«Come immaginavo. Ti darò io i fondi per l’attività. Telefonerò a Max e gli dirò che non se ne fa nulla». Affondò le mani nelle tasche.
«No, fermati. Questo è il mio lavoro. Devo decidere io». Mi stavo appena riprendendo dallo shock delle avance da parte di Isaac. In quel momento la minaccia che Blake telefonasse a Max date le ultime circostanze drammatiche aveva portato il mio livello di panico a una soglia inesplorata. Nella mia mente iniziarono ad avvicendarsi velocemente tanti pensieri, mentre cercavo di venire a capo dei piani di Blake.
«Bene. Allora diciamo che hai bisogno di due milioni di dollari per mandare avanti l’attività e continuare a condurre uno stile di vita a te consono», disse.
Mi bloccai. «Mi stai minacciando con la questione dell’appartamento? Di’ quella parola e farò le valigie in questo preciso istante. Sei stato tu che mi hai costretto a vivere qui».
Si infilò le mani tra i capelli già spettinati, respirava a denti stretti. «Pensa soltanto ad accettare il denaro e poi potremo dimenticare tutto questo».
«Blake, noi abbiamo una relazione, o almeno l’avevamo fino a venti minuti fa, e credo che converrai che la questione sia complicata già così. Non accetterò il tuo denaro».
Rimase zitto per un po’, fissandomi con uno sguardo penetrante. «Non ti fidi di me».
Quelle parole mi trafissero nel profondo. Non perché pensava che non avessi fiducia in lui, ma perché quello che aveva detto era vero. Mi fidavo di Blake, sotto molti punti di vista, ma mandare avanti il mio lavoro alle mie condizioni era fondamentale.
Incapace di trovare una risposta convincente, aprii il portone e mi imbattei in Cady e Sid che entravano nell’appartamento di lei. Blake mi seguì.
Li salutai velocemente prima di salire le scale. Blake mi venne dietro fino in camera da letto. Io non protestai.
«Spogliati», ordinai con l’indice puntato contro di lui.
La mia mente galleggiava in un guazzabuglio epico. Non riuscivo a immaginare rimedio più efficace che scoparmi Blake fino all’oblio più totale. Sembrava che non avessi pensato ad altro per buona parte della giornata.
Sgranò gli occhi. «Non dovremmo parlarne?»
«Non mi sono spiegata bene? Togliti. I. Vestiti». Inclinai la testa, sfidandolo a discutere.
Restò fermo per un istante, poi si spogliò completamente. Appena l’ultimo indumento toccò il pavimento, rimasi in adorazione a fissare un uomo alla mia mercé, davanti a me. Ogni brandello di pelle si tendeva sui muscoli scolpiti sotto di essa. Le mie dita bramavano il contatto con quel corpo, desideravano sentirlo muoversi flessuoso sotto di me, sopra di me, dentro di me. La mia rabbia svanì, subito rimpiazzata da un desiderio che avevo allontanato per ore.
Più a lungo lo guardavo, più lui si irrigidiva. Sul viso aveva un’espressione calma, ma il desiderio che ribolliva dietro il suo sguardo rifletteva il mio. Mi avvicinai e lo spinsi dolcemente sul letto. Lui si allungò verso di me, ma io mi allontanai. Mentre mi spogliavo, mi presi più tempo del necessario per togliere il reggiseno di pizzo e le mutandine coordinate che avevo scelto soltanto per lui.
Mi misi su di lui, lentamente, baciandogli il collo e il petto, mordicchiando i capezzoli scuri che si irrigidivano al mio tocco. Infine rivolsi tutta la mia attenzione alla sua erezione, leccandolo e tirando via con la lingua il liquido sulla punta, assaporandolo per bene prima di prenderlo completamente in bocca, giù fino a toccare la gola.
«Cristo, Erica». Respirò affannosamente.
Godetti di quella piccola vittoria. Di solito sapeva controllarsi molto bene, non mi faceva mai capire di non riuscire a resistere ai miei giochi, ma in quell’occasione fu diverso. Le sue cosce erano leggermente tese quando allontanai a poco a poco la bocca.
«Come ti senti?», domandai.
«Vieni qui, ti faccio vedere». Aveva gli occhi socchiusi e oscurati dal desiderio.
Il mio corpo era in tensione. Mi posizionai sulla sua erezione e scivolai lentamente, un centimetro alla volta, dandomi il tempo di adattarmi alla sua lunghezza.
Un’ondata di calore mi colpì appena raggiunsi il massimo della penetrazione. Mi sollevai e lui mi afferrò i fianchi, spingendomi forte per ricordarmi che soltanto lui aveva il diritto di entrare dentro di me per farmi godere. Mandai la testa indietro e imprecai. Pensai a quanto stavamo bene insieme, a come nessun altro era mai riuscito a farmi sentire così.
Mi prese i fianchi e tentò di girarmi, ma io lo fermai.
«No», dissi determinata.
Lui si immobilizzò e mollò la presa. «Probabilmente dovremmo decidere delle parole di sicurezza».
«È quella la mia parola di sicurezza. Quando dico no, fidati, vuol dire no».
«Va bene», disse con gentilezza.
«Voglio scoparti finché non mi si saranno fiaccate le gambe e non riuscirò a ricordare il mio nome. A quel punto toccherà a te, va bene?»
«Come vuoi tu, capo». Deglutì a fatica e intrecciò le dita dietro la testa, a mo’ di costrizione autoimposta.
Iniziai a muovere i fianchi, sollevando e affondando con spinte misurate, finché non trovai un ritmo. Sentivo i seni pesanti e sensibili. Mi accarezzai i capezzoli per alleviare il dolore profondo causato dal desiderio di essere toccata. Le mani di Blake non si spostarono di un millimetro e i suoi occhi erano fissi su di me. Sollevava i fianchi per venire incontro ai miei movimenti, colpendomi più in profondità ogni volta.
Il piacere iniziava a invadermi. Tremavo e mi mordevo il labbro finché non divenne insensibile e fui assalita da un orgasmo che cresceva sempre più forte.
«Voglio sentirti gridare», disse. «Adesso, Erica».
Un urlo improvviso e strozzato mi uscì dalla bocca appena venni impetuosa. Sudata e senza fiato caddi in avanti, intrecciai le dita con le sue e lo baciai.
Blake si tirò su insieme a me; mi prese un capezzolo con la bocca, poi l’altro, e si portò dentro di me, fino in fondo. Gemetti. Mi accarezzò il viso con una mano, mentre con l’altra mi cinse la vita, stringendomi a sé per baciarmi, un bacio profondo e penetrante che da solo spiegava tutto. Riuscivo ad assaporare il desiderio sulle sue labbra. Ero più che pronta a lasciargli prendere il controllo.
«Tocca a te», dissi.
Rigirò i nostri corpi con maestria, in modo che il suo coprisse il mio, prima di affondare con forza. Mi inarcai, accogliendo tutto ciò che mi stava offrendo. Spinta dopo spinta rivelavo il mio desiderio, le ore ad aspettare di raggiungere il piacere con lui, il momento fatidico in cui ero pronta a perdermi in lui.
Lo baciai in preda alla frenesia, alla rabbia, all’amore e alla passione. Le mie unghie scorrevano sulla sua schiena quando venimmo insieme, madidi di sudore.
Blake sprofondò con il viso contro il mio collo. «Sei mia», sussurrò.
Chiusi forte gli occhi e lo strinsi a me. Non aveva idea di quanto fosse vero quello che aveva detto.
Ci sistemammo sul letto, senza respiro e sazi, l’uno accanto all’altra.
Mi misi ad ammirare il corpo fantastico di Blake, disteso davanti a me. Le mie dita scivolarono sulla sua schiena, per poi affondare nella carne più forte di quanto avessi intenzione. «Ti ho fatto mio», sussurrai.
«Se continui a toccarmi così, sarò io a farti mia».
Ridacchiai e rotolai sulla schiena, inebriata dal momento e incapace di staccare gli occhi dall’uomo bellissimo che giaceva sul mio letto.
Poi si alzò e mi fissò. «È stato incredibile, a proposito», disse. Mi mise i capelli dietro le orecchie, disegnò il mio profilo, come se lo stesse imprimendo nei suoi ricordi. «Come fai a fidarti di me con il tuo corpo, dopo tutto quello che hai passato? E invece, anche se ho avuto successo con diverse imprese, a non fidarti di me per il tuo lavoro?».
Borbottai e chiusi gli occhi. Non aveva intenzione di arretrare un centimetro. Avrebbe approfittato anche di quella situazione per portare avanti il suo piano.
«Il lavoro è tutto per me». Mi vennero i brividi appena pronunciai quelle parole ma, sotto molti aspetti, era vero. «Voglio dire, quel lavoro è frutto di anni di sacrifici. Non soltanto c’è voluto molto tempo per mettere su l’attività, ma ho impiegato anni di studi all’università per diventare quella che sono».
«Sì, e…».
«Quando stiamo insieme significa molto per noi due. Mi fido di te, più di quanto mi sia mai fidata di chiunque altro. Ma cosa succederebbe se capitasse qualcosa tra noi, oppure se ti dovessi stancare di investire nella mia piccola attività? Cosa succederebbe se diventasse un peso per te, oppure se fallisse?»
«Il denaro di cui hai bisogno è una cifra insignificante per me», rispose. «È improbabile, se non impossibile, che possa mai diventare un peso. E poi, non permetterei mai che un’impresa nella quale ho investito fallisca».
«E allora perché non hai semplicemente deciso di investire quando ne hai avuto la possibilità? Cosa è cambiato ora, a parte il fatto che sei nei paraggi ogni qual volta mi trovi a dieci metri di distanza da un altro uomo?»
«Ero più interessato a te che a compilare un assegno. Sapevo già che se io non avessi investito, l’avrebbe comunque fatto Max. E avevo ragione. Adesso… le cose sono diverse. Mi importa di te, e voglio curare tutto quello a cui tieni».
La sua dichiarazione mi colpì, tanto che una piccola parte di me fu anche tentata di cedere. Avevo passato settimane intere a mettere in dubbio la validità del mio progetto, visto che non aveva mostrato il minimo interesse a investire. Venire a sapere che aveva giudicato buona la mia idea fin dall’inizio era rassicurante, ma non cambiava il fatto che mischiare il lavoro con il piacere, almeno in quel momento, fosse una pessima idea.
«Apprezzo molto, ma non è una valida ragione per investire. È già un bel problema che tu e Max abbiate delle questioni in sospeso, ma non posso mettere a rischio la mia impresa se io e te dovessimo avere degli screzi. È già difficile così».
Lui non parlava, ma avevo il presentimento che la conversazione non fosse affatto chiusa. Mi tirò a sé e mi spinse contro il petto sul quale mi addormentai, così caldo e rassicurante.
Al mattino controllai la posta, ancora annebbiata dalla notte appena trascorsa. Blake mi aveva già svegliata più di una volta, cercando ancora di convincermi ad arrendermi sulla questione degli investimenti. Non mi ero ribellata, ma neanche mi arresa, almeno riguardo al mio lavoro. Diedi una scorsa alle mail finché non vidi un messaggio da parte di Sid con oggetto “Risultati”. Sentii un pugno allo stomaco appena lo lessi ancora una volta.
Erica,
non è stato tanto difficile quanto avevo pensato. Daniel Fitzgerald, classe 1992, master in Economia. Cerca su internet “Daniel Fitzgerald Boston”.
Sid
Aprii una nuova scheda e digitai quelle parole sul motore di ricerca. Il primo risultato mostrava alcune biografie di procuratori distrettuali di un’agenzia legale in cui quel nome compariva tra i primi soci. Il secondo risultato era un sito ufficiale dedicato a Daniel Fitzgerald, gestito dal governo del Massachusetts, con uno logo rosso, bianco e blu e uno slogan accattivante. Sotto c’era un ritratto della versione invecchiata dell’uomo che avevo visto nella foto di Marie. Oddio. Cercai il telefono e chiamai Marie.
«Ehi, piccola», rispose con voce gioviale.
«Daniel Fitzgerald», dissi.
«Cosa?»
«Il nome dell’uomo nella foto».
«Oh». Aveva un tono di voce che sembrava più rassegnato che sorpreso.
«So che mia madre non me lo ha detto per qualche ragione, ma io ho bisogno di saperlo».
«Erica, io…».
«Marie, ho il diritto di sapere. Tu eri la sua migliore amica. Se esiste qualcuno che sa chi è mio padre, quella sei tu».
Rimase in silenzio per un bel po’ prima di rispondere. «Sì».
«Sì cosa?»
«È lui tuo padre».
«Oddio». Mi misi una mano sul viso, mi girava la testa. Avevo qualche sospetto, certo, ma mi aspettavo che in qualche modo mi dicesse di no. Che mi mentisse, oppure che mi rispondesse che ero matta a pensare una cosa tanto inverosimile. In quel momento, di fronte alla verità, non sapevo come reagire.
Avevo passato tutta la vita ad accettare l’ombra della sua assenza, a ignorare chi fosse la metà di quella che ero. Ma l’avevo accettato davvero? Nel momento in cui ero diventata abbastanza grande da pretendere la verità, mia madre era già morta. Consapevole del fatto che nessuno avrebbe avuto la speranza di colmare quel vuoto che avevo nel cuore, non mi ero mai preoccupata seriamente di sapere chi potesse essere.
A quel punto avevo mille domande e nessuna risposta. Lui sapeva della mia esistenza? Amava mia madre? Che tipo era?
«Tesoro, stai bene?». Marie interruppe il turbinio di pensieri.
«Sapevi che si era candidato come governatore?». La sola cosa che sapevo di lui era proprio l’unica che poteva tenerci distanti. Non avevo idea di come avrei potuto farmi largo tra la folla di gente che lo circondava.
Lei sorrise a bassa voce. «No, ma non posso dire di essere sorpresa».
«Non sarà facile avvicinarmi a lui», dissi.
«Soltanto, fai attenzione, tesoro».
Strabuzzai gli occhi. «Cosa vuoi dire?»
«Non sai che tipo di persona ti troverai davanti».
«Devo preoccuparmi? Ovviamente tu sai molto più di me su di lui».
«Sei una ragazza intelligente. Fai soltanto attenzione a non abbassare la guardia», disse con voce tranquilla.
«Va bene». Rimasi un secondo in silenzio, cercando di raccogliere i pensieri. «Grazie».
«Per cosa?»
«Per avermi detto la verità. Anche se un po’ in ritardo».
Sospirò. «Spero che non ti pentirai di averla saputa».
Scossi il capo, incapace di comprendere come potessi pentirmi per aver saputo la verità. «Non riesco a spiegare cosa si prova… nel sapere finalmente chi è lui. Ma dato che mamma è morta…».
«Lo so, piccola», disse con tono pacato. «Mi dispiace. Stavo solo tenendo fede a una sua preghiera».
Feci un respiro profondo, sperando che quella notizia portasse più sollievo di quanto avesse fatto finora. Non mi piaceva l’idea che Marie mi avesse tenuta nascosta l’identità di mio padre, o che mia madre avesse voluto così. Ma non ero più una bambina. Per quanto facesse paura, dovevo sapere di più su quell’uomo e su cosa significasse per mia madre.
«Devo andare. Devo riflettere un po’ su tutta questa faccenda. Ma ci sentiamo presto».
«Questo è certo. Chiamami quando vuoi. E, Erica?».
Restai un secondo in silenzio. «Cosa c’è?»
«Fai attenzione, va bene?»
«Starò attenta. Promesso».
Riattaccai e mi misi a fissare la foto sul sito web. Mi sarebbe piaciuto tanto conoscere quell’uomo. Non l’avvocato, o il politico, ma l’uomo.
Cliccai sui diversi link e lessi tutto quello che riuscivo a trovare su di lui; ogni nuova informazione mi faceva capire quanto sarebbe stato difficile ottenere un incontro con lui. Non potevo semplicemente catapultarmi nel suo studio e presentarmi. L’idea che Blake potesse fare da aggancio mi balenò per la testa, ma la accantonai subito. Non volevo coinvolgerlo in quella faccenda, per il mio e per il suo bene.
Cercai in rubrica il numero di Alli e la chiamai.
Non ci eravamo più sentite e rimasi sconvolta quando rispose.
«Ho cercato di contattarti», dissi, cercando di non apparire tanto preoccupata quanto ero in realtà.
«Lo so, mi dispiace molto. Sono stata impegnata con il lavoro, e avere a che fare con i casini di Heath non mi ha di certo aiutata».
«Tu stai bene?».
Per qualche istante rimase in silenzio. «Sì, credo di sì».
«Come sta Heath?»
«Sembra bene… meglio. È a Los Angeles, quindi non posso andarlo a trovare al momento, per via del lavoro».
«Capisco… Non riesco a immaginare cosa tu stia passando adesso».
Fece una risatina apatica. «Stavo pensando che avrei dovuto fare un master in Psicologia, perché stare con lui è come uscire con due persone diverse».
«A parte il fatto che tu sei innamorata soltanto di uno di loro».
Sospirò, all’altra parte del ricevitore. «Credimi, lo so bene».
«Alli, so di non essere stata sempre l’amica che ti ha dato manforte per quanto riguarda Heath, ma spero che tu sappia che ne puoi parlare con me. È stato uno shock anche per me, ma voglio starti vicina. Sei pur sempre la mia migliore amica. Non voglio che tutto questo ci divida».
«Grazie», rispose. «Per me significa molto. Ovviamente, non posso dire nulla ai miei genitori di tutto questo. Impazzirebbero letteralmente».
«Spero che Heath riesca a riprendersi completamente prima che tu sia costretta a parlarne con loro».
«Lo spero anch’io».
Tamburellai con le dita sul ripiano della cucina. «Dunque, ho interessanti novità».
«Dimmi».
«Credo di aver trovato mio padre».
«Cosa? Dici sul serio?»
«Ma ho bisogno del tuo aiuto. Lui è una sorta di principe del foro, e si è anche candidato a governatore, per cui non ho idea di come contattarlo, sai, in maniera discreta. Speravo che tu potessi darmi qualche idea».
«Accidenti, va bene. Lasciami pensare cosa potrei fare. Conosco alcune persone al “Review”. Potrebbero riuscire a farsi concedere un’intervista».
L’umore di Alli era cambiato. Aveva riacquistato energia per la nuova missione. Quella ragazza era nata per fare marketing.
«Grazie».
«Di nulla. Ma tu come stai gestendo questa cosa?».
Mi morsi il labbro e fissai il vuoto. Come stavo gestendo l’intera faccenda?
«È difficile da spiegare a parole. Sono emozionata, credo. Ma sono anche nervosa. Non ho idea di che tipo di persona sia. Ma al di là di tutto devo incontrarlo. Non posso semplicemente restarmene qui, consapevole di chi sia senza sapere se anche lui voglia conoscermi oppure no».
«Sono sicura che lo voglia».
Feci spallucce. «Forse. Immagino che lo scopriremo».
«Vedremo come andrà con l’idea dell’intervista. Fammi sapere se viene fuori qualcos’altro».
«Lo farò. Grazie, Alli».
«Nessun problema. Ti chiamerò più tardi».