Capitolo quattro

Sentii la serratura della porta scattare e spalancai gli occhi. La stanza era al buio, ma l’enorme orologio digitale sul tavolino, che segnava le otto in punto, mostrava la sagoma sfocata di una donna che lentamente si avvicinava al letto. Il suo vestito fluorescente quasi brillava nella notte.

«Alli?»

«Presente».

«Sei appena rientrata?». Mi strofinai gli occhi e tornai lentamente alla realtà.

«Sì, mamma», sussurrò sarcastica.

Accesi l’abat-jour sul comodino per guardarla meglio. «Hai un aspetto decisamente impresentabile». Mi appoggiai sui gomiti e sorrisi: aveva l’aria di una che non dorme da giorni, il che era quasi vero. Non l’avevo mai vista comparire in pubblico con il mascara colato e i capelli spettinati, di rado era meno che perfetta.

«Ah, a quanto pare mi stai giudicando». Scalciò via le scarpe e collassò sul letto ancora vestita.

«Allora, mi dici cosa è successo?». Ormai ero sveglia, e la cosa mi sorprendeva considerando l’orario.

«Cosa vuoi sapere?», mugugnò.

«Ogni più sordido dettaglio, ovviamente».

Alli si tirò su e si mise a fissare il soffitto. «Mi piace davvero».

Percepii un sospiro. Oh, no.

«Gesù, Alli, per favore. Dimmi che non sei andata a letto con lui».

«Che diavolo te ne importa?». Sbatté i pugni sul letto.

Scattai in piedi e la guardai. «Mi importa, Alli, perché sto cercando di dare un’immagine professionale della nostra impresa, e non avevo calcolato che avresti scopato con il fratello di Blake. Ora lo racconterà a Blake e… Oh, merda». Calcolai ogni possibile implicazione.

Lei iniziò a urlare: «Ascoltami. Gli ho detto che ti saresti arrabbiata se lo avesse detto a Blake, e lui mi ha dato la sua parola».

«Non posso crederci». Andai ad aprire le tende.

Alli sbatté le palpebre per via della luce.

«E che mi dici di te? Mi aspettavo che sareste stati in due qui dentro, considerando che ti ha scopata con gli occhi per tutta la sera».

«Alli, davvero, non c’è proprio nulla tra Blake e me».

«Stronzate».

«Dico sul serio. Non posso mandare all’aria questo affare. Stanotte gli ho detto che non ero interessata a lui. Fine della storia».

«Blake non mi sembra il tipo che accetta un no. E poi non puoi negare che è bello da togliere il fiato».

«Bello o no, sono qui per lavorare».

«Erica, vuoi proprio prendermi in giro?». Arricciò leggermente le labbra.

Avvertii un senso di colpa, ma proprio non potevo dirle tutta la verità. «Andrà tutto bene. Pensa soltanto a dormire un po’. Sarebbe grandioso se riuscissi a fare buona pubblicità all’impresa prima che ce ne torniamo a casa domani».

Mi chiusi in bagno, infilandomi sotto la doccia. Ero furiosa con Alli, ma soprattutto mi preoccupavo per lei. Avevo lasciato che abbassasse la guardia con Heath, che probabilmente era un playboy. Certo, la colpa era sua, ma anche mia.

Quando tornai in camera, Alli già era sotto le coperte. Così mi misi i vestiti che avevamo concordato per quella giornata – una camicetta elegante con disegni neri, un blazer bianco e jeans a sigaretta scuri – m’infilai le scarpe nere col tacco che Alli mi aveva lasciato ai piedi del letto e presi la borsa. Era ora di andare a lavorare. Senza supporto, per l’ennesima volta, pensai. Potrei anche abituarmi.

Quindici minuti dopo, trovai la sala conferenze dove avrebbe avuto luogo la presentazione. Salendo sul piccolo palco vuoto, lessi i cartellini davanti alle postazioni riservate a chi doveva presentare i propri progetti.

Non era in programma un posto per te, Erica.

A volte detestavo davvero la vocina che mi parlava nella testa, ma l’ansia stava prendendo il sopravvento. Sarei stata spalla a spalla con gli amministratori delegati delle più influenti compagnie online, vere e proprie celebrità del mondo digitale.

Con il fiato corto, mi accomodai al posto della persona che avrei dovuto sostituire e mi guardai intorno; la sala si era già riempita di centinaia di ansiosi partecipanti.

Mentre armeggiavo con gli appunti, cominciai a pensare velocemente, cercando di ignorare il desiderio di essere da qualunque altra parte. Appena ebbi l’impressione di aver raggiunto il grado massimo di panico, Blake venne a sedersi accanto a me, impeccabile come al solito in jeans e maglietta grigia con scollo a V.

«Cosa ci fai qui?», chiesi in tono più esasperato di quanto intendessi.

«Buongiorno anche a te».

Mi sorrise, e miei nervi si rilassarono un po’, forse per la magra consolazione di vedere un volto familiare tra la folla. Inoltre il ricordo delle sue labbra sul collo non era poi così lontano.

Ogni particolare di quell’avventura era stato una sorpresa continua – l’incontro con Blake, Alli che aveva subìto, comprensibilmente, il fascino di suo fratello – e adesso ero di nuovo accanto a Blake, accanto a un mostro della tecnologia.

Dopo aver fatto tutte le mie riflessioni, finalmente lui rispose: «Sarò il moderatore delle presentazioni».

Rimasi a bocca aperta, ma non riuscivo a domandare né come né perché. La ragione logica poteva essere una sola.

«Sei stato tu».

«A fare cosa?»

Rimasi a fissarlo, nel tentativo di capire meglio.

«Sei stato tu a invitarmi qui a parlare».

Sorrise. «Non credo di potermi prendere tutti i meriti. Sei un competitor notevole nell’ambito digitale. È quello che hai detto durante la riunione, giusto?». Si appoggiò allo schienale, come aveva fatto durante la riunione, e mi guardò attentamente.

«Sì, è quello che ho detto». Ero esasperata.

«Bene, allora non dovresti aver paura di essere seduta qui con i più grandi. Te la caverai». Si girò a controllare lo smartphone.

Merda. Avevo attirato l’attenzione di Blake e ora lui mi aveva trascinata in un’autentica competizione con la gente che conta. Quanto sarebbe durata? Finché non sarei andata a letto con lui? Nel frattempo, come diavolo avrei fatto a essere all’altezza di quegli stimati professionisti, ovviamente tutti più preparati di me?

La stanza intanto si era riempita e gli altri partecipanti si erano accomodati. Chiusi gli occhi e mi strofinai le tempie per bloccare il mal di testa da tensione che sentivo in arrivo.

«Non ti piace sentirti in competizione?».

Lo guardai e mi accorsi che i suoi bellissimi occhi verdi mi scrutavano con attenzione. Mi stava spronando, così scattò qualcosa.

«Mi piace essere in competizione, Blake. Non mi piace essere sabotata». Cercai di parlare piano per farmi sentire solo da lui. Forse Blake mi stava sfidando, ma io non la vedevo soltanto come una sfida. Malgrado fossi una persona molto insicura, quando qualcuno mi sottovalutava palesemente, tiravo fuori le unghie. Avevo lavorato sodo, e lui non aveva motivo di dubitare di me o delle mie capacità.

«Fidati. Se avessi voluto umiliarti, non saresti qui ora».

«Mi fai davvero incazzare». La mia voce riecheggiò per la sala.

Il presentatore aveva acceso i microfoni, e tutti gli occhi si fissarono su di me. Merda. Mi sistemai sulla sedia, augurandomi che il pavimento mi risucchiasse. A quanto pareva, non era necessario che Blake mi umiliasse, ero in grado di farlo benissimo da sola.

Il presentatore cercò di porre rimedio alla situazione e iniziò a introdurre i partecipanti e il moderatore, lo stimato Blake Landon. Appena sentii il suo nome e l’applauso che lo seguì feci una smorfia, ma dovevo ricompormi, guardare male Blake non mi avrebbe aiutata. Sarebbe stato lui a condurre il dibattito, e io gli avevo appena gridato contro.

Raddrizzai la schiena e cercai di farmi coraggio con qualche respiro profondo che mi aiutasse a rilassarmi e a mantenere la concentrazione. La conferenza iniziò con la presentazione delle diverse imprese; fin qui tutto bene, perché avevo ripassato quella parte non meno di cinquanta volte in aereo. Poi Blake passò a fare domande concordate in anticipo con i vari partecipanti. Non c’era nulla che sembrasse oltre la mia portata, quindi l’ansia cominciò presto a svanire. Trovai perfino il coraggio di uscire un po’ fuori tema, sebbene facessi di tutto per evitare lo sguardo di Blake. Sarebbe stato in grado di farmi perdere la concentrazione con un sorriso al momento opportuno. Il suo viso era un provato strumento di distrazione professionale.

Dopo un veloce giro di domande da parte del pubblico, la presentazione si avviò verso la conclusione. Sospirai sollevata, felice di essere sopravvissuta e mi rimproverai per essere andata fuori di testa per un confronto con il pubblico che si era rivelato del tutto gestibile. Crisi scongiurata.

«Non male, davvero», commentò Blake.

Ormai terrorizzata dai microfoni, gli risposi con un semplice sguardo. Raccolsi le mie cose e mi alzai, ansiosa di lasciare la postazione e allontanarmi da Blake.

Lui si alzò insieme a me. «Ehi, non te ne andare subito». Fermò uno degli altri partecipanti mentre scendeva dalla postazione.

«Ehi, Alex», salutò.

Si girò e mi afferrò per un gomito. Io opposi resistenza, poi mi resi conto che mi stava presentando Alex Hutchinson, amministratore delegato del più grande sito e-commerce degli Stati Uniti.

«Erica, Alex. Alex, stiamo lavorando con Erica alla Angelcom, così ho pensato che sarebbe una buona idea se collaborassi con noi. Potrebbero esserci degli interessi comuni con la sua azienda rivolta all’abbigliamento femminile».

«Piacere di conoscerla, Erica. Non vedo l’ora di dare un’occhiata al sito».

Alex aveva minimo quindici anni più di me e aveva l’aspetto elegante di tutti gli altri signori che avevo conosciuto a Boston, ma mi stava prestando la massima attenzione.

«La ringrazio, sarei molto felice di ricevere consigli da lei».

«Volentieri, quando avete iniziato?»

«Circa un anno fa».

«Eccellente, darò un’occhiata. Ecco il mio biglietto da visita, il cellulare è scritto dietro. Teniamoci in contatto, e mi faccia sapere se posso esserle d’aiuto, va bene?»

«Certo. La ringrazio molto».

Appena Alex se ne fu andato, si avvicinarono altri due uomini nostri coetanei. Uno era a capo di un noto sito di sviluppo di giochi virtuali; l’altro aveva fondato, poco prima della nascita di Clozpin, un fiorente network musicale che aveva l’obiettivo di scoprire nuovi artisti. Tutto questo mi fece sentire un po’ più felice di aver partecipato alla conferenza.

Mentre chiacchieravamo, Blake faceva di tutto per spostare casualmente la conversazione sul mio progetto ogni qual volta se ne presentasse l’occasione. Ero emozionata e stordita, avrei avuto il terrore di andare a conoscere quelle persone da sola. Il mio progetto fu accolto in maniera positiva, e io mi sentii finalmente sicura di potercela fare da sola, con la sensazione che avevamo creato qualcosa di utile.

Alla fine la folla di partecipanti si diradò, lasciandomi di nuovo da sola con Blake.

«Accidenti», dissi ancora inebriata.

«È stato così terribile?»

«No, in realtà è stato piacevole. Non me lo aspettavo».

«Forse è un bene».

Aveva ragione. Se fossi stata a conoscenza della levatura dei partecipanti con i quali avrei dovuto presentare la mia azienda, e che poi avrei conosciuto, non ce l’avrei mai fatta.

Invece il panico era durato poco e, al di là dell’incidente con il microfono, era andato tutto bene. Tuttavia non avevo intenzione di dargli soddisfazione.

«È stato tutto molto bello, ma non ho bisogno della tua elemosina, Blake».

La sua ingerenza doveva essere messa a freno.

Si accigliò leggermente. «Credi che questo sia stato frutto della mia carità?»

«Be’, o si è trattato di beneficenza oppure di un piano molto astuto per portarmi a letto».

La sua bocca si piegò in un mezzo sorriso mentre intrecciava le dita alle mie.

«Mentirei se ti dicessi che non è stato così».

Mi fece scivolare l’altro braccio sotto il blazer e mi attirò a sé. Il suo abbraccio era delicato ma deciso e mi faceva percepire la sua forza. Sospirai piano, sentendo il calore del suo corpo contro il mio e il sollievo che l’accompagnava.

«Non succederà». La protesta suonava debole quanto la mia determinazione. Gli appoggiai la mano libera sul torace e sentii i pettorali scolpiti. Il cuore gli batteva forte e costante sotto la mia mano, entrando in sintonia con il mio, che cominciavo a sentirmi una sola cosa con lui. Quello che avremmo potuto fare…

Mi attirò più vicino; la parvenza di autocontrollo tradita da uno sguardo di fuoco.

«Non sono d’accordo».

Si chinò su di me, le sue labbra vicinissime alle mie. Feci scorrere le dita sulla sua nuca e salii piano verso i capelli morbidi come seta. Il cuore mi batteva all’impazzata, mettendo a tacere tutti i pensieri che mi facevano resistere a lui. Non riuscivo a contenere il desiderio.

Sì.

Mi alzai in punta di piedi e le nostre labbra si incontrarono, calde e morbide. Perfette. Mi inebriai del suo profumo. In un attimo la sua mano mi afferrò i capelli, catturandomi in quel bacio da cui non volevo più scappare. Mi appoggiai contro di lui, gemendo piano, mentre mi arrendevo alle sensazioni provocate dalla sua bocca sulla mia. Con la punta della lingua mi sfiorò le labbra, accarezzandole per farle schiudere. Obbedii, curiosa di sapere se avesse un sapore buono quanto il suo profumo. Le nostre lingue si toccarono, giocando con tocchi leggeri che presto assunsero un ritmo più incalzante. Il bacio si fece intenso e lui mi attirò più vicino a sé.

Con una mano si avventurò tra la camicetta e i jeans, trovando la sporgenza dell’anca, mentre io avevo lasciato scivolare la mia dai suoi capelli al torace. Ero paralizzata dalla paura che se mi fossi mossa di un centimetro avrei perso completamente il controllo e l’avrei fatto mio su questo palco.

La realtà tornò a imporsi quando un brusio e gli scatti di alcuni cellulari risuonarono nella sala. Un certo numero di partecipanti alla conferenza si erano intrufolati dalla porta sul retro e, con le facce nascoste dietro gli schermi, avevano puntato i loro telefonini su di noi. Maledizione.

Mi staccai da Blake, il quale non sembrava affatto turbato dal gruppo di paparazzi nerd, e in preda al panico presi tutte le mie cose per poi scappare verso l’ascensore più vicino. Nonostante il mio grande senso di responsabilità, avevo perso il controllo con Blake, e adesso avevo umiliato entrambi.

«Erica!». Blake mi rincorse. «Aspetta. Tutto bene?».

Aveva i capelli arruffati, ma resistetti alla tentazione di sistemarglieli. Ero troppo esposta, e il minimo contatto, anche se del tutto innocente, avrebbe annientato la mia già traballante risoluzione di non andare a letto con lui.

«Sì, non vedo l’ora di diventare lo zimbello dell’intera conferenza». Scossi la testa incredula, maledicendomi per essere stata così incauta.

«Qualunque pubblicità è positiva. Basta che se ne parli, giusto?». Sorridendomi mi raggiunse, ma io mi feci indietro per evitare che mi toccasse.

«Blake, tu non capisci! È in gioco ogni cosa per me adesso», sbottai. Tremavo. Stavo provando troppe emozioni insieme – euforia, desiderio accecante e imbarazzo totale.

«Shh, rilassati». Mi posò le mani sulle spalle. «Sono sicuro che questi ragazzini non sappiano neanche chi siamo, e se così non fosse, farà ben poco rumore la notizia».

Quei ragazzini, che avevano la mia età, molto probabilmente non sapevano chi fossi io, ma dovevano aver sicuramente riconosciuto Blake.

Feci spallucce. Ero davvero stanca di tutto. Mi appoggiai al muro, sentendomi sempre più esausta. «Comunque sia… credo che ormai non possa farci nulla».

Blake fece un piccolo passo verso di me e mi sistemò una ciocca di capelli dietro alle orecchie. «Ascolta, devo partecipare a qualche riunione, ma voglio portarti fuori stasera».

Sospirai. Quell’uomo non demordeva.

«Sarò un perfetto gentiluomo», mi promise con un pericoloso scintillio nello sguardo.

«Hai l’abitudine di offendermi, in un modo o nell’altro. Non fare promesse che non puoi mantenere».

Il campanello suonò e la porta si aprì. Entrai nell’ascensore vuoto, e miracolosamente Blake non mi seguì.

Poco prima che le porte si chiudessero, disse: «Verrò a prenderti alle otto».

 

Mi versai un bicchiere di vino e Alli iniziò a bere il secondo espresso martini in uno dei ristoranti italiani stellati del casinò. La aggiornai su ogni minimo dettaglio della mia giornata, compresi l’aver preso contatti con diversi importanti dirigenti nel campo e il successivo discredito di cui mi ero ricoperta venendo immortalata tra le braccia di Blake.

«È ostinato. Ma la cosa non mi sorprende», commentò.

«Non riesco a smettere di pensare che con lui sia una guerra persa». Presi una forchettata di pasta all’arrabbiata, lacerata dai dubbi sui sentimenti che provavo. Un momento prima lo detestavo e quello dopo dovevo lottare con tutta me stessa per non perdere la testa per lui.

«Erica, lo so che adesso sei presa dal lavoro, ma se sei attratta da lui, e lui è evidentemente superattratto da te, perché non cedergli semplicemente?»

«Sono andata e tornata dall’inferno, Alli. Lo sai. Il lavoro è stata l’unica cosa a cui mi sono dedicata per molto tempo, mi ha tenuto con i piedi per terra, e se dovessi mandare all’aria anche questo perché non so tenere a freno i miei ormoni, non so a cosa potrei andare incontro».

Sebbene trovare un lavoro tradizionale fosse una possibilità, seppure remota, mi rifiutavo di accettare l’ipotesi del fallimento. Certo, avevo già vissuto momenti di crisi nera, ma quei periodi mi avevano resa forte, perché avevano tirato fuori la mia personalità e mi avevano spinta a superare gli ostacoli come non avrei mai immaginato di poter fare. In circostanze normali, avrei potuto gestire storie passeggere e lavoro, o università, ma questa non era una di quelle circostanze. Dovevo rimanere concentrata, altrimenti rischiavo di perdere tutto.

«Gli hai già dato prova della tua professionalità. Credi davvero che non ti rispetterebbe più se andassi a letto con lui?»

«Forse. Non è un rischio che ho intenzione di correre».

Blake era un tipo imprevedibile. Era stato devastante ma allo stesso tempo molto utile alla mia causa, per cui non avevo idea di cosa aspettarmi da lui, soprattutto se i nostri rapporti venivano complicati dal sesso.

«Quando giochi alle loro condizioni, Erica, finisci per dargli credito. I ragazzi tendono a scoparsi tutto quello che gli passa davanti senza pensarci due volte. Soltanto perché sei una donna non significa che non hai il diritto a una notte di sesso scatenato».

«Disse la ragazza che rientrò in camera alle otto del mattino», commentai puntando verso di lei la forchetta. «Seriamente però, il lavoro è più importante per me rispetto a qualunque altra passione fugace».

Alli rimase in silenzio per un po’. «Magari Blake non è una passione fugace».

«Ne dubito fortemente».

«Blake non è uno dei tanti stronzi che abbiamo conosciuto nelle confraternite. Forse dovresti dargli una possibilità».

Trasalii. «Hai ragione, è uno stronzo miliardario. Non so cosa sia peggio».

Alli fece spallucce e assunse un’espressione triste, sapevamo entrambe cosa fosse peggio.

«Dunque, hai più sentito Heath da quando… be’, lo sai». Le domandai sperando di spostare la conversazione da Blake e dal mio passato.

«Sì, mi ha mandato un messaggio stamattina». Le comparve un sorriso sul viso.

Ormai era persa. Che Dio ci aiuti!

«Grazie per il bel ricordo?», scherzai, ed entrambe scoppiammo a ridere. «Credi che la vostra storia continui?»

«Non lo so. Vive a New York, quindi chissà? Andiamo a cena insieme stasera». Mi guardò. «Cioè, se non ti dispiace. Possiamo uscire noi due sole se hai davvero intenzione di scaricare Blake».

Sapevo che non diceva sul serio, parlava soltanto come avrebbe fatto qualunque amica.