Capitolo quindici

Il ronzio nella mia mente non si fermava. Mi nascosi sotto le coperte per cercare di prendere sonno, sperando che Alli andasse ad aprire quella maledetta porta.

Oh, merda. Spalancai gli occhi e mi tirai su. Ero di nuovo nel mio appartamento. Saltai in piedi per rispondere al citofono, non c’era traccia di Sid.

«Chi è?»

«Ehi, piccola», disse una voce all’altoparlante.

Sorrisi. «Sali, Marie». Schiacciai il pulsante e aprii la porta. Misi a fare il caffè e guardai l’orologio sulla stufa. Mi ero persa il pranzo e gran parte del pomeriggio. Mi brontolava lo stomaco. Prima il caffè. Marie arrivò qualche minuto dopo; aveva un aspetto fresco e un vestitino dalla fantasia floreale, i colori vivaci contrastavano con la sua invidiabile carnagione.

«Accidenti, bella casa». Si guardò intorno nel soggiorno, che sembrava un po’ meno vuoto da quando erano arrivati i mobili. Sid aveva montato tutto mentre ero fuori, ancora non avevo avuto modo di ringraziarlo. Lo avrei fatto presto. Per una volta avevamo avuto gli stessi orari da nottambuli.

«Grazie, a me piace moltissimo», risposi. «Caffè?»

«Un po’ d’acqua va bene». Si mise a sedere su uno sgabello vicino al ripiano della cucina e gettò la borsa e una busta sul pavimento.

Sembrò osservarmi con attenzione per un istante, poi aggrottò la fronte. «Hai un brutto aspetto, Erica. Va tutto bene?».

Sospirai, mi sentivo tanto sfinita quanto probabilmente dava a vedere il mio aspetto. «Lunga notte e lunga storia. Ti risparmierò i dettagli», risposi, sperando che il caffè uscisse in fretta. Avevo bisogno di qualche altro minuto per svegliarmi e rendermi conto del mondo che mi circondava prima di riuscire anche soltanto a parlarne. «Novità? Qualcosa da raccontarmi su Richard?»

«Oh, non lo so». Fece spallucce mentre mi prese il bicchiere dalle mani. «Lui ha la sua vita, io ho la mia. Vedremo come andrà, credo».

«Non sento profumo di fiori d’arancio». Mi sporsi contro il ripiano della cucina per guardarla negli occhi. Marie aveva avuto diverse storie nel corso degli anni, ed ero abituata a sentir parlare di un potenziale marito per ogni nuovo fidanzato.

Aveva un gran cuore, ma a quanto pareva non riusciva a trovare l’uomo giusto. Solo il cielo sapeva quanto fosse un’inguaribile romantica e meritasse una buona relazione, più di chiunque altro.

«Ne dubito. Siamo entrambi abituati ad avere la nostra libertà. Immagino che quando diventi più grande sia difficile cambiare la propria vita per qualcuno». Sospirò mentre rigirava il bicchiere sul ripiano. «A volte mi mancano quei giorni in cui riuscivo a perdere completamente la testa per qualcuno, e l’altro riusciva a fare lo stesso».

«Non mi sembra una cosa buona».

«Magari non sempre, ma è una sensazione meravigliosa. Dovresti provarci qualche volta». Mi fece l’occhiolino.

«Purtroppo, credo di sentirmi completamente persa in questo momento».

«L’uomo misterioso?».

Feci un respiro profondo mentre mi rendevo conto che lei non era quasi per niente a conoscenza della mia storia con Blake. «Sì. L’uomo misterioso. Si chiama Blake. Vive al piano di sopra, in realtà».

Sollevò un sopracciglio. «Mi sono persa qualcosa?»

«È difficile da spiegare, ma a quanto pare vuole stare con me. Anch’io lo voglio, credo». Mi interruppi perché non sapevo come dire a parole quello che provavo per Blake.

«Allora dov’è il problema?».

Presi una tazza da caffè americano, la riempii prima che la macchinetta smettesse di sbuffare completamente e bevvi un sorso, facendo attenzione a non scottarmi. La sua opinione era inappuntabile. Anch’io avevo molti dubbi sul perché continuassi a ostacolare i miei sentimenti nei confronti di Blake.

«Fa… paura», dissi. «Per cominciare, lui è molto passionale, e poi non ho mai avuto bisogno di nessuno, ma più tempo passiamo insieme… È come se non riuscissi a pensare a nient’altro. Mi distrae in maniera esagerata».

Chiusi gli occhi, cercando di fare chiarezza nei sentimenti che provavo per lui, missione impossibile. Era ovunque, anche quando non eravamo vicini. E se non eravamo insieme, desideravo con tutte le mie forze di stargli accanto. Ovviamente il sesso con lui non era passibile di paragoni, ma quando non ci stavamo sfiancando l’uno nell’altra, stare con lui mi faceva sempre sentire bene. Non potevo confrontarlo con nessuno, se non con una serie di ragazzi poco brillanti che avevano passato il loro tempo con me prima che i genitori li costringessero a sposare la figlia di qualche senatore o cose del genere. Non c’era paragone.

«Sei cotta, ragazzina», disse Marie.

«Lo so. Ma non voglio perdere la testa, Marie. Ho fatto molta strada, ed ecco che sono diventata quella che sono. Mi piace la mia vita e la mia indipendenza, proprio come te. Perché dovrei desiderare di cambiare tutto e perdermi per qualcuno che conosco appena?»

«Ti perderai, Erica, perché con la persona giusta quello che diventerai sarà qualcosa di molto più bello e grande, più di quanto possa anche soltanto immaginare adesso».

Le sue parole mi risuonavano dentro, mi rimbombavano nel profondo. Mi tremavano un po’ le labbra, e tirai via le lacrime che mi erano scese dagli occhi.

«Credo di amarlo», sussurrai. «E la cosa mi spaventa davvero».

Marie saltò giù dallo sgabello e venne ad abbracciarmi forte. Ricambiai l’abbraccio, grata di averla nella mia vita. Ma come potevo arrendermi a qualcuno come Blake? Aveva così tanti segreti, per non parlare delle sue gravi manie di controllo. Non riuscivo a immaginare come saremmo potuti andare avanti nel lungo periodo con tutti quegli ostacoli. Se non ce l’avremmo fatta, come sarei riuscita a sopravvivere considerando tutto quello che avevo passato?

«Ho una cosa per te». Interruppe i miei pensieri tormentati e si allontanò per prendere la busta che aveva lasciato sul pavimento.

Tirò fuori una vecchia scatola da scarpe e me la porse. La portai sul ripiano della cucina e la aprii. Dentro c’erano pile di foto di mia madre ai tempi dell’università, quando Marie aveva appena iniziato a dedicarsi alla fotografia professionale.

«Stavo sistemando delle cose e le ho trovate. Dovevi assolutamente averle tu».

Frugai tra i mucchi ed esaminai ogni foto. Il viso di mia madre e il suo sorriso mi riscaldarono. In momenti come quelli, mi mancava più che mai. Cercai in tutti i modi di ricordare la sua voce, la sua intonazione e le sue risate. Era passato tanto tempo, ma il ricordo del suo amore riecheggiava in me, una melodia senza parole che cullava il mio cuore attraverso anni e distanze.

Marie fece capolino da dietro le spalle, come se vedesse quelle foto per la prima volta dopo tanto tempo, facendo commenti sui luoghi in cui erano state scattate, alcune di esse in giro per il campus. Mi soffermai su un’immagine che ritraeva un gruppo di cinque amici abbracciati, vestiti con giacche leggere in una giornata fresca d’autunno, a giudicare dalle foglie cadute dietro di loro. Qualcosa in quella foto mi fece indugiare. Mia madre rideva, i suoi lunghi capelli biondi le erano finiti davanti al viso. Era girata verso l’uomo vicino a lei. A differenza degli altri, le loro espressioni rivelavano più della leggerezza del momento: uno sguardo fugace di adorazione che soltanto di recente avevo imparato a capire.

«Chi è questo?». Indicai l’uomo con i capelli corti castano chiaro e gli occhi azzurri che sembravano familiari.

Quando Marie rimase in silenzio, mi girai e la vidi scuotere il capo. «Un vecchio amico, credo. Non mi ricordo».

«Qui sembra che mia madre lo conoscesse bene, però».

«Patty aveva molti amici. Era molto carismatica. Mezzo campus era innamorato di lei, giuro».

«Marie…».

«Erica, non so chi sia quell’uomo. Mi piacerebbe tanto potertelo dire». Raccolse la borsa e si ritoccò il trucco nello specchietto da borsetta.

Marie era una persona spensierata e piena di energia, perfino un po’ immatura a volte, ma non sapeva mentire. Mi stava nascondendo qualcosa. Avevo un vago sospetto sul perché, ma non la forzai.

«Tesoro, devo andare. Tienimi aggiornata sul Misterioso Blake, va bene?». Mi sorrise come se negli ultimi cinque minuti non fosse successo nulla.

«Lo farò. E buona fortuna con Richard».

Mi rispose con una debole risata che non lasciava molte speranze sulla sua relazione con il fidanzato. Aprì la porta e urlò quando incrociò Blake sull’uscio. Sembrava davvero meravigliata.

Scoppiai a ridere e li raggiunsi sulla soglia. «Marie, lui è Blake. Blake, lei è la mia amica, Marie».

«Molto lieto, Marie», disse lui, salutandola con un sorriso da far fermare il cuore.

Lei mormorò qualcosa di incomprensibile prima di andare via, salutandomi con un cenno della mano e un’espressione di complicità.

Blake si appoggiò alla porta, fresco di doccia e a piedi nudi, con le mani lungo i fianchi e indosso un paio di pantaloncini da surf abbinati a una maglietta bianca. Soltanto lui riusciva a rendere un abbigliamento così semplice qualcosa di incredibilmente sexy.

«Ti andrebbe di ordinare qualcosa da mangiare?», mi chiese.

«In effetti per me andrebbe benissimo. Mi sento ancora un po’ stanca».

«Anch’io. Tailandese?»

«Perfetto. Ci vediamo su. Devo cambiarmi». Feci un gesto con le mani per indicargli il pigiama.

«Non serve. I vestiti sono un optional, sai».

Sorrise, io alzai lo sguardo al soffitto e gli diedi una pacca sulle spalle, cercando di nascondere un sorriso prima di tornare in camera.

 

«Oh, mio Dio», mugugnai. «Non credo che cucinerò più».

«Non posso permettertelo», disse Blake mentre mangiava gli spaghetti da un contenitore di latta.

Pensava che stessi scherzando, ma quello era il cibo tailandese migliore che avessi mai provato. Ci appoggiammo allo schienale del divano, esausti e sazi.

«Ti va di vedere un film?», mi domandò.

«Vuoi dire al cinema?»

«No, possiamo restare qui, a meno che tu non voglia uscire».

«E che mi dici della tua regola “fuori la roba elettronica da casa mia”?»

«Più che altro si tratta di una linea guida». Aprì un cassetto del tavolino da caffè davanti a noi e prese una serie di telecomandi. Il tasto che premette fece apparire un grande schermo piatto da una rientranza nella parete.

«Mi sembra una buona idea. Scegli un film, intanto vado a pulire in cucina». Raccolsi tutti i cartoni della cena e li portai in cucina. I miei occhi caddero su una scatola di velluto nero, se non altro perché era posata lì da sola sul ripiano. Cercai di fare finta di nulla e di concentrarmi sul mettere via gli avanzi.

«Quella è per te», disse Blake, appoggiandosi su un ripiano dall’altra parte della cucina.

I miei occhi si spalancarono per la sorpresa. «Quella?». Indicai la scatola.

«Volevo dartela a New York, ma siamo dovuti partire prima che ne avessi avuto occasione».

Oh.

«Aprila», disse a bassa voce, con quel tono roco che mi faceva dimenticare tutto il resto.

Un po’ esitante, presi la scatola mentre lui si avvicinava a me. La tenevo tra le mani, incapace di aprirla. Dopo qualche istante di imbarazzo, Blake alzò il coperchio per me. Allora vidi due braccialetti di diamanti, ognuno con un piccolo ciondolo appeso alla chiusura. Ne presi uno e mi accorsi che era una roulette in miniatura di platino massiccio.

«Per essere stata il mio portafortuna al gioco», mormorò.

Sorrisi a quel ricordo. Era stato molto fortunato, dovevo ammetterlo.

Poi presi il secondo braccialetto. Il ciondolo era un cuoricino intessuto. Il mio cuore iniziò a battere forte, fremevo.

«Ogni ciondolo ha un significato», disse con dolcezza, posando la scatola da una parte per mettermi i braccialetti al polso sinistro prima di darmi un bacio delicato sul palmo della mano.

«Grazie». La mia voce vacillava. Restai ad ammirarli. Erano semplici ed eleganti. Conoscendo Blake, erano sicuramente costati un occhio della testa, ma il significato che si nascondeva dietro quel regalo mi tolse il respiro. Avevo ripensato alle sue parole per tutto il tempo, chiedendomi se avesse detto di amarmi per capriccio, oppure semplicemente per vincere la discussione con me. Ma quel regalo era una dimostrazione dei suoi sentimenti. Mi aveva detto cosa provava davvero.

Mi si bloccarono le parole in gola. Avrei voluto dire qualcosa. Anch’io amavo Blake. Cercare di convincermi che non fosse così era semplicemente ridicolo. Le parole, e il loro significato, mi stavano facendo impazzire. Volevo che anche lui sapesse, ma qualcosa mi impediva di parlare.

Accarezzai i bracciali – il metallo freddo sulla pelle e quel debole tintinnio dei ciondoli mi avrebbero sempre ricordato di lui, anche quando non saremmo stati insieme. Prima che provassi a dire qualcosa, mi prese il viso tra le mani e si chinò per baciarmi. Gli passai una mano tra i capelli e lo baciai anch’io con tutta la passione che sentivo, per dirgli quello che provavo nell’unico modo che mi era possibile in quel momento. Lui rispose con la stessa intensità, abbracciandomi stretta e sollevandomi con le sue braccia forti.

«Erica…».

«Shh». Gli misi un dito sulle labbra prima che potesse dire altro. Non ce l’avrei fatta ad ascoltare ancora una volta quelle parole, consapevole del fatto che non avrei avuto la forza di digliele anch’io. Invece lo baciai delicatamente, chiudendo gli occhi per evitare il suo sguardo.

Si fece indietro prima che andassimo oltre, tenendomi la mano per riportarmi in soggiorno. Sollevata, mi adagiai tra le sue braccia mentre iniziava il film. Ci sistemammo sul divano e ci godemmo il momento. Non riuscivo a ricordare di essere mai stata tanto felice con qualcuno. Senza parole, senza aspettative. Passammo le successive due ore a rilassarci insieme, a dimenticare il dramma che avevamo vissuto negli ultimi giorni, finché non mi addormentai tra le sue braccia.

L’appartamento era silenzioso e buio quando mi svegliai. Blake mi portò in camera da letto come se non pesassi affatto. Mi adagiò sul letto e mi aiutò a svestirmi. Riposata dal recente sonnellino, mi sentivo ricaricata. La mia pelle si ravvivò sotto il suo tocco.

«Pensavo fossi stanca».

«Non più», mormorai. Mi tolsi maglietta e reggiseno, continuando a spogliarmi da dove lui aveva smesso. Mi stesi sul letto e lo aspettai.

Lui si sfilò la maglietta, mostrando il petto nudo. «Immagino che mi terrai occupato».

Sorrisi. «Eri tu quello che aveva detto che le relazioni sono un motivo di distrazione».

«Stavo solo sperando di diventare io quella distrazione».

Appena si tirò giù i pantaloncini rivelò la sua eccitazione. Nella luce soffusa della stanza, aveva un aspetto meraviglioso. Le ombre giocavano in modo perfetto sugli angoli del suo corpo scolpito. Mi morsi forte il labbro mentre lo guardavo.

«Allora, in qualche modo, vedi di distrarmi».

Salì sul letto, il materasso affondava man mano che si avvicinava a me.

«Distenditi, farò ben più che distrarti».

Mi sdraiai. Mi sfilò le mutandine e andò dritto verso la carne morbida tra le mie gambe, leccando con una leggerezza esperta. Gemette, mentre titillava i tessuti sensibili con tocchi delicati della lingua.

«Mi piaci da impazzire qui giù», disse; il suo respiro mi colpiva la carne umida. «Potrei leccare la tua figa dolce per tutto il giorno».

Le sue parole mi fecero eccitare. Il mio respiro divenne più affannoso, sentivo il piacere sempre più vicino che mi assaliva come una tempesta dentro di me. Lui mi affondò le dita nei fianchi per tenermi ferma mentre mi dimenavo contro di lui. Mi aggrappai alle lenzuola sotto di me, e l’orgasmo si fece sempre più imminente. Urlai, il mio corpo reagiva fuori controllo, ma prima che riuscissi a godere dell’ultimo brivido, infilò il suo corpo tra le mie gambe e si spinse dentro di me, spostandomi i fianchi così da riuscire a penetrarmi fino in fondo dalla prima spinta.

Appena cercai di tendermi per agevolarlo mi si bloccò il respiro, sentivo il corpo deliziosamente contratto.

«Che bello», dissi ansimando.

Si muoveva lentamente, facilitando un movimento che condividevo in modo avido. Lento e intenso. Non poteva esistere nulla di più perfetto. Come tornare a casa. Era il luogo in cui volevo tornare ogni sera, tra le sue braccia, dove potevo assaporare la pressione del suo corpo su di me, intorno a me, dentro di me, che mi riempiva completamente e che mi scopava senza tregua finché non scomparivamo l’uno nell’altro – finché non sentivamo insieme quella magia.

«Dio, Erica. Sei così stretta», mi mormorò contro il collo. «Perfetta».

Feci un respiro profondo, e un amore accecante fuoriuscì insieme al mio fiato. Mi vennero i brividi. Ero matta a pensare di poter stare senza di lui, senza tutto quello. Io ero lui, in ogni maniera possibile. Non lo avevo mai desiderato così tanto, e volevo che quel momento non finisse mai.

Facemmo l’amore lentamente, anche se l’assenza di impeto non lo rese meno profondo. Avvolta nel suo odore e nelle sue persistenti carezze, mi aggrappai alle curve rigide del suo corpo muscoloso, alla promessa che avremmo soddisfatto la fame che ci consumava ogni volta che i nostri corpi si incontravano. Mi abbracciò forte mentre un altro orgasmo si faceva strada dentro di me, lento e costante, il piacere che prendeva il sopravvento. Sopraffatta dalle emozioni, chiusi gli occhi, ma Blake si fermò.

«Guardami», sussurrò.

Il mio corpo rispondeva anche al più piccolo dei suoi ordini. Aprii gli occhi per incontrare i suoi, e la passione e l’amore che vi lessi mi procurarono una fitta al petto. Non c’era dubbio che amassi quell’uomo.