Capitolo tre

Stava piovendo da ore. Fiumi d’acqua scorrevano sul davanzale della finestra accanto alla mia scrivania che dava su uno dei tanti viali del campus. Gli alloggi erano avvolti nel silenzio, dato che gran parte degli studenti avevano già traslocato prima dei termini, così decisi di rimettermi in pari con il lavoro. Stavo controllando le statistiche di Clozpin, quando la notifica di una nuova mail comparve sullo schermo: non conoscevo il nome del mittente. L’oggetto recitava: «Partecipanti alla conferenza TechLabs». Un brivido di eccitazione mi attraversò non appena lessi il messaggio: era un invito conseguente a una rinuncia di partecipazione comunicata all’ultimo momento per TechLabs, la più grande conferenza annuale sulle imprese digitali.

«Alli…».

Borbottò qualcosa da sotto la coperta in cui sonnecchiava.

«Ti va di andare a Las Vegas?»

«Pensavo avessi smaltito la sbronza».

«Infatti, ma sono stata appena invitata a parlare alla conferenza TechLabs questo fine settimana».

Alli tirò via la coperta e si mise a sedere. «Dici sul serio?»

«Sì, sul serio. Uno degli amministratori delegati ha rinunciato e vogliono che lo sostituisca».

«Dobbiamo andarci. Senza dubbio. Potrebbe essere una grande opportunità per fare marketing». Batté le mani in preda all’emozione. Il viaggio sarebbe stato costoso, ma non potevamo rinunciare a un’occasione che ci avrebbe permesso di accendere i riflettori sulla nostra start up? Che diavolo. Data la situazione non potevo permettermi di lasciare qualcosa di intentato.

«Andiamo», dissi, con le vertigini al solo pensiero. Certo, far conoscere l’impresa era un’occasione fantastica, ma l’idea di andare a Las Vegas era già di per sé emozionante. Se fossi rimasta lontana dai casinò, sarebbe andato tutto bene.

«Meraviglioso, dobbiamo fare subito i bagagli», disse Alli.

«Mi prendi in giro, vero?»

«Erica Hathaway, sei l’amministratore delegato di un social network sulla moda, devi rappresentare la tua azienda a Las Vegas, capitale del glamour e dello sfarzo. Abbiamo molto lavoro da fare».

Scoppiai a ridere, mentre Alli entrava in azione, perdendosi nei meandri del nostro armadio striminzito e gettando sul letto qualunque microabito riuscisse a trovare.

«Vestirò da amministratore delegato, non da ragazza squillo. È chiaro, Alli?»

«Tu non sei mai stata a Las Vegas, tesoro. Fidati di me».

Passammo le ore successive a negoziare sui capi d’abbigliamento mentre io prenotavo i voli e preparavo il materiale per la conferenza. In poco più di ventiquattr’ore saremmo atterrate a Las Vegas.

 

Il giorno dopo, verso mezzogiorno, mi incamminai per il campus per incontrare Sid. Era quasi ora di svegliarsi, per lui.

Non c’era da sorprendersi, Sid e io eravamo entrati in contatto per la prima volta online. Io avevo preparato l’idea generale, i progetti e un piccolo piano di investimento per i costi della start up, e dopo aver rimuginato sull’idea originale per qualche settimana, mi ero resa conto di aver bisogno di un programmatore per creare il sito. Tra tutti gli studenti di informatica, Sid era stato il primo a rispondere all’annuncio. Dopo un paio di incontri, avevamo deciso di essere partner in questo progetto.

Bussai alla porta diverse volte prima che venisse ad aprire. Sid era alto più di un metro e ottanta ed era letteralmente l’essere umano più magro che avessi mai conosciuto. Con la carnagione olivastra e gli occhioni da cucciolo, aveva un aspetto adorabile, ma da quando lo conoscevo era sempre stato single. A quanto pareva, non ero l’unica che aveva bisogno di uscire più spesso.

Aveva gli occhi arrossati e stanchi, e mi domandai se avesse passato la notte a giocare a un nuovo videogame. Quando accadeva il suo sonno già di per sé travagliato peggiorava ulteriormente.

«Tieni, ti ho portato la colazione». Gli lanciai un energy drink e lui mugugnò una risposta prima di tornare a rintanarsi in camera – viveva in un alloggio disordinato insieme ad altri studenti altrettanto eremiti. Lo seguii e mi misi sul divano.

«Che succede?». Sollevò la linguetta della lattina e si mise alla scrivania piena di lattine vuote e cartacce di merendine. Mi sforzai con tutta me stessa di resistere alla tentazione di riordinare e pulire.

«Sto per andare a Las Vegas per parlare alla conferenza TechLabs, quindi volevo sistemare il sito prima di partire stasera. Avremo un grosso numero di visitatori durante la presentazione. Voglio soltanto essere sicura che il sito supporti tanti utenti».

«Di che numeri stiamo parlando?»

«Non ne ho idea, ma ci saranno quarantacinquemila persone alla conferenza. Viene anche Alli, in veste di PR».

«Va bene, monitorerò le statistiche e mi appoggerò a qualche server che sopporti un flusso notevole di visite». Annotò qualcosa su un quaderno e accese il computer.

«Possiamo allargare la piattaforma che abbiamo già, oppure dobbiamo acquistarne una dalla capienza maggiore?», domandai, sperando di poter spendere una quantità minima di fondi.

«Possiamo sempre prenderne una più grande. Rientra nel budget?»

«Ehm, non proprio. Questo viaggio sarà molto costoso».

«Quanto ci vuole prima che arrivino i fondi della Angelcom?»

«Se mai arriveranno, non lo so. Spero di saperlo appena incontrerò Max tra un paio di settimane. Credo ci voglia qualche mese, ma ho la sensazione che lui potrebbe essere in grado di accelerare i tempi, se fosse interessato».

«Okay, troveremo un modo, credo. Ho un paio di vecchi computer qui da qualche parte, potrei collegarli per creare una piattaforma. Spero soltanto che la rete dell’università non faccia scherzi».

«Fai uno dei tuoi incantesimi».

Avevo capito soltanto il venti percento, più o meno, di quello che aveva detto Sid, ma non avevo il minimo dubbio che fosse un genio nel suo campo, quindi ero sicura che avrebbe trovato una soluzione. Non si svegliava mai prima di mezzogiorno, mai, ma quel ragazzo era capace di costruire un computer con un po’ di RAM e schede madri nel giro di qualche ora. E poi Clozpin era diventata anche una sua creatura, e proprio come me aveva lavorato quasi esclusivamente sul social in quei giorni. Gli ero grata per la sua dedizione, anche se significava sopportare i suoi capricci.

«Come va con la ricerca di lavoro?», domandai, sperando che anche lui, come me, avesse poca voglia di entrare a far parte del mondo reale.

«Nulla di nuovo. Non ci sto dedicando molto tempo».

Mi sentii sollevata, perciò lo lasciai al suo lavoro e iniziai a mettere in ordine la stanza.

«Erica, non c’è bisogno che lo faccia tu. Pulirò domani, promesso».

«Non ti preoccupare. Cerca soltanto di non farci perdere la connessione nelle prossime quarantotto ore, e saremo pari».

«Affare fatto».

 

Appena entrammo al Wynn, mi resi conto che Alli aveva ragione. Erano appena le dieci passate di un venerdì sera e il casinò pullulava di donne sexy negli abiti più discinti che avessi mai visto. Al confronto io sembravo una suora. Una volta in camera, Alli pretese che mi agghindassi prima di andare in esplorazione per l’hotel. Optai per un tubino nero attillato e un paio di décolleté color carne, i capelli leggermente spettinati e ricci sciolti sulle spalle.

«Le ragazze da queste parti probabilmente ci vanno in chiesa con questo vestito, Alli».

«Non preoccuparti. Alza un po’ la gonna». Lei si era messa un abito molto scollato, fluorescente.

La mia scollatura era appariscente, evidentemente lo stress non mi aveva rimpicciolito le tette. «No, grazie. Preferisco lasciare qualcosa all’immaginazione. Anche tu dovresti».

«Come vuoi. Tanto non conosciamo nessuno qui». Fece spallucce.

Non potevo darle torto. Sarebbe potuta essere l’occasione per lasciarsi un po’ andare, ma poteva anche rivelarsi pericoloso.

Grazie a Blake, sentivo già un ardente desiderio di essere toccata dappertutto, e la mia eccitazione non accennava a diminuire. Rischiavo di saltare addosso al primo sosia di Blake che avrei incontrato.

Ogni volta che tornavo con la mente all’incontro della Angelcom, fantasticavo sulle possibili evoluzioni che avrebbe potuto avere quella giornata, e tutte finivano con me sdraiata sulla scrivania mentre gridavo il suo nome. Gesù mio. Cercai di togliermelo dalla testa. Era nella lista delle persone che detestavo, non su quella dei desideri.

Alli mi distrasse mentre si agghindava e armeggiava tra i miei accessori. Nessuno amava la moda più di Alli. All’inizio non riuscivo a capire come riuscisse a sprecare tanta energia sul suo aspetto, ma poi mi resi conto che la moda era la cosa che la faceva stare meglio, per sé stessa, non tanto per fare colpo su qualcun altro, sebbene la aiutasse anche da quel punto di vista.

Era passata mezzanotte quando entrammo nel casinò come se fosse il traguardo della nostra destinazione, il passaggio a livello che portava dall’altro lato della strada. Il posto era affollato e Alli mi prese per mano per farci largo tra la folla di gente che parlava ad alta voce e si muoveva in modo convulso.

«Erica!».

Rallentai, sicura di aver sentito chiamare il mio nome tra il frastuono del chiacchiericcio. Di certo non ero l’unica Erica lì dentro, ma quando sentii di nuovo il mio nome, mi girai verso la voce e vidi un volto familiare: Blake era in piedi vicino al tavolo della roulette che mi fissava.

«Oh, merda. Usciamo di qui». Mi voltai e trascinai Alli con me.

«Aspetta, chi è quello?». Alli si bloccò all’improvviso, causando un ingorgo alle nostre spalle.

«Quello è Blake Landon».

«Accidenti, cosa ci fa qui?»

«Non mi importa. Voglio soltanto allontanarmi il più possibile da quell’uomo».

«Ti sta guardando, Erica. Andiamo almeno a salutarlo».

Alli gli fece un cenno con la mano e mi trascinò verso il tavolo dove lui stava giocando. Miracolosamente, era ancora più bello di quanto ricordassi. Indossava una maglia nera sotto un completo grigio, era impeccabile, intimidatorio, sexy da morire. Feci un respiro profondo e mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sperando con tutta me stessa che non percepisse la mia evidente tensione sessuale.

Potevamo fare una cosa veloce e poi andarcene ognuno per la propria strada.

«Erica», mi salutò, fissandomi con quegli occhi penetranti. «Che sorpresa».

Feci del mio meglio per apparire disinvolta, ma stavo trattenendo il respiro sotto lo sguardo che faceva scorrere lungo il mio corpo. Incrociai le braccia, pentendomi di colpo di aver scelto quell’abito, ma il tentativo di nascondere la scollatura non fece altro che farla risaltare ancora di più.

Socchiuse le labbra, restando a fissare involontariamente il mio décolleté per un secondo di troppo. Io raddrizzai le spalle cercando di sottrarmi al suo sguardo e notai il bell’uomo vicino a lui. Sembrava il fratello più piccolo e molto somigliante di Blake, con i capelli un po’ più chiari e gli occhi nocciola scuro, quasi castani. Ci salutò con la mano.

«Erica, io sono Heath, il fratello di Blake».

Rivolse uno sguardo a Alli da infarto. Lei mi strizzò la mano.

«Lieta di conoscerla, Heath. Lei è Alli Malloy, una delle cofondatrici della start up», dissi, sperando che la presentazione non avesse risvolti di alcun tipo.

Alli distolse lo sguardo da Heath per salutare Blake. «Ho sentito parlare molto di lei, signor Landon». Gli sorrise e poi si girò verso di me, sgranando gli occhi.

Ora che lo aveva visto in carne e ossa, sapeva contro cosa mi stavo scontrando, ma la sua espressione non mostrava alcuna empatia. Ero praticamente certa che avesse già messo gli occhi sul fratello, e qualunque possibilità che mi sostenesse nella mia battaglia era si era dileguata.

«Fate il vostro gioco!». Il croupier lanciò la pallina nella roulette.

«Lei gioca alla roulette?», domandò Blake.

«Sì, ma non stasera». Il gioco d’azzardo non rientrava affatto nelle spese di viaggio. Per non parlare del fatto che la puntata minima a quel tavolo era di mille dollari.

«Be’, io sì. Su quale numero punterebbe?».

La pallina iniziava a rallentare, e io sorprendentemente mi agitai perché puntasse prima che fosse troppo tardi. «Ehm, nove e uno». La mia data di nascita, numeri che mi avevano portato fortuna già in passato.

Blake mise alcune fiches, per un totale di diecimila dollari, sui miei due numeri e su altri pochi secondi prima che la sfera si fermasse sul nove. Alli e io urlammo all’unisono. Il cuore iniziò a battermi forte mentre cercavo di calcolare la vincita.

«Numero nove!». Il croupier porse a Blake cinque fiches colorate.

Blake ne lasciò una al croupier come mancia e mise le altre in tasca. Mi prese la mano e io sentii un brivido. Tra il contatto della sua mano e la vincita, il mio corpo era elettrizzato. Feci qualche passo indietro per restare sulla difensiva, sorpresa dalla voglia che avevo che mi toccasse.

Abbassai lo sguardo sulla fiche da diecimila dollari che mi ritrovai in mano, una cifra che superava la somma di tutte le mie vincite alla roulette.

«Perché?»

«Per essere stata il mio portafortuna. Non avrei vinto senza di lei».

Accompagnò la sua risposta con un sorriso divertito che, combinato all’eccitazione per averlo visto vincere, quasi mi fece dimenticare di essere arrabbiata con lui. Tutto questo avrebbe funzionato con le altre ragazze, ma io non avevo intenzione di farmi pagare.

«Non posso accettarli». Restituii la fiche.

«Insisto. Usciamo di qui prima che la sfera si fermi su un altro numero, per favore».

Con riluttanza, misi la fiche nella borsetta e uscimmo senza guardarci indietro.

 

«Ha un aspetto diverso. L’avevo a malapena riconosciuta». Blake si chinò verso di me affinché soltanto io potessi sentirlo.

Alli e Heath stavano decidendo quale tapas ordinare mentre noi aspettavamo che arrivassero i nostri tequila flight. Ci eravamo avventurati in un locale in pieno stile Las Vegas vicino al casinò per festeggiare la vincita. Heath aveva già preso una cotta per Alli, lasciandomi alle prese con Blake. Sentivo il suo respiro caldo sul collo e avvertivo brividi fugaci. Mi sforzavo di non immaginare che effetto mi avrebbero fatto le sue labbra in quel punto. La sua vicinanza rasentava lo sconveniente e il suo profumo mi travolgeva: pulito, speziato, irresistibilmente maschio. Se ne avessero creato una fragranza avrebbero guadagnato milioni.

«Sì, non è proprio un abbigliamento da incontro di lavoro…». Cercavo di tirare giù l’orlo del vestito che copriva a malapena l’essenziale, ora che ero seduta. Se mi avesse squadrata un’altra volta avrei preso fuoco seduta stante.

«A me piace di più».

C’erano centinaia di bellissime donne nel locale, molte delle quali lo stavano fissando. Che fortuna, non soltanto averlo incontrato per caso, ma anche restare intrappolata nella sua rete mentre Alli flirtava spudoratamente con suo fratello.

«È qui per la conferenza?», domandai, cercando in tutti i modi di cambiare argomento.

«Perlopiù, sì», rispose.

«Blake è qui per affari. Io invece per piacere», disse Heath facendo l’occhiolino a Alli.

Ci stava provando di brutto, e Alli non sembrava dispiaciuta. Non riuscivo a capire se fosse davvero interessata a lui, oppure stesse facendo, con molto scrupolo, il suo lavoro di PR. Speravo fosse la seconda opzione.

«In realtà, Heath è il vicepresidente della mia compagnia. Tecnicamente, anche lui è qui per la conferenza».

Heath scoppiò a ridere. «Ogni volta che il lavoro porta Blake a Las Vegas, il mio coinvolgimento per la compagnia diventa improvvisamente sconfinato. Abbiamo tutti incarichi molto rilevanti, ma la maggior parte di noi orbita praticamente intorno a Blake. È lui che fa il grosso del lavoro».

Rimasi ad aspettare una replica di Blake, ma lui si limitò a serrare le mascelle.

Sembrava diverso in qualche modo, più serio. Aveva un’espressione rilassata, controllata, ma avvertivo una certa tensione sotto la calma apparente.

Alli ruppe il silenzio: «Proprio come Erica nella start up. È lei la nostra leader impavida».

Blake stava per dire qualcosa, quando arrivò il cameriere con una quantità di tequila tale da garantire di prendere decisioni molto sbagliate per il resto della serata. Afferrai un bicchiere, stipulando un tacito accordo con me stessa che quello sarebbe stato il mio primo e ultimo drink. Con Blake accanto non mi sentivo sicura nemmeno da sobria, e la tequila tendeva a farmi fare cose bizzarre.

Heath alzò il bicchiere.

«A cosa vogliamo brindare?», domandai.

«Alla vincita», rispose facendo tintinnare i bicchieri.

Bevvi, poi presi una fettina di limone e succhiai per attutire il sapore forte del liquore.

Nel corso dell’ora successiva o giù di lì, Heath ci deliziò con i suoi racconti: avventure nella cosiddetta città della perdizione, viaggi in Europa e vita lussuosa a Dubai. Simpatico e carismatico, Heath era una persona magnetica. Alli gli faceva delle domande e ne incoraggiava la loquacità, così riuscii a sentirmi quasi sollevata, anche se ero ancora arrabbiata con Blake e non avevo alcuna intenzione di raccontargli fatti personali della mia vita.

«Posso offrirvi un altro drink? Qualcosa di diverso?».

La voce profonda di Blake mi fece rabbrividire e distrarre dallo spettacolino che avevano messo su Alli e Heath.

«Devo fare una presentazione domani mattina», risposi. «Ho bisogno di dormire». Erano quasi le due del mattino a Las Vegas. La stanchezza della giornata iniziava a farsi sentire, ma non ero sicura che Alli fosse altrettanto stanca. «Tu vuoi restare, Alli?»

«Ehm…», si girò a guardare Heath.

«Resta con noi ancora un po’», le disse lui con voce pacata.

Lei si voltò verso di me, con gli occhi accesi come gli alberi a Natale.

«Sei sicura?»

«Sì, salgo in camera tra poco. Non ti preoccupare». Alli brillava di eccitazione. La tequila stava vincendo su di lei.

«Faremo in modo che torni a casa sana e salva», promise Heath.

Riuscii quasi a credergli.

Normalmente avrei cercato di convincerla ad andarcene insieme per il suo bene, ma non volevo guastarle la festa.

Blake si alzò con me. «Permettimi di accompagnarti».

«No, grazie. Sto bene».

«Anch’io sto andando via. Facciamo la strada insieme».

Mi convinsi, sicura che sarei sopravvissuta per i successivi dieci minuti da sola con lui.

Ci incamminammo e Blake mi fece strada verso un ascensore vuoto, accompagnandomi con la mano appoggiata delicatamente sulla schiena. Il contatto inaspettato mi riscaldò.

Eravamo in piedi, l’uno accanto all’altra, mentre le porte si chiudevano. Iniziai a tamburellare con le dita sul corrimano, in preda all’ansia.

«A quanto pare si piacciono», disse rompendo il silenzio.

«L’ho notato. Tuo fratello è davvero affascinante».

«È un tipo irrequieto». Scosse il capo e si passò una mano tra i capelli.

«Anche Alli a volte lo è. Magari insieme riusciranno a tenersi lontani dai guai».

Blake sollevò un sopracciglio con aria scettica.

Piombò di nuovo il silenzio.

Il ronzio dell’ascensore sembrava amplificare l’energia che si era sprigionata tra di noi, come se la mia attrazione per Blake avesse acquisito una voce. Avevo chiaramente sottovalutato quanto potessero durare dieci minuti con lui. Quando l’ascensore si fermò al mio piano, Blake mi accompagnò fuori e mi guidò lungo il corridoio verso la porta della camera.

«Eccoci arrivati», dissi, sperando in un saluto veloce.

Invece la sua mano si fece strada dalla mia schiena al gomito, lungo il braccio, fino a prendermi la mano. Con il pollice iniziò a tracciarmi piccoli cerchi sul palmo, e io non capivo se quella sensazione fosse di dolore. Ma fu decisamente uno shock per il mio sistema nervoso, quasi un elettroshock che dai polpastrelli si propagava in tutto il corpo.

«Blake, io…».

Il mio corpo lottava contro la reticenza che dominava il mio cervello. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio e il suo profumo mi stava stregando, richiamandomi alla mente il nostro primo incontro.

«Non vuoi farmi entrare a bere qualcosa?», chiese a bassa voce. Si passò la lingua sul labbro inferiore, per poi morderlo. Il suo sguardo non era affatto innocente.

Ma chi avrebbe potuto dirgli di no?

Deglutii a fatica e mi scostai leggermente, allontanandomi dalla sua orbita magnetica. Scossi la testa e mi attorcigliai i capelli con fare nervoso, cercando di concentrarmi su qualcosa che non fossero le sue labbra. «Devo alzarmi tra poche ore».

«Anch’io».

Era lo stesso Blake Landon che aveva quasi distrutto ogni possibilità di reperire fondi per la mia azienda qualche giorno prima. Non stavo per passare la notte con quell’uomo. Giusto?

Feci un respiro profondo e lo guardai negli occhi. «Blake, sono sicura che tu non sia abituato a sentirti dire certe cose, ma davvero non sono interessata. Siamo stati bene stasera, ma io sono qui per lavoro».

«Non sembri una che si trova qui per lavoro».

Abbassai lo sguardo, ma lui si limitò a sorridere.

«Davvero, Erica, stai dicendo che non ti senti attratta da me, per niente?».

Appoggiò un braccio alla parete mentre con il corpo mi intrappolava.

Determinata a tenermi a distanza, mi appoggiai contro la porta, con il cuore che sembrava volermi uscire dal petto. Quei pochi centimetri di distanza tra noi erano l’ultimo bastione che mi separava da… una notte in tutta la vita?

No, da uno sbaglio enorme.

«Se sei in cerca di complimenti, non posso accontentarti», dissi io. «E anche se mi sentissi attratta da te, non cederei alla tentazione per diverse ragioni, non ultima quella di mantenere i miei rapporti con la Angelcom il meno complicati possibile».

«Non investirò nel tuo progetto, quindi non sarà complicato».

«Non sono d’accordo».

«Cosa potrei fare per convincerti?». Sorrise con aria di sfida.

La stoffa del suo completo restava leggermente aderente all’altezza delle braccia e delle cosce. Gesù, chi lavora nelle tecnologie di solito non è così sexy. Non avrei desiderato altro che scartarlo come un regalo. Come avrei fatto a resistergli se mi avesse toccata di nuovo o, Dio non volesse, baciata?

Volevo solo trascinare Blake in camera mia e scoparlo senza pietà, ma sapevo di non poterlo fare.

«Semplice, non puoi».

Mi girai e frugai nella borsetta alla ricerca delle chiavi. Un attimo dopo mi era addosso e con un braccio caldo e possessivo mi cinse la vita.

Chiusi gli occhi e cercai di respirare, barcollando per quel contatto improvviso.

«Sicura?».

Continuai a respirare a fatica, cercando disperatamente di ignorare il suo corpo che premeva contro il mio. Le mie labbra non riuscivano ad articolare le parole che avrei voluto pronunciare, e allora mi limitai ad annuire, sperando che mi lasciasse stare.

Il suo braccio scivolò dalla schiena fino al fianco, poi lui iniziò a toccarmi di nuovo come se fossi sua. Accidenti se non mi provocava brividi più forti dell’offesa che mi aveva arrecato.

Tuttavia non potevo cedergli.

«Sicura». La voce però non era ferma e faceva trasparire il mio dubbio.

Con una mano mi percorse il braccio fino alla spalla, scostandomi i capelli dal collo, poi mi diede un bacio delicato in quel punto, lungo abbastanza da farmi formicolare di nuovo in tutto il corpo. La mia vista si offuscò mentre appoggiavo le mani alla porta per non perdere l’equilibrio.

«Ci vediamo domani», sussurrò.

Quando mi voltai era già andato via. Mi maledissi per non averlo fatto restare, ma anche per non averlo mandato via prima. Con dita tremanti, riuscii a trovare la chiave… e la fiche.