Capitolo due

La receptionist della Angelcom Venture Group mi rivolse uno sguardo interrogativo prima di accompagnarmi alla sala conferenze, in fondo al corridoio. Mi guardai per assicurarmi di non avere nulla fuori posto. Sembrava tutto okay, per il momento.

«Si metta comoda, signorina Hathaway. Gli altri dovrebbero arrivare a breve».

«Grazie», risposi con educazione, sollevata che la sala fosse ancora deserta. Feci un respiro profondo, lasciando scorrere una mano lungo il tavolo conferenze mentre mi avvicinavo alla vetrata con vista sulla baia di Boston. La meraviglia del paesaggio si mescolava con la mia ansia crescente. Tra qualche istante mi sarei trovata faccia a faccia con un gruppo di investitori tra i più influenti e ricchi della città. Mi sentivo molto a disagio, e non era affatto divertente. Feci un altro respiro e scossi la testa in preda all’agitazione, sperando di riuscire a rilassarmi almeno un po’.

«Erica?».

Mi voltai. Un uomo giovane, più o meno della mia età, capelli biondi pettinati con la riga di lato, occhi blu intenso e un vestito a tre pezzi dall’aria costosa si avvicinò. Ci stringemmo la mano.

«Lei deve essere Maxwell».

«Per favore, mi chiami Max».

«Il professor Quinlan mi ha raccontato molte cose su di lei, Max».

«Non creda a una sola parola di quello che le ha detto». Scoppiò a ridere, rivelando denti splendenti in contrasto con l’incarnato abbronzato, che mi fece domandare quanto tempo passasse nel New England.

«Mi ha detto soltanto cose positive, giuro», dissi, mentendo.

«Buon per lui. Gli devo un favore, allora. Questo dev’essere il suo primo incontro d’affari?»

«A quanto pare sì».

«Andrà tutto bene. Ricordi soltanto che tutti noi ci siamo trovati nella sua stessa condizione in passato».

Sorrisi e annuii, consapevole di quanto fosse improbabile che Max Pope, erede dell’armatore Michael Pope, avesse parlato con qualcuno che non fosse suo padre per chiedere un investimento di due miseri milioni di dollari. Tuttavia, se mi trovavo lì era grazie a lui, e gliene ero grata. Quinlan mi aveva fatto soltanto il favore di agevolare l’incontro.

«Si serva pure. I pasticcini sono deliziosi». Indicò con un cenno il buffet per la colazione in fondo alla sala pieno di squisitezze.

Il nodo che avevo nello stomaco non mi aiutava. Dovevo liberarmi della tensione nervosa. Non ero riuscita neanche a bere il caffè quella mattina. «Grazie, ma sono a posto».

Appena gli altri investitori entrarono, Max mi presentò e io feci del mio meglio per parlare un po’ con tutti, maledicendo tra me Alli, la mia migliore amica e socia in affari, che non era lì perché si stava dando da fare con il marketing. Lei era in grado di impostare una conversazione anche su una lattina di zuppa pronta, mentre io non riuscivo a pensare ad altro che alla presentazione della mia start up, di certo non un buon argomento per chiacchierare con gente che non avevo mai visto prima.

Non appena quelle persone iniziarono a prendere posto al tavolo conferenze, mi sistemai sul lato opposto, controllando e mettendo in ordine tutte le carte per la ventesima volta. Osservai l’orologio sulla parete di fronte a me: avevo meno di venti minuti per convincere un gruppo di sconosciuti che valeva la pena investire su di me.

Il mormorio cessò, ma non appena mi girai verso Max per iniziare a parlare, lui fece un gesto per indicare la sedia vuota davanti a me. «Dobbiamo aspettare che arrivi Landon».

Landon?

La porta di spalancò. Merda. Di colpo dimenticai come si respirava.

Era il mio uomo misterioso – un metro e ottanta di pura virilità, per nulla simile ai suoi colleghi in giacca e cravatta. Un pullover nero con scollo a V esaltava le spalle e il petto scolpiti, e i jeans consumati gli cadevano alla perfezione. Mi venne la pelle d’oca al pensiero di sentire ancora una volta quelle braccia intorno a me.

Con un caffè freddo lungo in mano, si sistemò sulla sedia di fronte a me, apparentemente inconsapevole del suo ritardo e dell’aspetto casual rispetto ai colleghi, quindi mi rivolse un sorriso in segno di riconoscimento. Sembrava molto diverso dall’uomo in abiti eleganti con il quale mi ero scontrata qualche sera prima. Aveva i capelli meravigliosamente spettinati, le ciocche castano scuro ribelli parevano avere un bisogno disperato delle mie dita. Mi morsi il labbro cercando di nascondere il desiderio che stavo provando per il corpo di quell’uomo.

«Lui è Blake Landon», disse Max. «Blake, Erica Hathaway. È qui per illustrarci il suo social network sulla moda, Clozpin».

Rimase in silenzio per un istante. «Nome brillante. L’hai portata tu qui?»

«Sì, abbiamo un amico in comune ad Harvard».

Blake annuì, fissandomi con uno sguardo penetrante che mi fece arrossire. Si passò la lingua sulle labbra. Quel gesto non ebbe meno effetto di quando lo aveva fatto la prima volta che ci eravamo incontrati.

Feci un respiro profondo e incrociai le gambe, per soffocare lo spasmo che avvertivo. Ricomponiti, Erica. Il nodo che avevo allo stomaco pochi secondi prima esplose in una carica sessuale incontenibile che avvertivo in tutto il corpo, dai polpastrelli alle parti intime.

Buttai lentamente fuori l’aria mentre mi sistemavo i polsini del soprabito, pensando a quanto sarebbe stato sconveniente svenire in un momento del genere. Iniziai a balbettare la presentazione. Illustrai le caratteristiche del sito web e feci una panoramica sull’andamento dell’anno trascorso, che aveva visto una crescita esponenziale nonostante il marketing ridotto all’osso, cercando per tutto il tempo di mantenere la concentrazione. Ogni volta che Blake mi guardava, il mio cervello andava in tilt.

Poi lui mi interruppe: «Chi è lo sviluppatore del sito?»

«Il cofondatore, Sid Kumar».

«E dov’è?»

«Sfortunatamente i cofondatori del progetto non hanno potuto partecipare all’incontro di oggi, anche se avrebbero voluto».

«Quindi lei è l’unica che si sta occupando del progetto in questo momento?». Landon inarcò un sopracciglio e si appoggiò allo schienale con fare composto, dandomi la possibilità di avere una visuale migliore del suo torace. Feci il possibile per non rimanere a fissarlo.

«No, io…». Cercai di mettere insieme qualche parola per una risposta sincera. «Ci siamo appena laureati, per cui il nostro livello di coinvolgimento nei mesi a venire dipenderà molto dalla stabilità dei finanziamenti».

«In altre parole, la dedizione dei suoi colleghi dipende dai fondi a disposizione».

«In un certo senso».

«Lo stesso discorso vale anche per lei?»

«No», risposi aspra, mettendomi sulla difensiva. Avevo dedicato tutta me stessa a quel progetto, per mesi, senza pensare ad altro.

«Continui», disse facendo un cenno con la mano.

Presi aria e buttai l’occhio agli appunti per riprendere il filo del discorso. «A questo punto, siamo alla ricerca di un’iniezione di capitale per migliorare il marketing, in modo tale da facilitare la crescita dell’impresa e le conseguenti entrate».

«Qual è il suo tasso di conversione?»

«Da utenti che visitano il sito a utenti registrati, circa il venti percento…».

«Va bene, ma per quanto riguarda gli utenti paganti?», mi interruppe.

«Circa il cinque percento passa al livello di utente pagante».

«Come avete intenzione di migliorare questa percentuale?».

Picchiettai con impazienza le dita sul tavolo, cercando di non perdere il filo. Ogni domanda che mi rivolgeva suonava come una sfida o un insulto, e demoliva tutti i pensieri incoraggianti che mi avevano dato la forza di partecipare a quella riunione. Sull’orlo di una crisi di panico, mi rivolsi a Max per un segno di speranza. Aveva un’espressione leggermente divertita, suppongo dall’interazione tra me e il signor Landon. Gli altri mostravano sguardi assenti che passavano dai loro appunti a me e viceversa; non riuscivo a capire se fossero interessati oppure no.

Per una frazione di secondo avevo pensato che il piccolo scontro tra noi al ristorante sarebbe potuto tornarmi utile in qualche modo, ma a quanto pareva non era così. L’uomo misterioso si stava rivelando un autentico seccatore.

«Ci siamo concentrati sull’acquisizione e sul mantenimento degli utenti ordinari che, come ho detto, stanno crescendo vertiginosamente. Con una base solida di potenziali acquirenti, speriamo di attrarre un numero maggiore di rivenditori e firme, così da accrescere anche il numero di utenti paganti».

Rimasi in silenzio per un istante, preparandomi per l’ennesima interruzione, ma lo schermo del telefono di Blake si illuminò, e per fortuna lui si distrasse. Sollevata per essere finalmente fuori dalla lente del suo microscopio, conclusi la presentazione con l’analisi della concorrenza e le proiezioni finanziarie, prima che il tempo a disposizione scadesse.

In sala piombò un silenzio imbarazzante. Blake bevve un sorso di caffè, spense il cellulare e tornò ad accomodarsi. «Si vede con qualcuno?».

Il cuore iniziò a battermi forte e arrossii, come se un professore mi avesse chiamata per un’interrogazione a sorpresa. Se mi vedevo con qualcuno? Lo fissai scioccata, incerta di aver capito il significato di quella domanda. «Come, scusi?»

«Le relazioni sentimentali tendono a distrarre. Se riuscirà a ottenere da questo gruppo i fondi per finanziare il suo progetto, potrebbe essere un fattore che influisce sulla possibilità di crescita dell’impresa».

Non avevo frainteso. Come se essere l’unica donna in sala non mi mettesse già abbastanza a disagio, dovevo anche accendere i riflettori sulla mia vita sentimentale. Bastardo misogino. Serrai le mascelle per trattenermi dalla voglia di scagliargli addosso le peggiori offese. Non potevo perdere la calma, ma di certo neanche sorridere davanti a quel comportamento inappropriato.

«Posso assicurarle, signor Landon, che sono presa al cento percento da questo progetto», risposi con tono fermo e deciso. Incrociai il suo sguardo, cercando di mostrare che il suo approccio non mi aveva sconvolta più di tanto. «Ha altre domande sulla mia vita privata che potrebbero influenzarla nel prendere una decisione oggi?»

«No, credo di no. Max?»

«Ehm, no, credo sia tutto. Signori, siete pronti a prendere una decisione?». Max sorrise e fece un cenno ai colleghi.

Gli altri tre uomini in giacca e cravatta annuirono e, uno dopo l’altro, espressero il loro apprezzamento per i miei sforzi per poi decidere di non investire sul progetto.

Blake mi guardò negli occhi, restando in silenzio per un istante prima di pronunciare il proprio verdetto con la stessa tranquillità con cui aveva distrutto la mia giornata. «Passo».

La tensione d’un tratto svanì e le lacrime minacciarono di sgorgare, accompagnate dalla mia vocina interiore al momento impegnata a preparare un discorso di commiato per il signor Landon, che includeva il consiglio di andare a quel paese e le indicazioni per come raggiungerlo. Guardai Max in attesa del colpo finale.

«Bene, Erica, penso che lei abbia creato davvero una grande community con la sua start up, e ovviamente avrei piacere di saperne di più. Fissiamo un incontro tra un paio di settimane, così potremo entrare nei dettagli. Dopodiché decideremo se offrirle un accordo. Cosa ne pensa?».

Dolce consolazione. Sarei voluta salire sul tavolo per abbracciarlo. «Sarebbe meraviglioso. Non vedo l’ora».

«Grandioso. Dunque, credo sia tutto».

Max si alzò per andare a parlare con i colleghi prima che uscissero dalla sala, lasciandomi da sola con Blake, che mi sorrideva con la sua splendida faccia compiaciuta. Non sapevo se prenderlo a schiaffi o sistemargli i capelli. Avevo anche altre idee in mente. Provare sentimenti tanto contrastanti verso qualcuno in un lasso di tempo così breve mi faceva dubitare della mia sanità mentale.

«Se l’è cavata bene», disse avvicinandosi.

Aveva una voce bassa e roca, che mi faceva formicolare la pelle.

«Davvero?», ribattei titubante.

«Davvero», mi rassicurò. «Posso portarla fuori a colazione?». I suoi occhi avevano assunto un’espressione più affabile, come se non ci fossimo scontrati in quegli ultimi venti minuti.

Confusa, iniziai a rimettere gli appunti nella borsa. Blake era bellissimo, ma si stava sopravvalutando se pensava che sarei uscita con lui dopo le sue battute infelici.

«C’è un grande pub sul lato opposto della strada. Servono una colazione irlandese completa».

Mi alzai e lo guardai, eccitata dalla possibilità di servirgli un bel rifiuto. «È stato un piacere, signor Landon, ma alcune persone hanno del lavoro da sbrigare».

 

«Ti ha chiesto di uscire?». Mi chiese Alli entusiasta all’altro capo del telefono. I rumori di New York rimbombavano in sottofondo mentre parlava.

«A quanto pare sì». Ancora mi stavo riprendendo dagli avvenimenti della mattina appena trascorsa.

«Ti sei messa quel completo che ti sta benissimo? Con la camicetta verde?»

«Sì, certo», risposi sbottonandomi e mettendomi comoda sul divano del dormitorio.

«Be’, non c’è da stupirsi. Sei stupenda con quello. Lui era sexy?».

Blake Landon era uno degli uomini più sexy che mi fosse mai capitato di incontrare, ma non mostrava alcun rispetto per le donne in carriera, e questo faceva crollare l’attrazione che provavo nei suoi confronti. Purtroppo era molto vicino ai primi dieci posti nella classifica delle persone che disprezzavo di più.

«Non ha importanza, Alli. Non mi sono mai sentita così umiliata». Trasalii, ripensando al tono di sfida delle sue domande e al successivo rifiuto.

«Hai ragione, mi dispiace, avrei voluto essere lì con te ad aiutarti».

«L’avrei voluto anch’io. Comunque, come è andato il colloquio?».

Alli rimase in silenzio per un po’. «Bene».

«Sì?»

«Molto bene, veramente. Non voglio portarmi sfortuna, ma sembra promettere qualcosa di buono».

«Grandioso». Cercai di nascondere la delusione nel sentirla elettrizzata da una tale prospettiva. Avrebbe lavorato per il direttore marketing di una delle più grandi firme della moda. Sapevo da mesi che Alli era alla ricerca di un lavoro a tempo pieno dopo la laurea, ma il pensiero di portare avanti il sito senza di lei mi deprimeva. A meno che non avessimo avuto la possibilità di assumere un altro direttore marketing, sarei diventata la portavoce della società, e le interazioni non erano mai state il mio forte.

«Non c’è nulla di sicuro, però. Vedremo».

«Dovremmo festeggiare», commentai. Quanto avrei avuto bisogno di rilassarmi dopo una giornata infernale simile.

«Dovremmo festeggiare il fatto di aver trovato un nuovo amico. Max!», esclamò.

Scoppiai a ridere. Max sarebbe stato proprio il suo tipo: Alli si scioglieva quando vedeva un uomo con il tre pezzi. «Spero soltanto che non voglia investire su di me per fare un favore a Quinlan».

«La gente non spende due milioni di dollari per fare un favore a qualcuno».

«È vero, ma non voglio che investa su di me se non è davvero interessato».

«Erica, ti stai facendo troppi problemi, come al solito».

Sospirai. «Forse sì». Speravo avesse ragione, ma non riuscivo a smettere di valutare ogni possibile scenario per essere pronta a qualsiasi risvolto futuro. Il mio cervello non aveva avuto un secondo di riposo in quei giorni, vista la gran quantità di carne al fuoco.

«Sarò in stazione tra un’ora. Arrivo prima di cena, così andiamo a bere qualcosa».

«Va bene, ci vediamo dopo». Riagganciai e mi sforzai di alzarmi in piedi per andare a mettermi i pantaloni della tuta più comodi, quelli che avevo conservato in caso di fine di una relazione o per i postumi di una sbronza. Quella giornata mi aveva messo alla prova oltre ogni limite.

Mi fermai per guardarmi allo specchio a figura intera nella stanza che condividevo con Alli. Sciolsi la treccia alla francese e i capelli biondi mossi mi caddero sulle spalle. Ero più magra del solito, grazie alle ultime settimane molto stressanti, ma la biancheria coordinata ancora fasciava a pennello le mie curve discrete.

Feci scorrere una mano sul pizzo morbido che mi cingeva i fianchi, desiderando che fosse la mano di qualcun altro a farmi dimenticare questa giornata. Non mi sarei mai aspettata di perdere la testa per un investitore arrogante durante il mio primo incontro d’affari, ma la reazione fisica che avevo avuto nei confronti di Blake era un serio indicatore della necessità di rimettere in gioco la mia vita sociale. Avevo bisogno di uscire e incontrare altre persone.

Allontanarmi dal computer, almeno il sabato sera, momento in cui solitamente facevamo manutenzione sul sito perché il traffico utenti era più lento, ma andando avanti così non avrei avuto più relazioni fino a trent’anni.

Cercai di distrarmi da tutti i problemi, mi vestii e mandai una mail a Sid per aggiornarlo. Non si sarebbe svegliato che tra qualche ora. Oltre a essere nottambulo, come molti programmatori, si era beccato l’influenza il giorno prima del meeting. Neanche lui se la cavava molto bene a parlare in pubblico, ma il numero avrebbe fatto la forza e io mi sarei sentita maggiormente supportata.

L’attività riusciva a tenere me, Alli e Sid appena alla pari con i bilanci, coprendo i costi e le normali spese da studenti universitari, ma avevamo grandi aspettative per i traguardi che avremmo raggiunto una volta terminati i nostri percorsi di studio. Mentre Sid e Alli cercavano lavoro, come ogni laureando diligente e previdente, io mi ero buttata a capofitto su Clozpin, convinta, dopo l’iniziale successo, che avremmo potuto creare qualcosa di più grande rispetto a un lavoro con orario d’ufficio per tutti e tre.

Convincere Max a puntare su di noi poteva essere la mia ultima speranza, prima di dover accantonare quel sogno e cercarmi un lavoro come tutti gli altri. Nel frattempo avevo meno di una settimana per lasciare l’alloggio universitario e trovare un posto in cui vivere.

 

Mi svegliai con l’aroma del caffè subito seguito da un sordo pulsare alla testa.

«Maledetto vino». Mi strofinai le tempie per calmare il dolore.

Mi rannicchiai nel piumone sul divano e ringraziai gli dei per averci donato il caffè mentre Alli me ne porgeva una tazza fumante insieme a una compressa di ibuprofene.

«Comunque, abbiamo avuto un periodo snervante». Si sistemò vicino a me con la sua tazza.

I lunghi capelli castani raccolti in uno chignon disordinato esaltavano la bellezza acqua e sapone della mia amica, che indossava una maglietta extralarge che le lasciava scoperte le spalle e dei leggings neri. «Erano anni che non ti divertivi così tanto. Meritavi un po’ di svago».

«Quell’incontro mi aveva messo davvero molta ansia», risposi, grata nonostante il mal di testa che i miei nervi fossero tornati a distendersi dopo il giorno prima.

«Allora, raccontami qualcosa di più su Max. Quando posso incontrarlo? Secondo l’Erica ubriaca, siamo fatti l’uno per l’altra».

Scoppiai a ridere, mentre i dettagli della serata appena trascorsa riaffioravano. Nessuna cena accompagnata da fiumi di vino può considerarsi completa senza una chiacchierata tra donne.

«In realtà so soltanto quello che mi ha raccontato il professor Quinlan. È intelligente, ma si cacciava spesso in qualche pasticcio ai tempi dell’università. Non credo che sarebbe riuscito a laurearsi senza l’aiuto di Quinlan, e la laurea era una delle poche cose che suo padre non poteva comprargli». Feci spallucce, sperando di dare a Max il beneficio del dubbio dopo che mi aveva salvato dalla totale umiliazione. «Ma sono sicura che non sia semplice rigare dritto con un padre miliardario. Alcuni non riescono a gestire tanta libertà».

«Be’, si dà il caso che io sia sul mercato proprio per addomesticare playboy miliardari». Mi rivolse un sorriso impertinente da dietro la spalla.

«Non ho dubbi». Alzai lo sguardo al soffitto.

«Allora, ha deciso di investire nell’impresa?»

«Non so bene di cosa si occupi in questo momento al di fuori della Angelcom. Con tutti quei soldi, avrà probabilmente diversi affari in ballo».

«Va bene, che la ricerca in internet abbia inizio». Alli si alzò di scatto e tornò con il laptop, che appoggiò sulle gambe per leggere il curriculum di Max: innumerevoli investimenti in associazioni di beneficenza e imprese digitali. «Vediamo un po’ cosa riusciamo a scoprire di Blake Landon».

Strinsi la mano intorno alla tazza di caffè, ricordando vagamente, malgrado i postumi della sbornia, che razza di stronzo fosse stato la mattina del meeting.

Il fatto che avesse cercato di mandare all’aria la mia presentazione per poi invitarmi fuori a colazione aveva dell’incredibile, ma con un aspetto come il suo, con ogni probabilità aveva molte donne che pendevano dalle sue labbra senza che si sforzasse poi molto.

Per sua sfortuna, io non ero come la maggior parte delle donne. La rabbia che continuavo a covare era placata soltanto dal ricordo di come mi ero sentita sotto il suo sguardo.

«Dài, non me ne importa proprio nulla». Tra le diverse emozioni conflittuali che provavo, cercai di concentrarmi sulla rabbia, ma in realtà ero curiosa di sapere cosa avrebbe trovato Alli.

Fino al giorno prima non avevo mai sentito parlare di Blake, ma a giudicare dalla maniera in cui gli altri investitori gli avevano lasciato dominare la scena alla Angelcom, doveva essere un membro influente. Alli fissava lo schermo con la massima concentrazione mentre leggeva con evidente interesse. Alla fine uscii allo scoperto. «Be’, cosa dice?»

«È un hacker».

«Cosa?». Doveva aver trovato un omonimo, anche se Blake Landon non aveva esattamente l’aspetto di un imprenditore quella mattina.

«Be’, almeno tempo fa lo era. Qui parlano di collaborazioni con l’M89, un gruppo di hacker con base negli Stati Uniti che compromise oltre duecento conti bancari di alto profilo una quindicina di anni fa. Non dice nient’altro però. Ufficialmente è il fondatore e sviluppatore di Banksoft, acquistata per venti miliardi di dollari. È l’amministratore delegato della Angelcom e un investitore attivo in diverse neonate compagnie digitali».

«Miliardario che si è fatto da solo, quindi».

«Sembra di sì. Ha soltanto ventisette anni. Qui dice che i suoi genitori erano insegnanti».

Quelle informazioni fecero diminuire ben poco la rabbia che provavo nei suoi confronti per avermi sabotato la presentazione, ma servirono per riempire alcune lacune. Dovevo ammetterlo, lo rispettavo molto di più adesso che avevo scoperto che non aveva ereditato la sua fortuna, ma tra lui e Max, era il signor Landon a comportarsi come un ragazzino viziato.

«Be’, non credo che abbia molta importanza ormai. Se sono fortunata le nostre strade non si incontreranno più».