13
Gli ultimi giorni prima del ballo volarono in un turbinio di attività. Si dovettero preparare le sale per il ricevimento e le camere per gli ospiti che si sarebbero trattenuti la notte, fra cui il fratello della duchessa vedova e alcuni suoi conoscenti.
Max aveva invitato solo pochi amici, che si sarebbero fermati al Red Lion. Gli inviti di Ellen alla sua matrigna erano stati declinati con dispiacere, poiché Phyllida e suo marito stavano facendo un viaggio al nord e non sarebbero riusciti a tornare in tempo.
Dorcas considerò ogni attività con sfavore e si trattenne nella propria stanza per tutto il giorno, accusando attacchi di emicrania alternati a febbre.
«La duchessa sta rovesciando la casa da capo a piedi» si lamentò con Max, mentre aspettavano che Ellen e Mrs. Ackroyd si unissero a loro per cena, alcune sere prima del ballo. «Tutti corrono a ubbidire ai suoi comandi, ed è del tutto inutile. Ha lasciato troppe cose da fare all'ultimo minuto. Sarà un disastro, e ci copriremo di ridicolo.»
«Non fallirà.» Max si concesse un piccolo sorriso. «Penso di conoscere abbastanza mia moglie per sapere che il ballo sarà un successo, come ogni cosa che fa.»
«Ti ha proprio stregato!» sbottò la cognata, sprezzante.
Lui la mise a tacere con un'occhiata, e Dorcas ricominciò con le lamentele. «L'avrei aiutata volentieri, se solo avessi potuto» mormorò con un tremito nella voce, «ma mi sento talmente male! Ho paura si tratti di febbri malariche.»
«Allora ti suggerisco di stare in disparte, come me, e di lasciar fare a lei» replicò Max, senza dimostrarle alcuna simpatia. «C'è Mrs. Ackroyd ad aiutarla, e pare che abbiano tutto sotto controllo.»
Max si sentiva un po' in colpa a essere stato così assente, nell'ultima settimana, ma Ellen gli aveva assicurato di potersela cavare, con l'aiuto di Tony e della governante, e lui era felice di mantenere le distanze. In tal modo era più facile combattere quel desiderio che non poteva essere sconfitto, ma solo sedato con il duro lavoro fisico. Di conseguenza passò le giornate nella tenuta, aiutando ad abbattere alberi, scavare canali e riparare muri. Neanche quello, però, gli era stato di aiuto. Ovunque andasse, le persone non facevano che tessere le lodi della duchessa. Avrebbe dovuto essere compiaciuto che pensassero tanto bene di lei, invece le loro parole aumentavano solo il suo senso di colpa.
Ellen e la sua ospite arrivarono in quel momento, e Dorcas andò subito all'attacco riguardo ai progressi del ballo. Ellen, però, aveva una risposta a ogni obiezione e alla fine zittì la cognata andando ad abbracciarla. «So quanto desideri che organizziamo un grande evento, Dorcas, ma fidati di me, andrà tutto alla perfezione.»
Max sentì un laccio d'acciaio stringergli il petto. Sua moglie rispondeva sempre con tanta pazienza e buonumore agli attacchi di sua cognata, e non si lamentava mai della sua mancanza di attenzione. Non aveva mai conosciuto una donna così indipendente.
Per questo motivo fu una grande sorpresa, per lui, trovarla in lacrime, la mattina prima del ballo.
Gli ospiti sarebbero arrivati a Rossenhall quel pomeriggio e lui sapeva che Ellen sarebbe stata occupata con l'organizzazione degli ultimi minuti, così portò fuori Jamie per un po'. Attorno a mezzogiorno ricondusse il bambino alla nursery e si accorse di essere in ritardo per il suo incontro con Tony, nell'ufficio della tenuta. La via più breve passava per le scale di servizio, attraverso i magazzini che facevano parte dei domini della governante. Quando si avvicinò al ripostiglio della biancheria notò che la porta era socchiusa e udì distintamente un singhiozzo.
Max esitò. Se una delle cameriere era turbata, si sarebbe coperta di imbarazzo, a essere sorpresa dal padrone di casa. Decise quindi di non intervenire, limitandosi a menzionare la faccenda a Mrs. Greenwood. Procedette in silenzio, ma, nel superare la porta, colse un lampo di seta gialla. Decisamente non era l'abito di una domestica. Si fermò e spalancò la porta. «Ellen?»
Lei era in piedi e gli dava le spalle, la faccia tra le mani. «Oh!» Prese un tovagliolo da un ripiano per asciugarsi gli occhi, continuando a restare girata. «Io... ecco... Mrs. Greenwood è così occupata che le ho detto che sarei venuta a controllare se abbiamo sufficienti tovagliati.»
«E cosa c'è da piangere?» La costrinse a girarsi verso di lui, prendendole il mento e obbligandola a sollevare lo sguardo.
Lei emise una risata incerta e si liberò dalla sua presa. «Chiedo scusa. Sono stata una sciocca. Temo di essere un po' stanca, ecco tutto.»
«So che sei stanca, ma non è abbastanza per sconvolgerti.»
Vide l'ombra fugace sul suo volto, lo sguardo disperato. Pensò che, se non avesse bloccato l'uscita, lei sarebbe scappata via.
Ellen abbassò lo sguardo sulle proprie mani, spiegazzando il tovagliolo tra le dita. «Ho mentito, Max. Io sto piangendo per noi. Nessuno dei due è felice, non è vero, intrappolato in questo matrimonio?»
Max dovette fare appello a tutta la forza di volontà che possedeva per non afferrarla e stringerla tra le braccia. Poteva fingere che fosse per confortarla, ma era più per il proprio conforto, perché desiderava perdersi in lei. Subito si ricordò che Ellen non lo voleva. Era lì solo per Jamie.
Lui è tutto ciò che ho, Max.
Santo cielo, era geloso di suo figlio!
«Sto per partire» annunciò di punto in bianco. «Ne sto discutendo con Tony da un po' di tempo. Ho bisogno di visitare le altre proprietà, di parlare con gli amministratori e di vedere le terre con i miei occhi. Allora sarò in una posizione migliore per stabilire cosa deve essere fatto. Starò via per qualche mese. Mi auguro che questo ci darà il tempo di... sistemare la situazione.»
«Capisco.» Ellen non sollevò lo sguardo. «Non mi porterai con...»
«No!» Lui trasse un respiro e tentò di addolcire il rifiuto. «Vorrai restare qui con Jamie, no? E dovrai organizzare il tuo guardaroba per la primavera, quando andremo a Londra. La sarta verrà domani, dovrai dirle di cominciare a lavorarci. Spendi quanto vuoi, non ci saranno obiezioni, da parte mia.»
«Sì, certo. Grazie.» Lei continuava a tenere la testa china. «Quando partirai?»
«Non appena potrò. La mattina dopo il ballo, penso.»
«Jamie sentirà la tua mancanza.»
E tu, Ellen, la sentirai?
«Gli scriverò dei messaggi e li includerò nelle mie lettere per te.»
«Grazie.» Ellen piegò il tovagliolo e andò a riporlo sulla mensola, poi cambiò idea e lo mise sul davanzale. Perfino Max poteva vedere che il triste, spiegazzato quadratino aveva bisogno di essere lavato prima di poter essere usato a tavola.
Lei si avvicinò. «Se vuoi scusarmi, ora devo andare.»
Max si appiattì contro un armadio mentre lei si schiacciava per superarlo e spariva all'esterno. Si appoggiò all'indietro e chiuse gli occhi. Partire avrebbe ridotto in pezzi il suo cuore, ma sarebbe stato davvero peggio che essere costretto a vederla ogni giorno? Forse pochi mesi di lontananza avrebbero chiarito la confusione nella sua mente.
A un tratto ricordò il suo incontro con Tony. Avrebbe dovuto informarlo che aveva deciso di iniziare il giro delle tenute non appena il ballo fosse finito. Respirò profondamente, preparandosi, e divenne consapevole che l'aria nella stanza era fragrante di erbe, sistemate tra le stoffe. Fece una smorfia. Avrebbe sempre associato il profumo della lavanda a quel momento di tristezza e sofferenza.
Ellen volò su per le scale, diretta alla propria stanza, pregando che gli ospiti non arrivassero troppo presto. Aveva bisogno di tempo per ricomporsi.
Aveva pensato di poter tollerare la freddezza di Max, la distanza che metteva tra loro, ma quella mattina si era resa conto che la situazione era diventata insopportabile. Si era abbandonata a un momento di debolezza, e lui l'aveva scoperta in lacrime. E il suo annuncio aveva peggiorato le cose. Max sarebbe partito. Non l'avrebbe rivisto per mesi.
In qualche modo riuscì a trascorrere le ore successive. Lasciò Dorcas ad accogliere gli ospiti, mentre incontrava la sarta francese assunta per confezionare il suo abito da ballo. Quando lo indossò, la modista dichiarò che le donava moltissimo. Il complimento portò un nodo alla gola di Ellen, mentre ricordava la notte sul Nilo che l'aveva ispirato.
Allora Max le aveva detto: «Quando torneremo in Inghilterra ti comprerò un vestito dell'esatto colore del cielo, blu... Di raso blu, tempestato di diamanti. Balleremo fino a mezzanotte, poi ti porterò a letto e ti spoglierò.»
Lei aveva sperato di affascinare Max e di ricordargli quella magica sera. Ecco perché aveva ordinato la seta blu cosparsa di cristalli, ma era stato prima che lui le raccontasse delle vite che aveva messo a rischio e perduto a causa della disperazione e della sofferenza di cui lei era stata la causa. Ellen aveva ucciso il suo amore e doveva accettare il fatto che fosse solo la lussuria ad accendere il suo desiderio.
Solo che per lei non era abbastanza.
«Bene, questo è tutto, Tony.» Max abbassò la penna e si appoggiò contro lo schienale. «Hai tutto ciò che ti occorre per gestire Rossenhall durante la mia assenza. Ti lascerò il mio itinerario, così saprai dove sono, se avessi bisogno di me.»
«E siete deciso a partire la mattina dopo il ballo?»
«Sì.» Max si accigliò. «Perché mi guardi in quel modo? Pensi che sbagli a partire così presto?»
«Non è compito mio criticare Vostra Grazia.»
«Che Sua Grazia sia dannata!» sbottò Max. «Parla, Tony. Siamo amici da troppo tempo per simili stupidaggini.»
Per un teso momento l'altro sostenne il suo sguardo, poi abbassò gli occhi sullo scrittoio, riunendo le carte in una pila. «Come amico, allora» pronunciò quindi lentamente, «direi che state fuggendo.»
Max serrò le labbra per trattenere un rabbioso diniego.
«Avevo sperato» continuò Tony, ancora senza sollevare gli occhi, «che vi foste sistemato, a Rossenhall. Con la vostra duchessa.»
L'aria era così carica di tensione che una scintilla avrebbe potuto incendiarla, ma Max sapeva che era giunto il momento di essere onesto, con il suo amico. «È proprio a causa sua che devo andarmene.» Spinse indietro la sedia e si diresse verso la finestra. «Quella lettera che ti scrissi da Harrogate, riguardo a Ellen e alla mia decisione che dovesse vivere in incognito finché non fossi stato pronto a portarla a Rossenhall... Erano tutte bugie. Lei mi lasciò, perché era convinta che il nostro matrimonio fosse una truffa e che il soldato che aveva incontrato in Egitto fosse un impostore.»
«Be'...» Max udì l'esitazione nella voce di Tony e comprese che stava scegliendo le parole con attenzione. «Poiché voi non siete mai stato ufficialmente in Egitto, di sicuro è comprensibile.»
«Lo so, e potrei perdonarlo, se non fosse per quel che è seguito.» Max sentì il senso di colpa assalirlo di nuovo, nero e straziante come sempre. «Quando pensai di averla perduta per sempre divenni temerario, assumendomi ogni pericoloso, ingrato compito l'esercito mi assegnasse. È costato delle vite, Tony, ma purtroppo non la mia. Non capisci? Andava bene che rischiassi la mia vita, ma non avevo il diritto di condannare i miei uomini.»
«Non li avete condannati. Ciascuna di quelle missioni era formata da volontari.»
«Ah!»
«Eravate un buon capo» affermò Tony con semplicità. «Gli uomini vi avrebbero seguito ovunque.»
Max liquidò le sue parole con un cenno della mano e si scosse, come se tentasse di liberarsi dal peso della colpa che lo perseguitava. «Io li ho condotti alla morte. Non puoi negarlo, Tony. Tu c'eri. Tu e Fred Arncliffe siete stati solo due delle vittime delle mie azioni. Azioni che non avrei condotto, se Ellen non mi avesse lasciato.»
«E la biasimate per questo?»
«Biasimo me stesso per averle permesso di condurmi a un simile abisso di disperazione!»
«Dunque la state punendo per una colpa vostra.»
«Suppongo di sì. So che non è giusto, ma non riesco a guardarla senza pensare a tutti quei bravi uomini che hanno perso la vita.»
Dietro di sé, Max udì il suo amministratore sospirare. «È mia convinzione che vi sareste offerto volontario per quelle missioni anche se vostra moglie fosse stata al sicuro in Inghilterra» dichiarò poi Tony.
«Mai!»
«Bene, allora permettetemi di sollevare un altro argomento. Avete mai pensato, maggiore, che se non foste stato là a guidarli, i vostri uomini sarebbero potuti finire sotto uno di quegli incompetenti che l'esercito metteva al comando? Qualcuno come quel pazzo, Bennington Ffog.»
«Basta!» scattò Max, trovando sollievo nella collera. «Abbiamo parlato abbastanza di questo argomento.»
«Non proprio.» Tony si alzò in piedi e incontrò con fermezza gli occhi di Max. «Potete anche darmi il benservito, se volete, ma devo dire la mia, maggiore. Se è stato a causa della vostra duchessa che avete accettato tutte quelle missioni, allora posso solo ringraziarla dal profondo del cuore. Quegli attacchi sarebbero andati avanti anche se voi non foste stato là, e senza la vostra eccellente guida altri uomini sarebbero morti. Sono anche abbastanza certo che avrei perduto più di un braccio, e Frederick Arncliffe non sarebbe mai tornato a casa per vedere la moglie e la figlia. Adesso, se volete scusarmi, ho del lavoro da fare. La duchessa mi ha invitato a unirmi alla cena di domani, ma, se volete che me ne vada, lo farò non appena avrò finito di stilare questi rapporti.»
«Dannazione, Tony, non voglio che tu te ne vada!» Max si passò una mano sugli occhi. «Immagino tu mi reputi un dannato idiota, vero?»
C'era la traccia di un sorriso nella voce di Tony, quando replicò: «Come dato di fatto, lo penso, Vostra Grazia».
«Allora rispondi a una domanda» lo esortò Max. «Perché, se dichiarava di amarmi più della vita stessa, Ellen non mi ha detto che avevamo un figlio?»
Tony non tremò sotto lo sguardo inquisitorio di Max, ma non c'era da ingannarsi sulla comprensione che il suo volto esprimeva, quando scosse il capo e ammise: «Questo non lo so, Vostra Grazia».
Ancora una cena da sopportare e ospiti da intrattenere. Ellen indossò un elegante abito di raso bianco decorato di ciniglia dorata, cinto da una fascia di crêpe verde girata attorno alla vita alta e appuntata su una spalla con una grande spilla di smeraldi. Degli smeraldi scintillavano anche al suo collo e alle orecchie. Le pietre dondolarono avanti e indietro quando lei si guardò nello specchio, ricordandole il lampo di divertimento che di tanto in tanto aveva sorpreso negli occhi di Max, quando la guardava.
Molto tempo prima.
Trattenendo un sospiro si infilò i lunghi guanti, si incollò un sorriso sulle labbra e scese al piano inferiore.
Venne presentata a diversi notabili, a signorine smorfiose e a matrone saccenti, tutti amici della duchessa vedova. L'ultimo a esserle presentato fu Giles Wendlebury, il fratello più giovane della duchessa. Era tarchiato quanto Dorcas era sottile, e la sua faccia aveva la sfumatura rubizza del bevitore abituale. Il giovanotto strizzò la mano di Ellen e premette un bacio umido sulle sue dita inguantate.
«Dunque questa è la nuova duchessa!» esclamò. «Deliziato di incontrarvi, Vostra Grazia. E ora che Max vi ha portato a casa, forse ci saranno più ricevimenti a Rossenhall. Chissà, potreste anche riuscire a trovarmi una moglie ricca! Il vecchio Max lo apprezzerebbe, non è così, duca?»
Rise sonoramente, ed Ellen guardò suo marito. Max stava parlando con Mrs. Ackroyd e finse di non aver sentito, ma dall'espressione di pietra della sua faccia lei comprese che non era divertito. Be', almeno erano d'accordo su qualcosa. Sorrise, mormorò qualcosa di banale e si spostò.
Il ricevimento era molto rumoroso e allegro. Gli uomini si comportavano con una falsa cordialità che ? Ellen poteva vederlo ? irritava Max. Quando Jamie fu portato nel salotto, le signore tubarono e lo coccolarono in un modo che mise il bambino in grande agitazione. Quanta ipocrisia! Max evitava studiatamente i suoi occhi, ma lei sentiva che condividevano il medesimo disprezzo. I loro ospiti ammirarono la casa, plaudirono alla cena, lodarono il padrone di casa e fecero molti complimenti alla padrona. Mrs. Ackroyd non aveva molta pazienza per simili insincerità e limitò la maggior parte dei commenti a Ellen, ma neppure quello l'aiutò, perché il peso dell'infelicità che premeva contro il suo cuore gridava per il bisogno di essere condiviso, e non c'era tempo per un simile lusso, non adesso.
Finalmente la spossante serata terminò. Tutti gli ospiti si ritirarono, fatta eccezione per Mrs. Ackroyd. Anche il duca era ansioso di lasciare la stanza.
«Vi lascio sole» annunciò con un breve sorriso destinato alle due donne, sedute insieme sul sofà. «Sono sicuro che sarete felici di avere un po' di tempo per voi.»
Con un inchino se ne andò, e il silenzio cadde nella stanza.
«Quanta cortesia!» rimarcò Mrs. Ackroyd. Quando Ellen non replicò, lei continuò: «Forse pensa che lasciandoci sole ti deciderai a spiegarmi perché sei così infelice».
Ellen non rispose, e l'altra annuì. «Puoi riuscire a nascondere il dolore a chiunque, ma io ti conosco troppo bene. Avete litigato? Sono rimasta sorpresa all'annuncio che il duca lascerà Rossenhall subito dopo il ballo.» Si allungò a prendere le mani di Ellen. «Andiamo, tesoro, eri sempre solita confidarti con me. Puoi farlo anche adesso.»
Fu troppo. Con un singhiozzo straziato Ellen si gettò tra le sue braccia, e Mrs. Ackroyd la tenne stretta, canticchiando sottovoce. Non durò a lungo, e presto Ellen si stava asciugando le lacrime, scusandosi per la propria debolezza.
Mrs. Ackroyd le batté sulle mani. «A parte il giorno in cui sei arrivata alla mia scuola, questa è l'unica volta che ti vedo piangere. Hai sempre nascosto i tuoi veri sentimenti dietro un sorriso. Perciò so che ci deve essere qualcosa di molto sbagliato.»
«È così.» Ellen si asciugò le guance umide. «Max non è venuto a cercarmi» confessò. «Ci siamo incontrati per caso ad Harrogate e quando ha scoperto di Jamie, ha pensato che stessi deliberatamente nascondendogli il bambino.»
«Ma tu gli avevi scritto, dicendogli di Jamie.»
«Non ha mai ricevuto la mia lettera.»
«Non gli hai spiegato che hai cercato di metterti in contatto con lui?»
«Non mi crederebbe, non senza prove.» Ellen scosse il capo, sospirando. «Avevo pensato, sperato, che le cose sarebbero migliorate, una volta che fossimo stati sotto lo stesso tetto, lavorando insieme. Invece non è stato così. Non riesce a perdonarmi.» La sua testa crollò mentre nuove lacrime tornavano a scorrere. «Max sta andando via perché pensa che sarò molto più a mio agio senza di lui. Invece è proprio il contrario.»
«Tesoro mio, non puoi prenderti tutta la colpa di questo allontanamento.»
Ellen sollevò il capo. «Sì, invece. Se non fossi stata tanto folle da dubitare di lui, se avessi fatto come chiedeva, tornando a Portsmouth con una fregata inglese e aspettandolo, tutto questo non sarebbe mai successo.»
«Devi dirgli cosa c'era scritto nella lettera» affermò Mrs. Ackroyd. «E spiegargli che ti mettesti anche in contatto con il defunto duca. Io garantirò per te.»
«Penserebbe soltanto che sto tentando di dare la colpa a suo fratello, che non è più qui a difendersi.» Ellen vide lo scintillio negli occhi dell'amica e le strinse forte le mani. «Promettetemi che non direte niente, ma'am. Max ha già una pessima opinione di me, non vorrei peggiorare ulteriormente la situazione.»
Mrs. Ackroyd la guardò con attenzione per un lungo istante, poi le chiese: «Dimmi, Ellen, lo ami ancora?».
«Con tutto il mio cuore.»
«Allora diglielo, mia cara. Hai sempre tenuto per te i tuoi sentimenti, sorridendo anche quando avevi voglia di piangere, ma adesso devi dirgli la verità.»
«E se mi respingesse di nuovo?»
La donna più anziana le strinse le dita. «E se non lo facesse?»
Max prolungò di proposito la cavalcata mattutina per tenersi lontano da casa fin dopo l'ora di pranzo. Non aveva voglia di passare più tempo del necessario con gli amici di sua cognata.
La conversazione del giorno prima con Tony continuava a tormentarlo e continuava a rigirarsela nella mente, mentre cavalcava lontano da Rossenhall, con Jupiter che copriva il terreno con i suoi lunghi, agili passi. Il sole aveva superato lo zenit prima che la confusione nella sua mente si placasse.
Era stato troppo duro con Ellen. Forse lo era anche con se stesso. Sapeva che c'era del vero in ciò che Tony aveva detto su quelle disperate campagne militari: un comandante meno capace avrebbe potuto facilmente perdere più uomini.
Mentre riconosceva quel fatto, il peso che gli gravava sul cuore si alleggerì un po'. Era sbagliato da parte sua incolpare Ellen per le proprie azioni. Doveva chiederle di perdonarlo, ma... sarebbe stato capace di perdonare a lei di avergli tenuto nascosto che avevano un figlio?
Ellen, però, aveva detto di avergli scritto.
Max aggrottò la fronte. L'aveva rimproverata di non essersi fidata di lui, di aver creduto che lui l'avesse ingannata. Di sicuro, adesso doveva concederle la stessa fiducia che aveva preteso da lei. Però Hugo glielo avrebbe detto, se fosse arrivata la lettera. Una lettera poteva andare perduta, ma due? Forse... Per la prima volta si permise di considerare altre possibilità. Ellen non avrebbe mentito, ci avrebbe scommesso la propria vita, ma poteva fidarsi del proprio giudizio, quando la sua duchessa era coinvolta? Ogni fibra del suo essere gli diceva di sì.
Toccò i fianchi di Jupiter con i talloni, ansioso di vedere Ellen, di far pace con lei.
Raggiunse le scuderie proprio mentre Tony stava smontando. Il suo amministratore accennò al cavallo sudato. «Avete galoppato forte, Vostra Grazia.»
«Sì, avevo una faccenda urgente da sbrigare.»
«Allora andiamo verso la casa insieme.» Tony scese accanto a lui. «Posso essere di aiuto?»
«No. Ecco...» Max esitò, mentre un pensiero lo colpiva. «Il tuo predecessore teneva registri meticolosi di tutta la corrispondenza, vero?»
Tony rise. «Sì. Atherwell non buttava niente. Ci sono lettere ricevute, copie di lettere spedite, liste della lavanderia. E scatole piene nella piccola anticamera di fianco alla biblioteca. Le ho esaminate, cercando di eliminare le cose inutili e di fare spazio, ma non ho ancora finito.»
«Hai esaminato le carte di quattro anni fa? Dal gennaio del 1807, per essere esatti.»
«Perché... sì, l'ho fatto.»
«E c'era...» Max fece una pausa, trasse un respiro. «Hai trovato qualcosa che riguardasse mia moglie, o il mio matrimonio?»
Tony gli lanciò un'occhiata perplessa. «No, Vostra Grazia.»
Le lettere dovevano essere andate perdute, considerò Max tra sé. Non dubitava più che lei gli avesse scritto. Ormai aveva trascorso abbastanza tempo in sua compagnia da sapere che lei non gli avrebbe taciuto della nascita di James.
Si fidava di lei. Tale rivelazione fu come un peso sollevato dalle sue spalle, e gli ci volle un momento per rendersi conto che l'amministratore stava ancora parlando.
«Ti chiedo scusa, Tony, cosa hai detto?»
«Che potrebbe esserci qualcosa tra le carte private di vostro fratello.»
Max si fermò. «Carte private?»
«Certo. Sono in una scatola a parte, nell'anticamera, ma non vi ho accesso.» Tony lo guardò, sinceramente confuso. «Pensavo aveste voi la chiave, Vostra Grazia. Altrimenti, deve averla ancora la duchessa vedova.»
Max non aveva bisogno di prove che Ellen avesse tentato di mettersi in contatto con lui, ma c'era un altro sospetto che doveva placare. Con un cenno a Tony, andò a cercare la cognata.
Dorcas era nell'ingresso, si preparava a una passeggiata con i suoi ospiti. Max le indicò con un'occhiata che voleva parlarle e lei si allontanò, scusandosi, dal gruppo vociante.
«Ho saputo che la corrispondenza privata di mio fratello è chiusa in una scatola.» Vedendola accigliarsi, Max proseguì, impaziente: «Vorrei la chiave».
«Sto per accompagnare gli ospiti in giardino, non puoi aspettare?»
«No, non posso.»
«Perché vuoi la chiave? Contiene solo le carte private di Hugo. Per la maggior parte è la corrispondenza del primo periodo del nostro matrimonio. Non c'è niente che possa interessarti.»
«No?»
Lei distolse lo sguardo. «Io... io non sono sicura di dove sia la chiave, puoi darmi un po' di tempo per cercarla? Lo farò dopo cena.»
«No, Dorcas.» L'istinto di Max stava gridando. «Mi troverai la chiave adesso, o spezzerò il lucchetto.»
Nell'anticamera della biblioteca erano allineati degli scaffali, metà dei quali riempiti da una disordinata collezione di scatole e carte, mentre altri, dove Tony aveva lavorato, erano riempiti di scatole ordinate, ognuna delle quali etichettata. Max trovò facilmente la grande scatola di metallo contenente le carte private di suo fratello e la portò sul piccolo scrittoio. Poi prese la chiave che Dorcas gli aveva consegnato con tanta riluttanza e l'infilò nel lucchetto.
In cima c'erano i diari di Hugo. Max ne sollevò uno e fece scorrere le pagine. Suo fratello era sempre stato più un atleta che uno studioso, e non fu sorpreso di vedere che per ogni pagina c'era solo una frase o due, e a volte intere settimane tra una nota e l'altra. Per la prima volta si permise di ammettere che Hugo era stato più interessato alla dignità che comportava il suo titolo che alle tenute. Cercò il diario contenente le note dal 1807, ma non c'era niente di interessante. Accatastò i libri sullo scrittoio e sollevò le carte sottostanti. C'erano dei fogli accuratamente legati insieme, le prime lettere tra Hugo e Dorcas. Max le mise da parte e iniziò a esaminare il resto della corrispondenza.
Tutto era in un ordine preciso, a iniziare dalle poche lettere di condoglianze per la morte della madre, mentre loro erano entrambi a scuola. Scorse i fogli: inviti, lettere di famiglia e i suoi rari messaggi. Su ognuno Hugo aveva scarabocchiato poche parole, istruzioni per l'amministratore o su come rispondere. Max si rese conto di non aver ricevuto un messaggio personale da suo fratello, da quando era diventato duca, neppure quando era stato ferito in battaglia. Fred aveva descritto la sua famiglia come fredda, e adesso Max si rendeva conto che aveva ragione. Fredda e insensibile. Che differenza, rispetto al calore che Ellen aveva portato a Rossenhall! Alla sua vita.
Frugò velocemente attraverso i fasci di lettere, sempre più accigliato. Sei anni prima... condoglianze per la morte del loro padre. Controllò più lentamente fino a trovare la lettera in cui spiegava che stava andando in Sicilia con il suo reggimento. Non gli era stato possibile dire altro, alla sua famiglia, era stata un'operazione altamente segreta, di cui perfino il console inglese era stato tenuto all'oscuro.
Max posò con attenzione le carte, esaminando le altre. Mentre girava un foglio, il respiro gli si mozzò in gola.
La lettera di Ellen era datata giugno 1807. Descriveva il loro matrimonio e la sua attuale condizione, e chiedeva l'aiuto del duca per rintracciare il maggiore Max Colnebrooke. Era breve, riempiva appena una facciata. Sull'altra c'era l'indirizzo e, attraverso un angolo, poche righe nella scrittura disordinata di Hugo, istruzioni ad Atherwell su come rispondere: Marmocchia di mercante. Chiarire che né lei né il suo bastardo sono i benvenuti, qui.
Max fissò la data della risposta. Solo poche settimane dopo che era stato a casa in licenza. Aveva detto a Hugo di essere stato in Egitto, benché non avesse menzionato il suo matrimonio. Aveva preferito condurre la sua ricerca di Ellen privatamente, di modo che, se non l'avesse trovata, almeno la sua umiliazione sarebbe rimasta segreta. Perché Hugo non gli aveva scritto? Doveva sapere che poteva esserci un fondo di verità, nella lettera.
Marmocchia di mercante.
Ellen aveva usato la stessa espressione per descrivere se stessa. Che Atherwell fosse stato abbastanza rozzo da usare lo stesso, denigratorio termine del suo padrone, nella risposta che le aveva inviato? Max sapeva che ne sarebbe stato capace. Per Hugo e sua moglie la discendenza era tutto, credevano che il loro sangue fosse superiore.
Torse la bocca. Aveva visto abbastanza sangue durante gli anni nell'esercito da sapere che non era vero. Avrebbe fatto qualche differenza se Hugo avesse saputo che Ellen era una delle più ricche ereditiere d'Inghilterra? Ne dubitava.
Tornò alla pila di lettere. Ellen sosteneva di aver scritto due volte. Esaminò di nuovo foglio su foglio, ricominciando dall'inizio. Stava rileggendo i messaggi di condoglianze, stavolta per l'improvvisa morte di Hugo. La maggior parte di esse era indirizzata alla duchessa vedova, solo poche al nuovo duca. Tutte recavano brevi istruzioni della duchessa ad Atherwell per una risposta.
Max esaminò le carte di una pila e stava per rimetterla nella scatola quando una lettera piegata scivolò sullo scrittoio. Riconobbe all'istante la nitida grafia obliqua che aveva scritto le istruzioni. Sollevò la lettera. Era indirizzata al Duca di Rossenhall. Il sigillo era stato spezzato, e lentamente aprì il foglio.
Lesse la data tre volte: 15 marzo 1810. Tre settimane dopo la morte di Hugo. Deglutì con forza e lesse le formali parole di simpatia per la perdita di suo fratello e poi si fermò alle frasi finali.
Prego che perdoniate la mia presunzione ma, nonostante l'assicurazione del contrario, credo voi siate lo stesso maggiore Colnebrooke che conobbi in Egitto. Pensavo fosse giusto che sapeste, Vostra Grazia, che avete un figlio. James è un bambino felice e sano. Non vi chiedo niente, vi scrivo solo nella speranza che questa consapevolezza possa esservi di conforto, così come lo è per me.
La pagina tremò nella sua mano. Eccola, la prova che lei non lo aveva abbandonato! Aveva perfino scritto il suo indirizzo di Harrogate, ma Dorcas aveva scarabocchiato spesse lettere angolose attraverso il fondo del foglio: Ricevuta: il 20 di marzo. Risposta: non necessaria.