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Ellen attese, mentre il duca si faceva strada attorno al tavolo per raggiungerla. Il suo passo era fermo, sicuro, quell'uomo si muoveva con la grazia flessuosa di un grande felino, pensò.

Quando si erano incontrati per la prima volta, lo aveva paragonato a un leone, con la disordinata criniera di fitti capelli biondi e ondulati. Adesso erano più corti e più scuri di quanto ricordasse, ma quattro anni prima erano stati schiariti dal sole egiziano. Tuttavia si notavano ancora ciocche dorate che brillavano alla luce delle candele.

Tutto quello scintillio...

Mrs. Ackroyd li aveva definiti una coppia dorata, ma Ellen aveva scoperto in fretta che Max non era oro, ma un'imitazione. Stupidamente si era permessa di lasciarsi attrarre dal suo fascino e si era lanciata in un affrettato matrimonio, solo per scoprire, nel giro di poche settimane, che si era trattato di un inganno.

In quel momento, l'uomo che le aveva spezzato il cuore e rovinato la vita stava torreggiando su di lei. «Bene, madam, vogliamo andare?» le domandò.

Sorridendo lei prese il suo braccio. Aveva giurato a se stessa che nessuno avrebbe mai scoperto quanto fosse stata sciocca, quanto avesse sofferto. Meno di tutti Max Colnebrooke.

Max mantenne un passo lento, misurato, mentre scortava di nuovo Ellen nella sala da ballo. Il trauma di rivederla dopo tutti quegli anni era diminuito.

Dopo il suo ritorno in Inghilterra, quattro anni prima, l'aveva cercata, sperando contro ogni evidenza che sarebbe tornata da lui e che non l'avesse davvero abbandonato per il console francese, ma non aveva avuto successo. Lei aveva lasciato l'Egitto sotto la protezione del suo nuovo amante, senza offrirgli una parola di spiegazione. Neppure un addio.

Adesso la sua collera era sotto controllo, e così doveva restare. Non le avrebbe dato la soddisfazione di rendersi conto che il suo tradimento l'aveva quasi distrutto. Aveva tante domande da rivolgerle, tuttavia, c'erano parecchie che doveva sapere. «Dobbiamo parlare» ribadì.

«No, dobbiamo danzare.»

Ellen stava sorridendo, ma non a lui. Sollevando la mano, salutò quelli che già si trovavano sulla pista da ballo e che li stavano invitando a unirsi a loro.

Max prese posto nella linea. Era una quadriglia che sarebbe durata parecchio tempo. Quasi digrignò i denti per la frustrazione, ma non c'era niente che potesse fare, al momento. I discorsi avrebbero dovuto attendere.

L'uomo accanto a lui ? un certo Mr. Rudby, ricordò Max ? guardò Ellen, sorpreso. «Pensavo che non avreste ballato di nuovo stasera, ma'am.» Rise, lanciando un'occhiata di sbieco a Max. «Sono felice che l'abbiate persuasa, Vostra Grazia, perché adesso posso riservare il prossimo ballo per me. Non accetterò dinieghi, madam, sarebbe terribilmente scortese da parte vostra rifiutare!»

Max vide l'espressione di insofferenza negli occhi di Ellen. Non poteva rifiutare Rudby senza offenderlo seriamente, e Max sapeva di non poter ballare di nuovo con lei. Maledisse in cuor suo quelle rigide regole. Se voleva evitare speculazioni, sarebbe stato costretto a invitare altre signore a danzare, anche se c'era una sola donna con cui desiderasse farlo.

C'era sempre stata una sola donna, dovette riconoscere, ed era una consapevolezza che lo infastidiva terribilmente.

Incontrollata, l'immagine di Ellen nel deserto si formò nella sua mente. Era stata libera dalle convenzioni, allora. Quando l'aveva vista per la prima volta, era vestita da uomo, con una bella camicia di seta, panciotto scarlatto e lunghi pantaloni ampi infilati negli stivali da equitazione. Un abbigliamento molto adatto a cavalcare un cammello, aveva pensato lui. Con la kefiah scarlatta che le copriva i lussureggianti capelli dorati poteva passare per un ragazzo, sebbene Max non avesse mai avuto dubbi sul suo sesso, anche se sulle prime tutto ciò che aveva potuto vedere di lei erano stati i suoi occhi ridenti, azzurri come zaffiri.

Aveva voluto visitare Giza, e Max l'aveva scortata là, nonostante il rischio di essere scoperti, così vicini al Cairo, dai soldati leali a Muhammed Ali. Era ormai notte quando avevano raggiunto le piramidi, ma la luna piena forniva luce a sufficienza. L'aria della sera era profumata, la calda brezza un gradevole cambiamento rispetto al calore infernale del giorno. Ellen aveva riso, affermando che la piramide appariva malmessa, a distanza ravvicinata, e Max l'aveva sfidata a scalarla insieme a lui. Lei non aveva esitato. Ricordava ancora con quanta agilità fosse salita sopra i larghi blocchi di pietra e come, sulla cima, avessero riposato insieme in un amichevole silenzio. E come le avesse rubato un bacio.

Quando la musica terminò, Ellen accettò la mano di Mr. Rudby per unirsi al prossimo ballo. Non aveva mai avuto meno desiderio di danzare, ma era quasi obbligatorio, e comunque l'alternativa era un tête-à-tête con Max, che voleva evitare a tutti i costi.

Era esausta. La faccia le doleva per lo sforzo di sorridere ed era certa che le sue scarpette da ballo si fossero consumate. Dalla cena aveva danzato continuamente, ritardando il momento in cui avrebbe dovuto affrontare Max da sola. Sarebbe arrivato, lo sapeva, e sarebbe stato quella sera. Non c'era modo di evitarlo.

Quando finì l'ultima danza, si guardò attorno alla ricerca del duca, facendosi forza per il confronto. Fu un po' sorpresa di non vederlo, perché si era aspettata che fosse in attesa, pronto a balzare su di lei. Si meravigliò ancor di più quando Lady Bilbrough la informò che il duca se n'era già andato.

«Sebbene abbia un vantaggio, su di noi» spiegò la nobildonna con un sorriso regale. «Risiede qui al Granby, così non deve attendere per la carrozza.»

Ellen si sentì sollevata, ma quel sollievo era tinto di collera. Max le aveva rovinato la serata e lei aveva perso la possibilità di dargli la frustata verbale che meritava. Mentre andava a recuperare il mantello e a cambiarsi le scarpe, però, il suo naturale buonsenso tornò. Se si era stancato di prenderla in giro, tanto meglio. Non aveva alcuna intenzione di rivivere tutte quelle penose memorie.

Ma era già troppo tardi. Seduta per sostituire le babbucce rovinate con calzature più ragionevoli, i ricordi della loro ultima notte insieme si stavano già affollando dentro di lei. Si ritrovò nella lussuosa cabina del dahabiya, che dondolava gentilmente all'ancora sul Nilo. Poteva sentire di nuovo la morbida coperta di cotone sul suo corpo nudo, mentre giaceva tra le braccia di Max, sonnolenta e appagata dopo aver fatto l'amore.

«Ci sono guai in arrivo, amore mio» le aveva detto lui tra i baci. «Non posso dirti altro, ma credimi quando ti dico che sarebbe pericoloso per te restare in Egitto. Devi lasciare il paese più in fretta che puoi. Ti scorterei ad Alessandria io stesso, ma non è possibile, così domani ti procurerò una scorta per portarti là. Cerca il residente britannico, il maggiore Missett. Lui provvederà a procurarti un passaggio per l'Inghilterra. Vai a Portsmouth e aspettami là.» Ellen poteva sentire ancora il delicato tocco delle sue labbra sul collo, udire la voce morbida nel suo orecchio. «Perdonami, amore» aveva aggiunto lui, «ma sarebbe più prudente se tu viaggiassi come Miss Tatham. Se il nemico sapesse che sei mia moglie, saresti in grande pericolo.»

Una lacrima cadde sulla scarpa, ed Ellen batté in fretta le palpebre. Parole sdolcinate. Sdolcinate bugie, tutte quante. Tuttavia all'epoca le aveva ritenute del tutto ragionevoli, e poi lui aveva ricominciato a baciarla, e lei aveva smesso di pensare del tutto.

Che stupida era stata! Con rabbia si gettò il mantello sulle spalle e scese dabbasso. Nella sala d'ingresso incontrò gli Arncliffe. Quando le augurarono la buonanotte, notò le ombre scure sotto gli occhi di Frederick.

«Dovete essere affaticato, Mr. Arncliffe» osservò, dimenticando per un istante le proprie preoccupazioni. «La mia carrozza è alla porta, posso accompagnarvi, se volete...»

Lui declinò l'offerta con un cenno della mano. «È molto gentile da parte vostra, mia cara, ma il duca ha messo la sua vettura a nostra disposizione. La stiamo aspettando.» Terminò con un ansimante colpo di tosse, ed Ellen notò con quanta ansia Georgie lo invitasse a sedersi.

Quando lui rifiutò, Ellen gli prese il braccio e gentilmente lo spinse su una panchina.

«Su, riposatevi» lo esortò. «Non pensate che mi offenda. Proprio il contrario. Siamo vecchi amici, e mi offenderei se non vi sedeste. È stata una lunga serata, per voi.»

«Sciocchezze. Non l'avrei perduta per niente al mondo. Mi fa bene al cuore vedere le persone divertirsi. Vedervi danzare con il mio vecchio amico Rossenhall è stato un autentico piacere, ve lo assicuro, ma'am. E stavate davvero bene, insieme, anche se devo avvertirvi di non perdere il cuore per Sua Grazia, perché è quasi promesso a mia sorella. Non è così, Georgie?»

La mano di Ellen si sollevò alla gola. Promesso? Era possibile che Max fosse innamorato di un'altra donna?

«A ogni modo, è quel che ti piacerebbe, amore mio.» Georgie rise, roteando gli occhi.

Ellen tentò di sorridere, chiedendosi quanto ancora il suo spirito tormentato potesse reggere. Permise all'amica di avvolgerla in un caldo abbraccio profumato, promise di andare a trovarla molto presto e alla fine poté andarsene.

Le torce bruciavano a ogni lato del corridoio, illuminando l'ingresso dell'albergo e il suo lacchè, che saltò giù dalla carrozza per aprirle lo sportello. Ellen salì e, mentre la vettura si metteva in moto, sprofondò con un sospiro contro il sedile pesantemente imbottito.

«Finalmente soli, Mrs. Furnell

Ellen si raddrizzò con un ansito e scrutò nell'angolo più distante dell'abitacolo. Quella voce profonda era inconfondibile e, mentre i suoi occhi si abituavano al buio, poté individuare la figura avvolta nel mantello, solo un'ombra più nera contro l'oscurità. «Come siete entrato qui?» lo aggredì, rabbiosa.

«Una volta individuata la vostra carrozza, è stato facile scivolare all'interno.»

Max spinse indietro il mantello nero, chiedendosi se il suo possessore stesse ancora rimproverando qualche sfortunato lacchè per la sua perdita. Poco importava. Il giorno dopo l'avrebbe reso al direttore dell'albergo, che avrebbe provveduto a restituirlo.

«Vi aspettate che vi cada tra le braccia?» La voce di Ellen era aspra. «Mi sorprende che osiate avvicinarvi a me.»

«Oh, oso, madam

«Allora siete privo di vergogna.»

«Ah, questa è bella davvero, detta da voi. Avete dimenticato che vi siete messa sotto la protezione del console francese? Suppongo fosse più di vostro gusto, rispetto a un povero maggiore.»

«Come osate?» scattò lei. «Monsieur Drovetti ci ha procurato un passaggio sicuro fuori dell'Egitto... e questo è tutto.»

«E perché avrebbe dovuto farlo, se non eravate amanti?»

«Ve lo dissi, all'epoca, che lui e Mrs. Ackroyd erano corrispondenti di vecchia data, da prima della nostra visita in Egitto. Condividono un interesse nell'antichità.»

Max torse le labbra. «Davvero vi aspettate che ci creda? Quando raggiunsi Alessandria appresi che Drovetti vi aveva mandato in Francia su una nave. Mi sono sempre chiesto perché non siate tornata indietro da lui, quando tutto fu sistemato. O avete ingannato anche lui?»

Ellen arrossì, ma ignorò la provocazione. «Non siamo mai andate in Francia. Era solo più... facile lasciare che tutti lo credessero. Volevo costruirmi una nuova vita.» Agitò le mani, sollevandole dal grembo. «Nella confusione dell'invasione britannica di Alessandria non fu difficile. Monsieur Drovetti ci trovò un passaggio su una nave francese, e da lì fummo introdotte in Inghilterra.»

«Dove vi siete nascosta. Suppongo pensaste che vi sarei venuto a cercare.»

«Perché avreste dovuto?» ribatté lei con amarezza. «Vi eravate preso il vostro piacere.»

«Il mio piacere? Che cosa state dicendo, donna? Io vi ho sposato

«Non era altro che un trucco. Uno dei vostri amici ha impersonato il cappellano, e mi vergogno di essere caduta nel vostro tranello.»

«Impersonato! Perché diavolo avrei dovuto fare una cosa simile?»

«Per farmi entrare nel vostro letto.»

Lui sogghignò. «Non era necessario. Ci sareste venuta molto volentieri anche senza sposarmi, siate sincera.»

Ellen non avrebbe mai ammesso una cosa simile, sebbene sapesse che era la verità. Era stata così innamorata che sarebbe morta, per lui. Adesso non più. La carrozza rallentò, e lei guardò fuori del finestrino. «Sono arrivata a casa» annunciò freddamente. «Il mio cocchiere vi ricondurrà al Granby.»

«Oh, no.» Max la seguì fuori dalla carrozza. «Non abbiamo ancora finito, madam

Lei ansimò per l'oltraggio. «Come osate! Non voglio che entriate in casa mia.»

«Penso che scoprirete, madam, che questa è casa mia. Siete mia moglie, e ogni vostra proprietà mi appartiene.»

«Non siamo mai stati sposati.»

«Oh, sì, invece» la contraddisse lui con aria tetra. «E sono in possesso delle carte che lo provano.» Afferrò il braccio di Ellen, sospingendola su per i gradini e superando il maggiordomo sbalordito che stava tenendo aperta la porta. «Quale direzione?» ringhiò. «O preferite discuterne nell'ingresso?»

Per un lungo istante Ellen lo fissò in silenzio, prima di condurlo verso il salotto, illuminato solo da due candele. Il maggiordomo li seguì nella stanza per accenderne altre. Ellen andò verso lo specchio fissato sopra il camino e finse di essere impegnata a sistemarsi un ricciolo, ma per tutto il tempo osservò cosa stava succedendo alle sue spalle.

Mentre Snow accendeva le candele, Max si tolse il mantello e lo gettò su una sedia, prima di esaminare i decanter su un tavolo lì a fianco. Lei serrò le labbra. Se pensava che gli avrebbe offerto dei rinfreschi, si sbagliava di grosso!

«È tutto, madam

Il tono del maggiordomo era perfettamente educato, ma Ellen sapeva che l'uomo era riluttante a lasciarla sola. I suoi domestici erano molto leali e protettivi, ma, anche se lo avesse chiesto, molto difficilmente avrebbero potuto buttare fuori di casa un duca. Ellen si girò, nascondendo l'ansia dietro un calmo sorriso. «Sì, grazie, Snow. Puoi andare. Suonerò, se avrò bisogno di te.» Non appena il maggiordomo si fu ritirato, aggiunse freddamente: «Vi concedo cinque minuti, Vostra Grazia, non uno di più. È tardi, e sono stanca».

«Mi sorprendete. Mi hanno informato che la vedova dorata sarebbe in grado di danzare fino all'alba.»

«Non stiamo danzando, mi pare.»

«Senza ombra di dubbio. Vogliamo sederci? Prima, però, mi servirò del brandy.»

Ellen nascose la propria indignazione, mentre lui si girava e toglieva il tappo a uno dei decanter.

«Volete prenderne un bicchiere insieme a me... o forse c'è del Madeira? Mi diceste che vi piaceva, benché non l'abbiamo mai bevuto, durante il periodo che abbiamo trascorso insieme. Il meglio che potevo offrirvi allora era del caffè forte, o sciroppo di rose. O tè alla menta. Ricordo che vi piaceva.»

Ellen sprofondò in una poltrona, tentando di non tremare. Non voleva rammentare quei giorni esaltanti, né le notti che avevano passato insieme. «Non voglio niente» rifiutò. «Solo che ve ne andiate.»

«Su questo non ho dubbi» convenne Max sedendo sulla poltrona davanti a lei. Incrociò una lunga gamba sull'altra, del tutto a proprio agio, il che la irritò immensamente.

Ellen fissò le fiamme del camino, determinata a non iniziare alcuna conversazione.

«Sono rimasto sorpreso quando non mi avete scritto, dopo la morte di mio fratello» esordì lui alla fine. «Pensavo che, se qualcosa avesse potuto riportarvi da me, sarebbe stato apprendere che eravate una duchessa.»

«Io...» Lei si fermò e dopo una lieve pausa replicò con asprezza: «Dimenticate che sapevo che non eravamo sposati».

Max sorseggiò il brandy, fingendo di assaporarlo, mentre in realtà era troppo impegnato a controllare la propria rabbia per apprezzare alcunché. Vedere di nuovo Ellen l'aveva scosso nell'animo. Aveva pensato che fosse finita, con lei, ma sentirla ridere come se non avesse una preoccupazione al mondo, quando per i passati quattro anni lui non aveva conosciuto altro che dolore, senso di colpa e vuoto, gli aveva riportato appieno l'amarezza del suo tradimento. Gli occorreva tutta la sua volontà di ferro per apparire calmo. «Di certo non ci avete messo molto a dimenticarmi» rimarcò, agitando il brandy all'interno del bicchiere. «A ogni modo, cosa è successo al vostro nuovo marito? Se fosse stato vivo avrei dovuto dirgli che vi siete macchiata di bigamia.»

Lei emise una risata amara. «Non avete più alcun bisogno di fingere che siamo sposati. Pensate che non abbia fatto ricerche, una volta tornata in Inghilterra? Ho inviato i miei legali a esaminare i registri del reggimento e hanno confermato ciò che Missett mi aveva detto, ossia che non c'erano soldati britannici, a sud del Cairo, all'epoca. A meno che non fossero disertori.»

«Come vi avevo spiegato, la mia unità aveva dei compiti speciali di cui persino il console era all'oscuro.»

«E perché non ho trovato delle prove, allora? Gli uomini con cui eravate, il cappellano...»

«Il dottor Angus andò in Sudamerica dopo che lasciammo l'Egitto. Gli altri...» Il dolore penetrò come un pugnale nei suoi visceri. «Sono tutti morti. Uccisi in azione in Egitto, o nella Penisola.»

Tutti, eccetto me.

Max sentì il gusto aspro della colpa riempirgli di nuovo la gola. Aveva tenuto così poco alla vita, dopo che Ellen lo aveva lasciato, eppure era l'unico a essere stato risparmiato, ogni volta, per quanto rischiosa fosse la missione. Aveva visto i suoi uomini, i suoi amici, massacrati sul campo di battaglia e tuttavia era sopravvissuto.

«Perché dovrei credervi?» ribatté Ellen animosamente. «Quando il maggiore Missett mi disse che soltanto dei disertori sarebbero stati a sud del Cairo, ritenni che aveste assunto un falso nome. Adesso è chiaro che la vostra diserzione fu tenuta nascosta. Dopotutto, la vostra famiglia non voleva che il suo buon nome cadesse in disgrazia, vero? Non più di quanto avrebbero voluto che sposaste la... la marmocchia di un mercante.»

C'era qualcosa, nel suo tono, qualcosa più dell'amarezza, che lo spinse a guardarla corrucciato, ma lei agitò una mano e continuò. «Quale che fosse la vostra situazione, comunque, il matrimonio fu una frode. Il dottor Angus, il cappellano che voi dite ci abbia sposato, si trovava in Sicilia, all'epoca. Missett fu molto chiaro, in proposito.»

«Che sia dannato!»

«Non tentate di addossare colpe al console, siete stato voi ad aver imbrogliato!»

«No, questo è ciò che avete voluto credere, perché nel frattempo vi eravate già trovata un altro amante!»

Lei balzò dalla poltrona. «È una menzogna!»

«Davvero, madam? Perché non ammettete che avete deciso di stare dalla parte dei francesi? Dopotutto avevano il dominio dell'Egitto, a quel tempo, ve lo avevo spiegato. Stavo tentando di negoziare un'alleanza con i mamelucchi, ma loro stavano combattendo tra loro, ed era impossibile formare una resistenza contro il Pasha. E, nonostante avesse perduto la battaglia del Nilo, Bonaparte intendeva conquistare il mondo. Dunque, chi potrebbe biasimarvi per aver deciso di cambiare alleati?»

«Non ho fatto niente del genere» negò Ellen. «Ho semplicemente ritenuto più sicuro abbandonare l'Egitto sotto la protezione del console francese.»

«E lasciare che lo apprendessi da Missett. Bel comportamento, per una moglie, madam!»

«Non sono vostra moglie!» Lei frustò la mano in avanti per tacitarlo. «Sono stata imbrogliata una volta dalle vostre bugie, ma non accadrà di nuovo.»

«Non dovete credere alla mia parola» ritorse lui. «Se controllate adesso, scoprirete che le registrazioni sono state corrette.»

«Menzogne. Vi ho già spiegato che ho fatto svolgere delle ricerche, quando sono tornata in Inghilterra. Ho mandato i miei legali anche al registro dei cappellani. Non esiste alcuna registrazione del nostro matrimonio.»

«Le carte sono state spedite in Inghilterra. Mandate di nuovo i vostri legali a controllare, se non credete alle mie parole.» Lui vide un primo lampo di dubbio nei suoi occhi e curvò le labbra. «Siete mia moglie, che vi piaccia o meno.»

Ellen aveva l'impressione di trovarsi sull'orlo di un precipizio. Poteva ancora ricordare il dolore e la delusione che aveva provato quando lei e Mrs. Ackroyd erano arrivate ad Alessandria e il console inglese le aveva detto categoricamente che non c'erano soldati britannici, al sud del Cairo. Le aveva teso un foglio su cui erano riportate informazioni dettagliate sui movimenti delle navi e delle truppe. «Credetemi, signore, se ci fossero delle unità britanniche nell'area, lo saprei» aveva dichiarato. «Temo siate state ingannate dai disertori che si sono schierati dalla parte dei mamelucchi.»

«E il cappellano?» aveva chiesto Mrs. Ackroyd, perché Ellen era stata troppo distrutta per parlare.

«Conosco personalmente il dottor Angus, e se fosse in Egitto sarebbe venuto a trovarmi» aveva spiegato ancora il console. «L'ultima lettera che ho ricevuto da lui proveniva dalla Sicilia, e accennava addirittura di una posizione in Sudamerica. Siete state grossolanamente ingannate, signore. I soldati che avete incontrato potevano essere solo dei disertori.»

Ellen ricordava quelle parole fin troppo chiaramente e provava di nuovo lo stesso senso di sconvolgimento. Così forte da farla svenire.

Era stata folle oltre ogni limite nell'accettare Max senza alcuna prova della sua identità. Si era innamorata perdutamente e in due settimane dal loro incontro l'aveva sposato. Prima di allora non aveva mai abbassato la guardia, né si era fidata di un uomo, ecco perché il suo inganno l'aveva distrutta completamente. Quando l'aveva scoperto, l'unico suo desiderio era stato di lasciare il paese il più in fretta possibile. Mrs. Ackroyd aveva spiegato che la sfera di influenza del console francese era maggiore rispetto a quella degli alleati e che lui avrebbe potuto farle uscire dal paese rapidamente e in tutta sicurezza. Ellen sapeva come Max avrebbe interpretato la sua decisione, se l'avesse scoperta, ma non gliene era importato. Al contrario, ne era stata felice. Sarebbe stata una piccola vendetta per ciò che le aveva fatto.

In quel momento, però, mentre lui sedeva nella sua casa, rifiutando freddamente le sue argomentazioni, il dubbio strisciò dentro di lei. Perché avrebbe dovuto dirle di far investigare i suoi legali, se non fosse stato sicuro dei fatti? E se lei l'avesse giudicato male, per tutti quegli anni?

Sollevò lo sguardo e lo trovò a osservarla. Il suo freddo, sicuro sorriso la gelò fino alle ossa.

«Sì, madam, siete mia moglie» ribadì lui con aria sprezzante. «Anche se non per molto ancora.»

Lei sentì il sangue defluirle dal volto e si portò le mani alle guance. Max emise una risata derisoria, sollevandosi dalla poltrona. Come in un sogno lei lo vide posare con attenzione il bicchiere vuoto sul tavolo, prima di tornare a girarsi verso di lei.

«Non sareste dovuta essere così precipitosa nell'abbandonarmi, Ellen. Quattro anni fa, tuttavia, nessuno di noi due si sarebbe sognato che sarei diventato un duca. Questo fa di voi una duchessa, ma potete star sicura che intendo ottenere il divorzio il prima possibile. Non penso che sarà difficile, vero?» commentò con voce pigra. «Una moglie che abbandona il marito per un altro uomo, per un ufficiale francese, oltretutto. E c'è anche l'accusa di bigamia. Il divorzio sarà costoso, difficile, e diventeremo oggetto di ridicolo, ma sopporterò qualunque disagio, pur di liberarmi di voi.»

Ellen lo udì appena, troppo inorridita per comprendere le sue parole. Era stata così devastata da quello che aveva creduto il suo tradimento, che al ritorno in Inghilterra aveva assunto un nome falso e si era nascosta. Non gli aveva dato alcuna possibilità di spiegarsi. Si morse il labbro e lo guardò. «Oh, Max!» mormorò. «Mi dispiace più di quanto possa esprimere...»

Le labbra di lui si serrarono in una linea dura. «Non dubito che sia così, ma avreste dovuto pensarci prima di abbandonarmi.» Sollevò il cappello e i guanti. «Domani scriverò ai miei avvocati per liberare entrambi da questo dannato disastro.»

Ellen guardò in quella fredda, implacabile faccia e il suo spirito andò in frantumi. Si sentiva fisicamente male al pensiero di essersi sbagliata e non poteva biasimarlo, se la odiava. Lasciare Alessandria sotto la protezione del console francese era stato un insulto che Max non avrebbe mai perdonato, ma lei aveva creduto di essere la parte offesa.

La sua mente stava vorticando. Se il matrimonio era legale, allora doveva considerare la propria situazione, ma era impossibile, alla presenza di Max. Trasse un respiro e si impose di calmarsi. «Molto bene» replicò con freddezza. «Vi accompagno alla porta.»

Attese finché lui non ebbe preso il mantello, poi lo precedette nell'ingresso deserto, ansiosa di farlo uscire dalla casa il più in fretta possibile. Avevano appena messo piede nella hall quando una vocina chiamò dalla cima delle scale. «Mamma! Mamma!»

Max si fermò e si girò a guardare, scoprendo un bambino dai capelli biondo dorati in piedi a metà della scalinata. Ellen emise un gridolino e si affrettò a prendere il bambino tra le braccia, proprio mentre un'affannata cameriera compariva sul pianerottolo.

«Oh, madam, mi dispiace tanto, devo aver lasciato la porta socchiusa. Pensavo fosse addormentato e ho girato gli occhi solo per un minuto!»

Ellen sollevò il bambino, stringendolo forte. Il piccolo posò la testa sulla sua spalla, ma per un momento guardò direttamente verso Max, una lunga occhiata senza batter ciglio, prima che le palpebre calassero. Era già addormentato quando Ellen lo riconsegnò alla bambinaia. «Riportalo a letto, Hannah» le ordinò. «E stavolta, per favore, assicurati che la porta sia ben chiusa.»

Si voltò, pronta ad accompagnare Max alla porta, ma lui non si mosse. Invece, tra i denti serrati, pronunciò: «Questo, signora, cambia tutto».