9

Ellen sedeva davanti al suo specchio respirando profondamente per lasciar evaporare la collera.

Provava molta compassione per sua cognata, ed era decisa a non litigare con lei. Era passato appena un anno da quando Dorcas aveva perso non solo suo marito, ma anche la sua posizione in società... sebbene Ellen non fosse certa di quale delle due circostanze fosse più importante, per lei.

Sentì bussare alla porta, e Max entrò. Ellen rimase in silenzio, ricordando a se stessa che era suo marito e che aveva tutto il diritto di entrare nella sua camera da letto. Il suo cuore ebbe un piccolo soprassalto mentre lo studiava nello specchio e pensava a quanto fosse attraente, con la giacca nera da sera e la camicia bianca, la luce delle candele che faceva scintillare i suoi capelli biondi.

«Dorcas ha detto che vi siete ritirata presto» esordì lui. «Non state bene?»

«No, sono stanca, niente di più.»

«Non ho mai saputo che vi stancaste facilmente.»

Lei gli lanciò un'occhiata ironica dallo specchio. «Be', non avevo mai cenato, prima, con la duchessa vedova.» Allungò le mani indietro per aprire la chiusura della collana di diamanti.

«Lasciate fare a me.»

Ellen raggelò, tentando di non tremare mentre le dita di lui le sfioravano la pelle. Le mani di Max si fermarono per un istante e lei pensò con dolente rimpianto che quattro anni prima si sarebbe chinato a baciarle il collo. E avrebbe potuto farlo anche in quel momento, se avesse voluto. Se non si fosse pentito del loro matrimonio. Se l'avesse amata.

«Dov'è la vostra cameriera?» le domandò slacciando la collana e porgendogliela, prima di arretrare. «Dovrebbe aiutarvi.»

«Matlock è nella nursery con Jamie. Arriverà qui tra poco per aiutarmi a indossare la camicia da notte.»

La sua gola si seccò, mentre fissava intensamente nello specchio. Era impossibile non pensare che una volta un simile commento l'avrebbe fatto sogghignare e aggiungere che lui l'avrebbe aiutata a uscirne di nuovo...

Non adesso, però. In quel momento lui aveva un aspetto severo e il volto di pietra.

Max si girò e andò presso il camino, posando una mano sulla mensola. «Volevo parlarvi. Della vostra fortuna.»

«Io non ho più una fortuna» ribatté lei. «Come Dorcas mi ha gentilmente ricordato, tutto ciò che possiedo adesso appartiene a voi.»

«Non è detto. Possiamo stilare un accordo adeguato, assicurarci che ci sia una rendita vedovile per voi, se mai dovesse essere necessario. Domattina scriverò ai miei legali.»

«Grazie.»

Lui ruotò su se stesso, incontrando i suoi occhi nello specchio. «Sembrate sorpresa. Pensate che farei di meno per voi?»

Ellen era a disagio, vedendolo torreggiare su di sé, così si alzò dallo sgabello. Anche se doveva ancora sollevare lo sguardo, non si sentiva più così intimidita. «Sono consapevole che pensiate che abbia sbagliato, Max, ma ero davvero convinta che non fossimo sposati.»

«È ciò che avete sostenuto.»

«Non mi credete?»

«Oh, vi credo, madam. Credo che abbiate spedito i vostri legali a scoprire la verità, quando siete tornata in Inghilterra, ma non avreste potuto aspettare finché non foste stata in grado di chiedere a me?»

Ellen tese una mano. «Max, io...»

Lui si allontanò in fretta dalla sua mano protesa. «Capite cosa avete fatto, madam? Abbandonandomi, privandomi di mio figlio, il mio erede? Potete aver pensato che fossi un impostore, un disertore che si faceva chiamare Max Colnebrooke per impressionarvi, ma quando Hugo morì, perché non avete inghiottito il vostro orgoglio e investigato di nuovo, solo per sicurezza, solo per il bene di vostro figlio? E invece no. Neppure una parola di condoglianze per la perdita del mio unico fratello. Non avrei mai pensato che foste senza cuore.»

«Ho scritto, Max, per ben due volte...»

«Non aggiungete menzogne alle vostre offese!»

Ellen sussultò, poi ribadì, piano: «Non vi ho mai mentito».

Lui, però, non la stava ascoltando. Stava rivolgendo il suo cipiglio al pavimento mentre misurava a lunghi passi la stanza, la collera a malapena trattenuta. «Mi avete giudicato un furfante e mi avete negato l'opportunità di spiegarmi.» Si fermò a guardarla. «Allora, non è forse così?»

Ellen incrociò il suo sguardo rabbioso. Cosa poteva dire, che non causasse maggior dolore? «Non potremmo lasciarci il passato alle spalle e iniziare di nuovo?»

«Quanto chiedete è impossibile.» I suoi occhi si fissarono su di lei con un'espressione cupa e furiosa. «Nessuno di noi vuole questo matrimonio, Ellen, ma ormai siamo in questa trappola, per il bene del bambino.»

Per molto tempo, dopo che lui fu uscito dalla stanza, Ellen non si mosse. Fissò la porta chiusa, con l'impressione che qualcuno le avesse straziato il cuore.

Max chiuse la porta dietro di sé con grande attenzione. Sperò che lei non avesse visto lo sforzo che gli era costato apparire educato e indifferente, quando in realtà non avrebbe voluto altro che attirarla tra le braccia e perdersi nel calore del suo corpo morbido, cedendo al desiderio che lo divorava. Allontanarsi da lei, pronunciare quelle parole, era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto in vita sua.

Era necessario, si ripeté mentre raggiungeva la propria stanza. Non poteva rischiare di ripiombare in quella cupa tristezza che aveva provato quando era tornato dall'Egitto e aveva scoperto che lei era scomparsa.

Aveva gettato la cautela al vento e l'aveva sposata, un avventato, folle gesto lontano dal suo carattere. Quando aveva scoperto come Ellen avesse lasciato l'Egitto, non aveva abbandonato subito la speranza, convincendosi che mettersi sotto la protezione dei francesi fosse stato solo un mezzo per lasciare il paese, divenuto troppo pericoloso. Così era tornato in Inghilterra aspettandosi che lei fosse là ad attenderlo, invece non aveva trovato nessuno. Niente, a parte la sofferenza, la colpa e l'intollerabile dolore degli anni che erano seguiti.

Ellen si svegliò e vide il sole filtrare nella sua stanza. Andò alla finestra e guardò fuori, sentendo l'umore sollevarsi, a quella vista. I giardini terrazzati erano pieni di fiori estivi e di statue eleganti, e i prati in discesa accompagnavano l'occhio fino a un vasto lago. Oltre, il parco si stendeva all'orizzonte. «Questa è la mia casa, adesso» mormorò, stringendosi le braccia attorno al corpo. «Nel bene e nel male.»

Sapeva che era solo una delle tenute appartenenti al Duca di Rossenhall. Era magnifica, ma lei aveva una chiara idea del costo necessario a gestire una proprietà simile e, da quanto Max aveva detto la sera precedente, i conti non erano in ordine. Sentì un piccolo fremito di eccitazione correre dentro di lei. C'era molto lavoro da fare, là, e lei poteva aiutare. Ed era determinata a farlo.

Un'ora più tardi si diresse verso la stanza della colazione, perdendo due volte la strada. Max era solo, seduto al tavolo. Lui si alzò e spostò una sedia, a una certa distanza dalla propria, notò Ellen. L'irritazione montò in lei. Pensava forse che si sarebbe gettata su di lui in un attacco di passione incontrollabile? Poi vide le rughe di tensione attorno ai suoi occhi e pensò che anche lui non dovesse aver dormito bene.

Mentre una cameriera portava sulla tavola dei biscotti appena sfornati, disse: «Dal momento che il tempo è così bello mi piacerebbe fare un giro in carrozza per il parco, questo pomeriggio».

«La carrozza sarà a vostra disposizione.»

«Pensavo che forse vi piacerebbe accompagnarmi.» Lo scrutò da sotto le ciglia, vide la lieve esitazione, prima che lui riempisse la tazza di caffè.

«Purtroppo non sarà possibile. Partirò all'ora di pranzo. Ho degli affari in città.»

«Oggi? Ma siamo appena arrivati.»

«Non posso evitarlo. Si tratta solo di affari, altrimenti vi porterei con me. Volete dell'altro caffè?»

«No, grazie. I vostri affari non possono aspettare qualche altro giorno? Speravo poteste mostrarmi Rossenhall.»

Lui evitò il suo sguardo. «Dorcas e Mrs. Greenwood vi informeranno di tutto ciò che vi serve sapere.»

«Ho già organizzato un giro per la casa con la governante per questa mattina, ma questa dimora è enorme. Con il parco e le fattorie, c'è talmente tanto da scoprire!»

«Volete conoscere anche la tenuta, dunque?»

«Certo» confermò lei. «Sono ansiosa di imparare tutto ciò che posso.»

«Allora chiedete a Tony Grisham. Mi dispiace non avere il tempo di presentarvelo, ma provvederà Dorcas, se glielo chiederete.» Max mise giù il tovagliolo e si alzò. «Dovrò vedere il mio avvocato, a Londra, riguardo al nostro accordo. Pensavo anche che potrei cercare alcuni degli amici di vostro padre per discutere... dei nostri investimenti. Forse, quando avrete finito la colazione, potreste scrivere le necessarie lettere di presentazione.»

Detto questo, uscì dalla stanza.

Ellen si mise in bocca un biscotto e lo masticò pensosamente. Max era praticamente fuggito. La odiava al punto da non riuscire a rimanere nella stessa stanza, oppure sentiva anche lui la forza dell'attrazione che esisteva tra loro?

La fiammella di speranza, che si rifiutava di morire, ondeggiò più luminosa.

Max fu sorpreso di trovare nell'ingresso un piccolo gruppo riunito per la sua partenza. Ellen aveva portato Jamie dabbasso, anche se lui aveva programmato di salire alla nursery per salutarlo.

Dorcas allungò la mano per il suo saluto e poi, per Max, venne il momento di congedarsi da sua moglie. Mentre esitava, Ellen avanzò e gli mise la mano sulla spalla, allungandosi per baciarlo sulla guancia. Lui tenne le mani sui fianchi, i pugni stretti per impedirsi di afferrarla, mentre il suo lieve, ma seducente, profumo lo avvolgeva. Avrebbe dovuto dire qualcosa, tuttavia, mentre lottava per trovare le parole, il piccolo Jamie attirò la sua attenzione, tirandogli le code della giacca.

«Duca, mi porterete un tamburo da Londra?» volle sapere. «L'avete promesso, sapete.»

La tensione si alleggerì. Max udì il gorgoglio di risa di Ellen, mentre sollevava il bambino in braccio.

Dorcas emise il consueto schiocco di disapprovazione. «Tuo padre ha affari importanti da sbrigare. Non ha tempo da perdere a cercare un giocattolo per te.»

«Ho promesso.» Max accarezzò la guancia di Jamie con un dito. «Vedrò cosa posso fare.»

Sopra la testa del bambino, incrociò gli occhi di Ellen, la quale mormorò: «Grazie».

Era troppo. Lui non voleva una famiglia. Non voleva un'ulteriore pressione sulle sue emozioni. Con un brusco cenno del capo girò sui tacchi e si affrettò verso la carrozza in attesa.

La tetraggine che calò sulla casa alla partenza di Max non era soltanto una sensazione di Ellen. Le nuvole coprirono il cielo e una fitta pioggerellina mise fine ai suoi piani di portare Jamie a fare una passeggiata in carrozza. Così lo lasciò a giocare nella nursery e andò a esplorare le parti inferiori della casa.

Mrs. Greenwood l'aveva portata a compiere un giro completo delle sale principali e delle camere degli ospiti, ma non c'era stato tempo di visitare le cucine, o le stanze di servizio.

Quando ne aveva accennato a Dorcas, la cognata aveva reagito con la consueta aria sprezzante. «Perché mai vorreste andarci?» aveva chiesto. «Il cuoco, Monsieur Tissot, vi è già stato presentato, e ogni altro elemento del personale può essere convocato di sopra, se avete bisogno di vederlo.» Poi aggiunse, con un guizzo di orgoglio: «Non ho mai trovato necessario avventurarmi nei quartieri della servitù. Non è posto per una duchessa».

Ellen aveva seguito il suo consiglio, ma in quel momento, con ore da impiegare prima di doversi cambiare per la cena, decise di andare in esplorazione. Le cucine erano situate in un padiglione dietro l'ala orientale. Poche parole piene di tatto nella sua lingua al tiranno che vi regnava, indussero Monsieur Tissot a presentare ciascuno dei suoi aiutanti alla nuova padrona. Dopo un giro dei suoi domini, Ellen si diresse al cottage per esaminare gli uffici della tenuta. Mentre svoltava l'angolo di un lungo corridoio, andò quasi a sbattere contro un gentiluomo vestito da equitazione che proveniva dalla direzione opposta.

Lui si bloccò e arretrò, sollevando la mano mentre chiedeva affannosamente scusa.

«Voi dovete essere Mr. Grisham, l'amministratore del duca» dedusse Ellen. Sorrise e scosse il capo quando lui strinse la mano sopra la manica vuota infilata nella tasca della giacca. «Non è la prima cosa che ho notato di voi, Mr. Grisham, piuttosto le vostre dite macchiate di inchiostro! Non sareste potuto essere nessun altro.» Gli tese la mano. «Sono felice di conoscervi, signore.»

Con il divertimento che brillava negli occhi grigi, Tony Grisham strofinò la mano sulla giacca, prima di toccare le dita di Ellen e chinare il capo di fronte a lei. «Sono onorato, Vostra Grazia. C'è qualcosa che posso fare per voi?»

«Sì, per esempio potreste guidarmi per questo labirinto di stanze e corridoi e annessi» rispose lei. «Durante l'assenza del duca, vorrei vedere quanto più posso, di Rossenhall. Sempre che non siate troppo occupato, beninteso.»

«No, Vostra Grazia, per niente. Ho appena riposto i libri contabili, per oggi.» Lui fece un sorriso ironico, mentre esaminava la propria mano. «Prima, però, dovrei ripulirmi. Non vorrei offendervi.»

«Se si tratta solo di un po' di inchiostro, non ce n'è alcun bisogno» gli assicurò lei. «Spesso mio figlio ha molte più macchie di voi.»

Grisham rise. «Molto bene, allora, Vostra Grazia. Da dove vorreste iniziare?»

Cominciarono con un giro del blocco delle scuderie, Tony la informò che l'avrebbe presentata al capo stalliere.

«Vi riferite a Stevens?» domandò lei. «Era con Sua Grazia ad Harrogate.»

«No, ma'am. Sua Grazia ha portato Stevens con sé dall'esercito. Il vecchio Joshua Thirsk è stato al comando delle scuderie dai tempi del defunto duca... il padre dell'attuale. C'è anche un capo cocchiere, certo, ma è Joshua che regna fermamente sulle scuderie.» Tony tossicchiò, aggiungendo in tono di scusa: «A lui piace che le cose vadano a suo modo, ma'am, perciò non è tutto così in ordine come forse piacerebbe al duca».

La condusse quindi attraverso la corte, fino a che non raggiunsero un tipo dai capelli ispidi, vestito di un logoro panciotto di pelle e con un fazzoletto lacero legato attorno al collo. Il vecchio la esaminò con occhi lacrimosi. Ellen lo salutò con calore e agitò una mano in direzione delle scuderie che si trovavano alle loro spalle. «Alcuni di questi cavalli vengono usati per le fattorie?» gli domandò. «Sembra ce ne siano di più di quanti ne servano per la famiglia.»

«Ah, be'» rispose lui, «quando la duchessa vedova cominciò a portare il lutto acquistò diversi cavalli neri per tirare le sue carrozze.»

«E i cavalli che hanno rimpiazzato sono stati venduti, suppongo?»

Il capo stalliere dondolò da un piede all'altro e guardò Tony, il quale rispose: «No, ma'am. Sono ancora qui. Due tiri per ogni carrozza».

Ellen incontrò gli occhi dell'amministratore e serrò le labbra per soffocare un commento. Alla luce di quel che Max aveva detto riguardo alle finanze, era comprensibile che fosse preoccupato. «Abbiamo bisogno di tanti cavalli?» domandò cautamente.

«Sua Grazia ha in mente di vendere parecchi di questi tiri» rispose Tony.

Joshua si strofinò il naso. «Sempre che resti qui abbastanza a lungo da prendere una decisione.»

«Be', forse dovreste aiutarlo» suggerì Ellen. «Se voi e Mr. Grisham stilaste una lista dei cavalli che volete tenere, potremo presentarla a Sua Grazia, al suo ritorno.»

«Ah, non voglio far niente di affrettato» obiettò il capo stalliere. «Sua Grazia ha detto che dev'essere consultata la duchessa vedova, per non parlare del fatto che il Duca di Rossenhall ha sempre avuto i migliori cavalli, nelle sue scuderie.»

«E questo non cambierà» lo rassicurò Ellen, rendendosi conto che l'uomo era preoccupato che il suo piccolo regno venisse drasticamente ridotto. «Comunque sono certa che converrete con me che è piuttosto sciocco tenere tanti cavalli, se non vengono usati.» Quindi, sorridendo di nuovo, si allontanò.

Quando alla fine si separò da Tony Grisham, scoprì che avevano trovato un'eccellente intesa. Al pari di lui, anche Ellen provava un genuino interesse per Rossenhall, lei si era resa conto che l'uomo era ansioso di condividere le proprie conoscenze.

Il mattino seguente Tony la condusse alla fattoria della residenza, dopodiché andarono ogni giorno a visitare i fittavoli. Ellen portò con sé anche Jamie, sapendo che avrebbe apprezzato la passeggiata in carrozza, ma si augurava anche che avere il figlio di Max con sé avrebbe reso più semplice l'incontro con le famiglie che avrebbe visitato.

Fu una settimana piena, prima che il duca tornasse a Rossenhall.

Max ordinò al cocchiere di condurre il calesse direttamente alle scuderie. Quando si fermarono nella corte, sobbalzò. Per pochi istanti restò immobile, guardandosi attorno, una piccola ruga sulla fronte. Vide Stevens uscire da una delle poste e lo chiamò perché si avvicinasse. «Cosa sta succedendo, qui?» lo interrogò.

«Vostra Grazia?»

«Non fare lo stupido!» ringhiò Max. «Questa corte è più pulita di quanto l'abbia mai vista. I barili rotti sono stati rimossi, porte e finestre riparate... perfino la pavimentazione sembra sia stata lavata. Hai assunto tu il comando, qui? Sai che ne ho parlato al vecchio Joshua una dozzina di volte...» Si interruppe, vedendo l'espressione divertita di Stevens. «Be', cos'hai da ghignare?»

«È stata la duchessa, Vostra Grazia. Ha detto a Joshua che le piace vedere tutto pulito e in ordine.»

«La duchessa... la mia duchessa?»

Stevens ghignò. «Sì, Vostra Grazia. Mr. Grisham l'ha portata in giro qua attorno. Fatemi pensare, dev'essere stato il giorno in cui siete partito per Londra. Ha incontrato il vecchio Joshua e poi, proprio il giorno dopo, è tornata portando un fazzoletto rosso e una nuova borsa per il tabacco, e gli ha detto quanto fosse felice che le scuderie fossero in così buone mani. Se l'è rigirato ben bene, avreste dovuto vederla!» Fissò un punto oltre il duca e il suo sorriso si allargò ancora di più. «Guardate da voi.»

Max si girò. Il suo capo stalliere era in piedi sotto l'arco d'ingresso, i pugni sulle anche mentre osservava gli scudieri spingere via la carrozza. I capelli bianchi di Joshua erano pettinati, e l'uomo appariva più pulito di quanto l'avesse mai visto, con una camicia fresca di bucato e il nuovo fazzoletto rosso attorno al collo.

«Buongiorno a te, Joshua» lo chiamò, e il vecchio attraversò lentamente la corte. Max agitò una mano. «A quanto vedo sei stato occupato, e anche parecchio.»

L'altro gli lanciò un'occhiataccia. «Be', se dobbiamo avere di nuovo visitatori, dobbiamo metterci in ghingheri, no?»

«Visitatori?» si stupì Max.

«Sì. La nuova padrona dice che adesso sarà come ai vecchi tempi, con la famiglia che vive qui.» Gli occhi appannati dell'uomo si illuminarono. «Ci saranno tanti ospiti, e avranno bisogno di stalle per i loro bei cavalli.»

Max incrociò le braccia. «Anche i nostri cavalli sono belli, ma tu non hai mai sentito la necessità di pulire, prima

«Perché a nessuno è mai interessato, prima» ritorse l'anziano, fissando coraggiosamente Max negli occhi. «La padrona dice che vuole essere orgogliosa delle sue scuderie. E che merito di riposare di più, anche, così ho acconsentito a lasciare che questo giovanotto qui iniziasse a imparare a gestire il posto.» Agitò il pollice verso Stevens.

L'altro annuì. «È giusto, ma continuerò a venire da te a chiedere consiglio, Joshua. Proprio come ha suggerito Sua Grazia.»

«Ah, bada di farlo!» abbaiò il vecchio prima di riportare lo sguardo severo su Max. «Se è tutto, Vostra Grazia, tornerei al lavoro. Ho promesso alla padrona che avrei ripulito per bene le stalle, in mattinata e, se non controllo i ragazzi, si metteranno a giocare a carte nel fienile, invece di pulire i finimenti.»

«Capite cosa intendo, Vostra Grazia?» mormorò Stevens mentre il vecchio si allontanava. «È una trasformazione. Non che mi importi, se significa che mi lascerà mettere in ordine questo posto.» Lo stalliere lo guardò da sotto le sopracciglia cespugliose. «Resteremo per un po', vero, Vostra Grazia? C'è una montagna di lavoro da fare, ma ci vuole tempo.»

«Allora penso proprio che dovremo restare» dichiarò Max. «Temo di aver trascurato i miei doveri troppo a lungo.»

Poi si avviò verso casa, dirigendosi alla porta che conduceva direttamente agli uffici della tenuta. Tony Grisham si alzò subito dal grande tavolo disseminato di carte e mappe.

Max gli fece segno di tornare a sedersi e prese una sedia per fare altrettanto. «Arrivo direttamente dalla città» affermò in risposta ai saluti dell'altro. «E se è rimasto del vino, in quel decanter, sarei felice di prenderne un bicchiere con te.»

«Certo, Vostra Grazia.» Tony riempì un bicchiere di vino e glielo porse. «I vostri affari sono andati bene?»

«Sì, benché ci sia ancora molto da fare. E come vanno le cose, qui?»

«Molto bene» rispose Tony, sorprendendolo. «Le questioni del personale sono state risolte.»

«Hai trovato una cameriera per la duchessa?»

«Non l'ho fatto io, Vostra Grazia. È stata lei stessa a scegliere Alice, una delle cameriere, nonché nipote di Mrs. Greenwood. La ragazza è ansiosa di migliorare, e la padrona pensa che farà molto bene. Così è rimasto un posto libero per un'altra cameriera, e la duchessa ha suggerito di dare il posto alla nipote del vecchio Joshua. E, a proposito...» Tony frugò tra le carte e tese a Max un foglio. «Qui c'è una lista di cavalli che Sua Grazia ha suggerito di vendere, con la vostra approvazione, beninteso. L'ho esaminata insieme a Stevens e a Joshua, e loro hanno scelto i cavalli migliori da tenere.»

«E la duchessa vedova è felice di questo?» Max vide Tony esitare e abbaiò: «La verità, se non ti dispiace».

«Temo che fosse sul punto di scoppiare in lacrime, quando la padrona gliene ha parlato.»

Max fece una smorfia, e l'amministratore rise. «Mrs. Greenwood mi ha detto che è diventata isterica e che avrebbe messo a soqquadro l'intera casa se la duchessa non le avesse passato delle piume bruciate sotto il naso, il che l'ha fatta riprendere in fretta.» Tornò serio e lanciò un'occhiata contrita al duca. «Chiedo perdono, Vostra Grazia, ma avete chiesto di sapere la verità.»

«Così la duchessa ha messo mano anche a questo!» esclamò Max, gettando il foglio sul tavolo. «Santo cielo, sono stato via solo una settimana! Che altro scompiglio ha portato mia moglie nella mia casa?»

Le sopracciglia di Tony si sollevarono. «Ma... nessuno, Vostra Grazia. Si è presentata a tutto il personale della casa e a buona parte degli affittuari, anche. E quando ha scoperto che l'umidità nella lavanderia stava rendendo asmatica una delle lavandaie, l'ha spostata nella nursery per aiutare Matlock. Così abbiamo potuto prendere una delle ragazze del villaggio per lavorare nella lavanderia.» Si strinse nelle spalle. «La nuova ragazza ha una mente un po' semplice, ma lavora sodo. E ora che la duchessa ha preso in carico la gestione della casa, a me resta più tempo per controllare la montagna di carte che si sono accumulate dai tempi di vostro padre. Se Vostra Grazia mi permette di dirlo, sono del parere che la duchessa abbia cominciato molto bene.»

Max rammentò le parole di Tony mentre entrava in casa e si dirigeva nella propria stanza. Tutto era calmo e in ordine, tuttavia c'era un'atmosfera diversa. La tetraggine era sparita. Gli scuri delle finestre erano stati sollevati e fragranti decorazioni di fiori adornavano i tavoli. Una composizione particolarmente colorata era stata sistemata sul tavolo rotondo che stava al centro dell'ingresso.

Come ai vecchi tempi.

Le parole del vecchio Joshua gli tornarono in mente. Non vedeva fiori come quelli da quando la duchessa era stata sua madre. Era morta quando lui e Hugo erano ancora a scuola, e l'abitudine di portare fiori freschi in casa era andata perduta.

Insieme a molte altre cose, rifletté mentre saliva la scalinata principale. Le risate erano sparite dalla casa, così come il poco affetto che lui e Hugo avessero mai conosciuto. Max non si faceva illusioni, sua madre era stata una donna egoista e frivola, interessata solo ai propri piaceri, ma di tanto in tanto si compiaceva di manifestare il proprio affetto per i figli. Quei gesti d'amore, rari e prodigati con indifferenza, avevano avuto su Max l'effetto della pioggia nel deserto. Aveva adorato la ridente, splendida dea che era stata sua madre, e aveva vissuto per quei brevi istanti di tenerezza, così diversi dal professionale, falso affetto delle donne che il vecchio duca aveva impiegato per iniziare i figli alle tecniche dell'amore.

Amore! Max quasi rise al ricordo. Ellen era l'unica donna che avesse mai amato, ed ecco cosa gli era costato.

Quando entrò in camera, Flynn lo stava aspettando con una serie di vestiti puliti. Max indossò il panciotto di seta bianca ricamata e, mentre lo abbottonava, andò alla finestra. Sebbene non fossero adiacenti, le sue stanze erano situate nello stesso lato di quelle di Ellen. Chissà cosa pensava, della vista, sua moglie? Avrebbe amato quel posto, come aveva fatto lui? E Jamie avrebbe amato viverci?

Guardando in basso, vide la duchessa su una delle terrazze inferiori. Jamie era con lei, e si stavano avviando verso il lago.

«La vostra giacca, Vostra Grazia.»

«Cosa?»

Max si girò e vide Flynn reggere la sua giacca. Vi infilò le braccia, dando al valletto appena il tempo di stirare le pieghe sulle spalle, prima di affrettarsi fuori.

Quando li raggiunse, Ellen e Jamie si trovavano sul bordo dell'acqua, impegnati a gettare pezzi di pane alle anatre. Max poteva sentire le infantili risate di Jamie, mentre gli uccelli lottavano rumorosamente per i loro bocconi. Ellen stava chinata di fianco a lui, un braccio attorno alla sua vita per impedirgli di finire a testa in giù nel lago, mentre il piccolo lanciava briciole in aria.

«Se diventeranno troppo grasse, non riusciranno più a nuotare.»

Il suo commento fece girare la testa di Ellen. Lei si sollevò, tenendo una mano sulla spalla di Jamie, e sorrise. C'era un gradevole colorito sulle sue guance, ma poteva essere causato dall'aria fresca. Max non si sarebbe illuso pensando che fosse davvero felice di vederlo.

«Se ci aveste avvisati, saremmo venuti alla porta a darvi il benvenuto.»

«Non era necessario, ve lo assicuro. E di certo Jamie preferisce stare qui.» Max era rimasto in piedi, le mani dietro la schiena, ma a un tratto mise in mostra l'oggetto che stava nascondendo e si rivolse al figlio. «Pensavo che potrebbe piacerti provare questo.»

Jamie emise uno stridio felice. «Una barca! Guarda, mamma, una barca!»

«È uno yacht» precisò Max, allungando il giocattolo.

«Lo avete portato dalla città per lui?» chiese Ellen.

«Ho portato qualcosa di molto diverso, per lui, da Londra» rispose Max, enigmatico. «No, questo l'ho trovato in uno degli armadi dell'attico. È una copia in miniatura dello yacht di mio nonno. Fu costruito per Hugo e per me. Vogliamo provare se tiene ancora il mare, Jamie?»

«Oh, sì, per piacere, duca!»

Max abbassò con delicatezza nell'acqua lo scafo dipinto di bianco e le anatre sguazzarono via, rendendosi conto che il loro festino era terminato.

Jamie cominciò a saltellare, impaziente. «Posso reggere le corde? Per piacere, duca!»

«Molto bene.» Max gli porse le corde. «Tienile strette, capitan Jamie, e non perderai la tua nave.»

Il bimbo fece scivolare la sua mano libera in quella di Max. «Possiamo portarla attorno al lago?»

«Se vuoi.» Dopo una piccola pausa, lui tese il braccio a Ellen. «Volete unirvi a noi?»

Max si rendeva conto che l'invito era suonato brusco e la sua voce freddamente educata, ma, dopo averlo esaminato per un momento, la vide sorridere, mentre infilava la mano nell'incavo del suo braccio. La guardò. La tesa del cappellino di paglia le nascondeva parte del volto, ma non sembrava agitata, constatò compiaciuto. Desiderava che fossero in grado di intrattenere una relazione amichevole.

A quella bugia la sua coscienza si risvegliò: non era affatto ciò che voleva. In realtà non pensava ad altro che a far scivolare il braccio attorno alla sua vita e attirarla a sé, lanciare via quel ridicolo cappellino e coprirle il viso di baci. Poi, quando la balia di Jamie fosse venuta a portarlo via, l'avrebbe condotta in qualche luogo nascosto per fare l'amore con lei e accarezzarla fino a sentirla gridare dall'estasi...

«Vi chiedo perdono, Vostra Grazia. Avete parlato?»

La sua morbida voce interruppe i pensieri di Max. Si era girata a guardarlo, le delicate sopracciglia sollevate in modo interrogativo.

Il cuore di Max stava battendo così velocemente da minacciare di soffocarlo. Non poteva abbandonarsi al suo desiderio, non senza rischiare le difese che aveva penato tanto a costruire.

«Volevo chiedervi se vi piace la vista dalla vostra stanza.»

«Moltissimo, Vostra Grazia. I prati sono bellissimi.»

«Ho ragione di credere che siate stata indaffarata, in mia assenza. I cambiamenti al personale, i miglioramenti nelle scuderie. I fiori nella casa.»

«Spero non pensiate che abbia esagerato. Mi sono consultata con Mr. Grisham per ogni cosa.»

«Ma non con la duchessa vedova.»

«Non su ogni cosa. A lei non piacciono i cambiamenti. La disturbano.»

Avevano raggiunto una parte del lago dove i giunchi crescevano fitti e vicini alla riva, rendendo impossibile tirare più avanti il piccolo yacht, e furono costretti a fermarsi.

«Abbiamo camminato a sufficienza, per oggi» dichiarò Ellen.

Max districò la corda dalle canne e tirò fuori la barca dall'acqua. Notò un guizzo di ribellione, negli occhi di Jamie, e gli mise una mano sulla spalla. «Tua madre ha ragione, sai? Un capitano sa sempre quando far riposare il suo equipaggio.»

Tornata l'armonia, camminarono tutti e tre verso casa, e trovarono Matlock sulla terrazza. La donna fece un leggero cenno di saluto verso il duca e la duchessa, ma rivolse la propria attenzione al bambino. «Eccovi qua, James. Eliza sta preparando un bagno per voi. E a quanto vedo, è proprio necessario. Andiamo, giovanotto.»

Max si abbassò e gli tese lo yacht. «Puoi portarlo nella nursery e tenerlo là, se prometti di averne cura.»

Jamie annuì solennemente e seguì la sua balia, la piccola barca stretta con reverenza tra le braccia.

«È stato molto gentile da parte vostra» osservò Ellen.

Lui si strinse nelle spalle. «Quando ho visto che stavate andando al lago, mi sono ricordato dello yacht. Per fortuna non era stato spostato da anni, così è stato facile trovarlo.» Accompagnò Ellen verso le doppie porte che conducevano dalla terrazza al salotto e domandò in tono noncurante: «I miei compiti paterni sono finiti, per oggi?».

«Oh, no. Prima di cena Jamie scenderà per unirsi a noi per un po'. Desidero che faccia conoscenza con sua zia. La duchessa vedova non è abituata ai bambini e trova che mezz'ora in sua compagnia sia sufficiente.» Lei esitò. «Il nostro arrivo a Rossenhall è stato uno sconvolgimento, per Dorcas. Ci vorrà del tempo perché si abitui.»

«Può rivelarsi una donna difficile, non permettetele di fare la prepotente con voi.»

«State tranquillo, non l'ho mai permesso a nessuno.»

«No» convenne lui. «Ho pietà di chi osasse tentare.»

Il suo improvviso sorriso, il calore nella sua voce, colsero Ellen di sorpresa. Si sentì confusa, mentre stavano in piedi nel salotto, gli uccelli che cantavano all'esterno e il grazioso, piccolo orologio in similoro, sulla mensola del camino, che suonava le ore.

Il desiderio che provava per lui la spaventava.

Max si guardò attorno, agitando una mano verso il tavolino dei liquori. «Prendete un bicchiere di vino con me?»

«Io... io... ecco, devo andare a cambiarmi. Per la cena.» Stupida!, si rimproverò subito. Avrebbe dovuto accettare il ramoscello d'ulivo che lui le stava offrendo, ma si sentiva troppo debole, troppo priva di controllo. Borbottando qualche parola di scusa, corse quasi fuori dalla stanza.