8
Mentre il veicolo rallentava e svoltava lungo il tortuoso viale che conduceva a Rossenhall, la dimora principale del duca, Ellen strinse Jamie a sé.
Quando era stata più giovane, molte volte le avevano spiegato che, con il suo aspetto e la sua fortuna, avrebbe potuto diventare la moglie di qualche nobiluomo. E nella cerchia dei suoi ammiratori c'erano stati un marchese e più di un conte, ma l'idea di sposarsi per acquisire un titolo non l'aveva mai interessata, anche se l'educazione ricevuta all'Accademia di Mrs. Ackroyd l'aveva preparata a una simile posizione.
Ellen aveva deciso, a un'età molto precoce, che si sarebbe sposata solo per amore e aveva trovato quell'amore con Max. Non avrebbe fatto differenza che fosse un povero soldato, o un principe. In quel momento le parve una beffa del destino il fatto che, dopo anni passati a evitare la società, vi stesse ritornando da duchessa.
Quando la casa giunse finalmente in vista iniziò a desiderare di aver scelto di viaggiare nell'elegante barouche, anziché arrivare sul calesse, il volto arrossato dall'aria fresca e i capelli arruffati dal vento. Sarebbe stata un'entrata molto più adatta a una duchessa, ma era troppo tardi per pentirsi, così rivolse l'attenzione alla sua nuova casa.
L'edificio s'innalzava orgogliosamente davanti a loro: una residenza palladiana color grigio chiaro con due ali che si allungavano come braccia spalancate a ogni lato del blocco centrale, dove due fughe di scale ricurve di pietra salivano fino all'entrata principale, posta sotto un frontone sorretto da quattro immense colonne di pietra.
«È stata modificata in modo significativo, nel corso degli anni» le spiegò Max mentre si avvicinavano. «La parte vecchia è stata ricostruita nel secolo passato, e le ali sono state aggiunte per renderla una residenza più adatta a un duca.»
Mentre parlava, i domestici iniziarono a raccogliersi in una fila su una delle scale per accoglierlo.
«Sono felice che stia splendendo il sole» osservò Max, fermando il calessino davanti all'entrata. «State vedendo la casa al suo meglio.»
Lei non ebbe il tempo di rispondere. Stevens era corso alla testa dei cavalli, e Max era già balzato giù per aiutarla a scendere.
«Datemi prima il bambino.» Jamie andò da lui di buon grado e, una volta che Max l'ebbe sistemato confortevolmente su un braccio, allungò la mano verso Ellen. «Benvenuta nella vostra nuova casa.»
Ellen lo seguì su per la scala ricurva, superando i domestici in attesa, che si inchinarono, o fecero una riverenza, mentre i loro padroni salivano. Con il figlio tra le braccia, Max stava rendendo chiaro a chiunque che quella era la sua famiglia. In cima alla scala c'era una paffuta donna dalle guance rosee, con un grembiule immacolato e la cuffietta, che si presentò come Mrs. Greenwood, la governante.
«In seguito lei vi presenterà il resto del personale.» Max si rivolse alla figura vestita di nero accanto alla governante. «E questo è Perkins.»
Il maggiordomo sprofondò in un inchino davanti a Ellen. «Benvenuta nella vostra nuova casa, Vostra Grazia.» Poi si raddrizzò e si rivolse al duca. «La duchessa vedova vi sta aspettando in salotto. Ha chiesto che vi accompagnassi direttamente da lei, non appena foste arrivato.»
«Grazie, Perkins, andrò a salutarla dopo che avrò mostrato la nursery a mio figlio.» Max lanciò un'occhiata a Ellen, gli occhi scintillanti di divertimento. «Vedete, ho già imparato qualcosa sui doveri di un genitore. Andiamo.»
Circa mezz'ora dopo Ellen e Jamie seguirono Max in salotto, dove la duchessa vedova li stava aspettando. Non doveva avere molti anni più di Ellen, e la sua figura sottile era avvolta in stoffe nere, non alleggerite da alcun tocco di colore. I suoi capelli biondi erano raccolti con semplicità sulla nuca e coperti da una cuffia nera, che aggiungeva severità al suo aspetto. L'espressione altezzosa non si addolcì quando Max fece le presentazioni.
Ellen avanzò e baciò la vedova sulla guancia, dicendo nel suo modo amichevole: «Per piacere, chiamatemi Ellen, e spero che mi permetterete di chiamarvi Dorcas».
La gentildonna si irrigidì nel suo abbraccio e arretrò in fretta, girandosi per rivolgersi a Max. «E questo è vostro figlio.» I suoi occhi celeste pallido si soffermarono su Jamie. «Il vostro erede.»
«Sì.» Max sorrise. «Lasciate che vi presenti James, il Marchese di Dern.»
Dorcas sedette e tese una mano. «Bene, James, vuoi dare un bacio a tua zia?»
Max ridacchiò mentre Jamie si rannicchiava contro la sua gamba. «Andiamo, signorino, non ti morderà.»
Guardando gli occhi freddi e il sorriso tirato di Dorcas, Ellen non ne fu così sicura. Sollevò il figlio e sedette con lui sulle ginocchia. «Temo sia un po' timido con gli sconosciuti» spiegò, tenendolo vicino.
La duchessa vedova la ignorò. «Quando andrai in città, Maximilian? È consuetudine che una nuova duchessa sia presentata entro pochi giorni dal matrimonio. So che il tuo è un caso eccezionale, ma non dovresti tardare troppo.»
«La Corte ha atteso quattro anni per vedere la mia duchessa» replicò lui. «Altri pochi mesi non faranno differenza. Andremo in città in primavera.»
«Veramente?» Dorcas inarcò le sopracciglia sottili. «E che ne dice la mia nuova cognata? Ah, dimenticavo» si affrettò ad aggiungere vedendo che Ellen apriva la bocca per rispondere. «Senza dubbio gradirete il rinvio, dato che avete preferito nascondervi piuttosto che prendere il vostro posto qui come moglie di Maximilian.»
Ellen non batté ciglio sotto il suo sguardo freddo. Sapeva che Dorcas stava cercando di innervosirla, ma non glielo avrebbe permesso. «Sono qui, adesso» affermò tranquillamente. «E intendo restare.»
«Suppongo che tutto, a Rossenhall, vi sembrerà strano» proseguì la vedova con un sorriso condiscendente. «Harrogate è così a nord, e credo di aver capito che il vostro stile di vita fosse alquanto modesto.»
«Sì, la mia intera casa a Paradise Row entrerebbe in questa camera» confermò Ellen in tono vivace. «Spero non ci si aspetti che pulisca tutto da sola.»
Max trattenne una risata all'espressione sconvolta della cognata. «Mia moglie ti sta stuzzicando, Dorcas» le spiegò lanciando uno sguardo accigliato a Ellen. «Non è estranea alle grandi residenze. Ho visto la sua casa di famiglia, ed è una proprietà considerevole, te lo assicuro.»
«Tuttavia non è la dimora di un duca» puntualizzò Dorcas.
L'ingresso di Perkins rappresentò una gradita diversione.
«Mi sono presa la libertà di ordinare che sia servito del tè» riprese Dorcas, mentre al maggiordomo facevano seguito dei lacchè che portavano l'elegante bollitore a spirito e vassoi carichi di porcellane. Poi si rivolse a Ellen, con una grazia falsa quanto il suo sorriso. «Spero vorrete perdonarmi, mi rendo conto che questo dovrebbe essere il vostro compito, adesso, Vostra Grazia.»
«Per piacere, chiamatemi Ellen. E non c'è niente da perdonare. Ci sarà tempo a sufficienza perché io prenda in mano le redini di questa casa.» Ellen lanciò un'occhiata a Max, e un ricordo emerse repentino. «Comunque, penso che Sua Grazia preferisca il caffè» mormorò. «O forse un boccale di birra, dopo il viaggio?»
«Sì, magari» rispose lui, sorpreso. «Birra, per me.»
Ellen fece un cenno al maggiordomo, il quale si inchinò profondamente.
«Sarà fatto all'istante, Vostra Grazia, e, se posso suggerire, una tazza di latte per il marchese? È freschissimo, la cuoca ha mandato a prenderlo non appena ha messo gli occhi sul giovane padrone.»
Jamie, che era rimasto appoggiato contro Ellen, si raddrizzò. «Latte? Mi piacerebbe molto, grazie.» Unì le mani insieme e guardò in su con aria così speranzosa che le maniere compite del vecchio domestico si addolcirono.
Il domestico rivolse a Jamie un sorriso paterno. «Allora ne avrete una tazza, signorino. Sua Grazia aveva sempre una predilezione per il latte, quando era ragazzo.»
«È tutto, Perkins!» Il tono acuto della duchessa vedova fendette l'aria. Il volto del maggiordomo tornò a essere una maschera impassibile, e l'uomo si ritirò silenziosamente. Dorcas si rivolse a Ellen. «Se posso darvi un avvertimento, cara sorella, il bambino deve imparare come ci si comporta, nella sua posizione. I domestici se ne approfitteranno, se mostra loro troppo rispetto.»
«Sciocchezze!» interloquì Max. «Mio figlio ha ottimi modi.» Lanciò un'occhiata a Ellen, un riluttante sorriso sulle labbra. «Tutta la servitù mangerà dalla sua mano prima che finisca la settimana.»
Ellen sorrise, ma rimase in silenzio. Poteva solo sperare di avere una minima parte del successo di Jamie.
Mentre si impegnava nel rituale di bere il tè con sua cognata, Ellen considerò la situazione. Era chiaro che Dorcas era risentita per la sua presenza, ma il fatto che Max avesse difeso Jamie contro le critiche della duchessa vedova era consolante.
Quando ebbero finito con i rinfreschi, il resto del loro seguito era arrivato, ed Ellen portò Jamie nella nursery, felice di avere la scusa di lasciare l'atmosfera tesa del salotto. Il latte aveva rianimato il bambino, e lei lo lasciò a raccontare a Matlock del suo viaggio in calesse.
«... e il duca mi ha lasciato tenere le redini, Matty!»
Ellen sorrise e si chiuse la porta alle spalle, certa che almeno lui fosse felice, nella sua nuova casa. Allontanandosi dalla porta vide la governante in attesa in cima alle scale.
«Sono venuta ad accompagnarvi a visitare la casa, Vostra Grazia» annunciò la donna, sprofondando in una riverenza. Vide l'espressione sorpresa di Ellen e aggiunse: «Mi ha mandato la duchessa vedova».
Ellen sorrise. «Siete Mrs. Greenwood, vero? Vi dispiacerebbe se rimandassimo la visita a domani? Abbiamo viaggiato per giorni, e ho un grandissimo bisogno di riposare. L'unica stanza che desidero davvero vedere è la mia camera da letto.»
«Che Dio vi benedica, Vostra Grazia, certo che sì!» L'anziana donna si ammorbidì all'istante, udendo il tono amichevole di Ellen. «Vi ci condurrò subito, Vostra Grazia. È stata la duchessa vedova a dire che avrei dovuto accompagnarvi oggi.»
Ellen si fermò e mise la mano sul braccio della donna. «Mrs. Greenwood, temo che ci sarà una gran confusione, se continuerete a chiamare me e la duchessa vedova Vostra Grazia. Preferirei se mi chiamaste ma'am.»
«Oh, non potrei mai, Vostra Grazia!» si schermì la donna, palesemente sorpresa. «Non è il modo giusto di rivolgersi a una duchessa.»
«È il modo in cui vi rivolgerete a questa duchessa» ribatté Ellen con fermezza.
«Ma la duchessa vedova...»
«Potrete continuare a chiamarla come preferite» la interruppe Ellen. Poi si accorse che la governante appariva turbata e le strinse il braccio, aggiungendo gentilmente: «Mrs. Greenwood, adesso sono io la padrona, e questo è il mio volere».
«Molto bene, Vostra... ma'am.» La donna si sprofondò in una profonda riverenza. «Ma cosa dirà Sua Grazia di tutto questo, io non lo so.»
Non lo sapeva neppure Ellen, ma era decisa a mantenere il punto. «Di questo» pronunciò con calma, «mi preoccuperò io. Adesso, vogliamo proseguire?»
«Ebbene, Maximilian, ora mi dirai la verità?»
Max stava fissando la porta che si era appena chiusa dietro Ellen e Jamie, ma le parole della cognata riportarono la sua attenzione nel salotto. Guardando Dorcas, non poté evitare di paragonare le sue maniere gelide alla naturale grazia di Ellen. Forse era quella casa, pensò. Rossenhall era un luogo così freddo! Sperava non avrebbe privato la nuova duchessa della sua calda cordialità.
«La verità?» Inarcò un sopracciglio. «Hai ricevuto la mia lettera, Dorcas. Ho conosciuto e sposato Ellen in Egitto, e da allora lei ha vissuto in incognito con mio figlio.»
«Una sistemazione alquanto particolare.»
«Non direi. Mi trovavo fuori del paese, ed Ellen non voleva vivere a Rossenhall da sola.»
«Ed entrambi avete mantenuto il segreto per quattro anni? Chi crederà a una storia simile?»
«Chiunque, a meno che tu non dia motivo di dubitarne.» Max fissò gli occhi sulla cognata. «So che ti piace spettegolare, nelle tue lettere, ma in questo caso non dirai nient'altro che quanto ti ho raccontato» aggiunse in tono grave. «Ellen è mia moglie, e James il mio erede legittimo. Ogni speculazione da parte tua si rifletterà in modo negativo sull'intera famiglia.»
«Ellen Tatham non è nessuno.»
«Un nessuno molto ricco» mormorò Max.
Le labbra di Dorcas si torsero. «Non è alla nostra altezza, Maximilian. Cosa diranno i nostri amici quando apprenderanno che hai sposato la figlia di un commerciante?»
«La figlia di un ricchissimo commerciante, proprietario di navi» puntualizzò lui. «Diranno che ho avuto fortuna a catturare una preda simile. E da ciò che Tony mi ha riferito nelle sue lettere, direi che ne abbiamo bisogno.» Max si alzò. «Ricorda ciò che ti ho detto, Dorcas. Qualsiasi cosa tu pensi, in privato, mostrerai al mondo che sei contenta del mio matrimonio. Mi sono spiegato?»
Avendo ricevuto un imbronciato assenso, Max lasciò la stanza. La cognata non approvava il suo matrimonio e avrebbe potuto causare problemi, con la sua penna avvelenata e i numerosi amici in alte posizioni. Il pettegolezzo non avrebbe ferito molto lui, ma poteva turbare Ellen. Poche persone nel suo mondo avrebbero emarginato la nuova duchessa, ma non sarebbero mancati commenti sarcastici e battute crudeli.
«Non si merita altro» borbottò fra sé mentre scendeva al piano inferiore, verso l'ufficio dell'amministratore. «Se fosse rimasta a Portsmouth, come le avevo chiesto, niente di tutto questo sarebbe accaduto.»
Scuotendo il capo per liberarsi da quei fastidiosi pensieri, aprì la porta, costringendosi a un allegro saluto all'uomo seduto alla scrivania. «Salve, Tony, come andiamo?»
Anthony Grisham era amministratore a Rossenhall da soli sei mesi. Era stato nella penisola con Max, un eccellente soldato, finché una palla di cannone non lo aveva privato del braccio sinistro, rispedendolo a casa. Quando Atherwell, il vecchio amministratore, era morto, Max aveva offerto a Tony la posizione. All'inizio lui aveva nicchiato, a causa della sua disabilità, e Max gli aveva detto: «Hai la mia stessa età, Tony. A trent'anni sei troppo giovane per lasciare che il tuo cervello vada sprecato, ed è di quello e della tua abilità con i numeri che ho bisogno».
Così l'aveva convinto a trasferirsi a Rossenhall, dove Tony aveva passato del tempo familiarizzando con la tenuta e i suoi affittuari, e mettendo in ordine un ufficio che aveva visto ben pochi cambiamenti, in quarant'anni.
Tony balzò in piedi e salutò Max con evidente piacere. «Benvenuto a casa, Vostra Grazia. Non pensavo di vedervi, oggi.»
«Avevo del tempo disponibile.» Lui accennò a Tony di tornare a sedere. «Hai già venduto i cavalli da carrozza?»
«No, Vostra Grazia.»
«Hai discusso con la duchessa vedova su quali desideri tenere, per il suo barouche?»
«Gliene ho accennato, sì.»
«E...?»
Tony parve un po' a disagio. «A dire il vero, è scoppiata in lacrime.»
«Ah.» Max avvicinò una sedia alla scrivania e si accomodò. «Immagino che la sua reazione abbia rovinato i tuoi piani.»
«Infatti, Vostra Grazia. Io... ecco, ho pensato di non poter procedere finché non avessi discusso della faccenda con voi.»
Max si strinse nelle spalle. «Qualche altra settimana non ci manderà in rovina. Sono più preoccupato per ciò che puoi aver trovato, ora che hai avuto il tempo di esaminare i conti con maggior attenzione. Prima della mia partenza avevi accennato al fatto che le finanze di Rossenhall non erano molto floride.»
Tony si passò la mano tra i fitti capelli castani e lanciò un'altra occhiata al suo datore di lavoro. «Siete sicuro di non voler rimandare la faccenda a domani?»
«Dimmelo ora.»
Era passata più di un'ora quando Max emerse dall'ufficio, l'espressione accigliata. Quando incontrò Perkins nella hall, gli domandò seccamente: «La duchessa vedova è ancora in salotto?».
«No, Vostra Grazia, è andata nella sua stanza a cambiarsi per il pranzo.» L'anziano domestico emise un colpetto di tosse, segno evidente che desiderava aggiungere altro, e Max gli rivolse uno sguardo impaziente.
Il maggiordomo fissò dritto avanti a sé e spiegò, in tono rigido: «La nuova duchessa ha dato istruzioni che la servitù si rivolga a lei chiamandola ma'am, oppure padrona».
«Sul serio?»
Perkins annuì. «Vostra Grazia non ha obiezioni?»
«Perché mai dovrei obiettare?» Max strinse le palpebre. «La duchessa vedova non approva?»
«Quando l'ha saputo, Sua Grazia ha detto di riferire la faccenda a voi. È alquanto irregolare» ammise il maggiordomo, «ma, se mi permettete, non irrispettoso.»
«Se è ciò che mia moglie desidera, che sia così.» Max sorrise. «In questo modo si eviteranno inutili confusioni.»
«È esattamente ciò che la nuova duchessa ha detto a Mrs. Greenwood, Vostra Grazia.»
Max stava per allontanarsi, poi ci ripensò. Si guardò attorno. Non c'era nessun altro, nell'ingresso, ed ebbe un attimo di esitazione. Perkins era stato maggiordomo nella residenza dai tempi di suo padre, e lui sapeva che nessun domestico poteva essere più leale, così colse l'opportunità per domandare, in tono noncurante: «E cosa pensa la governante della nuova padrona?». Quando vide che il maggiordomo esitò, lo incalzò: «Andiamo, sputa il rospo, uomo!».
«Be', è presto per dirlo, certo, ma Mrs. Greenwood è convinta che sarà un'ottima duchessa. Ottima, ha detto proprio così.»
«Ti ringrazio, Perkins. Puoi andare.»
Con un inchino l'anziano domestico prese congedo e si allontanò, lasciando Max da solo. Era chiaro che Ellen aveva fatto una buona impressione sul personale, il che era un'ottima notizia. Solo il cielo sapeva che aveva cose ben più gravi di cui preoccuparsi. Il colloquio con Tony gli aveva reso evidente che la situazione finanziaria era peggiore di quanto avesse sospettato.
Il battito distante di un orologio gli ricordò l'ora. Doveva ancora cambiarsi, così si diresse alla sua stanza, salendo i gradini due alla volta.
Quando entrò nel salotto, quaranta minuti dopo, trovò Dorcas da sola, che stava pigramente sfogliando l'ultima copia del Lady's Magazine.
«La duchessa non è con te?» lo apostrofò mettendo da parte la rivista. «Mi ero assicurata che tu la scortassi, nel caso dovesse perdere la strada. Dopotutto non è abituata a vivere in un ambiente così grandioso.»
Max ignorò il suo sarcasmo. «Sono felice di trovarti da sola» replicò invece. «C'è qualcosa di cui voglio parlarti.»
«Senza dubbio si tratta di denaro.» Lei cincischiò con il tessuto della gonna, nervosa. «Hai intenzione di rimproverarmi?»
«Non sarei mai così maleducato.» Lui poggiò una mano sulla mensola del camino, abbassando lo sguardo sul focolare vuoto. «Ho esaminato i conti con Tony. Nessuna delle economie che avevo suggerito è stata messa in atto.»
«Mi hai lasciato il controllo, e io ho fatto come ritenevo opportuno.»
«Hai ostacolato Tony in ogni modo, anche se sai che sta solo tentando di eseguire i miei ordini.»
Dorcas si strinse nelle spalle. «Grisham è un soldato, come te. Che cosa ne sapete, voi, di come si conduce la tenuta di un duca? I cambiamenti che hai suggerito sono a dir poco assurdi.»
«Sono necessari, direi, se vogliamo sopravvivere.»
«Sopravvivere?» ripeté lei, sprezzante. «Che sciocchezza è mai questa? Ci sono stati Colnebrooke, a Rossenhall, dal tempo di Guglielmo il Conquistatore.» Le sue labbra si strinsero. «Tu ignori cosa sia necessario a un ducato, non sei stato educato per assumere il titolo» proseguì seccamente. «Dobbiamo mantenere la nostra posizione nella comunità. O ritieni che potremmo vivere d'aria?»
«Certo che no, ma neppure al di sopra dei nostri mezzi.» Max la fissò. «E non sono soltanto le tenute che mi preoccupano. I tuoi conti sono decisamente elevati, Dorcas.»
Lei liquidò il rimprovero con un gesto della mano. «Sciocchezze! Ho fatto solo qualche acquisto.»
Lui inarcò un sopracciglio. «Era proprio necessario recarsi a Tattersall's ad acquistare un calessino e una coppia di cavalli? Erano per tuo fratello, suppongo.»
«Giles deve avere pur qualcosa da guidare.» L'espressione di Dorcas si addolcì in un sorriso genuino. «È venuto a trovarmi, ed era così contento... Vorresti forse privare un ragazzo di qualcosa che lo rende felice?»
«Niente affatto, ma non deve essere a mie spese. Hugo ha provveduto a una generosa rendita per te, Dorcas, e io sono felice che tu viva qui, ma non intendo pagare per le stravaganze di tuo fratello.»
«Giles è tutta la mia famiglia, adesso.»
«Sì, ma non c'è motivo per cui io debba pagare i suoi debiti di gioco.»
«Non sono che poche centinaia di sterline!»
«Poche migliaia di sterline» la corresse Max.
«Giles è stato a Brighton e ha avuto un po' di sfortuna... ecco tutto.»
«Non prenderti gioco di me.» Max cominciava a essere stanco delle sue proteste. «Tony ha esaminato con attenzione i registri. I pagamenti dei debiti di Giles avvengono con allarmante regolarità.»
«Dunque credi alla parola di quel... quello storpio, e non alla mia?»
«Ha perduto il braccio combattendo per il suo paese, madam, ma ciò non ha influenzato in alcun modo il funzionamento del suo cervello!» sbottò Max. Trasse un profondo respiro, sforzandosi di riprendere il controllo di sé, poi continuò, più piano: «Ti avverto, Dorcas, ogni futura spesa per tuo fratello verrà pagata con i tuoi fondi personali. E, se vuoi il mio consiglio, direi a Giles che deve farsi una posizione per conto proprio. Non gli fa alcun bene dipendere tanto da te».
«Mio fratello deve vivere come si addice al suo rango. Nostro padre era un visconte...»
«Senza due scudi da far saltare insieme» la interruppe brutalmente Max. «Come figlio minore, Giles avrebbe dovuto intraprendere una qualche professione. Dal momento che preferisce non farlo, però, deve imparare a vivere con i propri mezzi.»
Dorcas gli lanciò un'occhiata velenosa, rabbiose macchie di colore le chiazzavano le guance. «Senza dubbio hai appreso questi sistemi meschini da tua moglie» commentò stizzosamente. «Il commercio è nel suo sangue, dopotutto. Sono sicuro che il mercante che è in lei sta esultando per aver agguantato una preda come te.» Emise una risata maligna. «Sei stato raggirato, mio caro! Ti sei mai chiesto perché si sia nascosta, per tutti questi anni, per ricomparire solo quando sei diventato duca? Ti ha permesso di trovarla!»
«Stai mentendo.» Ellen non avrebbe potuto sapere che lui era diretto ad Harrogate. Lo aveva ignorato lui stesso, fino a quando non era arrivata l'ultima lettera di Georgie. Un'occhiata al sorriso sicuro della cognata lo riscosse, inducendolo a lanciarle uno sguardo di sfida. «Se fosse come dici, perché non mi avrebbe contattato non appena ho ereditato il titolo?»
Lei distolse lo sguardo, ma replicò, con un sorriso tirato: «Apparendo così come una mercenaria? No, meglio lasciarti credere che fosse tutta opera tua, e che lei fosse riluttante a imporsi su di te».
Prima che Max avesse il tempo di replicare, alle sue spalle gli giunse una voce morbida. «Domando scusa. Sono molto in ritardo?»
Si girò, e il respiro gli si mozzò in gola quando vide Ellen esitare sulla soglia. Indossava l'abito di seta rossa che portava la prima volta che l'aveva vista ad Harrogate. Un nastro dello stesso colore era intrecciato attorno ai riccioli dorati abilmente acconciati. Nella sala da ballo era apparsa stupenda, con le guance arrossate, gli occhi lucenti di risa. In quel momento invece sembrava pallida, un po' in apprensione, ma non meno desiderabile, come il corpo di Max stava rendendo molto chiaro.
Soppresse con rabbia quei sentimenti, respingendoli nel profondo. Quello che provava adesso non era amore, ma semplice lussuria per una bellissima donna. Comunque, non era nei suoi piani mostrare il minimo segno di discordia davanti a Dorcas, così le si avvicinò per salutarla, portandosi brevemente la sua mano alle labbra. «Confido che siate riuscita a riposare» pronunciò educatamente.
«Sì, grazie. Come avete passato il vostro tempo?»
«Sono stato con il mio amministratore, Anthony Grisham.»
«Ah, sì, me ne avete parlato, mentre eravamo in viaggio. Vive nel cottage che abbiamo superato all'arrivo, vicino ai cancelli, non è così?»
Lui annuì. «Sì. Era molto spiacente di non essere qui ad accogliervi, ma lo incontrerete domani.»
«Ne sarò felice.»
Max pensò al modo in cui il vecchio Perkins aveva raddrizzato le spalle, davanti alla nuova duchessa, al sorriso che aveva illuminato il volto di Mrs. Greenwood quando aveva parlato della nuova padrona. Senza dubbio Ellen avrebbe affascinato anche Anthony, proprio come aveva fatto con il resto del personale.
Affascinerebbe anche te, se glielo permettessi.
Max mise a tacere quella voce. Chi è stato scottato una volta, si tiene alla larga dal fuoco, si ammonì. Non le avrebbe affidato di nuovo il suo cuore.
«Vi sono piaciute le vostre stanze, Vostra Grazia?» chiese Dorcas.
Max notò l'esitazione di sua moglie e si affrettò a intervenire. «Gli appartamenti del duca e della duchessa sono stati rinnovati da mio fratello» spiegò, «in un modo adeguato al suo rango.»
La sua nuova camera da letto era un capolavoro di ostentazione, a cominciare dal letto massiccio su cui pendevano pesanti cortine di damasco, ognuna delle colonne sormontata da una corona dorata. La stanza della duchessa era decorata in modo simile, senza risparmio di foglie d'oro e ricchi ricami. Max immaginava che non incontrasse il gusto di Ellen, ma non voleva rischiare che lei desse voce alla sua opinione, sarebbe parsa una critica a Hugo.
Dopo aver incontrato il suo sguardo per un significativo istante, lei ribatté con un sorriso: «Come potrei non essere deliziata dai miei appartamenti?».
A quel punto la duchessa vedova prese a spiegare come avesse ideato lei stessa le cortine. «E anche la carta da parati indiana è stata scelta da me. Il caro Hugo era deciso ad avere i migliori arredi, a Rossenhall, e non badò a spese.» La sua voce si fece debole, mentre lanciava uno sguardo nervoso in direzione di Max.
Ellen avvertì la tensione nella stanza, ma per una volta non aveva niente a che fare con lei e Max, e ne fu grata.
Dorcas si alzò e scosse le gonne. «Vogliamo andare a cena?» Si rivolse a Ellen. «Spero non pensiate sia un'ora troppo tarda. Pranzare prima è considerato del tutto provinciale, sapete. Purtroppo non conosco le vostre abitudini, ma immagino che ad Harrogate ci saranno altre regole.»
Ellen ignorò il tono sprezzante e rispose che era pronta a cenare a qualunque ora la cognata avesse trovato di suo gradimento. Il duca scortò entrambe le signore nella sala da pranzo, ma, mentre stavano entrando, Dorcas si fermò ed emise un ansito oltraggiato. «Hai ordinato tu questo, Maximilian?» scattò.
«Sono stata io, Dorcas» interloquì Ellen. «Ho parlato con Perkins e gli ho chiesto di apparecchiare per entrambe accanto al duca. Quando mangiamo da soli, trovo ridicolo che io debba sedere all'estremità del tavolo.» Si girò verso Max. «Se Vostra Grazia è di diverso parere, però, ordinerò che venga apparecchiato come prima.»
«Siete la padrona, madam, e potete ordinare ciò che volete» replicò lui.
«Grazie.»
Ellen avrebbe voluto incrociare il suo sguardo, ma l'attenzione di Max era rivolta altrove. Nondimeno, gli fu grata per il suo appoggio.
La cena fu tranquilla, la conversazione educata, ma discontinua, finché i coperti non vennero rimossi e i domestici si ritirarono, lasciando i commensali a godersi il loro vino dolce e i piccoli pasticcini.
Dorcas sospirò. «Davvero, non so cosa penseranno, i domestici, nel vederci così raggruppati. Hugo non avrebbe mai tollerato una simile informalità.»
«Ci sono sempre cambiamenti, con un nuovo padrone» le fece notare Ellen con gentilezza. «Mi auguro non ne sarete troppo sconvolta, Dorcas.»
«Oh, povera me, no!» ribatté la duchessa vedova. «Non sono preoccupata per me, cara, ma per voi. Dopotutto dovrete vivere in una dimora ducale. Un bel cambiamento.»
«Oh, sì» ammise Ellen, «ma confido che mi abituerò presto a vivere in grande stile.»
«Non così grande, se Maximilian farà come dice.» Dorcas fece una risatina beffarda. «Finiremo tutti a vivere a pane e acqua.»
«Oh?» Ellen si girò a guardarlo. «Mr. Grisham vi ha dato cattive notizie, questo pomeriggio?»
Lui annuì. «Proprio così. Non siamo ridotti in miseria, ma la tenuta non produce abbastanza reddito, ed è così da anni.»
«Mi auguro tu non stia biasimando Hugo per le difficoltà in cui ti trovi adesso» ribatté Dorcas con asprezza.
Ellen notò l'esitazione di Max, quasi che lui odiasse l'idea di criticare il fratello. «Devi ammettere che Hugo non ha fatto granché per evitare questa situazione» dichiarò lui alla fine. «Invece di migliorare i terreni e rendere più proficue le fattorie degli affittuari, si è dedicato a progetti ambiziosi e a folli speculazioni, per non parlare dei lussuosi intrattenimenti.»
Dorcas sollevò il mento. «E perché non avremmo dovuto dare ricevimenti?»
«Per nessun motivo, ma era proprio necessario far ristrutturare completamente la casa di città?»
«Ci si aspetta che il Duca di Rossenhall debba vivere bene.»
«Bene, certo, ma non oltre i propri mezzi.»
«L'eredità di Hugo era drasticamente diminuita. È stata la crisi di coscienza di tuo padre che ci ha messi in questa situazione» affermò la duchessa vedova. «Fu lui a commettere una follia, quando decise di vendere gli interessi di famiglia nelle Indie Occidentali e di liberare gli schiavi. Atherwell era contrario e Hugo cercò di dissuaderlo, ma non fu possibile smuoverlo.»
«Questo accadde dieci anni fa» le fece notare Max. «Le finanze avrebbero dovuto riprendersi, da allora.»
«E tu cosa ne sai?» ritorse Dorcas. «Sei venuto qui molto di rado.»
«Lo so» riconobbe lui, «e sto cominciando a pentirmene. Se avessi trascorso più tempo a Rossenhall e visto con i miei occhi in quali condizioni fosse, sarei stato più preparato per quel che avrei trovato.»
«Così adesso dovremmo condurre un'esistenza miserabile, con tutte le tue economie!» proruppe la vedova.
«Se non sei d'accordo su come intendo gestire i miei affari, Dorcas, allora ti suggerisco di spostarti nella casa della vedova e vivere della tua rendita.»
«Sono sicura che la situazione non è così irrecuperabile» intervenne a quel punto Ellen, decisa a pacificare gli animi. «E forse potremo incrementare le entrate con dei saggi investimenti.»
Dorcas annuì prontamente. «Max potrebbe ricomprare le proprietà nelle Indie Occidentali.»
«No» rifiutò lui con fermezza. «Non lo farò.»
«Non penserai che sia rischioso?» La cognata scelse un dolcetto dal piatto che aveva di fronte. «La schiavitù non sarà mai abolita. Come potremmo sopravvivere, senza schiavi a lavorare nelle piantagioni?»
Max abbassò il bicchiere. «Lascia che sia chiaro, con te, Dorcas. Se io fossi stato in Inghilterra, all'epoca, sarei stato d'accordo con mio padre e avrei sostenuto l'atto di liberazione. Non tollero la schiavitù. Ne ho vista troppa.»
«Si possono fare altri tipi di investimenti» interloquì di nuovo Ellen. «Esistono molte possibilità, nel nostro paese... i nuovi canali, per esempio. O il carbone e l'acciaio. O forse le nuove manifatture che stanno sorgendo al nord. E i ricavi possono essere usati per migliorare le tenute e renderle redditizie.»
Dorcas emise un piccolo grugnito di derisione. «Oh, certo... Una soluzione che puzza tanto di commercio.»
Ellen agitò una mano. «È tutto commercio, che si importi zucchero o tè dalle Indie, o si producano merci qui.» Si girò verso Max. «Mio padre era solito dire che un uomo saggio dovrebbe espandere i propri investimenti per proteggersi dalle eventuali calamità in uno dei suoi mercati. Posso mettervi in contatto con i suoi vecchi amici in città, che vi darebbero dei consigli. Sono sicura che non l'abbiano dimenticato.»
«Senza dubbio.» Dorcas sogghignò. «Soprattutto adesso che il suo nome è collegato a quello del Duca di Rossenhall! Davvero, Max, non è un'idea da prendere in considerazione. Saremmo assediati da leccapiedi.»
Ellen avvertì la collera crescere in lei, ma si impose di trattenerla. «Alcuni di quei leccapiedi potrebbero comprare l'intera tenuta di Rossenhall due volte» rimarcò quindi in tono pacato.
Max scoppiò a ridere. «Proprio così.» Poi si rivolse a Ellen. «Vale la pena di provarci. Non farà alcun danno parlare con i contatti di vostro padre.»
«Maximilian!» Il tono di Dorcas era tagliente. «Sono sempre stati Cartwright e Busby a gestire gli affari di famiglia.»
«E non fanno niente per noi da anni» ritorse lui. «Bene, esamineremo la questione. Forse potremmo vendere una o due delle proprietà minori, per trovare i fondi.»
«Potrebbe non essere necessario» affermò Ellen. «Possiedo dei capitali che non sono investiti.»
La vedova sobbalzò. «Vorrei ricordarvi, duchessa, che tutto ciò che possedete ora appartiene a vostro marito. Non ha bisogno del vostro consenso, per usarlo come più gli aggrada.»
«Sì, grazie, Dorcas.»
Ellen vacillò alle parole di Dorcas e quasi non udì l'impaziente risposta di Max.
Si era fidata di lui, quando si erano sposati. Mrs. Ackroyd le aveva consigliato che sarebbe stato opportuno far stilare un accordo, ma lei era stata troppo impaziente, troppo innamorata di Max per considerare la necessità di un documento simile. In un momento di sconsideratezza, all'età di ventidue anni, aveva ceduto la propria vita e la propria fortuna a un marito.
Guardò suo marito. Lui stava fissando la cognata, accigliato. Dorcas aveva detto la verità. Ellen non aveva dubbi di poter gestire la casa di un duca, guidare il suo personale e anche affrontare da sola l'ostilità della duchessa vedova, ma il pensiero che tutto, compreso il suo adorato bambino, potesse esserle sottratto per il capriccio dell'uomo che sedeva a capotavola le fece scorrere un brivido gelido lungo la schiena.
Spinse indietro la sedia, determinata ad accantonare quel corso di pensieri. «Credo che dovremmo lasciare il duca al suo brandy» pronunciò quindi con calma.
Dorcas la seguì nel salotto. Dapprima parve propensa a rimediare al suo malumore precedente, coinvolgendo Ellen in una conversazione, ma fu subito chiaro che la sua unica intenzione era di suggerire nel modo più sottile che riteneva la nuova duchessa del tutto inadatta al suo ruolo. Dopo aver ascoltato in silenzio le sue critiche per dieci minuti buoni, Ellen ne ebbe abbastanza e, quando l'altra fece una pausa per prendere fiato, intervenne, in tono pacato, ma senza lasciare alcun dubbio sul proprio scontento.
«Permettete che sia chiara, con voi, Dorcas» esordì. «So che non mi volete qui, che mi giudicate niente di più che la figlia di un mercante.» Gli occhi della vedova si spalancarono, facendola apparire improvvisamente allarmata, ed Ellen proseguì. «Sono ben consapevole che reputate che la mia estrazione sociale sia troppo bassa per questa posizione elevata, ma sono la moglie legittima del duca e adempirò al mio ruolo al meglio delle mie possibilità. Max non mi ha sposato per i miei soldi, ma non è insolito per un nobile scegliere una moglie ricca, quale che sia la sua nascita. Infatti, almeno mezza dozzina delle mie compagne di scuola ha sposato dei titolati, e alcune di loro erano di estrazione anche più dubbia della mia. Così non temo che il ton mi respinga, la prossima primavera, quando mi recherò a Londra.»
Dorcas appariva davvero furiosa, ed Ellen decise di aver detto abbastanza, per una sera. Si alzò e annunciò che si sarebbe ritirata. «Confido che abbiamo ripulito un po' l'aria e che domani potremo cominciare daccapo.»
«Andate via adesso?» La vedova era a dir poco allibita. «Prima che il duca ci abbia raggiunto?»
«È stata una lunga giornata, e sono esausta» replicò Ellen. «Voglio dare un'occhiata a mio figlio e assicurarmi che stia dormendo, poi mi ritirerò.»
«Non potete andarvene senza informare Maximilian» insistette l'altra. «E se volesse parlare con voi?»
«Oh, sono certa che sarete in grado di dirgli dove mi trovo.» Ellen esaminò la cognata con uno sguardo fermo. «Come avete tenuto tanto a puntualizzare, questa è la casa del duca. Se ha bisogno di me, saprà dove trovarmi.» E con quelle parole uscì in fretta dalla stanza.