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High Harrogate era in gran fermento. Ci si aspettava che quella sera un importante visitatore degnasse della sua presenza il ballo al Granby Hotel.
Le voci non erano state confermate, ma il visitatore era un vecchio amico di un frequentatore abituale, così tutti nutrivano grandi speranze. Ad accrescere l'eccitazione, poi si era diffusa la notizia che la vedova dorata era tornata da Londra.
Alcuni si chiedevano perché una giovane vedova, ricca e attraente come Mrs. Ellen Furnell, non avesse scelto come propria dimora la capitale, dove sarebbe stata senza dubbio una delle dame più riverite dell'alta società.
Al momento, la signora in questione era seduta alla scrivania nella sua casa di Paradise Row, a esaminare la corrispondenza che si era accumulata durante la sua assenza.
Ellen era tornata solo il giorno prima dal suo annuale soggiorno a Londra. Per essere precisi, aveva affittato una casa appena fuori delle capitale, a Kensington, dove risiedeva in gran tranquillità, senza inviti né visitatori. Da lì poteva andare a piedi in città, se voleva, o ai teatri e ai musei. Ed era conveniente per le visite alle sarte alla moda, necessarie per rifornire il proprio guardaroba.
Ellen rimandò i conti e i messaggi dei commercianti a un altro giorno e, dopo una breve esitazione, aggiunse alla pila anche la lettera di Lady Phyllida Arrandale. Era sinceramente affezionata alla sua matrigna, le cui lettere però emanavano sempre un'aria di calma felicità domestica. E quella mattina non voleva leggere di cose simili, perché avrebbero esacerbato il vago senso di insoddisfazione che era cresciuto in lei, negli ultimi mesi. Allontanò quei pensieri, rifiutandosi di indulgere nell'autocommiserazione. Si era scelta la propria vita e non rimpiangeva niente che avesse fatto, dal giorno in cui era scesa dalla nave a Portsmouth, quattro anni prima. Era molto felice di vivere a High Harrogate. Lo era.
Iniziò a esaminare quel che restava delle carte che aveva di fronte. C'era un invito a un ricevimento nel Leicestershire per l'estate e numerosi inviti per tè, colazioni, balli e ricevimenti serali. Ellen decise di accantonare il Leicestershire, ma avrebbe probabilmente partecipato al resto, incluso il ballo di quella sera al Granby Hotel. Dopotutto era quello che faceva, ad Harrogate: prendere parte a conferenze e dibattiti, sostenere cause caritatevoli e andare a ricevimenti.
Da donna ricca e indipendente, sarebbe sempre stata la benvenuta, e i suoi molti ammiratori dichiaravano che era un autentico gioiello, l'ornamento più brillante della società locale. Ellen rideva, quando le rivolgevano complimenti esagerati, ammiravano il suo spirito pronto o andavano in estasi per la sua bionda avvenenza e i brillanti occhi azzurri, ma del resto sarebbe stata falsa modestia da parte sua negare la propria bellezza, quando era il suo specchio a confermargliela.
«E dovresti esserne grata» mormorò riunendo gli inviti in una pila ordinata. «Il tuo volto grazioso ti ha sempre reso la vita più facile.»
Eccetto una volta.
Avvertì un'improvvisa stretta al cuore e un nodo alla gola, e si ritrovò a respingere le lacrime. Forse sarebbe dovuta restare a casa, dichiarando di essere affaticata dal viaggio.
Ma chi ci crederebbe?, ragionò con se stessa. Dal suo arrivo ad Harrogate, quattro anni prima, aveva lavorato sulla propria immagine, diventando una parte importante di ogni evento sociale, mantenendo comunque una reputazione immacolata. «Così adesso tutti sanno che Mrs. Ellen Furnell è infaticabile» pronunciò ad alta voce.
Perché hai paura di fermarti a ricordare.
Si alzò e salì nella nursery. Era lì che si trovava il suo cuore, non in qualche ricordo lontano. Raggiunse l'ultimo piano ed entrò silenziosamente nella stanza, dove una donna dai capelli grigi sedeva sul pavimento ad aiutare un bambino molto piccolo a costruire un castello con dei blocchi di legno. I blocchi volarono in aria quando il bambino balzò in piedi e corse verso Ellen con tutta la velocità consentita dalle sue gambette. «Mamma!»
«Jamie!» Lei si abbassò e aprì le braccia.
Con un gridolino di gioia il bambino si rifugiò nel suo abbraccio. La balia si mise lentamente in piedi, schioccando la lingua. «Non dovreste incoraggiarlo, ma'am. È già abbastanza selvaggio così com'è.»
Ellen prese in braccio il bambino e lo portò attraverso la stanza. «Sciocchezze, Matty, ha solo tre anni, è ancora piccolo. Non è così, cucciolo mio?»
«Già, e ai miei tempi non avrebbe ancora indossato i pantaloni.»
«E probabilmente tu gli avresti lasciato crescere i capelli.» Ellen rise, arruffando i corti riccioli anche più biondi dei suoi. «Ebbene, cosa stai facendo, Jamie? Costruendo una casa? Forse la tua mamma può aiutarti.»
Giocare con il figlio l'aiutò a risollevare lo spirito ed Ellen restò nella nursery finché non fu tempo di cambiarsi d'abito per il ballo. Non aveva timori, nel lasciare Jamie: Matlock era stata la sua balia, e più tardi la sua cameriera. Matty amava il bambino quanto lei.
Dopo una cena solitaria Ellen tornò nella nursery. A quel punto il piccolo James era nel suo letto, profondamente addormentato, così depose un bacio gentile sulla sua testa dorata. «Sembra un angelo» mormorò, guardandolo con amore. «Potrei rimanere qui a guardarlo per sempre.»
«E a chi servirebbe, ma'am?» chiese Matlock, mentre si dava da fare per la stanza. «Andate a divertirvi, James starà benissimo qui con Hannah e me.»
Ellen sospirò. «Ah, Matty, pensi davvero che mi diverta, a questi ricevimenti?»
«Be', dite pure di no, ma'am, ma non c'è dubbio che avete bisogno di frequentare delle persone e avere qualche conversazione ragionevole, come non potete fare con un bambino di tre anni.»
«Conversazione ragionevole!» Ellen scoppiò a ridere. «Ce n'è ben poca in società, Matty, te lo assicuro. Comunque hai ragione, non servirebbe a nessuno se diventassi una reclusa.»
Con un sorriso e un saluto scese quindi al piano di sotto, verso la carrozza in attesa.
«Vostra Grazia? Duca?»
Sussultando, Max si girò verso la sua ospite, affrettandosi a chiedere scusa. Era il Duca di Rossenhall da più di un anno, ormai, ma ancora non si era abituato al titolo. La dama liquidò le scuse, per nulla offesa dalla sua disattenzione. Era come se a un duca l'educazione non fosse necessaria.
«Stavo solo dicendo che è ora che andiamo al Granby, Vostra Grazia.»
«Dobbiamo, Georgiana?» Max fece una smorfia, subito seguita da un sorriso per indicare che non intendeva offenderla. «Io starei volentieri qui a godermi una tranquilla serata insieme a voi e a Fred.»
«Be', non è possibile» intervenne Frederick Arncliffe in tono brusco. «Georgie ha promesso che ti avrebbe portato al ballo, stasera.»
Max gli indirizzò un'occhiata di sofferto rimprovero. «E io che pensavo foste miei amici! Sto cominciando a rimpiangere di aver deciso di venirvi a trovare.»
«Sai che Georgie e io faremmo qualunque cosa per te, vecchio mio, ma la tua presenza qui non è un segreto. Dannazione, Max, risiedi perfino al Granby!»
«Ho avuto poca scelta, con così poco tempo a disposizione» ritorse Max. «Se i miei affari a York non si fossero conclusi tanto in fretta, non sarei potuto neppure venire.»
Il che, come loro sapevano, non era vero. Georgiana gli aveva scritto, spiegando che la salute di Fred stava rapidamente declinando, e Max aveva sempre avuto intenzione di abbreviare il viaggio a York per andare a trovare l'amico. Non che l'avrebbe mai ammesso, con Fred, naturalmente, così finse di accigliarsi e aggiunse: «Non mi sarei nemmeno avvicinato ad Harrogate, se avessi saputo che avevate in mente di esibirmi in questo modo assurdo».
Fred sogghignò. «A cosa serve conoscere un duca, se non si può approfittarne?»
«E tutti sanno che siete qui per far visita a Frederick, così naturalmente si aspetteranno che partecipiate al ballo con noi» rincarò Georgie. «Pensate a quale onore conferirete all'albergo.»
«Già» commentò Max amaramente.
Frederick rise. «So che non sei molto portato per il ballo e i divertimenti, amico mio, ma sembrerebbe molto strano se ti rinchiudessi nelle tue stanze mentre Georgie e io siamo nell'edificio.» Assunse un'aria più seria, nel notare l'espressione di Max. «Pensi che, solo perché sto morendo, dovrei passare i mesi che mi restano rinchiuso da qualche parte?»
«No, certo che no» si affrettò a negare Max. «Ti domando scusa, Fred. Sono odiosamente egoista, ma dopo aver ricevuto la lettera di Georgie mi aspettavo di trovarti in punto di morte.»
«Ed è così» ribatté l'amico con brutale franchezza. «Non posso più affaticarmi sulla pista da ballo, ma mi piace sedere e guardare mia moglie che si diverte.»
Max lo fissò in silenzio. Frederick Arncliffe era ormai diventato l'ombra del forte soldato che aveva conosciuto, tuttavia, sebbene i dottori gli avessero dato solo pochi mesi di vita, il suo entusiasmo per la vita era rimasto inalterato, e lui sapeva che ogni accenno di compassione l'avrebbe offeso, così si guardò bene dal contraddirlo. «Perciò dovrò essere messo in mostra per le sale» osservò mentre si avviavano verso la carrozza. «Come una creatura esotica in uno zoo.»
«Proprio così.» Fred ridacchiò. «Sarai corteggiato e adulato come se fossi Prinny in persona.»
Max gli lanciò un'occhiataccia. «Sto cominciando ad abituarmici.»
Era davvero così? Come figlio minore non si sarebbe mai aspettato di ottenere il titolo. Suo padre gli aveva comprato un brevetto nell'esercito e lo aveva convinto che la sua presenza a Rossenhall non era necessaria. Anche quando il vecchio duca era morto, suo fratello lo aveva informato che non serviva che tornasse a casa. Ciò aveva ferito Max, ma Hugo aveva da poco preso moglie, e lui capiva che volesse del tempo da passare insieme da solo con lei. Tutti si erano aspettati che arrivasse un erede, ma dopo cinque anni non c'era stato nessun bambino e la morte precoce di Hugo, solo un anno prima, era stata una tragedia. Per sei mesi Max si era rifiutato di accettare di essere diventato il Duca di Rossenhall e aveva continuato con i suoi doveri militari, convinto che le tenute potessero procedere anche senza di lui. Nella sua decisione era stato appoggiato da Atherwell, il suo capo amministratore, quindi aveva lasciato gli affari a lui e alla duchessa vedova, sua cognata.
Il nuovo Duca di Rossenhall era felice che il mondo lo ignorasse.
Purtroppo per lui, però, il mondo la pensava diversamente. Era stato convinto che restare nell'esercito lo avrebbe protetto dalle trame dei genitori con figlie da sposare, ma presto si era dovuto rendere conto del suo errore. Ovunque andasse era corteggiato, festeggiato e perseguitato come lo scapolo più appetibile. Perfino il suo migliore amico non disdegnava di progettare matrimoni per lui. Fred gli aveva scritto accennando che la sua sorellina sarebbe stata una splendida duchessa. Poiché Clare Arncliffe aveva appena sedici anni, cioè dieci meno di lui, Max aveva ignorato il suggerimento, ma le lettere successive suggerivano che Fred avesse preso il suo silenzio per un assenso.
Max aveva sempre avuto intenzione di scrivergli che una simile unione era fuori questione, ma non l'aveva mai fatto, decidendo che si trattasse di una questione da risolvere a quattr'occhi con il suo amico. La recente lettera di Georgie, che lo informava che i medici avevano dato a Fred soltanto pochi mesi di vita, aveva reso la faccenda irrilevante. Max era arrivato ad Harrogate, deciso a passare il poco tempo rimasto con il suo amico e, se ciò avesse significato accompagnarlo a quel ballo, be', lo avrebbe fatto.
Ormai rassegnato all'inevitabile, salì sulla carrozza con i suoi amici per il breve viaggio dalla loro casa in affitto a Low Harrogate su per la collina, verso il Granby.
Al loro arrivo i dintorni dell'albergo erano già soffocati dalle vetture, e Fred borbottò, cupo: «Che diavolo, Georgie, devi aver detto al mondo intero che stasera il Duca di Rossenhall sarebbe stato presente!».
«Sciocchezze» replicò lei con leggerezza. «L'ho detto solo a Lady Bilbrough.»
«Il che significa che tutta Harrogate l'ha saputo nel giro di un'ora» ritorse il suo affezionato sposo. «Oh, be', suppongo che faremmo meglio a entrare. Non preoccuparti, Max, puoi sempre dire che stasera non ballerai e restare seduto al mio fianco.»
«Oh, no, non può fare una cosa simile!» protestò Georgie mentre si preparava a scendere. «Max è il miglior ballerino che conosca, e intendo averlo come mio cavaliere almeno per la prima danza!»
Il Granby Hotel poteva essere a più di duecento miglia da Londra, ma il ballo non era diverso da altri cui Max aveva partecipato. Troppa gente, che parlava a voce troppo alta, accalcata in una sala afosa. Non era nella sua natura essere brusco o maleducato, così sorrise mentre veniva presentato a un'infinità di persone, scambiando piacevolezze con matrone entusiaste ed evitando leccapiedi adoranti. Dopo aver guidato Georgie nelle prime due danze, si fece avanti a invitare un certo numero di debuttanti intimidite. Durante un'interruzione andò in cerca dei suoi amici, chiedendosi quando avrebbero potuto abbandonare il ballo senza arrecare offesa.
Fu in quel momento che la udì, attraverso la sala. Una risata, allegra e gioiosa, chiara come un tintinnio di campane. Il suono familiare bloccò i suoi passi e gli trapassò il cuore come una spada.
Al suo arrivo al Granby, Ellen fu sorpresa di vedere quante carrozze fossero in attesa sul viale e ancora più sorpresa davanti alla massa di ospiti che affollava la sala da ballo. Quando il suo nome fu annunciato sulla porta, Lady Bilbrough arrivò in fretta a salutarla.
«Mia cara Mrs. Furnell, sono così felice che siate potuta venire, stasera. E un nuovo abito, anche! Lasciate che vi guardi... Adoro quella seta rossa con la sottogonna di raso bianco che fa capolino sotto. Proprio bella, e vi sta alla perfezione. Una delle vostre nuove creazioni da Londra, se non sbaglio. Come siete stata nella capitale, spero vi siate divertita?»
«La città era molto calda, ma'am. Sono davvero felice di essere tornata» replicò Ellen, spostandosi dalla porta mentre un'altra ondata di ospiti arrivava. Guardò attraverso la sala. «A quanto pare, Harrogate è uscita in forze, questa sera.»
«Proprio così» convenne la dama, mentre per tutto il tempo i suoi occhi continuavano a dardeggiare attorno, come in cerca di qualcuno. «Scommetto che i padroni del Crown and Dragon si staranno prendendo a calci per non aver ricevuto un tale onore.»
«Un tale onore, ma'am?» Ellen emise una risata sconcertata. Di certo la dama non poteva alludere al suo ritorno da Londra.
Lady Bilbrough allungò la mano a toccarle il braccio, bisbigliando, la voce tremante per l'eccitazione: «Oh, lo è senza dubbio, Mrs. Furnell. Aspettate soltanto di sentire la novità!».
Prima che potesse continuare, però, vennero raggiunte dal generale Dingwall. L'anziano gentiluomo sembrava in preda all'agitazione. «Mia cara Mrs. Furnell, che piacere avervi di nuovo con noi!» esclamò. «Vi stavo proprio cercando. Mi avevate promesso un ballo, ricordate, quando ci fossimo incontrati di nuovo, e stanno già suonando, ma'am, perciò affrettiamoci. Sapete che sono riluttante a danzare con chiunque altra, mia cara signora, perché giuro che nessuna ha dei piedi così leggeri.»
Ellen non ebbe tempo che per un sorriso di scuse verso Lady Bilbrough, prima che il suo cavaliere la trascinasse via. A ogni ballo cui partecipava, non le mancavano mai i cavalieri, e lo stesso accadde quella sera. Non appena una danza terminava, veniva requisita per quella successiva. Era gratificante, ma quando la musica fece una breve pausa consentendole di tirare il fiato e di parlare con i suoi amici, ne fu felice.
Venne attirata in un gruppo di persone allegre e ridenti in un lato della sala, e stava fornendo loro un vivace resoconto del suo soggiorno londinese, quando si rese conto che i suoi compagni non le prestavano attenzione. Gli uomini si stavano sistemando i fazzoletti da collo mentre le signore sorridevano e arrossivano nel guardare qualcuno dietro di lei.
Ellen si girò e si ritrovò a faccia a faccia con l'uomo che aveva tentato con tanta forza di dimenticare.
Intorno a lei la sala iniziò a ruotare. A grande distanza poteva sentire Lady Bilbrough fare le presentazioni. Così era diventato il Duca di Rossenhall. Non le aveva mentito su tutto, allora. Solo riguardo al matrimonio. Solo riguardo all'amore che provava per lei, ma... perché era venuto a cercarla?
Mentre sprofondava in una riverenza Ellen si chiese se sarebbe riuscita a rialzarsi, perché le ginocchia sembravano troppo deboli per sorreggerla. «Vostra Grazia.» Con uno sforzo supremo di volontà mantenne la voce ferma e si sollevò graziosamente. Quando riuscì a guardare il duca restò momentaneamente confusa, perché le candele scintillavano sui suoi capelli biondi, lucenti come oro fuso. Come un'aureola, benché lei sapesse, a suo discapito, che quell'uomo di certo non era un santo.
Ellen costrinse il volto a un sorriso. I suoi occhi, verdi come quelli di un gatto, ma gelidi come ghiaccio, penetrarono nella sua anima. Il volto attraente era dolorosamente familiare e tuttavia duro e indifferente, così diverso da come lei lo ricordava. Pareva che quell'incontro gli riuscisse sgradevole, proprio come a lei, in quel momento Ellen capì che non lo aveva premeditato. Non era venuto a cercare lei.
Le mani di Ellen erano così strette attorno al ventaglio che sentì una stecca spezzarsi sotto la sua presa.
«Mrs. Furnell.»
Nessun altro notò la ferrea minaccia contenuta nelle parole morbidamente pronunciate. Del resto nessuno, lì dentro, conosceva il duca bene quanto lei. «Se non siete impegnata, madam, forse vorreste farmi l'onore di concedermi il prossimo ballo?»
No. Ne sarebbe uscita distrutta. «Purtroppo, Vostra Grazia» mentì, simulando rimpianto, «l'ho promesso a Mr. Leeming.» Si girò a sorridere al gentiluomo, il quale tossicchiò, si inchinò e assicurò Sua Grazia di essere felice di cedergli il piacere di danzare con Mrs. Furnell. Il suo sacrificio venne ricompensato da un altezzoso capo da parte del duca.
«Di norma non mi sognerei di sottrarre la dama a un altro uomo» affermò Sua Grazia con sorridente civiltà, «ma in questo caso confesso che la tentazione è troppo forte per resistere. Mr. Leeming, vero? Ho un debito con voi, signore.»
In sottofondo, l'orchestra attaccò le prime note della danza, e il duca le offrì il braccio. «Madam?»
Il tempo si fermò. Ellen aveva l'impressione di aver messo radici, e di non essere in grado di muoversi. Era consapevole di tutti gli sguardi interessati, della faccia sorridente di Lady Bilbrough, che stava annuendo incoraggiante, ma più di ogni cosa era consapevole dell'uomo di fronte a lei, biondo, alto e dalle spalle larghe, la schiena diritta. Solido come una roccia e pericoloso come il peccato. Gli occhi di Ellen scivolarono sulla manica scura. Avrebbe preferito infilare la mano nelle fauci di un coccodrillo, ma era in trappola. Girargli la schiena avrebbe suscitato chiacchiere e speculazioni. La rovina. Lentamente, e con infinita cura, posò le dita sul suo braccio.
Sotto la stoffa pregiata era teso, duro come l'acciaio e, quando l'ebbe condotta sulla pista da ballo, Ellen poté sentire la collera che emanava da lui. Era come un'ondata fisica che tentava di travolgere il suo equilibrio. Sollevò il mento. Perché avrebbe dovuto essere in collera, quando era stata lei a essere ingannata?
Eseguirono dei passi nella serie, fronteggiandosi più come avversari che come compagni di danza.
«È passato molto tempo» pronunciò lui. «Quattro anni.»
Lei sorrise educatamente. Durante quegli anni si era esercitata a nascondere i suoi veri sentimenti, e ora quell'addestramento le venne in aiuto. «Davvero così tanti? Avevo dimenticato.»
Bugiarda! Aveva contato ogni singolo giorno, da quando si erano separati, ma non aveva pianto sul passato. O comunque, soltanto nel sonno, ma non si potevano evitare i sogni.
Si mossero avanti e indietro, seguendo il ritmo della musica. Eseguirono circoli, cambiarono compagno e tornarono insieme. Le parole che lui pronunciò poi, più simili a un feroce sussurro, le fecero mancare il passo. «Pensavo foste in Francia.»
Ellen si corresse in fretta e sibilò, mentre facevano un giro: «Quella era l'intenzione».
«Però siete venuta qui.»
«Dovevo pur vivere da qualche parte.»
«Ma non con me.»
Lei continuò a sorridere, ma una lama affilata tagliò in profondità nel suo cuore. «No, mai con voi.»
Si separarono, e solo la sua confidenza con la danza consentì a Ellen di continuare a muoversi. Soltanto l'orgoglio e la forza di volontà le permisero di continuare a sorridere, mentre la sua mente tornava indietro a quei giorni esaltanti nel deserto egiziano.
Il calore soffocante della sala da ballo scomparve, rimpiazzato dal caldo secco e dalla sabbia abrasiva portata dal Simun, il vento che poteva colpire con ferocia e senza preavviso. Le chiacchiere degli ospiti divennero le grida minacciose dei mamelucchi, carichi di armi e chiaramente ostili, mentre caricavano a testa bassa sui loro cavalli e circondavano la carovana di cammelli.
Ellen udì di nuovo l'impaziente schiocco della lingua di Mrs. Ackroyd. La piccola inglese era stata l'insegnante di Ellen ed era diventata la sua amica e mentore, e il suo spirito indomabile non era stato intimorito in alcun modo da una tribù minacciosa di cavalieri del deserto. O forse era l'essere appollaiata ben in alto sul dorso di un cammello che stimolava il suo senso di superiorità.
«Per l'amor di Dio» aveva detto ammonendo la loro tremante guida, «spiegate loro che sono amica personale di Bernardino Drovetti, il console generale francese. Dite loro che ha predisposto per noi un salvacondotto con il governatore d'Egitto.» Aveva estratto un foglio, agitandolo in direzione del cavaliere più vicino. «Guardate, abbiamo il permesso di visitare le antichità di Giza, e il nostro permesso è firmato da Muhammed Ali in persona!»
Al nome dell'attuale governante dell'Egitto i cavalieri avevano borbottato e ringhiato, apparendo ancor più minacciosi. Uno, più alto e robusto degli altri, si era fatto strada nel mucchio e si era avvicinato. Indossava ampi pantaloni bianchi, un panciotto azzurro sopra la rigonfia camicia bianca e un turbante con una striscia di stoffa sopra la faccia per proteggerla dal vento sabbioso, ma Ellen aveva notato che la sua pelle era più chiara di quella dei compagni e che c'era una luce stranamente attraente nei suoi occhi verde smeraldo.
«Forse posso essere di aiuto?» La sua voce era suonata profonda e ben modulata.
Lei ricordò di non aver provato sorpresa a sentire l'aristocratico accento inglese, in quella terra straniera.
«Senza dubbio avete pagato un bel po' per quel permesso, ma temo che la protezione del Pasha sia inutile. Fuori delle mura del Cairo il suo potere è limitato.» Gli occhi verdi si erano ridotti a due scintillanti fessure, come se stesse ridendo di loro. «Vedrò cosa posso fare.»
Il ricordo di quello sguardo ironico aveva perseguitato i sogni di Ellen per quattro anni. In quel momento, mentre la danza li riportava insieme, non vedeva traccia di divertimento nei suoi occhi, ma solo una furia gelida che le gelava il sangue.
Se soltanto avesse saputo che sarebbe stato lì, se soltanto avesse chiesto chi era in città, prima di avventurarsi in quella serata... ma si era ritenuta al sicuro, ad Harrogate. Il duca non aveva proprietà e nessuna parentela, così a nord. La mente di Ellen, di solito tanto acuta e limpida, si rifiutava di lavorare. Non riusciva a pensare a cosa fare, salvo continuare a danzare e sorridere.
Quando la musica finì, ignorò la mano del duca mentre lasciavano la pista da ballo. «Vi prego di non sentirvi obbligato ad accompagnarmi, Vostra Grazia» lo apostrofò in tono gelido. «Se pensate che sia onorata dalle vostre attenzioni, siete in errore.»
«Voglio parlarvi.»
«Non abbiamo niente da dirci.»
Lui le mise una mano sul braccio, costringendola a fermarsi e a guardarlo. C'era una collera appena trattenuta in ogni tratto dei suoi lineamenti, tuttavia, prima che potesse parlare, vennero interrotti dal generale Dingwall.
«Bene, adesso avete avuto il vostro ballo ed è venuto il momento di abbandonare la vostra bella dama!» Il vecchio soldato emise una sonora risatina. «Oh, sì, potete guardarmi male, giovanotto, ma quando raggiungerete la mia età scoprirete che un titolo non fa poi così paura. Inoltre, so che siete un militare, milord. Un maggiore. Ebbene, io ho un grado superiore.»
Per un momento Ellen temette che il duca ignorasse il generale Dingwall e la trascinasse via con sé, ma alla fine lui allentò la sua presa d'acciaio. Trattenne il suo sguardo con occhi pieni di gelida ferocia, ma la voce, quando parlò, era perfettamente educata. «La vostra strategia superiore vince la battaglia, generale» ammise. «Abbandono la mia preda. Per il momento...»
Max si inchinò, ma l'occhiata che le lanciò mentre si allontanava rivelò a Ellen che si trattava di una ritirata temporanea.
L'anziano ammiratore la condusse di nuovo sulla pista da ballo per un'animata gavotta, e alla fine fu avvicinata da parecchi altri gentiluomini, tutti speranzosi in una danza, ma Ellen annunciò l'intenzione di sedere per il resto della serata. Non poteva vedere Max, ma sapeva che lui era da qualche parte, in quella sala affollata, e la stava osservando. Poteva sentire la sua presenza, minacciosa e pericolosa.
Quando venne annunciata la cena, Ellen decise che la salvezza era nel numero, quindi si diresse verso un grande tavolo che correva al centro della stanza. Con sollievo vide una sedia vuota accanto a Georgie Arncliffe e vi si affrettò.
Gli Arncliffe erano arrivati ad Harrogate due anni prima, quando i dottori di Frederick gli avevano consigliato di provare le acque termali, ed Ellen e Georgie avevano legato subito. Il fatto che avessero entrambe bambini piccoli le aveva unite, ma era stata l'armonia delle loro menti vivaci a trasformare la conoscenza in una salda amicizia. In quel momento, il sorriso di benvenuto di Georgie fu un balsamo sulle sue emozioni esacerbate. «Non sapevo che fossi a Harrogate, Ellen. Bentornata, mia cara.»
«Grazie.» Ellen prese la mano tesa e la strinse con gratitudine mentre affondava nella sedia. «Sono così contenta di vedere te e Frederick qui, stasera.»
«Come se non conoscessi nessuno, qui dentro.» Georgie rise. «Avevo sperato di impressionarti, presentandoti il buon amico di Frederick, ma purtroppo Lady Bilbrough mi ha rubato la scena.»
Georgie si girò a sorridere attraverso il tavolo e il cuore di Ellen sprofondò nel vedere il Duca di Rossenhall abbassarsi su una sedia vacante sul lato opposto. Lo sguardo che le rivolse poteva solo definirsi predatorio. «Dunque ci incontriamo di nuovo, Mrs. Furnell» l'apostrofò.
Frederick Arncliffe sollevò lo sguardo. «Vi conoscete?»
Ellen tenne gli occhi su Max, chiedendosi se avrebbe raccontato loro la verità. Che si erano incontrati in Egitto quattro anni prima, quando lui e i suoi uomini, un misto di disertori inglesi e guerrieri mamelucchi, avevano incrociato due donne inglesi con un misero nugolo di guardie e avevano offerto loro protezione.
Fu Georgie a rispondere. «Ma certo, amor mio! Sua Grazia ha richiesto una presentazione a Lady Bilbrough.»
«Quale uomo non lo farebbe?» mormorò Max con un sorriso che non raggiunse gli occhi.
«Davvero, Mrs. Furnell è uno dei più bei diamanti della nostra società» intervenne Mr. Rudby, che sedeva nelle vicinanze.
«Sembra di sì, a quanto mi è stato detto» replicò Max. «Tutti hanno parole entusiastiche, per la vedova dorata.»
Le guance di Ellen andarono a fuoco. Lo faceva suonare come un insulto, sebbene nessun altro sembrasse averlo notato. Georgie emise un piccolo schiocco di disapprovazione, ma Frederick si limitò a ridere e scosse la testa. «Su, mia cara, Mrs. Furnell non si è offesa. Sa che è un complimento alla sua radiosa bellezza.»
«Sì» ammise il duca piano. «Non sono stato capace di pensare ad altro per tutta la serata.»
«Davvero?» Ellen inarcò un sopracciglio, poi si girò verso Frederick e pronunciò, gelida: «Temo che il vostro amico sia un rubacuori, Mr. Arncliffe».
A pochi posti di distanza dal duca, il generale Dingwall emise una risata simile a un latrato. «Come potrebbe non esserlo? Un attraente cucciolo, con un titolo e una fortuna... non c'è da stupirsi che tutte le signore siano sui carboni ardenti per lui.»
«Non sono stato sempre titolato, o ricco» obiettò Max. «Pochi anni fa ero soltanto il maggiore Colnebrooke, a capo di un reggimento di fanteria.» Si appoggiò all'indietro, le lunghe dita snelle che giocavano con lo stelo del bicchiere da vino. «Allora le signore erano più inclini a fuggire via da me.»
Quel commento suscitò un trambusto: risate dai gentiluomini e dichiarazioni di diniego da parte delle signore. Solo il duca ed Ellen sembravano imperturbabili.
Lei sentiva i suoi occhi su di sé, mentre cercava di concentrarsi sulla cena, tagliando la carne in piccole porzioni precise. Ogni boccone sapeva di cenere, ma l'orgoglio la costrinse a continuare. Come osava rimproverarla? Cosa si era aspettato che facesse, una volta che il suo inganno era stato scoperto? Aveva cercato di sopravvivere.
Arrivò il pizzicato di violini che annunciava l'inizio di un'altra danza, e il gruppo della cena iniziò a disperdersi. Il duca spinse indietro la sedia. «Posso scortarvi alla sala da ballo, Mrs. Furnell?»
«Grazie, ma non sarà necessario.»
«Avete paura di me, madam?»
Lei si sollevò lentamente in piedi, rispondendo con una risata: «Naturalmente no, Vostra Grazia».
Lo sguardo negli occhi di lui, tuttavia, le confermò che avrebbe fatto meglio ad averne.
E molta, anche.