7

La chiesa, la domenica mattina, costituì un gradito ritorno a qualcosa di simile alla normalità, per Ellen. Fu sollevata che Max non fosse presente tra la folla che riempiva la piccola cappella, ma il pensiero di lui continuò a perseguitarla anche mentre salutava amici e conoscenti, alla fine del servizio.

Poteva quasi sentirlo incombere su di lei, pronto a trascinarla via, lasciandola preda dei pettegolezzi e delle speculazioni.

Mentre si muoveva tra quelle persone, sorridendo come se non avesse una preoccupazione al mondo, si chiese quante altre volte avrebbe potuto fare lo stesso. Cosa avrebbero detto, quando avrebbero appreso che era la Duchessa di Rossenhall? Era stato già abbastanza difficile spiegare la verità a Matty, che l'amava come una madre. Ellen si era aspettata che la rimproverasse aspramente per il suo comportamento, ma fino a quel momento l'anziana domestica era stata stranamente reticente, e di ciò le era grata. Non poteva aspettarsi, però, che amici e conoscenti di Harrogate fossero altrettanto comprensivi.

Be', non poteva farci niente. E aveva almeno una buona amica che era al corrente del suo segreto.

Dopo aver visitato la nursery per dare a Jamie il pranzo, uscì per prendere il tè da Georgie. Ed essendo una giornata calda decise di camminare fino a Low Harrogate, sperando che l'esercizio fisico e l'aria fresca l'avrebbero aiutata a liberarsi dei suoi pensieri, sempre più foschi.

Al suo arrivo, però, trovò la casa in grande agitazione.

«Fred ha avuto un collasso, stamattina» la informò Georgie non appena Ellen entrò nell'ingresso. «Il dottor Ingram è con lui, adesso.»

«Dalla tua espressione direi che si tratta di una cosa seria.»

L'amica annuì. «La pallottola si è spostata. Povero Fred, l'abbiamo messo subito a letto, ma sta tossendo sangue, e il suo respiro è difficoltoso.»

Ellen le prese le mani. «Dimmi cosa posso fare, per te.»

«Vorrei che portassi Lottie a casa con te. Ho bisogno che Gregson mi aiuti, perciò non ci sarebbe nessuno per badare a lei.» Georgie si asciugò una lacrima. «Fred le ha già detto addio con un bacio.»

«Sì, sì, certo che la porterò con me, ma non c'è altro che possa fare, per voi?»

«No, ti ringrazio. Ho già mandato a chiamare il duca e, se potrai occuparti di Charlotte, questo rasserenerà molto Fred.» L'amica sorrise tra le lacrime. «Non vuole che la bambina viva questa situazione, e questa è una casa troppo piccola per evitarlo. Lottie ti conosce, e sono sicura che verrà volentieri via con te.»

Ellen trattenne le lacrime mentre Georgie salutava sua figlia. La piccola uscì, allegra, chiacchierando per tutta la strada. Come si erano aspettate, Jamie fu felicissimo di vedere la sua amica, e Matlock anche troppo compiaciuta di avere la bambina sotto la propria ala.

In seguito Ellen portò i bambini a dar da mangiare alle anatre allo stagno fuori dell'albergo, ma, quando si furono sistemati per la cena sotto gli occhi attenti di Matlock, tornò di corsa a Low Harrogate. Arrivò proprio mentre Max stava accompagnando il dottor Ingram alla porta. Il dottore si toccò il cappello per salutare Ellen, ma non si fermò, e lei guardò il duca.

«Fred?» chiese, dimenticando i loro dissapori.

«È molto agitato.» Lui arretrò per farla entrare in casa. «Georgie è con lui, adesso. Ingram è convinto che non arriverà a domattina.»

Ellen si strappò quasi i guanti e chiuse gli occhi per un istante, prima di chiedere se potesse andare nella stanza del malato.

«Certo. Forse potrete persuadere Georgiana a mangiare qualcosa, non ha preso niente da ieri.»

Max la seguì su per le scale fino alla stanza da letto padronale. Frederick giaceva quasi completamente disteso nel letto, gli occhi chiusi e il respiro difficoltoso. Georgiana sedeva di fianco a lui, bagnandogli la fronte con un panno inumidito di acqua di lavanda.

Quando entrarono, gli occhi di Frederick si aprirono, e un sorriso lampeggiò sulle sue labbra asciutte. «Max, sei venuto ad assistere alla mia dipartita?»

«Niente affatto» mentì lui sforzandosi di assumere un tono allegro. «Ci affliggerai ancora per parecchio, ne sono certo.»

«Bugiardo» mormorò Frederick, senza calore. Il suo sguardo scivolò via. «Ellen. Come sta Lottie?»

«Ho lasciato lei e Jamie che si stavano addormentando sulla loro cena» rispose lei avvicinandosi. «Sono stati fuori tutto il pomeriggio e spero che dormiranno profondamente.»

«Bene.» Per alcuni minuti regnò il silenzio, interrotto solo dal respiro rantolante di Frederick. Poi lui si spinse via con gentilezza la mano della moglie dalla fronte. «Vorrei scambiare qualche parola da solo con Max, amore mio.»

Georgie parve angosciata, ed Ellen andò da lei. «Ho visto che la tavola è preparata per la cena» mormorò con dolcezza. «Devi mangiare qualcosa, mia cara, perciò andiamocene, e lasciamo i gentiluomini a parlare.»

Max pensò che Georgie avrebbe rifiutato, ma, quando Ellen mormorò che un po' di cibo l'avrebbe sostenuta attraverso la lunga notte, si alzò e andò verso la porta, fermandosi nel percorso per stringergli la mano. «Mi chiamerete se qualcosa dovesse cambiare?» gli domandò ansiosamente.

«Avete la mia parola.»

Lui attese finché le signore non furono fuori della stanza prima di avvicinarsi al letto e sedersi sul bordo. Il respiro di Frederick era raschiante, e Max aggrottò la fronte. «Non dovresti metterti a sedere?»

«Il dottore ha detto di stare disteso. Dannata palla di moschetto, teme che se mi muovo di nuovo sarà la fine, ma io sono finito comunque.»

«Non dirlo mai, Fred.»

«Già, mi hai tenuto in vita a La Coruña, non è così? Contro ogni probabilità.»

«E accadrà di nuovo, amico mio.»

«Non questa volta. È finita, Max, lo so. E, a dir la verità, non voglio più vivere, se ciò significa essere un dannato invalido per anni, un peso per chiunque.» Frederick allungò una mano, e Max l'afferrò. «Ti occuperai di Georgie, non è vero?»

«Certo, Fred. Non hai bisogno di chiederlo.»

«No, lo so. E Clare? So che ha ancora mia madre, ma non ci saranno uomini, in famiglia, una volta che me ne sarò andato.»

«Mi occuperò di lei» gli assicurò Max. «Ti do la mia parola, Fred, ma...»

«Lo so.» Le dita simili ad artigli si chiusero sulla sua mano. «Avevo parlato della possibilità che prendessi Clare in moglie, ma non te lo chiederò di nuovo, amico mio. Pensavo sarebbe stata una soluzione, perché sapevo che avevi bisogno di una duchessa, per quanto tu fossi contrario all'idea. Di recente, però, hai iniziato a mostrare interesse verso il gentil sesso.» Frederick emise una breve risata, che terminò in un ansito doloroso. «Ellen Furnell. È adatta a te, vecchio mio, sebbene non sia sicuro che tu riesca a conquistarla. Ha la sua bella parte di ammiratori.»

«Sono sicuro sia così» borbottò Max, tetro.

«Non ha mai mostrato il minimo interesse, per loro.» Frederick si fermò, il respiro un lungo rantolo faticoso. «O amava tanto il defunto marito che nessuno potrebbe stargli alla pari, o...» Un altro respiro ansimante. «O qualche mascalzone l'ha ferita al punto che non rischierebbe di nuovo di farsi spezzare il cuore.»

«Oppure non ha un cuore.»

«Come te, allora.» Quelle parole indussero Max a incrociare il suo sguardo. «Biasimo quella tua dannata, fredda famiglia» riprese l'amico. «Ti hanno reso diffidente verso l'amore, timoroso di avvicinarti a chiunque per paura di essere respinto. Non dev'essere per forza così, amico mio. Guarda me.»

Max sorrise. «Quello che avete tu e Georgie è speciale, Fred. Io non merito un simile amore.»

Gli occhi del suo amico, però, si erano chiusi, e Max non ebbe risposta.

Ellen insistette che Georgie mangiasse almeno un po' della sua cena e prendesse un bicchiere di vino, e rimase al tavolo mentre l'amica piluccava il cibo.

Aveva già mandato via la carrozza, decisa a vegliare, durante la lunga notte. Scoprì presto che Max aveva preso la stessa decisione, e insieme concordarono di alternarsi nella veglia notturna e riposare a turno sul sofà nel piccolo salotto. Georgie protestò, ma nessuno dei due si lasciò smuovere.

«Vorrai stare con Fred tutta la notte» le fece notare Ellen, «e qualcuno deve rimanere con te. Sarebbe meglio che Gregson dormisse, adesso, perché avrai bisogno di lei, più tardi.»

A turno Ellen e Max sedettero al capezzale con Georgie, mentre Fred cadeva a tratti nell'incoscienza. La notte subentrò alla sera e a poco a poco i rumori delle strade sbiadirono fino a divenire niente più di qualche occasionale grido, o il rimbombo di un carro sul selciato. Quando Max salì per prendere il posto di Ellen, prima dell'alba, Georgie era abbandonata sul letto, addormentata, la mano sul copriletto stretta a quella di Fred. Ellen si ritirò in silenzio e cadde in un esausto sonnellino sul sofà. Venne svegliata qualche tempo dopo da passi affrettati sopra la sua testa, suoni di voci e un grido d'angoscia. Salì di corsa le scale, sapendo già ciò che avrebbe trovato.

Quando il primo raggio di sole illuminò il cielo a oriente, tutto era finito, e la carrozza di Ellen era alla porta, pronta a portarla a casa. Lei entrò nel salotto per recuperare guanti e cappello e trovò Max in piedi, la testa abbassata a fissare il pavimento.

Lui chiese, senza sollevare il capo: «Come sta Georgie?».

«Sta dormendo. Gregson è con lei. Terrò Charlotte con me finché sua madre non sarà pronta a portarla a casa.» Ellen esitò un istante, prima di chiedergli: «Posso accompagnarvi al Granby?».

«No, vi ringrazio, devo occuparmi del servizio funebre.»

«Ah, sì, certo.»

Max le volgeva la schiena, ma c'era qualcosa di impercettibilmente esausto nella sua postura. Il cuore di Ellen si strinse per lui. Aveva perduto il suo migliore amico. Lui e Frederick si conoscevano dall'infanzia e, arrivata poco dopo la morte di suo fratello, immaginò che la nuova perdita lo colpisse duramente.

Sollevò il cappellino. Non la riguardava. Max aveva dimostrato chiaramente di non volere la sua simpatia, e lei non aveva alcun diritto di confortarlo, tuttavia... Il cappellino si librò a qualche pollice dal tavolo, poi Ellen lo rimise giù e attraversò la stanza. Fece scivolare le braccia attorno alla sua vita, premendo la guancia contro la solida parete della sua schiena. Lui tremò leggermente, forse un segno di rifiuto per quell'intromissione nel suo dolore. Senza dire una parola, lei si ritirò. Ricacciando indietro le lacrime, prese guanti e cappello e lasciò la casa.

Max sentì il leggero richiudersi della porta, avvertì le ombre della sera sollevarsi mentre la carrozza si allontanava. Si raddrizzò, tentando di scuotere da sé la nebbia nera che gli avvolgeva la mente. Dopo tanti anni da soldato avrebbe dovuto essere abituato alla morte, ma ora era diverso. Il dolore per la perdita del fratello lo artigliava ancora e la morte di Fred aveva riaperto la ferita.

Almeno si era liberato la coscienza, raccontando all'amico del suo matrimonio. Non era sicuro di quanto lui avesse sentito, o capito, ma, quando aveva terminato il suo racconto e gli aveva chiesto perdono per avergli tenuto quel segreto, aveva avvertito la debole ma decisa pressione delle dita di Fred sulla sua mano. Era stata l'ultima comunicazione che avevano avuto.

Radunando ogni oncia di determinazione, ruotò su se stesso, si calcò il cappello sulla testa e uscì dalla casa. La nebbia nera continuò a incombere su di lui, pesante e impenetrabile mentre eseguiva i suoi vari compiti. Tuttavia, attraverso l'oscurità, sentì due piccole ondeggianti fiammelle di conforto, fragili come fuochi di candela. La prima era la confessione, e l'altra il ricordo delle braccia di Ellen strette attorno a lui.

I riti della morte riempirono la settimana seguente. Georgie non aveva famiglia, e la madre di Frederick era troppo fragile per fare il lungo viaggio al nord per il funerale, così il compito di sostenere la vedova addolorata ricadde su Ellen e Max. Furono costretti a incontrarsi spesso, ma ogni conversazione tra loro fu breve e in tema, e spesso non si scambiarono altro che un cenno di saluto. Gli Arncliffe erano apprezzati e rispettati in tutta Harrogate, e la cappella di Saint John era affollata per il servizio funebre.

Per quanto la settimana fosse triste, Ellen non voleva che finisse, perché il lunedì seguente Max l'avrebbe portata a Rossenhall. La domenica condusse Jamie a trovare Georgie e Charlotte e, mentre i due bambini giocavano nella nursery sotto gli occhi attenti di Gregson, riferì all'amica degli accordi che Max aveva preso per la loro partenza. «Saremo una vera carovana» le spiegò, sforzandosi di assumere un tono allegro. «È un viaggio di circa duecento miglia, e impiegheremo diversi giorni per arrivare a Rossenhall. Il duca ha mandato avanti Flynn, il suo valletto, per organizzare le nostre sistemazioni durante il tragitto.» Trasse un respiro, pensando a quanto sarebbe stata vicina a Max, per giorni e notti. «Ti assicuro che sono un po' nervosa.»

Georgie rabbrividì. «Oh, lo sarei anch'io, se a un tratto scoprissi di avere una proprietà così vasta.»

«No, non è questo che mi preoccupa. Ho aiutato la mia matrigna a occuparsi delle case di mio padre e, all'Accademia, Mrs. Ackroyd ci ha insegnato a dirigere anche una grande dimora.»

«E cosa farai con la casa di Paradise Row?»

«Sarà venduta. Snow mi ha già informato che andrà in pensione, ma Max ha accettato di trovare una posizione per il resto del personale, in una o l'altra delle sue case, se non vogliono restare qui.»

«E hai già spiegato la situazione a Jamie?»

«Gli ho detto che Max è il suo papà, ma lui insiste a chiamarlo duca. Non penso che capisca davvero cosa stia succedendo, al momento.»

«Povero ometto, è molto dura per lui, ma una volta che sarete sistemati a Rossenhall sono sicura che sarà più facile. E io vi seguirò molto presto. La madre di Frederick ha scritto per offrire a me e a Lottie di andare ad abitare con lei nel villaggio. Credo possa averglielo suggerito Max, perché ha insistito a mandare la sua carrozza per portarci a Rossenhall, quando arriverà il momento. Ne ha discusso con te?»

Ellen scosse il capo. «Non abbiamo avuto molte occasione di conversare.»

La verità era che fino a quel momento Max aveva preferito comunicare con lei per iscritto. Stava evitando la sua compagnia, Ellen lo sapeva, ed era grata che le fosse concessa quella tregua, mentre metteva a fuoco i propri sentimenti per lui. Non potevano sperare di tornare alla precedente intimità, ma forse, con il tempo, avrebbero potuto raggiungere un'amichevole complicità. Lei pregava che potesse essere così.

Il sole estivo stava splendendo su un'impressionante fila di carrozze che saliva lungo Paradise Row. Dal momento che il duca aveva deciso di guidare il proprio calesse, Ellen aveva invitato Jamie e Matlock ad accompagnarla nel barouche da viaggio.

Come aveva previsto, il tragitto fino al Buckinghamshire si dimostrò estenuante. Lei e Matty passarono le giornate cercando di intrattenere Jamie nella carrozza. Ogni notte, quando si fermavano, Matlock prendeva in consegna il bambino mentre Ellen affrontava una sfida ancor più scoraggiante: la cena con il duca. Non poteva biasimare Flynn per aver prenotato in ogni locanda un salotto privato per il duca e la duchessa, ma avrebbe preferito stare nelle sale pubbliche. Comunque, non c'era niente da fare, così ogni sera lei e Max si comportavano in modo studiatamente educato, parlavano di argomenti generici e si ritiravano presto nelle rispettive camere, per iniziare di nuovo tutta la procedura il mattino seguente.

Max era determinato a non restare da solo con Ellen, a meno che non fosse strettamente necessario. Quando si incontravano, all'ora dei pasti, limitava i propri commenti ad argomenti neutri, stando ben attento a non dire niente che potesse accennare ai loro trascorsi. Se lei lo avesse combattuto, se avesse visto anche solo un lampo della donna di cui si era innamorato, era certo che le difese che aveva innalzato avrebbero iniziato a franare, ed era l'ultima cosa che voleva.

L'ultima sera Ellen apparve nella sala da pranzo con lo stesso abito che aveva indossato al ballo al Crown Inn. La notte in cui lui l'aveva baciata. Il solo pensiero gli portò una familiare fiammata di desiderio. Lei doveva aver notato qualcosa, perché arrossì un poco e ammise, in tono difensivo: «Forse sono un po' troppo elegante».

«Avete un aspetto incantevole.» Aveva detto la verità, tuttavia la vide sussultare per l'indifferenza con cui aveva pronunciato quelle parole. Era desolato, ma con i domestici che si trascinavano dentro e fuori della sala, era impossibile rimediare alla situazione. Ellen parve riprendersi, ma Max sapeva che non era a disagio, poteva sentire la tensione crescere, tra loro. Tentò di dissiparla chiedendole se le fosse piaciuto il viaggio.

«È andato molto meglio di quanto avessi previsto.» Ellen sorrise a beneficio del locandiere e dei suoi domestici, che si stavano dando da fare portando piatti e versando vino. «Vi sono grata, Vostra Grazia, per tanta considerazione, sono sicura che avreste potuto fare il viaggio nella metà del tempo.»

Mentre lei si serviva di un po' di riso e pollo, Max notò l'anello sull'anulare, la fascetta d'oro con l'iscrizione araba che le aveva dato come sigillo della loro unione. Le era costato uno sforzo indossarlo di nuovo? Le rammentava i voti che si erano scambiati, voti che era stata tanto rapida a infrangere? Tacitò la voce che nella sua mente sussurrava in difesa di Ellen. Avrebbe dovuto fidarsi di lui.

La sua voce morbida interruppe quel corso di pensieri. «Sono sorpresa che non siate andato avanti, dal momento che avete un calesse.»

«Avrei potuto farlo, suppongo.» Max fece una pausa, mentre i domestici si ritiravano. «Purtroppo, temo non avrebbe fatto una bella impressione, se fossi arrivato a Rossenhall senza mia moglie. Ho dato istruzioni che veniate ricevuta con tutti gli onori dovuti alla vostra posizione.»

«Anche se non li merito.»

Lui non riuscì a negarlo, anche se sapeva che era irragionevole. La sua presenza in Egitto doveva essere un segreto, quindi come poteva aspettarsi che lei gli credesse, quando i fatti sembravano dimostrare il contrario?

Tuttavia non poteva annullare le conseguenze del suo abbandono, la cupa tristezza che l'aveva avviluppato, inducendolo a gettarsi in tante, spericolate missioni. A rischiare tante vite, oltre la propria.

È colpa tua, non sua. Perché punire lei?

La domanda piombò nella sua mente come una rivelazione, ma era troppo improvvisa, il dolore troppo acuto, e Max la ignorò. Lottò per parlare, la lingua legata da un torrente di emozioni, e le parole di Ellen restarono sospese nel silenzio come la spada di un boia.

Lei mormorò: «Farò del mio meglio per essere una buona duchessa. Se me lo permetterete».

«Sono sicuro che lo farete.» Max avrebbe voluto sorriderle, ma invece tossì e distolse lo sguardo, odiandosi, ma nascondendo i propri sentimenti, come aveva imparato a fare da ragazzo. «Si può sapere dov'è finito quel briccone di locandiere con il nostro vino?»

Ellen represse un sospiro. Per un momento provò l'impulso di lanciare un piatto contro Max. Un gesto simile avrebbe provocato una reazione, ma forse non del genere che desiderava. Così si stampò in volto un sorriso fasullo, complimentandosi con il locandiere per l'eccellenza del cibo e discutendo dei recenti allagamenti nello Shropshire e della possibilità che il re si riprendesse dal suo ultimo attacco di pazzia. Niente di personale, niente che potesse ricordare loro il precedente periodo insieme e, non appena il pasto fu terminato, si ritirò nella sua camera solitaria, dove la fatica del viaggio le permise di scivolare per alcune ore in un benedetto oblio.

Max era nel salotto privato quando Ellen scese al piano di sotto, il mattino dopo. Le chiese di Jamie e lei gli spiegò che Matty gli aveva già dato la colazione e che lo stava portando a fare una passeggiata. «È bene che esaurisca un po' delle sue energie, prima che ci rimettiamo in viaggio» osservò.

«È un compito molto duro, per voi?»

Lei sorrise, toccata dalla sua considerazione. «No, ve lo assicuro. Matty e io facciamo a turno per intrattenerlo, raccontandogli storie e cantando canzoni. È stato un lungo viaggio, e devo dire che si è comportato molto bene, per essere un bambino così piccolo.»

«Speriamo che continui così fino all'ultima tappa, allora.»

Quando Max scortò Ellen alle carrozze in attesa, però, trovarono Jamie impegnato in uno scontro di volontà con la sua balia. Stava attaccato al suo cavallino giocattolo e fissava Matty con un'espressione caparbia in volto.

«Ebbene, cosa sta succedendo qui?» volle sapere Max.

«James vuole portare il giocattolo nella carrozza con noi, Vostra Grazia» spiegò Matlock. «Gli ho detto che non c'è posto, ma non vuole sentire ragioni. Ci riempiremo di lividi, se gli lasceremo fare a modo suo.»

«Infatti» convenne Ellen, chiedendosi come aggirare l'ostacolo senza spargimento di lacrime.

Le labbra di Jamie stavano già tremando, mentre dichiarava di voler tenere il cavallo con sé. Con sorpresa di Ellen, Max entrò nella contesa. «Certo che lo vorresti» convenne in tono allegro, «ma temo che alle signore non piacerebbe. Che ne diresti, invece, di aiutare me con i miei cavalli?»

«Intendete dire... sedere sul calesse con voi?» domandò Ellen, scossa.

«Sì, certo.» Max sorrise al bambino. «Un uomo può stancarsi molto a guidare da solo un tiro di cavalli tutto il giorno.»

«Ma... ma è troppo piccolo» obiettò lei. «Potrebbe cadere, e voi non sarete in grado di controllarlo tutto il tempo, se starete guidando.»

«Lasciate che la sua balia venga con lui.»

Ellen vide l'espressione inorridita di Matlock, alla sola idea. Chiaramente la notò anche Max, perché si strinse nelle spalle e aggiunse: «Oppure potreste venire voi».

Per alcuni istanti Ellen rimase senza parole.

«Vi aiuterò, duca» dichiarò Jamie, tornato di buonumore. Tese il cavallo di legno a Matlock e la informò gentilmente che poteva metterlo via, quindi corse da Ellen e le prese la mano. «Andiamo, mamma.»

Ellen guardò Max. «Siete sicuro di volerlo fare?»

«Vedete alternative?»

Lei scosse il capo. «No, se vogliamo evitare un dramma.»

Alcuni minuti dopo erano fuori, Jamie seduto orgogliosamente tra il duca e la duchessa, e salutava con la mano i sorridenti stallieri che avevano assistito alla scena.

Ellen teneva una mano sulla ringhiera aperta e un braccio attorno a Jamie, assicurandolo con fermezza al sedile, mentre Max si districava abilmente nelle strette strade. Lei udì una risatina dallo stalliere alle loro spalle.

«Non preoccupatevi, Vostra Grazia» la rassicurò in tono allegro. «Il padrone non si è mai ribaltato, finora. Non che abbia l'abitudine di portare donne e bambini, beninteso.»

«Basta così, Stevens» lo riprese Max.

Aveva un aspetto davvero severo, ed Ellen si chiese se non si stesse pentendo della propria generosità. Tentò di pensare a qualcosa per interrompere il silenzio. «Vostro padre vi ha insegnato a guidare?» domandò alla fine.

La sua risata aveva una nota amara. «In realtà non era interessato a niente di ciò che facevo. La sua unica preoccupazione era che non portassi la vergogna sul nome della famiglia.»

«È piuttosto riprovevole» sbottò lei, indignata.

«Oh, faceva quello che reputava fosse il suo dovere» replicò Max, asciutto. «La mia educazione fu la migliore che il denaro potesse comprare, in ogni campo, inclusa la camera da letto.»

Un brivido di eccitazione la percorse, mentre ricordava la sua abilità come amante, ma era impossibile ignorare l'infelicità nella sua voce, quindi Ellen cercò un modo per dissiparla. E il migliore le parve quello di commentare, in tono malizioso: «Allora non è andata tutta sprecata».

Come aveva sperato, lo sguardo spento svanì, e Max scoppiò a ridere. «No, non tutta.»

Jamie gli tirò la manica. «Quando posso tenere le redini, duca?»

«Molto presto. Una volta che saremo usciti dalla città.»

Sapendo che Jamie sarebbe stato impaziente, Ellen lo distrasse, indicando due cani che litigavano per un osso e un fornaio che si bilanciava un vassoio di torte appena sfornate sulla testa. Cinque minuti dopo si erano lasciati la città alle spalle e stavano correndo lungo la strada aperta. Presto superarono le altre vetture e, quando raggiunsero un pezzo di strada diritta, Max fece rallentare i cavalli.

«Ecco, Jamie, vediamo come puoi manovrare le redini.»

Prese il bambino sulle ginocchia e gli mostrò come reggere le redini nelle sue piccole mani. Ellen osservò ansiosamente, decisa a non rovinare il divertimento del figlio mostrando la propria preoccupazione. Lo stalliere si allungò e le mormorò all'orecchio: «Non dovete agitarvi, ma'am. Il padrone lo terrà al sicuro». Ellen si girò e rivolse a Stevens un sorriso grato. Si era aspettata che i domestici del duca la trattassero con freddo riserbo, ma quelli che aveva incontrato fino a quel momento le avevano mostrato un gentile rispetto, il che era molto incoraggiante.

Non ci si poteva aspettare che un bambino così piccolo potesse sedere immobile reggendo le redini molto a lungo, e dopo dieci minuti Ellen giudicò che ne avesse abbastanza. «Hai fatto un buon lavoro, Jamie» dichiarò. «Forse il duca ti lascerà tentare di nuovo, più tardi.»

«Sì, certo.» Max annuì mentre lei sollevava il bambino sul sedile tra loro. «Al momento dobbiamo aumentare un po' il passo.»

Il volto di Jamie si illuminò all'istante. «Sì, facciamo una corsa!»

«Non faremo niente di così indecoroso» dichiarò Ellen, tentando di suonare severa.

Max guardò sopra la testa del figlio e lei incontrò i suoi occhi. Fu un momento di comprensione, di piacere condiviso, e la riscaldò.

Max non si era aspettato di apprezzare il viaggio, con la moglie e il figlio seduti accanto a lui sul calesse, invece, con sua grande sorpresa, le miglia volarono, e presto giunsero alla meta. Il Rising Sun si trovava ad appena quindici miglia da Rossenhall, e Max era ben conosciuto. Notò l'espressione interrogativa del locandiere che fissava Ellen e Jamie, ma poi l'uomo li scortò in un salotto privato con molti profondi inchini e assicurazioni che avrebbero ricevuto ogni attenzione.

Max annuì, togliendosi i guanti. «Il resto del gruppo è un po' indietro, ma noi prenderemo subito i nostri rinfreschi.»

«Sì, Vostra Grazia. Subito, Vostra Grazia.»

«Il vostro titolo è stato molto utile, in questo viaggio» osservò Ellen mentre il locandiere si affrettava a uscire, gridando ordini al personale.

Max sorrise. «Eviterei volentieri tutti questi inchini e lusinghe, ve lo assicuro, ma hanno i loro vantaggi.» Abbassò lo sguardo su Jamie, che stava tirando con energia la gonna di Ellen. «E adesso cosa c'è che non va?»

Ellen prese il bambino tra le braccia. «Ha bisogno del bagno.»

Max aggrottò la fronte. «Non può aspettare che arrivi la balia?» domandò. «Oppure potreste affidarlo a un domestico.»

«No di certo» rifiutò lei.

Jamie tese il braccio verso Max. «Mi porta il duca.»

Ellen, però, stava già dirigendosi verso la porta, spiegando al figlio, con una risata nella voce: «Non penso che il tuo papà sia già pronto per questo, Jamie!».

Quindi lasciò la stanza, ma il ricordo di quell'irresistibile risata rimase con Max, costringendo le sue labbra a un riluttante, tirato sorriso. Gettò il cappello e i guanti su un tavolino. Niente era andato secondo le sue previsioni. Era determinato a mantenere le distanze, da quella donna, desiderava avere con lei un rapporto formale e civile. Tuttavia non aveva immaginato che la presenza di quel piccolo folletto lo avrebbe reso impossibile. Non c'era dubbio che avesse ereditato i modi socievoli di sua madre. Aveva notato, nel corso del viaggio, che Ellen si era guadagnata l'approvazione del suo personale, perfino di Stevens, il suo sospettoso stalliere. Certo, nessuno di loro conosceva la verità, ossia che lei l'aveva lasciato dopo poche settimane di matrimonio.

Quando Ellen riportò Jamie nel piccolo salotto, Max aveva recuperato il controllo dei propri pensieri. Invitò educatamente Ellen a sedere e godette della selezione di torte salate e carni fredde provviste per il loro rinfresco.

Lei rifiutò un bicchiere di latte per Jamie e lo persuase a prendere del tè alle erbe. «Abbiamo ancora un'ora di viaggio davanti a noi, e il latte potrebbe disturbargli lo stomaco» spiegò a Max. «Non voglio presentare al vostro personale un bambino con il mal di pancia.» Guardò verso la finestra, mentre sollevava la tazza di caffè. «Ecco il resto del gruppo. Jamie e io potremo terminare il viaggio nel barouche

Max spinse via il piatto vuoto. «Sarebbe il modo più adatto, per voi» ammise. «Oppure...» Si fermò, combattendo con se stesso. Tentando di recuperare le sue difese.

«Oppure?»

Lui non ebbe il coraggio di incrociare il suo sguardo. «Oppure potreste venire con me.» Silenzio. Max proseguì. «Non ho dubbi che l'annuncio che ho una moglie e un figlio abbia suscitato un mucchio di pettegolezzi, a Rossenhall. Arrivare tutti e tre insieme sarebbe un modo di mettere a tacere le speculazioni.»

«Gra... grazie. Siete molto gentile.»

La considerava una premura nei suoi confronti?, si stupì Max. Si sbagliava. La verità era che la voleva accanto a sé, ma non riusciva quasi ad ammetterlo neppure con se stesso, così ribatté, burbero: «Vi sto restituendo la gentilezza che avete avuto nei miei confronti. Quando Fred è morto».

Ellen si diede da fare attorno a Jamie, togliendogli le briciole dalla bocca, pulendogli le mani, rassegnata al fatto che Max stesse ripagando ciò che reputava un debito. Non le stava riservando una premura, no, si stava solo comportando in modo ragionevole, ed era sciocco da parte sua avere così tanta voglia di piangere.