10
Nessuno avrebbe potuto essere più sereno e composto della Duchessa di Rossenhall, quando entrò nel salotto, quella sera.
Salutò con calma sua cognata, ammise che Alice, la sua nuova cameriera, era molto brava ad acconciarle i capelli e si volse a salutare il duca. Lui stava all'estremità della sala, perfetto in una giacca scura che sembrava scolpita sulla sua figura atletica. I capelli biondi erano stati spazzolati all'indietro, mettendo in evidenza il suo volto, con le guance magre e quelle labbra sensuali che dovevano solo sorridere per far impazzire il cuore di Ellen.
Gli rivolse un piccolo cenno, sorrise e prese posto accanto a Dorcas. Aveva riacquistato il dominio di sé, ma non aveva dimenticato l'agitazione di poco prima. Un sorriso di suo marito e sarebbe stata pronta a fare qualunque cosa. Avrebbe fatto bene a tenere a mente, però, che lui non era interessato a niente altro che non fosse il formale rapporto che intrattenevano.
Si era appena accomodata quando Matlock arrivò insieme a Jamie, il quale era stato lavato, strigliato e vestito con un abito di lana color cannella che enfatizzava il biondo dei suoi capelli e gli occhi verdi.
Dorcas fece saettare lo sguardo da Jamie a Max. «Bene» mormorò. «Qualunque scandalo la notizia del tuo matrimonio possa suscitare, Maximilian, nessuno potrà mai affermare che questo bambino non è il tuo erede.»
«Ne avevate forse dubitato?» insorse Ellen con un lampo di collera.
Con una piccola spinta da parte di Matlock, Jamie avanzò e fece un passabile inchino alle signore.
«Buonasera, zia, mamma.» Si girò e fece un inchino simile a Max. «Buonasera.» Increspò la faccia, come per ricordare una lezione difficile. «Papà.»
Dorcas annuì con approvazione. «Sono felice di vedere che il piccolo marchese sta imparando delle buone maniere, alla fine. Stavo diventando piuttosto ansiosa riguardo alla sua sfrenatezza.»
«Non ha neppure quattro anni» le ricordò Max. «Personalmente mi dispiacerebbe se perdesse la sua naturale vivacità.»
Quella vivacità era evidente, in quel momento, mentre il bambino saltellava da un piede all'altro, chiaramente scoppiando dalla voglia di raccontare una novità. «Volevo giocare con te, mamma, ma Matty ha detto di no.»
Max guardò la bambinaia con aria interrogativa.
«James ha un tamburo, madam.» Matlock lanciò un'occhiata risentita a Max. «Un regalo da parte di Sua Grazia.»
«Avevo fatto una promessa» spiegò Max quando tutti gli occhi si girarono verso di lui.
«È molto irriguardoso da parte tua, Maximilian» sbuffò Dorcas. «Non hai alcuna considerazione per i miei poveri nervi? È già abbastanza spiacevole che in tua assenza il bambino se ne vada tutto il giorno in giro per la casa con il suo cavallino...»
«È successo solo una volta. Un giorno di pioggia in cui non è potuto uscire» la interruppe Ellen. «Ed Eliza era con lui per assicurarsi che non causasse danni.»
«Il punto è che, se si può cavalcare un cavallino giocattolo silenziosamente, un tamburo è una faccenda molto diversa.»
«Sono del tutto d'accordo con voi» convenne Ellen. «Ed è per questo che Jamie ci giocherà solo fuori, molto lontano dalla casa.» Si abbandonò a un impulso malizioso e aggiunse: «E, dato che il suo papà era un soldato, forse dovrebbe insegnargli come usarlo in modo adeguato».
Jamie aveva seguito la conversazione con le sopracciglia aggrottate, ma a quelle parole diede un'occhiata speranzosa a Max. «Oh, sì, per piacere, duca! Potete insegnarmi?»
«Sono sicuro che troveremo un po' di tempo per farlo.»
«Domani?»
«Forse. Vedremo.» Da sopra la testa di Jamie, Max saettò un'occhiata minacciosa in direzione di Ellen, ma lei si limitò a sorridere, sapendo che in quel caso non era davvero contrariato. Era un sollievo che se la stesse cavando così bene, con suo figlio.
Al tempo stabilito Matlock tornò a recuperare Jamie. Non appena la porta si chiuse alle loro spalle, Dorcas dichiarò che il bambino sarebbe dovuto andare a scuola.
«E così farà, al momento giusto» replicò Ellen. «Siete preoccupata che non abbia amici, qui? Abbiamo già incontrato alcuni dei bambini del villaggio e presto avrà una cara amica con cui giocare.» Si rivolse a Max. «Sono andata a trovare Mrs. Arncliffe, mentre eravate via, e lei mi ha detto che la vostra carrozza è stata mandata ad Harrogate per prendere Georgiana e Lottie. Dovrebbero arrivare tra una settimana circa.»
«Siete andata a trovare la madre di Frederick?» domandò lui, sorpreso. «Dorcas è venuta con voi, immagino?»
«Non mi sentivo bene» si giustificò la duchessa vedova, agitandosi sulla poltrona, «ma ho insistito che Ellen dovesse andare in carrozza, con due lacchè dietro di lei.»
Ellen ridacchiò. «E quanto mi sentivo grandiosa! Spero, una volta che conoscerò meglio la zona, di poter andare da sola con il calesse.»
Dorcas emise uno sbuffo sprezzante. «Un calesse non è l'equipaggio adatto a una duchessa.»
«Avete ragione» replicò la duchessa con uno sguardo bellicoso. «Prenderò il calessino del duca, allora. O forse comprerò un phaeton.»
Max non riuscì a trattenere un sorriso. «Uno di quelli con il sedile molto alto, suppongo» commentò divertito.
«Ovviamente.»
L'occhiata che gli rivolse era colma di malizia, ma Max resistette all'impulso di sorridere. Non aveva intenzione di prendere le sue parti, quindi tentò di portare la conversazione su acque più sicure. «Così siete andata da Mrs. Arncliffe» riprese. «Come sta? Ho sentito che la sua salute non era buona.»
«Si sta facendo forza. Ed è davvero ansiosa per l'arrivo di Georgie.»
«Se aveste aspettato, sarei venuto con voi. Non vorrei mancare di attenzioni a una così vecchia amica.»
«Vorrà dire che ci torneremo insieme» replicò lei, tranquilla.
Perkins giunse ad annunciare la cena, e la conversazione ebbe fine, ma il pensiero che lei fosse andata in giro per la tenuta da sola continuava a tormentare Max finché, una volta che tutti furono seduti al tavolo, non l'apostrofò, in tono brusco: «Vi chiedo scusa, avrei dovuto accompagnarvi nelle vostre prime visite».
Dorcas ridacchiò. «Sono sicura che nessuno si è sorpreso di vedere la tua nuova duchessa da sola. Dopotutto è famosa per la sua indipendenza.»
Max si accigliò, ma Ellen replicò in tono vivace: «C'è talmente tanto da fare, qui, da tenere impegnati entrambi. Non mi aspetto che il duca sia sempre al mio fianco. Forse vorrete dirci, Vostra Grazia, come è andata a Londra?».
Avrebbe dovuto fargli piacere che si fosse adattata a condurre vite separate, rifletté Max. Invece si sentiva vagamente insoddisfatto all'idea che lei avesse accettato la situazione così prontamente.
Più tardi, in salotto, Ellen stava versando il tè a sua cognata quando le venne in mente che c'era una faccenda di cui voleva discutere con suo marito. «Diverse persone mi hanno chiesto se terremo il ballo d'agosto. È qualcosa che dovremmo organizzare?» gli domandò curiosa.
«Non possiamo dare nessun ballo, quest'anno» interloquì Dorcas.
«Perché no?» volle sapere Ellen.
La duchessa vedova emise uno sbuffo esasperato. «In queste circostanze! Pensate soltanto ai pettegolezzi!»
«Ci saranno chiacchiere qualunque cosa facciamo» osservò Ellen, poi si rivolse a Max. «Di che ballo si tratta, Vostra Grazia?»
«È stato introdotto al tempo del sesto duca, mio nonno. Voleva onorare il compleanno di mia nonna, che cadeva alla fine di agosto, dando un ballo per tutti i nostri vicini, abitanti del villaggio e affittuari compresi. Quando mio padre divenne duca, non smise di organizzare il ballo, fino a farlo divenire una specie di tradizione.»
«Anche se, ovviamente, non l'abbiamo tenuto, l'anno scorso» intervenne Dorcas. «Con la morte del povero Hugo sarebbe stato inopportuno.»
«Allora, con il permesso del duca, dovremmo ripristinare la tradizione.» Ellen sorrise alla vedova. «Forse potreste consigliarmi per l'organizzazione.»
Dorcas sollevò le mani, come per respingere l'idea. «No, no, è sempre stato troppo faticoso, per me. E poi invitare tutto il vicinato, perfino i contadini! Non l'ho mai approvato. Sarebbe meglio tenerlo nella sala delle riunioni sopra il Red Lion.» La sua bocca si torse per il disgusto. «Io mi limitavo a redigere una lista di coloro che volevo invitare, solo pochi dei miei amici, perché la maggior parte non poteva essere persuasa a condividere una sala da ballo con simili persone! L'amministratore e la governante si occupavano di tutto il resto.»
«Allora saranno loro ad aiutarmi e a darmi consigli» considerò Ellen, impassibile.
Le labbra sottili della duchessa vedova si curvarono ancora più in basso. «Mr. Atherwell scriveva tutte le lettere per Hugo ed era la persona migliore per preparare gli inviti, aveva una così bella scrittura. Non ci si può aspettare che Mr. Grisham faccia altrettanto, con la sua... disabilità.»
«Tony Grisham è un amministratore più efficiente con un solo braccio, di molti uomini che ne hanno due!» scattò Max.
Comprendendo che avrebbe voluto aggiungere altro, Ellen si affrettò a intervenire. «Non penso che dobbiamo disturbarlo, con quella parte dell'organizzazione. Matlock ha una bellissima scrittura.»
«Una balia!»
Ellen sorrise alla duchessa vedova, ignorando il suo commento. «Avrò bisogno del vostro consiglio, per stabilire chi invitare, Dorcas, e di certo il duca mi darà una lista delle persone che vuole avere al ballo.»
«Non è mai stato un evento, per i Colnebrooke» osservò Max. «È un ballo locale, per gente del posto. Comunque, non ho obiezioni se inviterete la vostra famiglia, se vi fa piacere.»
«Vorrei invitare la mia matrigna e suo marito, ma nessun altro, non quest'anno.» Ellen pensò alla lettera che aveva ricevuto quella settimana da suo zio Tatham. La reazione alla notizia che era diventata una duchessa era stata talmente eccessiva da risultare quasi offensiva, venendo da un parente che fino a quel momento l'aveva rinnegata.
«Mio caro Maximilian, non hai considerato bene le circostanze» osservò la vedova, accigliandosi. «C'è solo un mese per organizzare tutto. È impossibile. Nessuno accetterà l'invito, con un preavviso così breve.»
«I fittavoli e gli abitanti del villaggio verranno» puntualizzò Ellen. «Dopotutto il ballo viene organizzato per loro, no?»
Dorcas non aveva alcuna intenzione di desistere. «E le nostre conoscenze? Alcuni amici di famiglia potrebbero fermarsi qui, certo, ma il resto dovrebbe alloggiare nelle locande, se non possono risiedere con amici nella zona.» Agitò una mano, come sopraffatta dalla prospettiva. «No, no, è troppo impegnativo, e non è il caso di allestire un evento squallido.»
«Sono sicura che ce la faremo» dichiarò Ellen, apprezzando la sfida e l'opportunità di mostrare a suo marito cosa fosse in grado di fare.
«Naturalmente sarà il duca a decidere» osservò Dorcas in tono asciutto.
Max guardò sua moglie. Stava seduta sul bordo della poltrona, gli occhi azzurri scintillanti e un incantevole rossore sulle guance. Paragonata alla duchessa vedova, abbandonata sul sofà, così pallida e apatica, Ellen trasudava salute ed energia. Lo stava guardando speranzosa, e alla fine lui annuì. «Molto bene, se pensate di poterlo organizzare, terremo il ballo, quest'anno.»
«Inizierò a lavorarci domani» annunciò Ellen sorridendo. «E vi prometto che non sarà un evento squallido!»
Fedele alla sua parola, il giorno seguente Ellen iniziò a organizzare il ballo. Vennero stilate liste, assegnati compiti, e perfino la duchessa vedova fu persuasa a dare il proprio aiuto, seppur con molta riluttanza. Dorcas profetizzò tetramente che sarebbe stato un lavoro troppo pesante, per la nuova duchessa, ma Ellen si limitò a ridere e proseguì con le sue faccende.
Si era gettata nella sua nuova vita con entusiasmo. Le piaceva fare visite di cortesia e riceverne dalle famiglie confinanti, si incontrava quotidianamente con la governante, pianificava menu con il cuoco e organizzava il tempo in modo da passarne buona parte con Jamie. Ogni giorno era impegnato, pieno di attività che la mandavano a letto, la notte, troppo esausta perfino per sognare. Ed era esattamente ciò che voleva.
Nelle settimane seguenti vide molto poco il duca. Era meglio così, si disse, ma il suo cuore doleva ogni volta che lo vedeva cavalcare con Tony Grisham, o attraversare i prati verso le scuderie.
Mentre i giorni passavano, Ellen sentiva un crescente bisogno di avvicinarsi a Max, di tentare di fare ammenda per gli anni di separazione. L'occasione arrivò quando andò nel suo studio per discutere di un invito per il ballo. Risolta la faccenda, si mosse verso la porta, ma poi esitò.
Seduto alla scrivania, Max sollevò lo sguardo, le sopracciglia inarcate. «C'è qualcos'altro?»
Era stato così disponibile che Ellen decise di tentare ancora una volta di lasciarsi il passato alle spalle. Radunando tutto il suo coraggio, tornò indietro e sprofondò sulla sedia di fronte a lui. «Pensavo... Mi chiedevo... se non potessimo recuperare qualcosa della felicità che abbiamo conosciuto in Egitto.» Vedendolo irrigidirsi, si affrettò ad aggiungere: «Non come amanti, beninteso, nessuno di noi due lo desidera, ma pensavo... Magari potremmo essere amici. Max, sapete che è stato per un malinteso che vi ho lasciato. Adesso posso solo scusarmi e ammettere che fu un errore, da parte mia». Si allungò in avanti, mettendo le mani sulla scrivania. «Dovremmo dimenticare il passato, per il bene di Jamie, se non per il nostro.»
«Non proseguiamo su questo argomento, madam» la mise in guardia lui.
«Possibile che non riusciate proprio a perdonare...» Ellen si bloccò, arretrando davanti al lampo di collera che gli illuminava gli occhi. Era come se tutto il controllo che aveva esercitato su se stesso fosse crollato.
«No!» La parola esplose dalla sua bocca. «Non avete idea delle disastrose conseguenze delle vostre azioni!»
«Spiegatemi, allora» lo implorò lei. «Come posso fare ammenda se...?»
«Non potete fare ammenda!» la interruppe lui, furioso. Si alzò e iniziò a camminare su e giù per la piccola stanza, irradiando collera. «Non avete distrutto soltanto la mia vita quando avete lasciato Alessandria sotto la protezione di Drovetti. Dapprima non potevo credere che aveste fatto una cosa simile. Pensavo che dovesse esserci una qualche spiegazione ragionevole, che una volta in Inghilterra sareste rimasta ad aspettarmi, ma al mio ritorno non riuscii a trovare traccia di voi, e fui costretto a concludere che eravate andata in Francia.» Si fermò, girando la testa per guardarla. «Non mi avevate lasciato neppure un biglietto. Mi avete indotto a credere che mi avevate abbandonato per il nemico.»
«Sì, vi ho abbandonato» ammise lei tristemente, «ma non per il nemico. E neanche per un altro uomo. Voglio che sappiate, Max, che non c'è mai stato nessun altro...»
«È troppo tardi per questo, madam.»
Ellen vide i muscoli sulla sua mascella guizzare, poteva sentire la sua tensione. Ogni esile filo di speranza che avesse tessuto era stato reciso, mentre ascoltava le sue gelide parole. Attese in silenzio, sapendo che non aveva ancora finito.
«La pallottola che ha ucciso Frederick era indirizzata a me. Ho avuto anche questo, sulla coscienza, dopo La Coruña. Avevo bisogno di sfogare la rabbia, di fare qualcosa – qualunque cosa – potesse aiutarmi a cancellarvi dalla mia mente. Se non fossi stato così divorato dal dolore, così incurante della mia stessa vita, non mi sarei mai offerto volontario per le missioni più pericolose. Non avrei condotto così tanti uomini alla morte. Il vostro tradimento mi ha reso avventato, madam, e da allora ho convissuto con il senso di colpa.» Max si fermò davanti a lei. «Ecco perché non potrò mai dimenticare. Né perdonare.»
In Ellen l'ultima scintilla di speranza morì. Max la incolpava delle innumerevoli vite perdute, e lei cosa avrebbe potuto dire, a sua discolpa? Niente che potesse aver peso, contro la vita anche di un solo uomo.
Lo aveva fatto. Aveva detto a Ellen esattamente perché non avrebbe mai potuto perdonarla e aveva visto il dolore e la tristezza riempire i suoi occhi. Non c'era modo di tornare indietro, adesso.
Dopo quel giorno Max fece sforzi anche maggiori per tenersi occupato e star fuori di casa.
Poteva evitare sua moglie, sì, ma non i cambiamenti che stavano avendo luogo a Rossenhall. L'atmosfera tombale che aveva iniziato a considerare normale era del tutto sparita. Mobili che per decadi erano rimasti nello stesso posto erano stati rimossi, c'erano libri lasciati aperti su vari tavoli e perfino giocattoli abbandonati in angoli strani.
Max si aspettava che il personale obiettasse al disordine ma, con sua sorpresa, Perkins non mostrava alcun segno di irritazione ogni volta che doveva spedire un lacchè a raccogliere un giocattolo del giovane padrone dal salottino, e Mrs. Greenwood si limitava a sorridere quando Max suggeriva che Jamie dovesse essere confinato nella nursery.
«Che il Signore lo benedica, Vostra Grazia, il giovane padrone è buono come il pane quando è nelle altre stanze! Non fa mai danni, ve lo assicuro, ed è un piacere vederlo correre attorno.»
Perfino Even, l'anziano giardiniere, delle cui proteste si poteva essere sicuri qualora i bracchi del duca avessero calpestato le sue aiuole, aveva riservato una piccola area in cui Jamie potesse scavare il terreno e piantare bastoncini a suo piacimento.
Max avrebbe dovuto essere felice che suo figlio e sua moglie avessero reso l'atmosfera della casa tanto piacevole, che fossero stati accettati così prontamente a Rossenhall. E lo era, sì, per il loro bene, ma i cambiamenti evidenziavano soltanto ciò che sarebbe potuto essere. Se soltanto...
Non appena Ellen apprese che Georgie e Lottie erano arrivate alla casa di Mrs. Arncliffe, non perse tempo a far loro visita. Pochi giorni più tardi furono Georgie e sua figlia a venire per la prima volta a Rossenhall. La giornata era così soleggiata che passarono il tempo all'aperto. I bambini fecero navigare lo yacht sul lago, sotto gli occhi attenti di Matlock e della giovane Eliza, mentre Georgie ed Ellen sedevano all'ombra di un gigantesco faggio. Parlarono delle fatiche del viaggio, delle notizie da Harrogate, e di come Georgie e sua figlia si stessero sistemando.
«E come sta la sorellina di Fred?» si informò Ellen. «Mi auguro non sia rimasta troppo delusa nell'apprendere che il duca è già sposato.»
«No, no, niente affatto» negò Georgie, ridendo. «Era solo una folle idea di Fred che lei dovesse sposare Max. Clare si sta godendo i suoi ultimi mesi a scuola e non vede l'ora di fare il proprio debutto, l'anno prossimo.»
«E noi possiamo appoggiarla» replicò Ellen. «Max desidera adoperarsi per la famiglia, lo sai.»
«Lo so, e mia suocera gli è grata quanto me.» Georgie le lanciò un'occhiata. «Devi ancora raccontarmi come te la stai cavando, qui.»
«Molto bene. Dorcas era più che pronta a cedere la gestione della casa. Non che abbia mai fatto granché, al riguardo. Preferisce sedere nella sua stanza a scrivere lettere o andare in giro nel suo barouche a trovare una o due delle famiglie che considera sufficientemente elevate da essere accettate come sue amiche.»
«E tu ti sei fatta degli amici, qui, Ellen? Mia suocera dice che sei tenuta in gran considerazione, al villaggio.»
«Cerco di fare il mio dovere.»
«I tuoi miglioramenti alla scuola del villaggio sono stati molto graditi, così come i piani per le nuove case in Market Place.»
«Quella è un'iniziativa del duca, non mia.»
«Ho sentito che è arrivata dopo che hai visitato la vecchia Mrs. Bett e hai visto le abitazioni cadenti con i tuoi occhi. Vorresti forse negare che ci sia il tuo zampino, in quel progetto?»
«Ne avevo accennato al duca, sì» ammise Ellen «ma è stata comunque sua l'idea di investire in nuove case, anziché riparare quelle vecchie.»
«Una dimostrazione di affetto verso la sua nuova sposa, forse?»
«Forse.»
Georgie le rivolse un'occhiata acuta, prima di domandarle: «Non vi siete ancora del tutto riconciliati?».
«Dubito che accadrà mai.»
L'altra sospirò. «Capisco che Max sia ancora in collera con te per avergli nascosto suo figlio.»
Oh, è molto peggio di così.
Georgie la stava osservando e la tentazione di confidarsi con un'amica affettuosa era grande, ma Ellen non poteva certo spiegarle che Max la riteneva responsabile anche della morte di Fred. «Sai com'è, tra noi» replicò quindi in tono leggero. «Comunque, tutto considerato, devo riconoscere che andiamo abbastanza d'accordo.»
Ellen guardò verso il lago, dove Jamie e Lottie stavano giocando. Sapeva che Max visitava la nursery, ma mai quando c'era lei. La stava evitando, non c'era dubbio. Si incontravano solo la sera, quando Dorcas era presente. Il duca era sempre educato e cortese, tuttavia aveva innalzato una barriera attorno a sé, invisibile, ma forte e impenetrabile come l'acciaio.
Georgie si allungò a toccarle la mano. «Però tu avevi tentato di metterti in contatto con lui, Ellen, non è così? Lui lo sa?»
«Sì, ma guardando indietro forse avrei dovuto fare di più.» Ellen agitò una mano, come per spazzare via le ombre pesanti del rimpianto. «Per favore, non angustiarti per questo. Non dubito che troveremo un qualche tipo di armonia, come accade in molti matrimoni combinati.» Sperò che l'amica non dicesse altro. Sapeva che la sua compostezza non avrebbe retto a un attento esame. Grazie al cielo, la domanda seguente fu più facile.
«E come va Max con suo figlio?»
«Sono grandi amici, adesso.» Il sorriso di Ellen divenne genuino. «Anche se Jamie continua a chiamarlo duca, invece di papà! Però Max non sembra aversene a male.»
Come se fosse stato evocato dalla loro discussione, il duca apparve, camminando sui prati verso di loro. Indossava la sua giacca da equitazione, calzoni di daino e stivali alti, come se venisse direttamente dalle stalle, e camminava con il disinvolto, facile passo dell'atleta. Come sempre, il cuore di Ellen balzò alla sua vista.
«Ho sentito che eravate qui, Georgiana» pronunciò lui. «Come state?»
Ellen lo osservò portarsi la mano di Georgie alle labbra, vide il modo in cui il sorriso gli scaldò lo sguardo mentre parlava, e sentì un pugnale rigirarsi nel suo cuore. Tuttavia fu attenta a non tradire alcun segno di turbamento, quando venne coinvolta nella conversazione. Max rimase con loro finché Georgie non dichiarò che era tempo di portare Lottie a casa.
Mentre si avvicinavano alla carrozza in attesa, Tony Grisham arrivò trottando sulla sua giumenta baia, lungo il viale. Avrebbe proseguito, se Max non l'avesse chiamato per presentarlo. Mentre lui fermava il cavallo e balzava a terra, Ellen notò con piacere che Georgie non mostrava alcun imbarazzo. Anche Tony sembrava a proprio agio. Si abbassò a parlare con Lottie, ridendo quando lei batté sulla sua manica vuota, e spiegò che era stato un soldato, proprio come il suo papà.
«Oh, avete conosciuto Frederick, Mr. Grisham?» domandò Georgie, illuminandosi in volto.
«Sì, infatti.» Tony si rialzò, sorridendo. «Era un bravo soldato. Mi è dispiaciuto molto sentire che era così malato.»
Ellen li osservò mentre conversavano, vedendo il colore venire e andare dalle guance lisce di Georgie, udendo il calore nella voce di Tony mentre parlava dei suoi giorni nell'esercito.
«Non devo trattenere troppo i cavalli di mia suocera» annunciò alla fine Georgie. «Si chiederà cosa ne sia stato di me.»
«E io devo portare la mia giumenta alle stalle» replicò Tony. «Felice di aver fatto la vostra conoscenza, Mrs. Arncliffe.»
Con un cenno del capo e un sorriso, si allontanò. Ellen lo stava osservando, quando una parola di Max richiamò la sua attenzione, e lei vide Georgie e Lottie già sedute nella carrozza e pronte a partire. Ellen restò doverosamente al fianco di Max, con Jamie che saltava su e giù tra loro mentre salutavano le ospiti.
Dobbiamo sembrare una famigliola perfetta.
Il pensiero le portò un improvviso nodo alla gola, e per un istante la vista le si offuscò. Fu costretta a battere le palpebre per liberarsi della minaccia delle lacrime. Doveva mantenere il sorriso ancora per pochi momenti, finché Max non se ne fosse andato. Non poteva mancare molto.
Quella volta, invece, lui non se ne andò.
Ellen udì un colpo di tosse dietro di lei. Matlock stava aspettando di portare Jamie di sopra per cambiargli gli abiti infangati. Quando Ellen si girò per seguirli all'interno, Max le domandò: «Siete occupata? Avete tempo di venire con me alle stalle?».
«Certo.»
Lo seguì, nascondendo la propria sorpresa. Lui camminava con le mani unite dietro la schiena, a una certa distanza da lei.
«Ha un aspetto migliore da quando avete ordinato a Joshua di ripulire» osservò Max, accennando al blocco delle stalle.
«Non gliel'ho ordinato.»
«No, in effetti.» Max sogghignò. «Stevens sostiene che... ve lo siete rigirato attorno al dito. Qualunque cosa abbiate fatto, comunque, non posso che esservene grato. Sapete, è stato Joshua a mettermi sul mio primo pony e il fatto che mi conosca da quando ero bambino ha fatto sì che non abbia mai preso sul serio qualunque cosa gli dicessi. Si limita ad annuire a ciò che gli dico di fare e poi mi ignora. Sa bene che non lo caccerei mai via.»
Attraversarono l'ingresso ad arco e lei vide lo stalliere di Max che conduceva un pony molto piccolo, marrone, attorno alla corte.
«Tony ha sentito dire che i bambini Allendale sono cresciuti troppo, per questo piccoletto, così ha pensato che potesse andare bene per James» riprese Max, mentre Stevens portava il pony a fermarsi davanti a loro. «Siamo andati a vederlo, oggi, e l'abbiamo portato con noi, affinché deste la vostra approvazione.. Che ve ne pare?»
Il nodo tornò nella gola di Ellen, ma per una ragione diversa. Si fece avanti e strofinò la testa del pony.
«Ha il carattere più dolce che potreste desiderare, ma'am» intervenne Stevens. «È abituato a portare i bambini.»
«Sembra perfetto, per Jamie» replicò lei con appena un piccolo tremito nella voce.
«Bene, allora è stabilito» dichiarò Max, soddisfatto. «Terremo il pony degli Allendale. Tony si unirà a noi per cena, stasera, e gli chiederò di andare a regolare il conto domattina.»
« E quando potremo mostrarlo al padroncino, Vostra Grazia?» volle sapere Stevens. «Gli verrà un colpo dalla gioia quando lo vedrà, ne sono sicuro» aggiunse con un sorriso sincero.
«Questa è una decisione che spetta alla duchessa» rispose Max, volgendosi verso di lei. «Allora, ma'am, qual è la vostra opinione?»
Non metterti a piangere!, si ordinò Ellen. «Domani, dopo... colazione, direi» riuscì in qualche modo ad articolare. «Ho paura che se lo vedesse adesso, Jamie vorrebbe cavalcarlo subito, e oggi non c'è proprio il tempo di fargli fare la sua prima lezione di equitazione.»
Venne stabilito un orario, ed Ellen si stava voltando per tornare in casa quando Max le toccò il braccio. «C'è ancora qualcosa.»
Mentre la conduceva nelle scuderie, lei disse, tentando di scherzare: «Davvero, Vostra Grazia, non è necessario che veda anche dove verrà alloggiato il pony di Jamie, sono sicura che starà perfettamente... Oh!». Si fermò, gli occhi spalancati nel vedere la bellissima giumenta grigia che si muoveva irrequieta nella posta. «Non è uno dei vostri cavalli.»
«No. La giumenta è vostra, se la volete. Cercavo una monta per voi, e ho trovato questa in vendita a Beaconsfield. L'ultimo proprietario l'ha chiamata Belle, ma potete cambiarle nome, se volete.»
La giumenta mise il naso sopra lo sportello, come per salutarla.
«Oh, Max, è adorabile!» esclamò Ellen. «E il nome le si adatta alla perfezione.»
«Bene. Non avevamo niente di adatto a una signora, e a quanto ricordo, siete una buona amazzone. Di cammelli come di cavalli...»
Si interruppe, ed Ellen sentì i ricordi affollarsi nel silenzio che seguì.
Le galoppate a collo a collo attraverso le sabbie sui cavalli addestrati dai mamelucchi... Gli affettuosi rimproveri di Mrs. Ackroyd, che la chiamava maschiaccio perché montava a cavalcioni... Le acclamazioni dei mamelucchi che svanivano, rimpiazzate solo dal tonfo martellante degli zoccoli, e le loro risate quando raggiungevano il traguardo, un'altra delle innumerevoli rovine che sorgevano nel deserto. Max che vinceva per una testa e reclamava il suo premio, il loro primo bacio...
Ellen poteva sentire ancora la magia. Avrebbe voluto toccare la sua manica, chiedergli se anche lui ricordasse, ma Max le aveva già voltato le spalle.
«Prendete qualcuno con voi, se volete cavalcare fuori dal parco» le ordinò in tono brusco. «Adesso, se volete scusarmi, ho degli affari che non possono proprio aspettare.»
Eccola di nuovo, pensò lei tristemente mentre rimaneva sola. La porta sbattuta su ogni forma di intimità.
Morte e dannazione!
Max si allontanò a lunghi passi dalle scuderie, lottando contro l'ondata di desiderio che lo stava sommergendo. Arrivava ogni volta che lei era vicina, la spinta dell'attrazione cui era quasi impossibile resistere. Aveva sperato che sarebbe diminuita, quando si fossero frequentati di più, invece era proprio il contrario. La desiderava di più adesso di quanto avesse fatto quattro anni prima, la prima volta che l'aveva vista, appollaiata sul cammello e del tutto priva di timori, nonostante fosse circondata da una scorta di feroci guerrieri. Nessuna manifestazione di isteria, nessuno svenimento. Lei aveva incrociato i suoi occhi e aveva sorriso, come se riconoscesse uno spirito affine. In quel momento lui aveva capito che sarebbe diventata sua moglie.
Scosse il capo, tentando di liberarsi del ricordo. Meglio rammentare come lei lo avesse tradito. Come fosse scomparsa dalla sua vita senza una parola, senza neppure dirgli che avevano avuto un figlio. Sì, pensò mentre aggrediva i gradini a due alla volta: meglio pensare al prezzo del suo tradimento.
Tuttavia ciò non gli faceva smettere di pensare a lei.
Quando raggiunse la propria stanza trovò Flynn, uno sguardo di sofferto rimprovero sul volto. «Ho fatto portare l'acqua calda per il bagno un'ora fa, Vostra Grazia, perché avevate ordinato che fosse pronta al ritorno dalla vostra cavalcata. Devo mandare a prenderne dell'altra dalle cucine.»
«Non preoccuparti» abbaiò Max, strappandosi di dosso la giacca. «Farò il bagno così com'è. Se sarà fredda, tanto meglio.»
Quando si unì alla compagnia per la cena, il suo corpo era di nuovo sotto controllo. Si rallegrò al vedere che Dorcas e Anthony Grisham erano già lì, evitandogli di rimanere solo con sua moglie. Ellen, comunque, non mostrava alcun segno di turbamento.
Lo salutò con fredda cortesia, e rimasero ai lati opposti della sala per la mezz'ora che Jamie trascorse con loro. Quando venne annunciata la cena, Ellen chiese a Tony di accompagnarla, lasciando Max a scortare Dorcas. Mentre attraversavano la sala, lui l'ascoltò chiacchierare serenamente con il suo amministratore.
La duchessa perfetta.
Ellen aveva ordinato che quattro posti venissero sistemati a un capo del tavolo, spiegando a Tony che lo considerava di famiglia e sperando che non si offendesse per una soluzione tanto informale.
«Niente affatto, ma'am» le garantì lui. «Anzi, ne sono onorato.»
Max sapeva che Dorcas non avrebbe approvato e attese che pronunciasse qualche commento aspro, ma la duchessa vedova si limitò a mettere il broncio.
Finché i coperti non furono rimossi, niente rovinò l'atmosfera del pasto. Non appena i domestici si ritirarono, però, Dorcas domandò: «È vero che hai comprato un cavallo per il marchese, Maximilian?».
«È un pony» spiegò Ellen sorridendo. «Una splendida, piccola creatura. Sono sicura che Jamie sarà fuori di sé dalla gioia quando lo vedrà, domattina.»
«Lo terrete allora, Vostra Grazia?» chiese Tony.
«Sì. Vorrei andare da Allendale per prima cosa, domattina, e pagargli il prezzo pattuito.»
«Sono sorpresa che tu consenta una spesa tanto frivola» dichiarò Dorcas.
«Non la ritengo una spesa frivola» replicò Max con calma. «E poi è più che coperta dalla vendita dei cavalli da carrozza in eccedenza.»
Tony si girò verso Ellen. «E che ne pensate della vostra giumenta, ma'am?»
«Devo ancora provarla, ma sono certa che sarà perfetta. Ho saputo che siete stato voi, Mr. Grisham, a trovare quel bellissimo pony per Jamie. Vi sono debitrice, signore.»
«Non è stato niente» si schermì lui, liquidando con un gesto i suoi ringraziamenti. «Sapevo che il duca voleva una monta adatta al marchese, e il pony sembrava l'ideale.»
Max rise. «E se conosco Jamie, lo vedremo correre a capofitto per tutto il parco, per la fine dell'estate!»
Tale affermazione suscitò un grido inorridito da parte della cognata. «Come puoi essere così sconsiderato, Maximilian?» Prese il fazzoletto e se lo premette sulle labbra. «Vorresti... vorresti che il bambino rischiasse il collo, come suo zio?»
Max era sbalordito, ma Ellen allungò immediatamente una mano verso la cognata. «Oh, mia cara!» esclamò. «Vi domando scusa, se i nostri discorsi vi hanno turbata.»
«La morte di Hugo è stata un incidente» osservò Max, irrigidendosi, «ma mio figlio deve imparare a cavalcare.» Poi guardò Ellen, chiedendosi se la sortita di Dorcas le avesse fatto cambiare idea, ma lei si limitò a sorridere.
«Certo che deve» convenne. «Stevens gli insegnerà, e non dubito che sarà un maestro molto attento.» Spinse indietro la sedia e si alzò. «Vogliamo lasciare i gentiluomini al loro brandy?»
Quando le due donne furono uscite, Maximilian riempì il bicchiere di Tony, poi il proprio.
«Sono stato insensibile?» gli domandò. «So che la duchessa vedova ha dichiarato che non avrebbe mai più cavalcato, dopo la morte di Hugo, ma pensavo fosse perché non ci teneva particolarmente. Non mi ero reso conto che fosse così turbata.»
«Il che significa che era profondamente legata a vostro fratello» mormorò Tony.
«Oppure che è eccessivamente sensibile» suggerì Max. «Dannazione, non si può vivere in campagna e non cavalcare!»
«La duchessa è d'accordo con voi, Vostra Grazia. Non lo direbbe se non lo pensasse.»
«Già, è così.» Max vuotò il suo bicchiere e afferrò di nuovo il decanter. «Dimmi, qual è l'opinione del personale sulla nuova duchessa? È qui da più di un mese, e di certo sta lasciando il segno.»
«Tutti l'adorano» rispose Tony con semplicità, sostenendo l'occhiata di Max con uno sguardo fermo. «È così, Vostra Grazia. Alcuni erano un po' scettici, all'inizio, perché ci era stato dato a intendere che potesse non essere adeguata...»
«Da mia cognata, suppongo.» Max fece una breve risata. «Quell'espressione mi dice che ho ragione! Va' avanti.»
Spinse il decanter verso l'amministratore, il quale riempì il proprio bicchiere e restò per un momento con la mano stretta attorno allo stelo. «Ecco» cominciò, pensieroso. «La duchessa ha un vero talento nel farsi voler bene dalle persone. Non che tolleri l'insolenza, o la trascuratezza, da parte dei domestici, e loro la rispettano, per questo. Si è assunta la gestione dei conti, il che mi ha sollevato di parecchio lavoro. E la sua comprensione di ciò che serve alla terra è eccellente. È una vera risorsa, se posso dirlo.»
«Buon Dio, neppure un difetto?» esclamò Max, sconcertato. Vide le sopracciglia di Tony sollevarsi e osservò, acido: «A sentirti, si direbbe che è perfetta».
«Be', all'inizio la duchessa mi ha confessato di non aver mai gestito una dimora di questa grandezza, ma non teme di chiedere informazioni, o consigli.» Tony esitò un momento, poi aggiunse: «È determinata a essere una buona duchessa, Vostra Grazia».
«Al diavolo se lo è!» Max fissò accigliato il bicchiere. Era perfetta, per Rossenhall, lo sapeva.
Potrebbe esserlo anche per te, se glielo permettessi.
Ecco qual era il problema. Lui non osava abbassare la guardia, o quei demoni gemelli di colpa e rimorso che lo perseguitavano avrebbero alzato la testa, distruggendolo.
Quando ebbero finito il brandy, lui e Tony raggiunsero il salotto, dove trovarono Ellen, sola, a lavorare al suo ricamo.
«La duchessa vedova si è ritirata, aveva un principio di emicrania» spiegò, mettendo da parte il telaio. «Fa molto caldo, e penso si preannunci una tempesta. So che alcune persone sono suscettibili a un simile tempo.»
«Ma non voi, duchessa?» dedusse Tony.
«Oh, no» rispose lei in tono allegro. «Godo di ottima salute. Il che mi ricorda, Mr. Grisham, che ho saputo che Phelps, il ragazzo che porta il carro, si è rotto la gamba e che non potrà lavorare per un po'. So che mantiene la madre vedova e i fratelli più giovani, ma non conosco la famiglia. Pensate che si offenderebbero se portassi loro un cesto di cibo?»
«Per niente, ma'am, anzi, sono sicuro che ne sarebbero grati. Mrs. Phelps fa un po' di cucito, ma le sue entrate non saranno sufficienti a mantenere tutti, mentre il ragazzo è bloccato a letto.»
«Ah, allora porterò anche un paio di vestiti che devono essere riparati e le pagherò qualcosa in anticipo.»
Tony aveva ragione, pensò Max, ascoltando la loro conversazione. Ellen era una risorsa, per Rossenhall. Era probabile che ne sapesse già di più di lui, sulla gente del posto. Quando cavalcava per le tenute, gli uomini erano abbastanza contenti di parlare con lui riguardo agli animali, al tempo e ai raccolti, ma di rado offrivano informazioni sulle famiglie, a meno che lui non gliele chiedesse, e anche allora erano restii a lamentarsi. Max sapeva che sua moglie usciva spesso in calesse con Tony e, ora che aveva un cavallo proprio, sarebbero stati in grado di spingersi anche più lontano.
Si agitò sulla poltrona. Non era Tony che avrebbe dovuto cavalcare con Ellen.
«Vi chiedo perdono, Vostra Grazia, non intendevo monopolizzare il nostro ospite.» La morbida voce musicale di Ellen irruppe nei suoi pensieri. «Non dovremmo proprio parlare di affari, quando sono sicura che entrambi ne avete avuto a sufficienza, durante il giorno.»
«Per niente» replicò Max. «Sono felice che voi siate così interessata, mia cara. Forse domani voi e io dovremmo cavalcare insieme, così avreste la possibilità di provare la vostra nuova giumenta.»
Non ci si poteva ingannare sul piacere che lampeggiò sul volto di Ellen, alla prospettiva, o sulla vampata di colore che salì alle sue guance, quando accettò l'invito.
«Un piano eccellente, Vostra Grazia» convenne Tony. «Ci sono diverse cose che avevo intenzione di portare alla vostra attenzione, ma non c'è più bisogno che venga con voi, la duchessa le conosce già, e può spiegarvi tutto. Posso prepararvi una nota in mattinata. Anzi, me ne occuperò subito, se volete scusarmi.»
Max ed Ellen protestarono, ma Tony insistette che era proprio ciò che desiderava fare, e così Max si ritrovò da solo con sua moglie. Lei riprese in mano il telaio e vi mise alcuni punti. Nella stanza l'aria era soffocante, calda e fastidiosa, e presto mise di nuovo da parte il ricamo, esclamando: «Santo cielo, ma è davvero afoso!». Si avvicinò a una delle portefinestre, lottando con la chiusura.
«Lasciate fare a me.» Quando la raggiunse per aprire la finestra, Max poté sentire l'elusiva fragranza di gelsomino e mughetto che ricordava così bene. Un torrido desiderio spinse i suoi pensieri a un galoppo selvaggio e, quando si fu ripreso, lei aveva spalancato le finestre ed era uscita sulla terrazza. In un istante il suo delicato profumo si perse nell'aroma dei fiori del giardino, denso e potente nella pesante aria della sera.
«Ah, così va meglio.» Lei tirò indietro la testa e trasse un profondo respiro, prima di girarsi a guardare da sopra la spalla. «Non vorreste uscire e godervi quest'aria con me?»
Il cielo della sera era livido di pesanti nuvole violacee ma, quando Max uscì sulla terrazza, il sole fece uno sforzo finale, apparendo per un ultimo, glorioso attimo di splendore e dipingendo il paesaggio di vividi colori.
La guardò. Ellen stava fissando la scena che avevano davanti, le labbra color ciliegia dischiuse per il piacere. Una brezza sottile le arruffava i riccioli, trasformandoli in oro fuso alla luce del tramonto, e premeva la fine mussolina del vestito contro le sue forme. Era come se la natura lo stesse provocando attraverso la bellezza di sua moglie.
«È davvero magnifico, vero, Max?»
Ellen si girò verso di lui, gli occhi azzurri risplendenti di un fuoco interno che rivaleggiava con gli zaffiri che le adornavano il collo. Max ruotò su se stesso. Era l'unica donna che avesse mai desiderato, ma doveva resisterle. Aveva combattuto battaglie, aveva subito pallottole e ferite di spada, ma nessuna delle cicatrici che aveva riportato era stata profonda quanto il suo abbandono. Lo avrebbe tenuto bene a mente, e non si sarebbe arreso di nuovo. Perdersi in lei, trovare la felicità, per quanto fuggevole, tra le sue braccia, avrebbe significato un tradimento nei confronti di tutti gli uomini che erano morti a causa della sua temerarietà.
Max cercò una distrazione, e i suoi occhi caddero sulle rose che si arrampicavano sulle basse pareti della terrazza. «I fiori secchi devono essere rimossi» osservò in tono aspro. «Ne parlerò a Hobbs domattina.»
Poi avvertì un tocco gentile sulla manica. «Non voltarmi le spalle, Max» mormorò, abbandonando ogni pretesa di formalità.
Quando non si mosse, Ellen gli si piazzò davanti, gli occhi scintillanti di lacrime. Allora lui le mise una mano sulla guancia, e lei chinò la testa per premere un bacio sul suo palmo. A quel punto, le difese di Max crollarono. La sua mano scivolò sul collo di Ellen, e l'attirò vicino a sé e, quando lei sollevò il viso, non riuscì più a trattenersi e la baciò con passione selvaggia.
Con un piccolo gemito, Ellen gli cinse le braccia attorno al collo, restituendo il bacio con eguale fervore, stuzzicando la sua lingua con la propria. I ricordi lo sommersero: il gusto di lei, la sensazione del suo corpo nudo, arrendevole e appassionato, premuto contro il proprio mentre si muovevano insieme, la pelle bollente contro le fresche lenzuola di cotone.
Il bacio durò quanto quel finale lampo di luce. Mentre il sole scompariva, Max sollevò la testa, traendo un profondo respiro spezzato. «No.» L'allontanò da sé. «Mi hai stregato una volta, Ellen, ma non ti permetterò di farlo di nuovo.»
Gli occhi di lei erano enormi e luminosi, nel crepuscolo, carichi di una tristezza che affondava come un pugnale nelle sue viscere, ma Max aveva troppa paura, per cedere. «Buonanotte, madam.»
Quindi le volse le spalle e se ne andò, la schiena diritta, la spina dorsale che pizzicava alla consapevolezza che lei era alle sue spalle. Gli sarebbe corsa dietro, pregandolo di restare, di fare l'amore con lei? Ci mise un'eternità a raggiungere la portafinestra e a entrare nel salotto, e ogni passo provò allo stremo la sua forza di volontà. Santo cielo, era soltanto un uomo, sarebbe bastata una parola, un tocco, per mandare in brandelli la sua risoluzione.
Invece non ci fu niente, solo il silenzio. Quando lasciò la stanza, chiudendo la porta dietro di sé, arrischiò un breve sguardo alle proprie spalle.
Ellen non si era mossa. Era ancora sulla terrazza, un'immobile figura contro il cielo che andava scurendo.