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46º Latitudine Nord
La mattina dell’8 febbraio 1945 era gelida a Jalta, come in tutta la penisola di Crimea, e nella vasta Ucraina la temperatura si rifiutava di salire oltre i quattro gradi sotto zero, ma Miguel Ortuzar – Miša per gli ufficiali sovietici – rifiutò la tazza di tè che gli offriva il suo aiutante e si dedicò alla preparazione del menu.
Per espresso desiderio di Stalin il banchetto doveva cominciare col caviale, seguito da storione in gelatina e stambecco della steppa arrostito. Anche gli inglesi di Churchill desideravano cominciare col caviale – non faceva schifo nemmeno a loro – e proseguire con manzo stufato e maccheroni. Quelli che si rifiutavano anche solo di sentire l’odore del caviale erano gli yankee di Roosevelt, che come ogni giorno sceglievano fra pesce bianco allo champagne e pollo fritto con insalata.
Miša vide con soddisfazione che poteva contare su ottimi rifornimenti, arrivati in casse contrassegnate dalla scritta JALTA 208, e decise di aggiungerci degli spiedini d’agnello, oltre a delle quaglie in salmì.
Mentre il suo aiutante si dedicava a spennare le quaglie, lui controllò accuratamente il tesoro che custodiva aggiornando l’inventario. Là nel palazzo di Livadija, davanti al Mar Nero, gli inglesi avevano portato 144 bottiglie di whisky, 144 bottiglie di gin, 144 bottiglie di sherry, 100 chili di tè, 100 chili di bacon, 100 rotoli di carta igienica, 2500 tovagliolini di carta, 350 servizi di porcellana e posate e 500 sigari Robert Burns per Churchill, Stalin e le alte cariche con le loro 1000 scatole di fiammiferi. I nordamericani avevano contribuito con 1000 bottiglie di vino del Reno, 1500 bottiglie di whisky Johnnie Walker e King George IV, 2000 scatolette di carne di vitello, 1000 chili di caffè in chicchi e 1000 confezioni di salsa barbecue. Completavano la lista le provviste fornite dall’ambasciatore britannico a Mosca: una dozzina di bottiglie di Château Margaux, annata 1928, e altre 500 bottiglie di whisky di differenti marche, perché su questo Winston Churchill gli aveva ordinato di non lesinare, spiegando che «il whisky è ottimo per il tifo e mortale per i pidocchi». La vodka, il caviale e lo champagne di Crimea erano offerti dal padrone di casa.
La missione di Miša era dar da mangiare a Iosif Stalin, Winston Churchill, Franklin D. Roosevelt e ai 700 alti ufficiali, traduttori e perfino proiezionisti cinematografici che formavano le varie comitive. Aveva ai suoi ordini cuochi e sguatteri russi, inglesi, statunitensi, e tutti si domandavano chi fosse in realtà quell’uomo con i capelli neri impomatati, capace di farsi intendere in russo e in inglese con identica disinvoltura, rispettato, addirittura temuto anche dagli ufficiali dell’NKVD, il Commissariato del popolo per gli affari interni, in quanto chef personale di Stalin.
Il rapporto dell’NKVD su Miguel Ortuzar era pieno di lacune. Nella casella della nazionalità veniva definito cileno, e in quella delle informazioni non verificate si diceva che probabilmente era arrivato a Lisbona nel marzo del 1936 per seguire una donna, una cantante di nome María Martha Esther Aldunate, artista di spicco nella Germania hitleriana, dove era stata protagonista di un paio di film sotto la protezione del ministro della Propaganda Joseph Goebbels e aveva raggiunto una certa fama sotto lo pseudonimo di Rosita Serrano.
Il rapporto continuava riferendo nei dettagli come Ortuzar, durante la sua permanenza a Lisbona, avesse lavorato all’Hotel Vitória, impiego che aveva lasciato nell’aprile dello stesso anno per recarsi a Madrid, anche se non risultavano agganci con esponenti di rilievo del Frente popular. Là era stato di nuovo assunto come cuoco all’Hotel Florida, al numero 2 di plaza del Callao, dove si segnalavano i suoi contatti con i giornalisti statunitensi Ernest Hemingway e John Dos Passos, e con il cineasta olandese Joris Ivens, che aveva aiutato durante le riprese del film Terra di Spagna. A Ortuzar vengono attribuite simpatie per la causa repubblicana ma non risulta iscritto a nessuna organizzazione politica.
Secondo il rapporto dell’NKVD, nel luglio del 1936 Ortuzar stringe amicizia con Michail Kol’cov, corrispondente della Pravda. Il compagno Kol’cov, avvertito del cosmopolitismo sospetto di Ortuzar, nei rapporti inviati definisce lo chef un «artista della gastronomia» con aperte simpatie per l’Unione Sovietica. Nel suo ultimo rapporto il compagno Kol’cov riferisce di avergli insegnato il russo e che Ortuzar ormai lo parla con una certa scioltezza.
Nel gennaio del 1939, su richiesta di Kol’cov, l’NKVD consegna allo chef un salvacondotto e i mezzi necessari per recarsi a Mosca a ricoprire il posto di capo cuoco del Club operaio Rusakov.
Il 1º settembre 1939, il compagno Iosif Stalin, Primo segretario del Consiglio dei ministri dell’Unione Sovietica e Segretario generale del Comitato centrale del Partito comunista dell’Unione Sovietica, fa visita al Club operaio Rusakov, si ferma a cena e dà ordine di concedere a Ortuzar la cittadinanza sovietica e di trasferirlo al Cremlino. A partire da quella cena, interrotta dalla notizia dell’attacco tedesco alla Polonia, Ortuzar diventa il cuoco personale del compagno Stalin...
La cucina del palazzo di Livadija dà su un’ampia terrazza, dove vari prodotti vengono conservati sotto sale e dove due aiutanti russi scolpiscono i vassoi di ghiaccio nei quali verrà servito il caviale. Miša Ortuzar sente il silenzio che precede i passi lenti del grand’uomo e gli aiutanti si allontanano immediatamente. Stalin ha sulle spalle il pesante pastrano grigio e chiacchiera con il Commissario generale per la Sicurezza di Stato Lavrentij Berija.
Miša Ortuzar sa che cosa vuole Stalin e si affretta a tirar fuori da un barile un’aringa sotto aceto con grani di senape e mirtilli rossi. Corre in cucina e torna con una fetta di pane nero su cui ha messo il pesce del Baltico.
«Bravo, Miša. Indovini sempre i miei desideri. Il filetto in salsa d’ostriche a cena era magnifico» dice Stalin dandogli una pacca sulla spalla prima di dedicarsi ai piaceri dell’aringa alla Bismarck.
«Stamattina ho fatto una passeggiata con Churchill e parlando della Polonia quell’inglese arrogante mi ha detto: ‘L’aquila deve permettere agli uccellini di cantare, senza curarsi di che cosa cantano’. E io ho risposto: ‘Egregio Primo Ministro, prima di parlare di uccellini voglio che riportiate nella patria sovietica tutti i cosacchi che avete radunato in Austria’».
Dopo che Stalin e Berija se ne sono andati, Miguel Ortuzar osserva il Mar Nero coperto da una cappa di nuvole basse che nascondono l’orizzonte. L’allusione agli uccellini lo sprofonda in una malinconia che detesta, ma si abbandona al ricordo di quella donna, Rosita Serrano, «l’usignolo cileno».
L’unico favore che ha osato chiedere a Stalin aveva a che fare con lei. Nel giugno 1941, con metà Europa ormai sotto lo stivale nazista, aveva saputo dal suo amico Michail Kol’cov che Rosita Serrano era caduta in disgrazia in Germania. L’usignolo cileno si era servito dei suoi contatti fra i gerarchi nazisti per salvare ebrei e partigiani danesi. Così era stata messa al bando, i suoi beni confiscati, e se non l’avevano ammazzata era solo per gli effetti di contropropaganda che avrebbe avuto l’assassinio di una diva così popolare. Allora, appena qualche giorno prima dell’inizio dell’Operazione Barbarossa, l’attacco nazista all’Unione Sovietica, Ortuzar si era azzardato a chiedere aiuto a Stalin sotto forma di salvacondotti che consentissero a Rosita Serrano di arrivare in Svezia, paese dal quale nel 1943 era stata rimpatriata in Cile.
Guardando l’orizzonte incerto del Mar Nero, a Miguel Ortuzar sembra di sentire la voce della donna, dell’usignolo cileno: «Si a tu ventana llega una paloma, trátala con cariño que es mi persona...»