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Quebec City è semplicemente Québec per i québécois. È il capoluogo della provincia ed è squisitamente francese.

Vieux Québec, la città vecchia, è l'unico centro urbano del Nord America al di sopra del Messico a possedere una cinta di mura. Lo stesso codice postale vanta lo Château Frontenac, l'Assemblée nationale e il Musée national des beaux-arts, per noi anglofoni hotel, sede del governo provinciale e museo delle belle arti. Con le sue pittoresche strade acciottolate, vieux Québec si è meritata un posto nel patrimonio culturale mondiale.

Non così l'angolino della ville di proprietà di Bastarache.

Situato in una brutta via in zona Chemin Sainte-Foy, in una fila di locali consimili, Le Passage Noir era una delle tante bettole che campavano di spogliarelli. Benché privo di fascino, il quartiere occupava una nicchia nell'ecosistema urbano di Quebec City. Oltre alle stripper che sfoggiavano tette&culo in passerella, c'erano spacciatori che offrivano droga agli angoli delle strade e adescatrici che vendevano sesso davanti agli alberghi a ore o sedute su un taxi.

Un agente della SQ ci accompagnò all'indirizzo indicato sul mandato di Ryan. La macchina di Hippo era parcheggiata lungo il marciapiede, insieme a un furgone della Scientifica e a un'auto di pattuglia con la scritta Service de police de la Ville de Québec sulla fiancata.

Ryan e io entrammo al Passage spingendo le pesanti porte di legno. L'aria era pregna dell'odore di birra e sudore. Il locale era piccolo come può esserlo un bar senza diventare un chiosco ed era chiaro che Bastarache non spendeva molto per l'illuminazione.

Un bancone si protendeva al centro della sala. Una rudimentale piattaforma costeggiava la parete di fondo. A destra del palco, luccicava un juke-box Rock-Ola, direttamente dagli anni Quaranta. A sinistra c'era un tavolo da biliardo in disordine, con palle e birilli abbandonati da avventori fatti sloggiare in fretta e furia.

Un poliziotto in uniforme era in piedi accanto all'entrata, gambe divaricate, pollici infilati nella cintura. Il suo distintivo diceva C. Dechesne, SPVQ.

Un uomo sedeva scompostamente su uno degli otto sgabelli accanto al bancone, i tacchi agganciati al piolo. Portava una camicia bianca, pantaloni neri con la riga e mocassini neri lucidi, gemelli d'oro, orologio d'oro, catena d'oro al collo. Nessun cartellino di riconoscimento. Supposi che fosse il barman, trovatosi di punto in bianco senza niente da fare.

Due donne parlavano fumando a uno dei dodici tavoli di fronte al palco. Entrambe indossavano un kimono in poliestere rosa shocking. Una terza donna sedeva in disparte, da sola, con la sigaretta in bocca, lei indossava pantaloncini, top di paillettes, sandali con la zeppa.

Per il resto, il posto era deserto.

Mentre Ryan parlava con Dechesne, io scrutai le signore.

La più giovane era alta, forse sui diciotto anni, con capelli castani opachi e occhi azzurri stanchi. L'altra era una rossa sulla trentina, che aveva decisamente investito parte dei suoi guadagni in una mastoplastica.

La fumatrice solitaria aveva stopposi capelli biondo platino, che le scendevano in ciocche disordinate all'altezza delle orecchie. Collocai la sua età da qualche parte intorno ai quaranta.

Sentendo delle voci, o forse perché aveva percepito il mio interesse, spostò rapidamente gli occhi nella mia direzione. Sorrisi e lei guardò altrove. Le altre donne continuarono la loro conversazione senza mostrare alcuna curiosità nei miei confronti.

«Bastarache ha un ufficio sul retro. Hippo è là dentro.» Ryan parlava a bassa voce alle mie spalle. «Il suo appartamento è al secondo piano. Ci sta lavorando la Scientifica.»

«Lo staff è stato interrogato?» Il mio gesto abbracciò le donne e il barman.

«Bastarache è il capo. Loro sono solo dipendenti e non sanno niente. Oh, e il barista ci ha invitati a baciare il suo peloso culo francese.»

Di nuovo, la bionda posò lo sguardo su di noi e subito lo distolse.

«Ti dispiace se faccio due chiacchiere con l'artista?» domandai.

«Ti interessa qualche nuovo passo?»

«Possiamo lasciar andare il barman e le due tizie in kimono?»

Ryan mi guardò perplesso.

«Ho la sensazione che la signora potrebbe aprirsi, se gli altri non fossero presenti.»

«Chiederò a Dechesne di portarli da me.»

«Okay. Ora stai al gioco.»

Prima che potesse rispondere, feci un passo indietro e sbottai: «Smettila di dirmi che cosa devo fare. Non sono stupida, sai?».

Ryan mangiò la foglia. «Il più delle volte è difficile dirlo» replicò ad alta voce esibendosi in un'interpretazione da Oscar.

«Posso almeno avere le mie foto?» Tesi un palmo, con fare sdegnoso.

«Serviti pure.» Disgustato.

Mi porse la busta che conteneva le stampe, gli identikit e le immagini d'autopsia. Strappandogliela di mano, attraversai la stanza marcando il passo, afferrai una sedia e mi stravaccai a un tavolo.

La bionda aveva seguito il nostro «battibecco» con interesse. Ora i suoi occhi erano fissi sul coperchio di un vasetto di vetro che usava come posacenere.

Dopo un breve scambio di battute con Dechesne, Ryan scomparve attraverso una porta posteriore con la scritta rossa illuminata Sortie.

Dechesne andò a prendere il barman, poi si avvicinò alle due donne in kimono. «Andiamo, ragazze.»

«Dove?»

«Mi dicono che il locale ha una bella area relax di là.»

«E lei?»

«Verrà anche il suo turno.»

«Possiamo almeno vestirci?» gemette la rossa. «Mi sto congelando le chiappe.»

«Rischi del mestiere» disse Dechesne. «Andiamo.»

Riluttanti, le donne seguirono l'agente e il barman, passando per la stessa porta da cui era uscito Ryan.

Avevo finto di agire d'impulso, in preda alla stizza, perciò mi ero scelta un tavolo abbastanza vicino alla bionda da consentirci di attaccare discorso, e abbastanza lontano da non tradire le mie reali intenzioni.

«Stronzo» sibilai tra i denti.

«Il sesso maschile è tutto un'immensa parata di stronzi» disse la donna, schiacciando la sigaretta sul coperchio del vasetto.

«Allora quello è il Gran Maresciallo.»

Emise una risatina di gola.

Mi voltai a guardarla. Da vicino, vidi che i capelli, alle radici, erano scuri. Aveva grumi di trucco rappreso agli angoli degli occhi e della bocca.

La donna si tolse una pagliuzza di tabacco dalla lingua e la gettò via scuotendo la mano. «Sei della polizia?»

«No!»

«E Mister Macho laggiù?»

Annuii. «Un duro. Ha un grosso distintivo.»

«Agente Stronzo.»

Ora fui io a ridere tra me. «Agente Stronzo. Mi piace.»

«Ma non ti piace lui.»

«Il cazzone dovrebbe essere qui per aiutarmi.»

Per il momento, la bionda non abboccò. Io non forzai la mano.

Mostrandomi ancora infuriata, accavallai le gambe e cominciai a far dondolare un piede avanti e indietro.

La donna accese un'altra sigaretta e inspirò a fondo. Le sue dita erano giallo nicotina sotto unghie finte rosa.

Restammo sedute senza parlare per alcuni minuti, lei a fumare, io a cercare di ricordare che cosa avevo imparato da Ryan sull'arte dell'interrogatorio.

Stavo per fare un tentativo, quando la bionda ruppe il silenzio.

«Mi hanno fatto sloggiare così spesso, che conosco per nome tutti gli sbirri della Buoncostume. Il tuo Agente Stronzo, però, non l'ho mai incontrato.»

«È un SQ, da Montréal.»

«Un po' fuori zona.»

«Sta cercando delle ragazze scomparse. Una è mia nipote.»

«E queste ragazze sono sparite da qui?»

«Forse.»

«Ma se non sei del mestiere, perché questo privilegio di venire con lui?»

«Ci conosciamo da un sacco di tempo.»

«Te lo scopi?»

«Non più» dissi con fare sprezzante.

«È stato lui a procurarti quel livido?»

Mi strinsi nelle spalle.

La donna inspirò, poi soffiò un cono rovesciato di fumo verso il soffitto. Lo guardai salire lentamente e dissolversi, illuminato dai neon sopra il bancone.

«Tua nipote lavora qui?» domandò la bionda.

«Potrebbe avere agganciato il proprietario. Tu lo conosci?»

«Diavolo, sì che lo conosco. Tra una cosa e l'altra ho lavorato per il signor Bastarache per vent'anni. Per lo più a Moncton.»

«E come ti sembra?»

«Paga discretamente. Non permette ai clienti di molestare le ragazze.» Sporse in fuori le labbra, scuotendo la testa. «Ma lo vedo di rado.»

Sembrava strano: Bastarache abitava proprio lì sopra. Archiviai il commento per ripensarci più avanti.

«Mia nipote potrebbe essersi fatta coinvolgere in qualcosa» dissi.

«Tutti quanti sono coinvolti in qualcosa, gioia.»

«Qualcosa di più che ballare.»

Non rispose.

Abbassai la voce. «Credo si fosse messa a fare dei filmetti porno.»

«Una ragazza deve in qualche modo guadagnarsi da vivere.»

«Aveva appena diciotto anni.»

«Come si chiama questa nipote?»

«Kelly Sicard.»

«E tu?»

«Tempe.»

«Céline.» Di nuovo la risatina di gola. «Non Dionne, ma non senza un mio fascino.»

«Piacere di conoscerti, Céline Non-Dionne.»

«Che bella accoppiata che siamo.»

Céline tirò su col naso, poi ci passò sopra l'esterno del polso. Infilai una mano in borsa, andai al suo tavolo e le porsi un fazzolettino di carta.

«Da quant'è che la cerchi, questa Kelly Sicard?»

«Quasi dieci anni.»

Mi guardò come se avessi detto che Kelly era una donna del Neolitico.

«L'altra ragazza, invece, manca solo da due settimane.» Non menzionai Evangeline, scomparsa più di trent'anni fa. «Il suo nome è Phoebe Jane Quincy.»

Céline fece un tiro lunghissimo, poi il mozzicone che aveva in mano andò a raggiungere gli altri sul coperchio.

«Phoebe ha solo tredici anni. È scomparsa mentre andava a lezione di danza.»

La mano di Céline si fermò, poi riprese a schiacciare il mozzicone. «Tu hai figli?»

«No» dissi.

«Io nemmeno.» Fissò il coperchio, ma non credo lo vedesse. Stava guardando un luogo e un tempo assai lontani da quel tavolino del Passage Noir. «Tredici anni. Anch'io volevo fare la ballerina.»

«Questa è Phoebe.» Tirai fuori una stampa dalla busta di Ryan e la piazzai sul tavolo. «Nella foto di classe in seconda media.»

Céline esaminò l'immagine. La scrutai in cerca di una reazione. Non ne vidi alcuna.

«Carina.» Si schiarì la gola e distolse lo sguardo.

«L'hai mai vista qui?» domandai.

«No.» Continuò a fissare un punto avanti a sé.

Sostituii la foto di Phoebe con quella di Kelly Sicard.

«E lei?»

Questa volta ci fu una contrazione delle labbra e un movimento degli occhi. Nervosamente, si sfregò il naso con la parte esterna del polso.

«Céline?»

«Sì, l'ho vista. Ma, come hai detto tu, è stato molto tempo fa.»

Avvertii un fremito di eccitazione. «Qui?»

Lanciò un'occhiata al di sopra della spalla e dall'altra parte del bancone.

«Il signor Bastarache ha un posto a Moncton. Le Chat Rouge. Questa ragazza ballava là, ma non è rimasta a lungo.»

«E il suo nome era Kelly Sicard?»

«Non mi dice niente.»

«Kitty Stanley?»

Un'unghia finta rosa si alzò. «Sì. Era quello. Ma ballava con il nome di Kitty Chaton. Carino, eh? "Kitty la Gattina."»

«E quando è stato?»

Un sorriso amaro. «Troppo tempo fa, gioia.»

«Sai che cosa le successe?»

Battendo il pacchetto, Céline fece uscire un'altra sigaretta. «Vinse alla lotteria. Sposò un cliente abituale e uscì dal giro.»

«Ti ricordi il nome dell'uomo o qualche particolare che mi riconduca a lui?»

«Era basso e aveva il culo magro.»

Céline accese la sigaretta, scacciò pigramente il fumo davanti alla sua faccia con una mano. «Aspetta... mi è venuto in mente che tutti lo chiamavano Bouquet Beaupré.»

«Perché?»

«Aveva un negozio di fiori in Sainte-Anne-de-Beaupré.»

Il suo sguardo era fisso, ora, la bocca storta in un accenno di sorriso. «Sì. Kitty la Gattina uscì dal giro.»

Guardando la donna, provai un'improvvisa tristezza. Era stata bella una volta, e avrebbe potuto esserlo ancora senza quel trucco eccessivo e i capelli decolorati. Aveva la mia età.

«Grazie» dissi.

«Kitty era una brava ragazza.» Fece cadere la cenere sul pavimento, dando un colpetto con il dito.

«Céline» azzardai «potresti uscirne anche tu.»

Scosse la testa, lentamente, con lo sguardo di chi non ha più illusioni.

In quel momento apparve Ryan: «Ho fatto una scoperta curiosa».