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Le riprese erano state fatte con una videocamera non professionale. Non c'era audio.

L'ambiente è la stanza di un qualche squallido motel. Il tavolino da parete è in plastica con un rivestimento «effetto legno». Sul letto matrimoniale c'è una trapunta a quadri. Sul muro, sopra la testata del letto, un chiodo proietta una sottilissima ombra.

Normalmente la mia mente avrebbe cercato di immaginare che cosa vi era stato appeso. Un orrendo quadro di quelli prodotti in serie? Una stampa con due cani che giocano a carte e bevono birra? Qualcosa che rivelava il nome del motel o della località?

Ma questa volta tutti i miei sensi erano concentrati sull'orrore al centro della scena.

Una bambina è stesa sul letto. È pallida e ha capelli di seta biondo grano, due treccine trattenute in fondo con un fiocchetto.

Mi si strozzò il respiro in gola.

La bambina è nuda. Non può avere più di otto anni.

Sollevandosi sui gomiti, rivolge lo sguardo fuori campo. I suoi occhi corrono oltre l'obiettivo. Le pupille sono caverne, l'espressione indefinita.

Solleva il mento, seguendo i movimenti di qualcuno che si avvicina. Un'ombra le striscia sul corpo.

La ragazzina scuote la testa per dire «no» e abbassa le palpebre. Una mano entra nell'inquadratura e le colpisce il petto. Lei ricade sul materasso e chiude gli occhi. L'ombra le corre lungo il tronco.

Riflessi contrastanti mi corsero lungo i nervi.

Vattene più lontano che puoi!

Rimani! Aiuta la bambina!

Tenni gli occhi incollati allo schermo.

Un uomo entra nell'inquadratura, il dorso nudo rivolto alla videocamera. Ha i capelli neri, legati sulla nuca, le natiche brufolose.

Le mie dita si cercarono, si afferrarono saldamente. Ebbi una sensazione di vertigine, anticipando nella mia mente l'incubo che stava per avere luogo.

L'uomo afferra la bambina per i polsi e le solleva le braccine fragili. I capezzoli sono due macchioline sulle ombre curve che definiscono la cassa toracica.

Abbassai lo sguardo. Le mie unghie avevano inciso delle mezze lune sul dorso delle mani. Respirai a fondo un paio di volte per calmarmi e tornai a concentrarmi sullo schermo.

La bambina è stata girata. Giace prona, indifesa e muta. L'uomo è salito sul letto. È in ginocchio. Fa per mettersi a cavalcioni su di lei.

Scattai in piedi e mi precipitai fuori dalla stanza. Nessun pensiero cosciente, solo un impulso limbico diretto ai motoneuroni.

Eco di passi dietro ai miei. Non mi voltai.

In piedi accanto a una finestra, nell'atrio, mi circondai il petto con le braccia. Sentivo il bisogno del conforto della realtà: il profilo dei palazzi, la luce del sole, il cemento, il traffico.

Una mano mi toccò la spalla.

«Stai bene?» Ryan parlava dolcemente.

Risposi senza voltarmi. «Questi bastardi. Questi crudeli pervertiti bastardi.»

Non disse niente.

«E per che cosa, poi? Per il loro depravato appagamento? Rovinare così una bambina innocente solo per fare un po' di baldoria? O in realtà è per il piacere di chi guarda? Sono così tanti i malati là fuori, che c'è un mercato per un video come quello? Di una depravazione così oltraggiosa?»

«Li prenderemo.»

«Questi degenerati inquinano il mondo. Non meritano di respirare l'aria del pianeta.»

«Li prenderemo.» Il tono di Ryan rifletteva la ripugnanza che sentivo.

Una lacrima si staccò dalla mia palpebra. Mi passai il dorso della mano sulla guancia.

«Chi prenderete, Ryan? La feccia che gira questa spazzatura? I pedofili che pagano per guardarla, collezionarla, scambiarla? I genitori che prostituiscono i loro figli per intascare quattro soldi? I predatori che si infilano nelle chat sperando di trovare un contatto?»

Mi voltai di scatto verso di lui.

«Quante ragazzine vedremo ancora su quel drive? Sole. Terrorizzate. Indifese. Quante hanno già avuto l'infanzia distrutta?»

«Senti, questi tizi sono moralmente dei mostri, ma il mio lavoro è Phoebe Quincy, Kelly Sicard, Claudine Cloquet e tre ragazze morte che ho trovato sulla mia strada.»

«È Bastarache» sussurrai tra i denti. «Me lo sento nelle viscere.»

«Solo perché è nel giro della prostituzione non significa che sia implicato nel traffico di pedopornografia.»

«Questa è la lurida collezioncina di Cormier. Cormier aveva le foto di Evangeline. Evangeline lavorava per Bastarache.»

«Trent'anni fa.»

«Cormier...»

Ryan mi pose un dito sulle labbra.

«Forse verrà fuori che Bastarache è sporco. Forse verrà fuori che Cormier era un tramite. O forse, invece, che era solo un altro pervertito dalla mente deviata. In entrambi i casi, tutto ciò che c'è su quel drive andrà all'NCECC.»

Si riferiva al Centro di coordinamento nazionale sullo sfruttamento dei bambini.

«D'accordo» in tono provocatorio «che cosa faranno?»

«Indagano su questo genere di reati a tempo pieno. Il Centro ha un database con le immagini delle vittime di abusi e programmi sofisticati di digital enhancement. Stanno mettendo a punto dei metodi per identificare gli stronzi che scaricano questa merda dalla rete.»

«Ogni anno, si fanno più indagini sui furti d'auto che sugli abusi nei confronti dei minori.» Sprezzante.

«Sei ingiusta, e lo sai. I furti d'auto sono semplicemente molti di più e i ragazzi dell'NCECC si fanno il mazzo per salvare quei bambini.» Un rapido gesto della mano in direzione della sala riunioni.

Non dissi nulla, sapevo che aveva ragione.

«Io devo concentrarmi sui casi.» Raccolse le dita verso il palmo. «Quincy. Sicard. Cloquet. Le ragazze trovate morte.» Spinse enfaticamente l'aria con il pugno. «Non mi arrenderò finché non li avrò risolti tutti fino all'ultimo.»

«Guardare è un'agonia.» Le mie parole erano quasi impercettibili. «Non posso fare un accidente di niente per aiutarla.»

«È straziante, lo so. Anch'io riesco a mala pena a restare lì davanti. Ma continuo a ripetere a me stesso: trova qualcosa. Il nome di una via. Un'insegna su un camion delle consegne. Un logo su un asciugamano. Trova qualcosa e ti avvicinerai di un passo a una di quelle bambine. E ovunque si troverà, ce ne saranno altre, magari una di quelle su cui sto indagando.»

Gli occhi di Ryan ardevano con un'intensità che non avevo mai visto prima.

«Okay» dissi, asciugandomi le guance con i palmi. «Okay.» Mi riavviai verso la sala riunioni. «Troviamone una.»

E fu esattamente ciò che avvenne.

Le successive tre ore furono davvero tra le peggiori della mia vita.

Prima di andarsene, la Lesueur spiegò che Cormier aveva salvato la sua collezione in una serie di cartelle. Alcune erano titolate - Ballerine adolescenti, Kinder, Aux privés d'amour, Japonaise - altre erano contrassegnate da codici numerici o alfabetici. Tutti i file avevano la stessa data, probabilmente il giorno del trasferimento sul thumb drive.

Hippo, Ryan e io ci trascinammo faticosamente da una cartella all'altra, da un documento all'altro.

Non tutti i video erano orribili come il primo. Alcuni mostravano ragazzine con trucco pesante e biancheria sexy, altri, bambine o adolescenti che si atteggiavano goffamente a vamp o imitavano spogliarelliste e lap-dancer. Un gran numero, però, conteneva tortura e penetrazione.

Il grado di abilità artistica e di qualità tecnica era variabile. Alcuni filmati sembravano vecchi, altri erano stati chiaramente realizzati in epoca recente. Alcuni mostravano una certa attitudine alla regia, altri erano penosamente amatoriali.

L'intera collezione aveva degli elementi comuni: tutti i soggetti ripresi erano di giovane età e di sesso femminile. Alcuni agghiaccianti filmati coinvolgevano bambine sotto i tre anni.

Di tanto in tanto ci prendevamo una pausa: bevevamo caffè e cercavamo di vincere la repulsione, di concentrarci nuovamente sull'obiettivo.

Ogni volta, controllavo i messaggi sul mio cellulare. Ancora niente da Harry.

A mezzogiorno, avevo ormai i nervi a pezzi e l'umore irritabile.

Stavo aprendo una nuova directory, quando Hippo intervenne.

«A che cosa diavolo serve? Io propongo di passare questa merda all'NCECC e riportare le chiappe sulla strada.»

La cartella era senza titolo. Conteneva otto file. Cliccai due volte sul primo e il video cominciò a caricare.

«Un volto familiare, un particolare sullo sfondo.» Le dita di Ryan tamburellavano sul tavolo, si vedeva che aveva bisogno di una sigaretta.

«Sì?» La voce rauca di Hippo grondava irritazione. «E che ce ne facciamo?»

Ryan inclinò la sedia e piazzò i piedi sul piano del tavolo. «Ora come ora, è la migliore possibilità che abbiamo di individuare una pista.»

«Cormier era un pervertito. È morto.» Hippo ingoiò la milionesima pasticca antiacido.

«Ha fotografato la Quincy e la Sicard.» Ryan non voleva lasciarsi provocare.

«Hello? Quel tizio faceva il fotografo.»

Parlava sul serio, Hippo? O stava solo facendo l'avvocato del diavolo?

«Cormier può portarci a Bastarache» dissi. «Non era il sogno della tua vita inchiodare quel bastardo?»

Ci fu una schermata nera, poi apparve una scena.

La videocamera è puntata su una porta.

«Non abbiamo un bel niente.» Hippo si spostò sulla sedia e il vinile emise uno schiocco.

«Abbiamo il provino.»

«Figuriamoci, vecchio di trent'anni.»

«La bambina che compare in quelle foto era mia amica. Lavorava in casa di Bastarache.»

«Nella notte dei tempi.»

«Quando è stata uccisa!»

«Concentriamoci.» Ryan. Brusco.

Una ragazza appare sulla soglia, giovane, forse di quindici o sedici anni. Porta un abito nero dalla scollatura profonda, legato dietro al collo. Ha i capelli raccolti in un'elaborata acconciatura e troppo rossetto.

La videocamera zooma su di lei. La ragazza guarda dritto nell'obiettivo.

Accanto a me, sentii trattenere il fiato.

I suoi occhi ci fissano dallo schermo. Piega la testa, inarca leggermente un sopracciglio. Accenna un sorriso.

«Oh Maria santa e benedetta» sbottò Hippo, buttando fuori l'aria.

Ryan balzò in piedi. La sua sedia ricadde rumorosamente sul pavimento.

Portando le mani alla nuca, scioglie le spalline del vestito. L'abito scende, ma lei lo trattiene all'altezza del seno.

La stanza era piombata in un silenzio di tomba.

Piegandosi in avanti, dischiude le labbra, ruota la lingua. La videocamera zooma sul suo viso. I suoi tratti riempiono lo schermo.

Ryan levò un dito. «Ferma qua!»

Andai alla tastiera. Misi in pausa. Il fotogramma si bloccò.

Fissammo tutti quel volto.

Ryan pronunciò il nome.

«Kelly Sicard.»

«Che posava per Cormier con lo pseudonimo di Kitty Stanley» dissi io.

«Crétaque!»

«Il figlio di puttana usava l'attività di fotografo per contattare delle ragazze.» Ryan pensava ad alta voce. «Poi le trascinava nel suo traffico di esseri umani.»

«Probabilmente riceveva una quota ogni volta che forniva un corpo fresco.»

«Forse. Ma i pedofili non sono comuni criminali dediti al profitto. Non lo fanno solo per i soldi, lo fanno per il prodotto in sé: è un'ossessione.»

«Credi che quel porco pervertito agganciasse le ragazze solo per aumentare la sua collezione personale?»

«Le motivazioni di Cormier non ci interessano» intervenni io. «Se vogliamo scoprire che cosa è successo alla Sicard, o alla Quincy, o a qualunque altra delle sue vittime, è del cliente che abbiamo bisogno. Il verme che produce questo schifo.»

Ryan e Hippo si scambiarono uno sguardo.

«Bastarache» dissi. «Deve essere lui.»

Hippo si passò una mano sul mento.

«Forse non ha tutti i torti. Bastarache è nel giro dei locali di strip-tease, delle sale massaggi, della prostituzione.»

«Di lì alla pornografia, il passo è breve» gli feci eco. «E da quella, alla pedopornografia.»

«Bastarache è un farabutto» disse Ryan. «Ma non abbiamo niente che lo colleghi a questo.»

«Il provino» dissi.

«Negherà di saperne qualcosa» disse Ryan.

«Anche se lo fa, è sempre pedopornografia.»

Scosse la testa. «È troppo vecchio.»

«Evangeline lavorava per lui.»

«Sembri un disco rotto.»

«Che cosa ci vorrebbe?»

«Un collegamento diretto.»

Frustrata, mi lasciai cadere sulla sedia e schiacciai il tasto play.

L'inquadratura si allarga. Kelly Sicard raddrizza la schiena, si volta e fa giocosamente un cenno con l'indice allo spettatore: vieni con me.

La videocamera segue la languida camminata della ragazza fino all'altro capo della stanza.

Sempre reggendo le spalline del vestito, la Sicard si adagia sul materasso in una posa da gatta.

Guardando, mi domandai quali sogni le riempissero la testa. Passerelle illuminate? Riviste patinate? Ingressi trionfali sul tappeto rosso?

Sorride con fare cospiratorio. Permette a un lembo del vestito di scivolare giù. Entra in scena un uomo, va verso il letto. Succhiandosi un dito, la Sicard alza gli occhi e sorride. Si mette in ginocchio, lasciando ricadere l'abito in vita.

Ci volle fino a pomeriggio inoltrato. Ventidue directory. Centoundici video.

La cartella era intitolata Vintage. La pellicola era vecchia. Le acconciature e l'abbigliamento, in alcune scene, facevano pensare agli anni Cinquanta e Sessanta.

File numero sette. Sceneggiatura non molto originale.

La ragazza è sui quindici anni, alta, con i capelli scuri e la riga in mezzo. Indossa bustier nero, giarrettiere e calze a rete. Sembra a disagio.

Guarda alla sua sinistra. L'obiettivo la segue mentre attraversa una stanza e si siede su una panchetta, a destra di una finestra. Di nuovo volge lo sguardo a sinistra come attendendo istruzioni. La luce del sole le illumina i capelli.

I miei occhi si posarono sulla finestra che incorniciava la figura. Analizzai i tendaggi. Gli infissi. Il paesaggio nebbioso al di là dei vetri.

Impiegai qualche istante a registrarlo.

Premendo il tasto pausa, studiai la schermata. Studiai quella forma, il vago contorno al di sotto.

Da qualche parte, a un milione di chilometri, delle voci parlavano.

Schiacciai play, stop, play.

Tornai indietro. Lo riguardai da capo. E poi di nuovo.

«Ce l'ho.» Calma, anche se avevo il cuore in gola.

Le voci ammutolirono.

«Ho in pugno quel figlio di puttana.»