UN’INTRODUZIONE

 

 

 

Per quelli che vi presero parte, fu un tempo di creazione; c’era terrore e c’era esaltazione, nelle loro idee nuove. Probabilmente la storia non riuscirà a darne un resoconto completo: per farlo ci vorrebbe una maestria come quella necessaria per raccontare la storia di Edipo o di Cromwell, ma è improbabile che un campo così lontano dall’esperienza comune sia noto a qualche poeta o storico.

 

J. Robert oppenheimer, Science and the Common Understanding,
bbc reith lectures, 1953

 

 

 

Quando Oppenheimer faceva queste considerazioni dai toni oracolari, avevo appena iniziato a studiare seriamente la teoria alla quale si riferivano le sue parole, la meccanica quantistica. Le mie conoscenze non erano certo vaste, ma anch’io avrei ritenuto improbabile che all’epoca quella teoria e la sua storia fossero note al di fuori di una cerchia ristretta di specialisti. Da allora le cose sono cambiate. L’ultima volta che ho cercato in rete quantum theory, Google ha fornito più di nove milioni e mezzo di voci, e queste sicuramente includevano poeti e storici, nonché critici cinematografici e monaci buddhisti. Per ricostruire che cosa è accaduto in questi cinquant’anni e passa ci vorrebbe uno studioso serio di storia della cultura, e io non lo sono. Ho vissuto questa trasformazione in prima persona, ma, pur avendo qualche teoria personale in merito, non saprei dire esattamente quando è avvenuta. Tuttavia sono sicuro che è avvenuta non perché sempre più persone apprendevano la teoria quantistica, ma perché sempre più persone venivano a sapere della teoria quantistica, e in particolare della sua interpretazione e dei suoi fondamenti. Sono anche abbastanza certo che, all’epoca in cui Oppenheimer tenne quella conferenza, solo un ristretto numero di fisici aveva un qualche interesse nei fondamenti. A tal proposito vorrei raccontare un aneddoto significativo.

A partire dall’autunno 1957 trascorsi due anni all’Institute for Advanced Study di Princeton, allora diretto da Oppenheimer. Ogni settimana l’istituto organizzava un seminario, al quale assisteva anche lui. Arrivati alla primavera tutti gli oratori più ovvi avevano già parlato, e diventava più difficile trovarne di nuovi. Un mio giovane e brillante collega fu invitato a parlare della teoria quantistica della misura, su cui aveva scritto un preprint. L’argomento è a tutt’oggi controverso: i fisici non concordano sul modo in cui il processo di misura, descritto dalla fisica classica, si inserisca nella teoria quantistica. Era quasi inaudito che un giovane fisico si occupasse di un argomento simile: non era nemmeno considerata fisica. Ammirai il suo coraggio. Non credo che avesse proposto lui di fare una presentazione, penso che gliel’avessero chiesto. Oppenheimer era famoso per stroncare gli oratori che a suo parere gli stavano facendo perdere tempo. In questo caso superò sé stesso: dopo nemmeno cinque frasi del malcapitato, sentenziò che Niels Bohr aveva risposto a tutti quegli interrogativi negli anni Trenta, e che non c’era nulla da aggiungere. Il seminario finì lì. Sono però lieto di annunciare che il mio collega pubblicò lo stesso l’articolo, ed ebbe una carriera di tutto rispetto.

Metto a confronto quest’episodio con una scena di cui fui testimone più di trent’anni dopo, negli anni Ottanta, alla Columbia University. John Bell, a cui secondo me si deve in gran parte il rinnovato interesse per l’argomento, era stato invitato per una conferenza indirizzata all’intero dipartimento di Fisica. La sala per conferenze - la più vasta disponibile - era al completo, rimanevano solo posti in piedi. Era arrivata gente da tutte le università di New York e dintorni - perfino dal New Jersey. Posso assicurarvi che nessuno interruppe Bell per dire che aveva già fatto tutto Bohr.

La scopo del presente volume è dare un resoconto di questo mutamento culturale. Gli argomenti sono eterogenei, e vanno dal Dalai Lama a W.H. Auden. Cercherò di spiegare i concetti teorici relativi nel corso dell’esposizione, senza far uso della matematica. Le parole non possono sostituire completamente la matematica - ma in questo tipo di argomentazioni la matematica non può sostituire completamente le parole. C’è anche una buona dose di autobiografia: spero che i lettori non trovino la cosa invadente: ma è il mio modo di scrivere. Sono sicuro di non aver esaurito l’argomento, che è troppo vasto per una sola persona. Ma spero di averne scritto a sufficienza per far comprendere che le questioni qui trattate sono ora a conoscenza di storici e poeti, come pure di commediografi, romanzieri, registi cinematografici, monaci buddhisti e ideologi comunisti, per non parlare dei fisici.