10. Ritorno dal passato

Jeff fu improvvisamente inghiottito dal buio fatto di nulla. Era già stato nell'iperspazio diverse volte, ma sempre protetto dalle rassicuranti pareti della Hopeful, che lo racchiudevano in un'isola di spazio normale. Ora, invece, c'era soltanto lo scudo protettivo di Norby, che oltre tutto era invisibile, e il ragazzo si sentiva molto solo e sperduto nel grigiore opaco che lo circondava.

Non c'era nulla sopra, non c'era nulla sotto, non c'era nulla da nessuna parte. Quanto sarebbe durato quel niente sconfinato? Jeff non sapeva quanto tempo sarebbe occorso a Norby per rifornirsi di energia, perché era una cosa che prima il robot aveva sempre fatto da solo; del resto, in quel vuoto grigiore era possibile misurare il tempo? Jeff non sapeva darsi una risposta.

Quando si chiese se la riserva di ossigeno contenuta nei serbatoi di emergenza di Norby sarebbe durata abbastanza, si sentì assalire da un'ondata di panico e si rese conto che stava respirando affannosamente, consumando l'ossigeno molto più in fretta.

— Devo usare una delle tecniche di respirazione che mi ha insegnato Fargo — disse, ma si accorse, con raccapriccio, che dalla gola non gli era uscito alcun suono, e la sua angoscia aumentò quando si rese conto di non poter vedere il suo stesso corpo.

L'iperspazio non lo aveva mai spaventato tanto. Si costrinse a controllare il respiro e atteggiò i muscoli del viso a un tranquillizzante sorriso. Rilassò i piedi e le gambe, poi le braccia, il tronco, tutto il corpo. Cercando di ignorare l'orribile sensazione di essersi perso nell'universo, recitò la litania del solstizio:

— Io sono parte dell'universo, parte della vita. Sono una creatura terrestre, generata dalla vita che si è evoluta sulla Terra. — Si fermò un momento e adattò il seguito alla sua situazione attuale: — Non importa quanto io sia lontano dalla Terra, nel tempo e nello spazio: non dimenticherò mai il mondo che è la mia culla. Rispetterò ogni forma di vita e ricorderò che siamo tutti parte dello stesso Uno. In qualunque pericolo io mi possa trovare, l'universo è Uno.

Alla fine si sentì più tranquillo e soltanto quando si senti stringere la mano si ricordò di essere aggrappato a Norby nella solitudine dell'iperspazio.

— 'Tutto bene, Jeff?' — il messaggio telepatico di Norby gli giunse con incredibile chiarezza.

— 'Sì. Sei a posto?'

— 'Completamente rifornito, in perfetta forma e pronto per ripartire.'

— 'Perfetto. Allora andiamo avanti nel tempo. Ho deciso che dobbiamo salvare Pera. Anche lei fa parte della vita, come te e me'.

— 'Pera? È un bel diminutivo per Perceiver: piccolo e femminile, proprio come lei. Neppure io voglio che Pera muoia, ma salvandola rischieremmo di cambiare il futuro.'

— 'Non so se agiremo nel modo giusto. Come prima cosa, dovremo tornare sulla nave aliena. Da li andremo avanti nel tempo fino a un momento in cui il pianeta si stia già formando, ma precedente alla distruzione della nave. Allora Pera manderà la sua scatola nell'iperspazio, così avrà compiuto il suo dovere e potrà venire con noi senza che per questo il futuro debba cambiare. Certo, nel pianeta verrà a mancare la sua massa, ma questo dovrebbe essere irrilevante'.

— 'Ottima idea, Jeff! Sono contento di tornare là: Pera mi piace molto'.

Con un sobbalzo improvviso, Norby e Jeff sbucarono fuori dall'iperspazio e il robot si diresse verso l'astronave con tanto slancio che, appena furono nel primo corridoio, Jeff dovette fermarsi a riprendere fiato.

— Uff! — sbuffò il ragazzo. Poi, mentre il respiro a poco a poco gli tornava normale, riprese a comunicare mentalmente con il singolare amico: — 'Lasciami riflettere un attimo, Norby. Temo che sarà più pericoloso di quanto io abbia previsto. Dobbiamo andare avanti nel tempo fino a un momento in cui il pianeta si stia formando, ma la nave sia ancora intatta. Pensi di poterci riuscire?'

— 'Devo riuscirci per forza. Non possiamo arrivare troppo tempo prima che Pera abbia terminato il suo lavoro, ma nemmeno troppo tardi. Farai meglio ad aiutarmi, Jeff. Stringimi la mano e concentrati con me.'

Dopo un'ultima occhiata ai disegni che scintillavano sulle pareti, Jeff chiuse gli occhi e si concentrò, cercando di sintonizzarsi con la mente di Norby. Per un periodo di tempo che a lui sembrò un'eternità non accadde nulla, o quanto meno ebbe l'impressione che non accadesse nulla; ma all'improvviso si sentì come nel mezzo di un terremoto. Apri gli occhi e vide i disegni fosforescenti ondeggiare furiosamente. L'intera nave sembrava gemere sotto la forza che comprimeva il suo scafo.

— 'Siamo spaventosamente vicini al momento cruciale, Norby! Presto, dobbiamo raggiungere immediatamente la sala centrale!'

Norby, per tutta risposta, se lo tirò dietro tanto velocemente che questa volta Jeff ebbe paura davvero di soffocare.

Pera fluttuava serenamente nella sala centrale, appena al di fuori della barriera energetica che proteggeva l'enorme sfera.

— Siete tornati! — esclamò sorpresa, vedendoli. — Per tutti questi anni vi ho pensati con tanta nostalgia. Sapeste quante canzoni ho composto per voi! Ma ora dovrete andarvene di nuovo: sto per lanciare le mie registrazioni nell'iperspazio e tra poco la nave andrà in pezzi.

Le vibrazioni si facevano sempre più violente e Jeff dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non perdere il sangue freddo.

— Spediscile subito — disse a Pera — poi Norby ci porterà fuori di qui e andremo insieme nell'iperspazio. Non devi morire!

— Jeff! — gridò Norby. — Non posso più uscire dalla nave! I miei sensori dicono che la parte esterna è già distrutta e io sono bloccato qui dal campo magnetico. Siamo in trappola!

Jeff si sentì raggelare, ma si sforzò di conservare la calma.

— Allora portaci indietro nel tempo, in un qualsiasi momento: basta che usciamo di qui.

— Non posso: le forze sono troppo potenti. Oh, Jeff, ho fallito! Mi dispiace, Pera. È la fine per noi tutti.

— Pera... è un nomignolo davvero grazioso — il robot si avvicinò a Norby. — Mi dispiace che voi siate rimasti bloccati qui dentro, perché vedo che questo vi rende infelici, ma non posso aiutarvi a uscire. Se questo può consolarvi, ricordate che morendo faremo parte tutt'e tre del nuovo pianeta; e niente potrà più separarci l'uno dagli altri. — Pera aprì la sezione del suo corpo che conteneva la scatola delle registrazioni. — Ora devo portare a termine il mio lavoro.

— Aspetta un momento! — la fermò Jeff, — Quella scatola andrà direttamente nell'iperspazio?

— Sì, passando attraverso il campo magnetico.

— Allora quando la attivi tienila stretta. Noi ci attaccheremo a te, a nostra volta, e forse verremo portati tutt'e tre nell'iperspazio.

— Mi piacerebbe, ma non sono queste le istruzioni che ho ricevuto.

— Pera — disse Jeff, in tono grave — tu sei stata istruita dagli Altri, che non sapevano che io e Norby saremmo stati qui in questo momento. Gli Altri erano esseri protoplasmici, proprio come me, e io ti ordino di cambiare il tuo programma.

— Non sono tenuta a ubbidire ai tuoi ordini — mormorò Pera, con una vocetta sottile — ma lo farò, perché non voglio che moriate per causa mia.

Jeff prese per mano i due piccoli robot e Pera posò il pollice della mano libera sul pulsante che serviva per attivare la scatola, mentre Norby allargò il suo scudo protettivo fino a includervi anche lei.

Attorno a loro le pareti della sala centrale tremavano e scricchiolavano paurosamente. Il fragore delle strutture esterne che crollavano si faceva sempre più assordante e vicino.

Proprio mentre Jeff stava pensando che non avrebbe potuto sopportare a lungo quel frastuono, le pareti del salone cedettero di colpo e crollarono verso di lui con un boato terribile.

Pera fece appena in tempo a premere il pulsante.

Jeff si trovò di nuovo nel nulla dell'iperspazio, ma questa volta si concentrò sulla sensazione fisica delle sue mani che stringevano quelle di Norby e Pera. Non poteva vedere i due piccoli robot, ma sapeva che erano molto vicini a lui e non si sentiva più solo e sperduto.

— 'Jeff — gli giunse il pensiero di Norby — 'siamo nell'iperspazio, ma la scatola di Pera non c'è più: non so dove sia andata né quando.'

— 'Come "quando"?'

— 'I miei sensori dicono che ci ha portati attraverso il tempo, oltre che nell'iperspazio.'

— Di quanto tempo ci siamo allontanati? E quanto ci siamo spostati nell'iperspazio?'

— 'Non lo so.'

— 'Che conforto poter sentire i vostri pensieri in questo strano posto — intervenne Pera, parlando telepaticamente per la prima volta. — Questa è un'esperienza nuova per me. Neanche io saprei dire di quanto ci siamo spostati nel tempo, ma mi sono appena accorta di poter stabilire di quanto ci siamo allontanati dalla nave aliena.'

— 'Dici davvero, Pera? — Jeff guardò speranzosamente il piccolo robot sferico. — Allora dimmi se ci siamo allontanati abbastanza da non restare intrappolati dentro il pianeta, tornando nello spazio normale.'

— 'Direi di sì, ma non ne sono del tutto certa.'

— 'Ah-ha! — gongolò Norby. — A quanto pare, non sono l'unico robot a non avere la certezza assoluta di qualcosa.'

Nonostante la situazione pericolosa, a Jeff venne da ridere.

— 'Fargo dice che la certezza assoluta non è compatibile con un alto grado di intelligenza, quindi non ci resta che correre il rischio. Norby, portaci fuori da qui, così scopriremo dove ci troviamo e quando.'

Aspettando di tornare nello spazio normale, Jeff cercò di non pensare che Pera avrebbe potuto essersi sbagliata. In tal caso avrebbero rischiato di riemergere all'interno del pianeta o, peggio ancora, di una stella.

La prima cosa che avverti fu una sensazione di calore su tutto il corpo. Riapri gli occhi alla luce del sole. Poco lontano c'era un pianeta fangoso che sembrava venirgli rapidamente incontro; poi senti sul viso una folata d'aria, che presto divenne vento freddo.

— Norby, metti in funzione l'antigravità! — gridò. — Stiamo precipitando!

Norby azionò la sua mini-anti-G e la caduta libera si bloccò con un violento contraccolpo.

— È un pianeta? — chiese Pera. — Non ne avevo mai visti. È uno dei più belli?

— È un pianeta — confermò Jeff— ma senz'altro non dei migliori. È Melodia e, dal momento che è prevalentemente fangoso, direi che siamo arrivati nel periodo giusto.

— Qual è il periodo giusto? — si informò Pera, perplessa.

— Poco dopo che io e Norby abbiamo lasciato la gabbia in cui gli scivoloni ci avevano rinchiusi con i nostri amici e con gli izziani. Norby, portaci attraverso l'atmosfera, ma abbastanza lentamente da poter riconoscere l'isola principale.

— Ti posso aiutare — si offri Pera. — Anch'io ho la mini-anti-G e la capacità di viaggiare nello spazio normale.

— Benone — Jeff sorrise — così potrò volare con due motori! Però non andate troppo forte: l'attrito mi toglie il respiro e non riuscirei a vedere bene la superficie del pianeta.

Mentre si avvicinavano alla distesa fangosa di Melodia, Jeff raccontò a Pera tutto ciò che era loro accaduto dal momento in cui l'Hopeful aveva lasciato Manhattan per andare alla ricerca degli esseri umani sperduti. Quando giunse a parlare della principessa Rinda, Pera non seppe nascondere il suo entusiasmo.

— Capisco che tu pensi che sia splendida — commento il robot — ma io non so nulla della bellezza degli esseri protoplasmici.

— Aspetta di aver visto Rinda e capirai anche tu. Naturalmente, io l'ho vista solo nell'albero, ma a giudicare dal suo ritratto è una delle più belle creature umane femminili esistenti nell'universo intero. Vorrei tanto vederla di persona!

— Forse la vedrai — disse Pera.

— Ecco l'isola principale! — esclamò Norby. — E quello è il tetto della grande gabbia. Siamo nell'epoca giusta!

— Che strane creature, questi scivoloni — commentò Pera, guardando in basso.

— Strane e molto pericolose — disse Jeff. — Ma come mai non cantano?

I tre atterrarono sul tetto della gabbia.

— Non c'è nessuno! — gridò Jeff; poi lasciò le mani dei due robot e si sedette a pensare.

— Jeff, hai parlato ad alta voce, però gli scivoloni non sono venuti a punirti — fece notare Pera.

— È vero! — esclamò Jeff, sorpreso. Gli scivoloni lo spiavano da dietro gli alberi e i cespugli, ma si mantenevano a distanza di sicurezza. — Non capisco. Dal momento che nella gabbia non c'è nessuno, dobbiamo essere arrivati troppo presto. Ma, allora, perché gli scivoloni sembrano aver paura di noi?

— Prova a cantare, Jeff — suggerì Norby.

Il ragazzo si schiarì un po' la gola, poi cominciò a cantare:

— Buongiorno, scivoloni! scivoloni, buongiorno, buongiorno!

Le piccole creature emisero uno strano sibilo e diventarono viola.

— Non pensavo di avere una voce così brutta, oggi — disse Jeff — Ehi, venite qui!

Ad ogni sua parola gli scivoloni indietreggiavano un poco di più fra gli alberi, tremando e cantando una musica misteriosa che sembrava a Jeff quasi un salmo.

— «Andate via! Andate!» — diceva la musica, senza bisogno di parole.

— Perché hanno paura di voi? — chiese Pera. — Credevo che foste voi ad avere paura di loro.

— Non riesco a capire — mormorò Jeff. — Quando siamo arrivati per la prima volta su Melodia, gli scivoloni si sono comportati amichevolmente e non hanno mai mostrato di temerci, anche quando ci hanno fatti prigionieri.

— Jeff, guarda li! — Norby tirò Jeff per la camicia. C'è un buco su un lato della gabbia!

Il buco era piuttosto grande e il legno intorno sembrava carbonizzato. Jeff scivolò giù dal tetto per osservarlo meglio e vide scintillare qualcosa fra la polvere.

— È una delle medaglie dell'ammiraglio Yobo! — esclamò, raccogliendola. — Ecco che cosa è successo: la scatola di Pera ci ha portati troppo avanti nel tempo, quando tutti i nostri amici hanno già lasciato Melodia!

— Devono essere scappati attraverso questo buco, allora — disse Pera.

— L'albero! — Jeff corse a raggiungere Norby dentro la gabbia, seguito da Pera.

Nel punto dove prima si trovava l'albero sacro di Melodia, adesso c'era soltanto una pianticella dalle delicate foglioline oro e argento, e intorno un mucchio di rami in decomposizione, alcuni già quasi completamente polverizzati.

— Forse era l'albero sacro a dare coraggio agli scivoloni — azzardò Pera — e adesso che non c'è più hanno paura.

— Non lo so, Pera — Jeff allargò le braccia. — Come avranno fatto a scappare, i nostri compagni? Che cosa può aver fatto quel buco nella palizzata? E come avranno fatto a prendere le astronavi e ad andare nell'iperspazio, senza l'aiuto di Norby?

Norby sbatté tutt'e quattro i suoi occhi per l'agitazione che aveva addosso.

— Non possono averlo fatto senza di me: io sono indispensabile!

— Lo sei senz'altro, Norby — lo lusingò Pera. — Forse c'eri davvero, e anche Jeff.

— Che cosa intendi dire?

— Io non capisco il meccanismo dei viaggi nel tempo — si spiegò lei — ma ho la sensazione che tu e Norby siate arrivati qui e abbiate fatto fuggire tutti gli altri. Mi chiedo se ci fossi anch'io o no.

— Allora vuoi dire che non è ancora successo, ma è già successo, e noi c'eravamo ma non ci siamo ancora stati, quindi non lo sappiamo, e... — Norby si interruppe e ritirò la testa nel suo barilotto. — Credo di essere un poco confuso — mormorò, contrito, qualche istante dopo, riemergendo un po' timidamente.

— Lo siamo tutti, Norby — lo rassicurò Jeff — Comunque, credo che Pera abbia ragione. Dobbiamo tornare indietro nel tempo e fare quello che ha permesso al prigioniero di fuggire, anche se non so che cosa sia.

— Qualunque cosa abbiamo fatto — commentò Norby, guardando gli scivoloni che li spiavano timorosi — abbiamo sicuramente dimostrato loro chi è il più forte. Vorrei solamente poter ricordare che cosa è stato.

— Non puoi ricordarlo perché non è ancora successo — gli fece presente Jeff — Siamo finiti per errore nel nostro futuro e dobbiamo tornare indietro.

— Forse non possiamo — Norby si incupì di colpo. — Forse abbiamo sconvolto il passato portando via con noi Pera, e ora il futuro è cambiato. Potremmo addirittura essere di un altro universo!

— Vorrei non avervi mai permesso di portarmi via dalla nave aliena! — si rammaricò Pera. — Alla fine, salvarmi vi ha nuociuto.

— Ma noi dovevamo salvarti, Pera! — esclamò Norby, con enfasi, come se fosse stato lui a proporre di portarla via con loro. — Vedi, il fatto è che tu mi piaci... voglio dire, tu sei... insomma, non era giusto che tu dovessi restare li a morire e...

— Appunto — tagliò corto Jeff, prima che Norby fosse mandato completamente in tilt dall'imbarazzo. — E poi sono certo che questo è lo stesso universo che abbiamo lasciato, e tutto tornerà a posto quando saremo tornati nel tempo giusto.

In realtà Jeff non ne era affatto certo, ma doveva assolutamente calmare i circuiti emotivi dei due robot, uno dei quali era indispensabile per viaggiare in quella cosa piena di tranelli che è il tempo.

— Adesso prendiamoci per mano e concentriamoci — riprese. — Dobbiamo tornare al momento immediatamente successivo alla partenza mia e di Norby da Melodia.

Prendendo per mano i due robot, Jeff si accorse che stava ancora stringendo la medaglia di Yobo e se la mise in tasca, pensando che l'ammiraglio sarebbe stato felice di riaverla.

— Forza, concentriamoci tutt'e tre.

— Io non ci riesco — si lamentò Pera. — Sono troppo preoccupata. Se dovessimo sbagliare, non correreste il rischio di incontrare voi stessi?

— No, è impossibile — la rassicurò Norby. — Non posso andare in un tempo in cui già esisto, quindi non rischiamo di incontrare noi stessi. Arriveremo appena dopo la nostra partenza... almeno spero.

— Non limitarti a sperarlo, Norby — lo ammoni Jeff. — Questa volta esigo precisione assoluta.

— Io sono sempre preciso — protestò il robot.

— Norby...

— Be', quasi sempre — si corresse.

— Norby!

— Non mi sembra proprio che qualcuno mi stia facilitando il compito! — Norby prese a saltare su e giù sulle sue gambe telescopiche. — Volete decidervi a concentrarvi, una buona volta?

— Mi raccomando, Norby, sii preciso.

— Ci proverò, ma ho bisogno di aiuto. Appena i tre svanirono, gli scivoloni si misero a cantare gioiosamente.