8. Prima di Melodia

Quando Jeff spiegò agli altri il motivo del fallimento di Norby, nella gabbia l'atmosfera si fece ancora più cupa e non migliorò con l'arrivo del pasto. Le verdure non erano cattive, ma certamente non buone.

— Cercare di mandar giù questa roba, mentre penso alla nostra situazione, sconvolge le mie funzioni gastro-intestinali — bofonchiò Yobo, esaminando una strana radice contorta che scricchiolava come sedano e sapeva di ostrica. — Mi sta persino passando la voglia di mangiare.

— Allora è molto grave — mormorò Fargo, ammiccando.

— A proposito di mangiare — Albany si rivolse al capitano Erig — come sarebbe a dire che la principessa è stata data in pasto all'albero? È un albero carnivoro?

— Più o meno si — rispose l'izziana. — Mangia attraverso una larga apertura in cima al tronco, fra i due rami principali.

L'albero si chinò in avanti allargando i due rami per mostrare l'apertura.

— È stata gettata là dentro? — Albany rabbrividì. — È terribile!

— Gli scivoloni ci hanno storditi con le vibrazioni — disse l'albero-principessa — poi mi hanno presa, si sono arrampicati l'uno sull'altro e mi hanno gettata qui dentro, senza che io potessi fare nulla per impedirlo.

— Sono felice che non ti abbiano uccisa — mormorò Yobo.

— Sì, ma ora faccio parte dell'albero, e questa non è una sorte migliore. L'albero per mantenersi in buona salute ha bisogno di mangiare proteine animali, di tanto in tanto. Di solito lo nutrono con vermi, e a volte uno scivolone si butta spontaneamente nell'apertura, ma questa volta hanno preferito offrirgli me.

— Perché proprio te? — chiese Albany. — Perché non uno degli altri?

— Perché io sono la principessa. Sono la più bella e canto meglio di tutti — l'albero scoppiò in singhiozzi sonori. — Non potrò mai essere salvata!

L'umore dei prigionieri peggiorò ulteriormente.

— Vorrei avere dei tappi per gli orecchi — mormorò Yobo. — Non ne posso più di sentir cantare quegli orridi esseri!

— La notte va un po' meglio — disse Erig. — Gli Scivoloni si ritirano nel fango e finalmente c'è un po' di quiete. Spero soltanto che nessuno di voi russi: questo li sveglierebbe e li renderebbe irritabili.

— In questo caso — mormorò Yobo, esitante — farò del mio meglio per non russare.

— Gli scivoloni stanno venendo qui — avverti Erig. — Probabilmente vogliono che voi cantiate per loro. Se è così, sarà meglio che li accontentiate.

— Con piacere — disse Fargo. — Almeno potremo esercitarci per la gara canora e per un po' non dovremo parlare sottovoce. Mi fa male la gola a forza di sussurrare!

I terrestri si esibirono a turno. Fargo e Albany eseguirono un romantico duetto, tratto da un vecchio musical; Jeff cantò una breve marcia dei cadetti e Yobo riscosse un gran successo con la sua roboante versione di Astronauti in lotta in swahili marziano.

Intanto Jeff non staccava gli occhi da Norby, che era ancora chiuso nel suo barilotto. Era molto preoccupato per il suo robot: si stava indebolendo? E che ne sarebbe stato di lui, se non fosse più riuscito ad andare a rifornirsi nell'iperspazio?

Durante una pausa, l'altra izziana della Challenger si avvicinò a Jeff, strappandolo per un po' alle sue considerazioni.

— Invidio il tuo robot: lei almeno può ritirarsi là dentro ed escludersi da tutto il resto.

— Norby è un "lui", non una "lei" — puntualizzò Jeff.

— Impossibile! Tutti i robot sono femmina.

— Non sulla Terra.

Lei lo guardò incredula, poi sbuffò e si allontanò, per andare a fermarsi accanto a Fargo. Questo avrebbe potuto essere solo un caso, ma Jeff non era propenso a crederlo, e nemmeno l'izziano più anziano, che sembrò seccato, ma doveva essere troppo stanco per protestare.

L'izziano più giovane sfiorò il braccio di Jeff.

— Laggiù c'è una piccola gabbia laterale con i servizi — mormorò. — In un angolo c'è una pozza d'acqua dove puoi lavarti, ma fa' attenzione a non smuovere il fango. Invece in quella roccia vicino all'albero sacro c'è una sorgente di acqua fresca che sembra potabile.

Jeff sorrise all'izziano, ringraziandolo, poi si accorse che era di nuovo il suo turno di cantare. Stava decidendo il pezzo da eseguire, quando l'albero sacro protese un ramo per sfiorargli una spalla.

— Canta una canzone d'amore — disse la principessa. — Mi basterà sentirla una volta per impararla, poi la canterò con te.

Jeff scelse "Quando sei il grande amore del tuo grande amore", una canzone che era stata nelle classifiche della hit-parade parecchi anni prima, e la cantò traducendola in izziano. Gli scivoloni ne furono deliziati e anche la principessa che, come aveva promesso, si unì a lui nella replica.

— Il mio grande amore! — sospirò Rinda, con un fremito delle foglie. — Forse è davvero arrivato. Oh, sì. È davvero arrivato.

La luce del giorno cominciò a svanire nel buio, e i prigionieri, esausti, andarono a sdraiarsi sui pagliericci sistemati nella gabbia.

Fargo, che ancora non si preoccupava della situazione, nel dormiveglia si mise a parlare delle possibilità musicali di Melodia:

— Pensate... un coro gigantesco... o forse potrei insegnargli un'opera lirica... il loro orecchio è incredibile... miracoli di contrappunto... modulazioni intricate e perfette...

— Pensiamo piuttosto a come poter uscire da questo impiccio — mugugnò Yobo — e non dimenticare che anche le dissonanze hanno il loro valore musicale.

— Non parlare di dissonanze — mormorò Erig, — Significano sferzate!

Jeff non riusciva a distogliere i suoi pensieri da Norby, e quando si fu addormentato sognò che il suo robot era chiuso per sempre nel suo barile e si svegliò di soprassalto.

"E se fosse davvero così?" si chiese il ragazzo, angosciato. "Norby non ha risposto ai miei ultimi messaggi telepatici... Devo tentare ancora."

Allungò un braccio sul corpo metallico del robot disteso al suo fianco e cercò di trasmettergli il suo pensiero:

— 'Norby, mi senti?'

— 'Ciao, Jeff. Gli Scivoloni sono a nanna?' Sentendo il pensiero del suo robot, Jeff tirò un sospiro di sollievo.

— 'Perché non mi hai risposto prima, Norby? Mi hai fatto stare in pensiero.'

— 'Stavo facendo finta di non esistere, così gli scivoloni non mi avrebbero gettato nel fango. Non voglio che lo facciano, Jeff!'

— 'Non lo faranno, sta' tranquillo. Stai bene, comunque?'

— 'No, naturalmente. Come potrei? Ah, sono un fallito!'

— 'No, non è vero. Tu sei mio amico e io ho fiducia in te.'

— 'Dici davvero, Jeff?'

— 'Certo. Tu sei un robot in gamba. Lo hai dimostrato più di una volta.'

— 'Grazie, Jeff. Cercherò di non deluderti. Passerò il resto della notte a pensare.'

— 'Bene. Svegliami pure se hai bisogno di me e soprattutto se dovesse venirti una buona idea.'

Jeff si girò, prese per mano il robot e si addormentò immediatamente. Si svegliò poco prima dell'alba, sentendosi ristorato e stranamente ottimista: gli sembrava persino di aver sognato la soluzione.

In lontananza si udiva il canto dei primi scivoloni che uscivano dal fango. Gli altri prigionieri dormivano ancora.

Improvvisamente Jeff ebbe una folgorazione e si mise subito in contatto telepatico con Norby:

— 'Ho trovato la soluzione, Norby! Non possiamo andare nell'iperspazio, però possiamo spostarci da questa porzione di spazio normale andando indietro nel tempo. Se andiamo nel passato fino a un'epoca precedente alla costruzione di questa gabbia e ci spostiamo di qualche centinaio di metri, tornando nel presente ci troveremo fuori della gabbia e potremo raggiungere la nostra astronave.'

— 'Ci ho pensato anch'io, Jeff— rispose telepaticamente il robot — ma temo che lo scudo magnetico che protegge questo pianeta possa neutralizzare anche la mia facoltà di viaggiare nel tempo, e non sopporterei un altro fallimento.'

— 'La proposta è stata mia, Norby, quindi se tu non dovessi farcela il fallimento sarebbe solo mio. Su, prova, altrimenti non sapremo mai se puoi farlo oppure no. E se ci riesci portami con te.'

La mezza testa di Norby emerse dal barile e, nella tenue luce dell'alba, i suoi occhi guardarono Jeff con gratitudine. Poi sbucò anche un braccio e la sua mano bifronte prese quella del ragazzo.

— 'Tieniti stretto, Jeff II mio schermo protettivo basterà a mantenere anche te come dentro una bolla in cui le condizioni resteranno quelle normali.'

Jeff strinse forte la mano del robot, ma non successe nulla. Il canto degli scivoloni si faceva sempre più nitido e vicino.

— 'Forza, pensa di andare indietro nel tempo.'

— 'Non ci riesco, Jeff Non funzionerà.'

— 'Deve funzionare! Dai, ritenta: cercherò di aiutarti.'

Il ragazzo e il robot chiusero gli occhi e si concentrarono insieme sul passato. Improvvisamente Jeff avverti un gran silenzio e aprì gli occhi.

— 'Norby, dove siamo?'

— 'Non saprei esattamente.'

Era davvero difficile stabilire dove si trovavano: sembravano galleggiare in una specie di nuvola scura, ma Jeff non riusciva a capire di preciso di che cosa si trattasse. Per fortuna le scorte di ossigeno di Norby gli assicuravano aria respirabile, almeno finché fossero durate.

— 'Ci troviamo sopra Melodia, Norby?'

— 'Jeff, qui non c'è nessun pianeta. Siamo nello spazio aperto e questa mi sembra una di quelle nubi primordiali di gas e polvere che si trovavano fra le stelle.'

— 'Come abbiamo fatto a finire fra le stelle?'

— 'Penso che dipenda dal fatto che siamo andati indietro nel tempo di bilioni di anni, quando il sole e il sistema planetario di Melodia non si erano ancora formati.'

— 'Bilioni di anni? Ma sarebbe bastato qualche centinaio!'

— 'Lo so, Jeff. Mi sono confuso un'altra volta. Mi dispiace.'

— 'No, no, Norby, te l'ho detto: l'idea è stata mia e qualunque cosa vada storta la colpa sarà unicamente mia. Se non altro siamo fuori della gabbia, comunque. Sbaglio, Norby, o laggiù la nube è più densa?'

— 'È vero, Jeff I miei sensori dicono che là si sta formando una stella. Forse è il sole di Melodia.'

— 'Quando si accenderà?'

— 'Non saprei dirtelo. Forse fra un milione di anni. Jeff, c'è qualcosa di strano nella direzione opposta a quella in cui si sta formando la stella. Non so cosa sia, ma genera un campo magnetico come quello che circonda Melodia.'

— 'Forse è proprio Melodia!'

— 'Ma non può essere: il pianeta non si è ancora formato. Tienti forte, Jeff: andiamo a dargli una bella occhiata!'

Jeff non avverti minimamente la velocità, ma a Norby bastarono pochi minuti per attraversare il vuoto che li separava dalla sorgente del campo.

— 'Guarda, Jeff!' — esclamò mentalmente il robot.

Dritto davanti a loro, c'era una nave spaziale. A giudicare dalla grandezza della porta, rotonda e parzialmente aperta, l'intera nave doveva essere grande quanto l'isola di Manhattan. A bordo non c'erano luci accese.

— 'È morta, Norby?'

— 'No, se è davvero lei a generare il campo. Entriamo?'

— 'Sì. Forse è una nave degli Altri. Però al buio non riuscirò a vedere nulla.'

— 'Userò i miei sensori e ti descriverò ogni cosa.'

All'interno della nave non c'era gravità artificiale, ma oltre i primi due scompartimenti l'aria era ancora respirabile, stando ai rilevamenti dei sensori di Norby.

Cautamente, Norby disattivò il suo scudo protettivo: l'aria era un po' stantia, ma era ancora abbastanza ricca di ossigeno.

Il ragazzo e il robot attraversarono corridoi tubolari e stanze piene di strani strumenti silenziosi, apparentemente morti. Sui muri si ripetevano bizzarri disegni fosforescenti, abbastanza luminosi da permettere a Jeff di scorgere qualcosa. Jeff, lasciandosi trainare da Norby, aveva quasi la sensazione di trovarsi in un sogno, e i disegni brillanti che si alternavano in colori differenti sembravano messaggi che più nessuno era rimasto a raccogliere.