6. Gli Scivoloni

Albany si avvicinò a Einkan, sorridente, e gli carezzò lievemente la barba.

— Caro Einkan — gli disse con dolcezza — è davvero carino da parte tua non volermi lasciare qui, e sei molto coraggioso ad affrontarci da solo. Però devo dire che non è stata esattamente un'idea geniale: a Manhattan chi punta armi contro la polizia viene arrestato.

— Arrestato? — mormorò Einkan, con qualche difficoltà di pronuncia, dato che Albany aveva usato la parola terrestre. — Che cosa vuol dire?

— Questo! — Albany gli premette un dito alla radice del naso e, quando lui si ritrasse, afferrò saldamente la canna dell'arma e gliela strappò dalle mani.

— Ahi! — si lamentò Einkan. — Non è stato leale da parte tua! Sei tale e quale Luka.

— Un poliziotto è un poliziotto — ridacchiò lei. Norby, conoscendo la prontezza e l'abilità di Albany, non aveva dato la minima importanza alle minacce di Einkan.

— Gli scanner hanno individuato forme viventi che si muovono sotto quegli alberi e nel fango tutt'intorno — annunciò.

— Atterra — ordinò Yobo, in tono solenne. — Tra poco scopriremo che cosa sono queste forme viventi. Potremmo lasciare Einkan con loro: forse vi andrà più d'accordo che con noi.

L'Hopeful discese lievemente, grazie alla sua antigravità, e atterrò su un tratto di terra solida accanto alla Challenger.

Improvvisamente nella sala comandi risuonò uno stridio metallico: proveniva da Norby.

— Cosa succede? — gridarono i terrestri.

— Non urlate!, non fate che peggiorare le cose — protestò Norby, armeggiando freneticamente sul pannello di controllo. — Questo stupido computer ha amplificato troppo il suono proveniente dall'esterno, e io ero sintonizzato con lui.

— Che suono? — domandò Albany.

— Sembrerebbe una serenata o qualcosa del genere — Norby azionò l'altoparlante. — Ascoltate anche voi.

— È un coro bellissimo — osservò Fargo. — Ogni nota è perfettamente intonata. Strano: ho l'impressione di aver già udito questa musica.

— È l'inno nazionale izziano — grugni Einkan, alzandosi da terra. — Le voci sono troppe per essere soltanto quelle dei membri dell'equipaggio, che è formato da due maschi e una femmina, più il capitano, che naturalmente è una femmina, e la nostra beneamata principessa.

— Stai parlando con noi? — Fargo gli lanciò un'occhiata infastidita. — Svelto, faccia al muro, scienziato dei miei stivali. Potresti avere altre armi nascoste addosso e preferisco perquisirti, prima che ti venga in mente di tentare qualche altro scherzo.

— Perquisirmi? — si scandalizzò Einkan. — Che umiliazione!

— Se preferisci, puoi spogliarti e gettare qui tutti i tuoi vestiti.

— Che bella alternativa — mugugnò l'izziano, mettendosi contro la parete con le mani alzate.

— Va bene — disse Fargo, dopo una breve ricerca. — Il nostro amico pare proprio che non ci riservi più altre sorprese.

— Venite a vedere! — chiamò Albany, fissando il visore. — Là fuori qualcosa si muove!

Dagli alberi di fronte alle due astronavi stavano uscendo due file di creature arancioni, che procedevano scivolando su strani piedi somiglianti a lumache, e agitando in modo ritmico quelle che a prima vista si sarebbero dette delle vecchie scope. Invece un'osservazione più attenta rivelò che le scope erano le teste di quelle creature, e le setole tentacoli. In cima a ogni scopa c'era un'apertura che si muoveva, e altre due sul collo, una per parte.

— Cantano attraverso quelle aperture — notò Fargo. — Ognuna di quelle creature ne ha tre. Chissà se questo vuol dire che cantano con tre voci contemporaneamente?

— È così, Fargo — annui Norby. — Gli scanner lo confermano. Vuoi proprio aprire lo sportello?

— Be', siamo qui per una spedizione di soccorso, no? — Fargo inarcò i sopraccigli, notando l'esitazione nella voce di Norby. — Non verrai a dirmi che quelle cose ti sembrano pericolose!

— Non dovrebbero esserlo — intervenne Yobo. — Gli abitanti di questo mondo sono troppo arretrati tecnologicamente per essere pericolosi, e il loro canto è troppo bello per non essere amichevole. Dovremmo comportarci amichevolmente anche noi. Andiamo: aprirò io la strada.

Norby afferrò la mano di Jeff e stabili il contatto telepatico:

— 'Quelle creature non mi piacciono, Jeff'

— 'Norby, tu avresti paura anche di un topo, se non ne avessi mai visto uno!'

— 'Io non ho paura: do semplicemente ascolto al mio intuito, e le loro voci non mi piacciono.'

— 'È che tu invece sei geloso di chiunque sappia cantare.'

— Va' pure, allora! — gridò rabbiosamente Norby, lasciando andare la mano del ragazzo. — Voi umani siete troppo stupidi per riconoscere un pericolo e troppo codardi per avere il coraggio di sembrare codardi. E, come se non bastasse, non vi fate mai alcuno scrupolo a mettere in pericolo anche me. Non pensare che poi non ti dirò: «Te lo avevo detto!». Va bene, va' pure da quegli odiosi scivoloni, perché è così che bisognerebbe chiamarli. Già mi sono enormemente antipatici.

— Su, Norby, non fare il piantagrane — lo rimproverò Fargo. — Questi esseri sembrano inoffensivi e hanno voci stupende. Però "scivoloni" non è niente male, come nome.

Quando tutti furono scesi sul suolo bruno di Melodia, Einkan si immobilizzò e fece segno agli altri di tacere.

— Ascoltate! Non udite una voce in lontananza? È un soprano.

— Mhm... — Fargo sorrise compiaciuto. — È una voce splendida.

— Non solo è splendida: è una voce inconfondibilmente izziana, e sta cantando le parole del nostro inno nazionale, mentre questi nativi ne cantano solamente la melodia. — La voce di Einkan tremò per l'emozione. — È la principessa, ne sono sicuro, solo lei può cantare così!

— Può darsi — annui Fargo. — Gli scivoloni non cantano parole, ma solo accordi e note musicali. Forse non hanno una vera e propria lingua e comunicano soltanto con la musica. Con il mio orecchio eccezionale, imparerei senza sforzo questo loro idioma musicale.

— Bene, allora provaci — disse l'ammiraglio. — Ma per prima cosa dobbiamo raggiungere la principessa. Propongo di metterci subito in marcia, a testa alta, pancia in dentro e petto in fuori, attraverso questa fila di scivoloni. Avanti, march!

Einkan, probabilmente eccitato dalla vicinanza della sua principessa, ignorò le parole di Yobo e corse avanti, scomparendo fra gli alberi.

— Lasciamolo andare — Fargo alzò le spalle. — Se si metterà nei guai, non sarò certo io a preoccuparmene.

Jeff si mise al fianco di Norby. Gli dispiaceva averlo offeso e, in fondo, era un po' preoccupato per quello che aveva detto.

"Non mi sembra probabile che gli scivoloni siano davvero pericolosi" si disse, osservando i loro piedi a lumaca e i loro corpi arancioni sormontati dalla testa a scopa. "Sono piccoli e fragili, non hanno armi né vestiti che possano nasconderne, e non danno alcun segno di esserci ostili."

I terrestri giunsero in una radura e si trovarono davanti un solido recinto di legno. Seguendolo, arrivarono a un'apertura, attraverso la quale scorsero un altro recinto: questo, però, era formato da pali appena distanziati l'uno dall'altro, e la sua porta era chiusa.

I piccoli scivoloni cinguettarono melodiosamente per qualche istante, come se stessero accordandosi, poi iniziarono qualcosa che somigliava a una sinfonia barocca con grande enfasi di comi. Cantando, si avvicinarono alla porta e immediatamente un secondo gruppo di scivoloni si affacciò allo stretto passaggio fra i due recinti.

I nuovi scivoloni cantarono in risposta e gli altri cantarono qualcosa a loro volta; poi tutti insieme si disposero sui due lati dell'entrata e, sempre cantando, si inchinarono ai terrestri.

— Forse prima di entrare — disse Jeff— dovremmo cercare di scoprire che cosa c'è là dentro.

— Ci sono degli esseri umani — rispose Norby.

— Cinque, secondo i miei scanner.

— Einkan ha detto che a bordo della Challenger c'erano cinque izziani, quindi, se anche lui è arrivato qui, là dentro dovrebbero essercene sei.

— Idiota che sono! — Yobo si batté una manata sonora sulla fronte. — Ero tanto preso dalla musica che non ho pensato a lasciare qualcuno di guardia all'astronave. Jeff, tu e Norby tornate a bordo!

— Non credo che questo sarà molto facile — osservò Jeff, indicando un gruppo di scivoloni che si era fermato alle loro spalle bloccando completamente l'uscita del primo recinto.

— Te lo avevo detto! — disse Norby, con voce bassa e tagliente.

Gli scivoloni ondeggiarono le teste e si inchinarono a loro.

— Ci staranno chiedendo che cosa vogliamo? — azzardò Yobo.

— È evidente che non capiscono la nostra lingua pili di quanto noi capiamo la loro — osservò Fargo.

— Forse non stiamo rispondendo al loro abituale scambio di cortesie.

— Dev'essere così — annuì Albany. — Probabilmente vogliono che rispondiamo cantando.

Yobo si schiarì la gola, poi spiegò la sua voce profonda sulle note di I barcaioli del Volga:

— Vi salutiamo! Amici siam e in pace noi veniam...

Gli scivoloni si fecero di un arancione più brillante e presero a dondolarsi avanti e indietro sulle loro estremità inferiori. Quando Fargo unì la sua voce tenorile al basso di Yobo, sembrarono addirittura estasiati. Poi anche Albany e Jeff unirono le loro voci, e gli scivoloni andarono in delirio.

A un certo punto, Jeff udì nuovamente il soprano che aveva sentito cantare in lontananza. La sua voce forte e limpida sovrastava tutte le altre e le parole erano chiaramente distinguibili:

— State attenti! Siate prudenti! Non entrate nel recinto, non entrate non entrate, state attenti, attenti, attenti...

Jeff smise di cantare e guardò gli altri, per accertarsi che avessero compreso le parole cantate dal soprano, ma nessuno dei compagni sembrava badare ad altro che alla propria voce.

Gli scivoloni si unirono al canto dei terrestri e il coro divenne una sinfonia tanto perfetta e armoniosa che presto anche Jeff dimenticò l'ammonimento del soprano.

Al termine dell'esecuzione Yobo e gli altri si inchinarono profondamente e, in risposta, gli scivoloni cantarono I barcaioli del Volga a modo loro: dolcemente e semplicemente, ma senza parole. Poi lo ripeterono aggiungendo trilli, trasponendo le chiavi musicali e introducendo delle complicate modulazioni.

Yobo continuò a inchinarsi, sorridendo a tutti.

— Scommetto che adesso l'ammiraglio diventerà insopportabile — Fargo diede di gomito al fratello. — Vorrà a tutti i costi aggiungere I barcaioli del Volga al nostro repertorio per la gara.

— Non è giusto! — gridò Norby. — Tutti cantano, tranne me!

Dopo questa sentita protesta, il robot si lanciò nella sua personalissima interpretazione della Marcia dei cadetti spaziali.

Gli scivoloni emisero uno strano suono sibilante e divennero viola, poi indietreggiarono mulinando vorticosamente i loro tentacoli.

— Norby, quante volte devo dirti che sei troppo stonato? — intervenne Fargo. — Hai infastidito gli scivoloni. Se dobbiamo essere diplomatici, bisogna evitare di urtarli, quindi sta zitto.

Fargo cantò una strofa di una commovente canzone d'amore, sperando di far tornare gli scivoloni in una migliore disposizione d'animo. Evidentemente raggiunse lo scopo, visto che gli strani abitanti del pianeta si fecero di nuovo arancioni.

Uno dei piccoli scivoloni si avvicinò a Fargo e gli porse quello che sembrava un frutto azzurro.

— Se potessi fare a modo mio — disse Norby, cupamente, dopo aver analizzato il frutto in un attimo — lascerei che questi nativi ti avvelenassero. Invece i miei circuiti integrati mi obbligano a proteggerti, quindi puoi stare tranquillo se ti dico che quella roba è commestibile.

— Non sa di molto, ma non è cattivo — commentò Fargo, dopo aver addentato il frutto.

Gli scivoloni diedero un frutto azzurro a ogni terrestre, compreso Norby, che però lo gettò via stizzosamente. Gli altri si produssero in una vasta gamma di suoni di compiacimento e, quasi senza accorgersene, varcarono la porta del recinto interno, seguiti di malavoglia da Norby.

La porta si richiuse istantaneamente alle loro spalle, e di nuovo risuonò la voce del soprano, in quattro note rabbiose in crescendo: «I-dio-ti!»

Fu Jeff il primo a rendersi conto che si trovavano in gabbia. Attorno a loro c'era il recinto e sopra un tetto fatto a sbarre. Le aperture del recinto e del tetto erano troppo strette perché qualcuno di loro, anche Norby, potesse passarvi in mezzo. Alla loro sinistra c'era la porta di una gabbia più piccola, con muri e tetto molto solidi. Dall'altra parte il tetto si incurvava all'insù per adattarsi a un albero piccolo ma particolarmente bello, con il tronco corto e sottile e lunghe foglie argentate da una parte e dorate dall'altra.

Dalla piccola gabbia, che stava sulla sinistra, spuntò Einkan, seguito da quattro izziani con le uniformi a brandelli.

— La principessa ha cercato di avvertirvi di non entrare — disse sconsolatamente lo scienziato di corte — ma voi non le avete dato ascolto.

— Silenzio! — lo zitti l'izziana più alta, con voce sommessa ma imperiosa. Aveva lunghi capelli neri, raccolti in una treccia nella quale scintillava un filo di rame. Indossava una di quelle lucenti uniformi simili a una camicia da notte ed era palesemente arrabbiata.

— Sono il capitano Erig — si presentò ai terrestri. — Non dovete parlare ad alta voce: potete soltanto cantare o sussurrare. Sembra che quelle piccole creature non possano sentire, se si paria sottovoce. Ma se parlate a voce abbastanza alta da farvi sentire, vi colpiranno fino a che avrete smesso.

— Gli scivoloni ci colpiranno? — ripeté Jeff, piuttosto stupito.

— Ssst! — lo ammoni Erig, portandosi un dito alle labbra con un gesto perentorio. — Sì: i loro tentacoli fanno un male terribile e, fra tutti, ne hanno milioni.

— Te lo avevo detto! — gridò Norby. — Te lo avevo detto! E non mi importa se mi colpiranno: io sono di metallo e a me non possono far male.

Subito un drappello di scivoloni si insinuò attraverso le sbarre del recinto e si avvicinò a Norby, che si rifugiò prontamente dentro il suo barile.

— Affascinante! — mormorò Fargo. — Queste creature hanno un tale senso della musica che i suoni disarmonici offendono i loro orecchi, o comunque gli organi di cui si servono per udire.

Albany indicò gli scivoloni che si erano accalcati intorno a Norby, colpendo con i loro tentacoli il suo corpo metallico.

— Guardate i loro piedi — mormorò. — Da bruni sono diventati arancioni.

Presto gli scivoloni si allontanarono da Norby, lasciando tracce d'unto dove lo avevano colpito con i loro tentacoli.

Jeff ripulì accuratamente con il fazzoletto il barilotto esterno di Norby, poi gettò il pezzo di stoffa in un angolo, temendo che quella sostanza oleosa fosse irritante per la sua pelle, e si rimise il robot sotto un braccio.

— I loro piedi sembravano marroni perché erano coperti di fango secco — mormorò Fargo. — I calci che hanno dato contro il barile hanno fatto staccare la crosta di fango e così sono tornati arancioni.

— Gli scivoloni mangiano e dormono nel fango — spiegò allora il capitano Erig. — Immagino che i loro antenati vivessero nei mari che un tempo ricoprivano interamente Melodia, e che si siano evoluti assumendo l'aspetto attuale quando i mari si prosciugarono.

— Questi esseri sono sgradevoli quanto il fango in cui vivono — commentò l'altra izziana, e i due maschi, uno giovane e l'altro anziano, annuirono solennemente.

— Dov'è la principessa? — domandò Yobo, con il minimo di sussurro che la sua voce tonante riuscisse a produrre.

Nella gabbia riecheggiò una risata argentina e i terrestri si guardarono intorno per cercarne la provenienza, ma non c'era proprio nessuno, oltre a loro e agli izziani.

— Razza di idioti! — disse il soprano, senza preoccuparsi di parlare a bassa voce. — Proprio una bella spedizione di soccorso! Presentatevi, almeno. Riconosco Einkan, ma chi sono gli altri, soprattutto quel bel giovane con i riccioli castani e il barile sotto il braccio?

— Io? — chiese Jeff, tanto sorpreso da dimenticarsi di parlare a bassa voce: non era mai successo che una donna lo notasse, quanto meno non quando c'era in circolazione anche il suo bellissimo fratello. Subito uno scivolone gli si avvicinò e lo colpì con i tentacoli: facevano male, eccome!

— Ahi! — gridò il ragazzo, poi si rivolse agli izziani con un mormorio appena percettibile: — È la principessa, vero? Ma dov'è?

— Là — rispose il capitano Erig. — L'albero: quella è la principessa, o almeno lo era.