Capitolo XLIX
Quando Mortimer si riprese, riuscì a dire: «Mi sta prendendo per il culo?»
«Assolutamente no», replicò l'ometto.
«Ma lei è il tipo che fabbrica i liquori e la birra e tutto il resto», affermò con convinzione Mortimer. «Non può essere lo Zar. Non... non... non può essere lo Zar».
«Cosa si aspettava?», domandò Freddy con aria turbata.
«Tre metri di altezza e denti da squalo».
Freddy ridacchiò di gusto. «Ah, si riferisce a Horace nella sala del trono. Sì, fa bene esternare un'immagine ben precisa. La paura è uno strumento utile e, resti fra noi, ho un debole per quel genere di cose. Anche la prigione. Ho giocato tanto a Dungeons & Dragons».
«Come... perché...?». Mortimer scosse la testa e trovò il coraggio per dire: «Ma allora chi è lei? Un fabbricante di birra con l'hobby della conquista, o un guerrafondaio che si diletta a produrre alcolici di merda come lavoro extra?»
«È una lunga, incredibile storia di stupore e meraviglia». Freddy guardò l'orologio. «Ma poiché domani lancerò un'offensiva che cancellerà Joey Armageddon, non ho davvero tempo per fare onore alla storia».
«Ma perché dovrebbe distruggere Armageddon? Nei suoi club servono tutti i liquori prodotti da lei».
L'espressione sul volto di Freddy si indurì. «Li servono perché le mie Strisce Rosse controllano le rotte di rifornimento. Tutte le preziose bevande prodotte in quantità limitata che Armageddon tenta di distribuire vengono confiscate dai miei uomini. Quindi solo la birra e il liquore di Freddy arrivano a destinazione. Quell'idiota di Marx pensava che la produzione fosse la chiave di tutto. Era un illuso. È sempre stata una questione di distribuzione. Solo io sono in grado di produrre in serie quantitativi di merce sufficienti a rifornire sistematicamente la sua rete di franchising. Be', non mi basta. Voglio tutto, niente escluso. Rileverò i suoi club e li gestirò personalmente». C'era uno strano scintillio negli occhi di Freddy mentre illustrava i suoi piani di conquista. Uno scintillio malvagio.
Mortimer notò una provetta particolarmente lunga sul bancone accanto a sé.
Ricordò le istruzioni di Armageddon: uccidi lo Zar, se possibile. Si spostò lentamente verso la provetta. Se fosse riuscito a romperla, avrebbe potuto far fuori Freddy con il vetro scheggiato.
«Inoltre», continuò Freddy, «pensa che Joey Armageddon sia una così brava persona? I direttori di quei locali vivono come re di fronte ai quali s'inchina l'intera città. È Armageddon che fa l'imperatore dalla cima della sua montagna. Una realtà decisamente feudale. Ha ipnotizzato tutti a suon di chiappe e capezzoli».
Ancora mezzo metro e avrebbe raggiunto la provetta. Se la conficcava nella gola di Freddy...
Ma Freddy lo stava osservando. Mortimer doveva mantenere viva la conversazione. «E io cosa c'entro in tutto questo?»
«Sappiamo che è evaso dalla prigione di Armageddon», disse Freddy. «I miei uomini dicono che potrebbe avere delle informazioni interessanti».
«È per questo che sono qui», confermò Mortimer. «Ho pensato che avrei potuto venderle».
«In cambio di cosa?»
«Forse voglio diventare qualcuno in questo mondo. Forse voglio trovarmi dalla parte dei vincenti. E forse ho pensato di vendere le informazioni in cambio di mia moglie».
«Da quel che ho sentito, non è così disposta a volare fra le sue braccia».
Mortimer si strinse nelle spalle. «Sono un tipo che si adatta».
«Io no», ribatté Freddy. «Lancerò la mia offensiva domani. Armageddon sarà annientato e i suoi ridicoli locali e tutte le loro risorse apparterranno a me. Una volta che avrò il controllo della regione, il resto del continente s'inginocchierà ai miei piedi. Non c'è niente che lei possa fare per impedirmelo».
È quel che vedremo.
Mortimer allungò la mano verso la provetta. S'immobilizzò. Ritirò lentamente la mano.
La pistola automatica nella mano di Freddy era puntata contro il suo stomaco.
Freddy sorrise. «Sembro innocuo, vero? Non sono mica nato ieri».
«Troviamo una soluzione», disse Mortimer. «Posso rivelarti i piani di difesa di Armageddon».
«Mmm, no, non credo», replicò Freddy.
«Sa che posso farlo. Ha delle spie che possono confermarlo»
«Ho molte spie che mi raccontano molte cose». Freddy guardò oltre Mortimer. «Non è vero, Lars?».
Mortimer si voltò e rimase a bocca aperta.
«Le faccio le mie scuse, Mr Tate», disse Lars. Anche lui teneva una pistola automatica puntata contro il busto di Mortimer. «Già, temo di aver lavorato per tutto il tempo al servizio dello Zar»
«Un contabile dell'agenzia delle entrate», disse Mortimer con disprezzo.
«Avrei dovuto immaginarlo».
«Esisteva la possibilità che lei avesse qualche informazioni utile, ma ormai è evidente che è una semplice pedina in uno dei labili piani di Armageddon. Deve sentirsi debole e disperato, perciò ne approfitterò per lanciare subito la mia offensiva».
Mortimer non disse nulla, limitandosi a espirare lentamente.
Per niente. Sono arrivato fin qui, sono stato pestato e bruciacchiato, tutto per niente. Mia moglie non vuole il mio aiuto, e non posso fare un cazzo di niente per fermare lo Zar.
Ma doveva tentare. «Ho delle informazioni utili. Qualcosa di cui Armageddon non è al corrente. Deve ascoltarmi».
«Comincia a seccarmi, Tate», tagliò corto Freddy. «Lars accompagna Mr Tate all'ascensore, dove lo attende Jim Ford per portarlo nell'arena dei cani».
Lars alzò la pistola. «Prego, da questa parte, Mr Tate».
Scortò Mortimer all'ascensore, dove lo attendevano Jim Ford, Terry Frankowski e qualche scagnozzo di supporto. Lars lo invitò a entrare nella cabina, salutandolo con un lieve cenno del capo mentre le porte si chiudevano e l'ascensore cominciava la sua lunga discesa.
«Così ho saputo che è destinato all'arena dei cani», disse Ford. «Bene. Un po' di intrattenimento per i miei ragazzi».
«Immagino che l'arena dei cani non sia il nome originale di un locale bar dello sport», ironizzò Mortimer.
Tutti scoppiarono a ridere.
«No, è un'arena vera e propria», precisò Terry. «Profonda circa sei metri».
«Con i cani», aggiunse Ford. «Rottweiler. Di solito una mezza dozzina».
Terry allungò una mano per premere il pulsante del terzo piano.
«Dovevamo scendere direttamente all'arena dei cani. Che diavolo stai facendo?», gli chiese Ford.
«Ho dimenticato una cosa in ufficio», si giustificò Terry. «Ci metterò un secondo».
«Al diavolo», disse Ford. «La prenderai più tardi».
Terry sospirò. «Ho già premuto il pulsante».
«Lascia aprire e chiudere le porte, e proseguiremo la nostra discesa», concluse Ford.
Le luci sulla pulsantiera scesero di piano in piano: settimo, sento, quinto...
Quando s'illuminò il pulsante del quarto piano, Terry afferrò il polso di Mortimer. Appena la luce sfarfallò indicando il terzo piano, Terry si buttò a terra trascinandosi dietro Mortimer proprio mentre le porte della cabina si aprivano.
Jim Ford ebbe appena il tempo di dire: «Ehi, ma che cavolo...».
Ted e il reverendo Jake aprirono il fuoco con un paio di pistole mitragliatrici, sventagliando l'interno dell'ascensore ad altezza torace. I corpi devastati delle Strisce Rosse si contrassero convulsamente sotto la raffica di proiettili, e una pioggia di sangue si riversò sulla testa e la schiena di Mortimer. Corpi senza vita si ammucchiarono sopra di lui.
«Ma che cazzo...?», imprecò Mortimer scrollandoseli di dosso.
Ted e il reverendo lo afferrarono per le braccia e lo aiutarono a rialzarsi. Il reverendo guardò i cadaveri sul pavimento della cabina. «Dio abbia pietà delle vostre anime malvagie».
«Terry è il nostro contatto», spiegò Ted. «Ci ha aiutato a organizzare la tua fuga».
«Mi dispiace averti procurato quelle bruciature con la sigaretta», si scusò Terry. «Dovevo salvare le apparenze».
«Nessun problema», replicò Mortimer sferrandogli una ginocchiata sulle palle.
Terry restò senza fiato e si piegò in due con un gemito. «Ok, perfetto. Me lo merito».
«Sei riuscito ad avvicinarlo?». Gli occhi di Ted erano carichi di speranza e di aspettativa. «Ti ha mandato a chiamare, giusto. L'hai ucciso?»
«Non ne ho avuto la possibilità», rispose Mortimer. «Lo Zar è sempre stato un passo avanti rispetto a me, fin dall'inizio. Sapeva chi ero. Era al corrente di tutto».
«Merda. Non hai scoperto nulla?»
«Non mi ha dedicato molto tempo», disse Mortimer. «Era troppo preso dai preparativi per l'offensiva che lancerà domani».
«Domani?», ripeterono all'unisono Ted e il reverendo.
«Stirpe di Satana», imprecò Jake. «Ha benzina a malapena sufficiente. Davamo per scontato che avrebbe aspettato un'altra settimana, magari due».
«Dobbiamo avvisare Armageddon», disse Ted. «Ed è comunque ora che ce ne andiamo di qui».
Spinsero i corpi delle Strisce Rosse nel corridoio e ripartirono con l'ascensore. Ted premette il pulsante del tetto.
«Aspetta», disse Mortimer. «Mia moglie! Lo Zar la tiene prigioniera insieme a un gruppo di altre donne. Non possiamo lasciarle qui».
«Non c'è tempo», ribatté Ted.
«Non me ne andrò senza di loro», insistette Mortimer.
«Sono in cima all'altra torre», tentò di dissuaderlo Ted, «non ce la faremo mai».
«Non è negoziabile». Mortimer premette il pulsante "Alt". All'improvviso sentì qualcosa esplodere contro le costole. Le membra gli si irrigidirono all'istante, poi si sentì mancare, la mente era annebbiata, puntini luminosi gli offuscarono la vista.
Cercò di parlare. «Bastardi... cosa...?». Un rivolo di saliva gli colò sul mento. Alzò lo sguardo, mettendo faticosamente a fuoco la pistola paralizzante stretta nel pugno di Ted. Ancora? Quel fottuto aggeggio fa male.
«Mi spiace», disse Ted. «Ma i tuoi amici mi hanno detto che sei un tipo cocciuto».
Le porte si aprirono, e gli uomini trascinarono di peso Mortimer sul tetto.
Il cervello fritto di Mortimer registrò il buio totale. Per di più, era rimasto appeso dentro quella cella più a lungo di quanto avesse immaginato. La seconda cosa che intravide fu il Pesce Palla che dondolava dolcemente nella brezza all'estremità opposta della terrazza.
Quando lo issarono a bordo della gondola, apparve Sheila.
«Cosa gli avete fatto?», domandò, guardando Mortimer inorridita.
«Ha fatto casino», rispose Ted. «Tranquilla. Si riprenderà».
Lo adagiarono sul fondo della gondola. «D-dov'è... B-Bill?»
«Troppo peso», spiegò Ted. «Era incazzato nero all'idea di restare in disparte. Ci serviva qualcuno che sorvegliasse il dirigibile mentre io e il reverendo venivamo a cercarti, e la tua ragazzina qui non pesa nulla».
Movimenti frenetici, corde tirate, sacchetti di sabbia gettati fuori bordo, poi Mortimer sentì il Pesce Palla sollevarsi lentamente. Lasciarono che il dirigibile fosse trasportato dal vento, probabilmente per evitare di attirare l'attenzione con il ronzio del piccolo motore.
Poco dopo, Mortimer sentì Ted che diceva: «Ok, ormai siamo abbastanza lontani».
Avviarono il motore e puntarono la prua del Pesce Palla verso nord.
Mortimer si alzò faticosamente in piedi e si appoggiò al bordo della gondola. L'aria fredda sul viso gli fece bene. Ogni parte del suo corpo pulsava di dolore.
«Ti senti meglio?», gli chiese Sheila. «Sì».
«Quando ti sarai ripreso, ricordami di darti un calcio nel sedere».
Mortimer annuì. «Non mancherò».
Avevano sostituito la radio del dirigibile e il reverendo Jake era già lì che girava manopole e gridava nel microfono: «Pesce Palla a Joey Uno. Ci sei, Joey Uno?».
In mezzo al brusio delle interferenze, emerse un: «Qui Joey Uno. Procedi, Pesce Palla».
«Bart il Nero ha intenzione di far fuggire il bestiame domani mattina. Ripeto, domani mattina. Dovete mobilitarvi subito».
«Ricevuto, Pesce Palla».
Mortimer osservò la città buia e senza vita scivolare sotto di loro. Da qualche parte, laggiù, aveva abbandonato sua moglie.