Capitolo XX
Saltarono tutti sul carro e si avviarono lungo la strada provinciale. Per un po', Mortimer non riuscì a staccare gli occhi dal mulo che li trainava. Non aveva ancora visto in giro cavalli, mucche, pecore o bestiame in generale. Forse l'aspetto decrepito e rognoso della bestia gli aveva risparmiato di finire dentro una pentola. Per quanto fosse affamato, anche Mortimer non riusciva a considerarlo appetitoso.
Il carro ondeggiava avanti e indietro, percorrendo lentamente la strada al ritmo degli zoccoli del povero animale.
«Dove mi state portando?», chiese alla fine Mortimer.
«Al Joey Armageddon's», rispose Bobby.
«Cosa? Dobbiamo arrivare fino a Spring City?». Quel mulo non ce l’avrebbe mai fatta. Forse l'avrebbero mangiato, dopotutto.
«Diamine, no», disse Bobby. «Al nuovo locale di Cleveland. Abbiamo fatto un accordo con il proprietario per lasciare in pace i soci. Tu sei un Platinum, così abbiamo pensato che è meglio se ti portiamo con il carro. Altrimenti, te la dovevi fare a piedi».
«Ci appettiamo molto più movimento qui in zona, una volta che il nuovo Joey's sarà ben avviato», spiegò Sue Ellen. «Finora qui è stato un mortorio. Non prendevamo qualcuno nella rete da… quanto tempo, Floyd?»
«Sei mesi», rispose l'uomo. «Forse sette».
«Sarebbe bello se il commercio riprendesse alla grande», commentò Bobby.
«Più movimento significa più gente nella rete?», volle sapere Mortimer.
«Bisogna pur guadagnarsi da vivere», replicò Bobby scrollando le spalle.
«Suona alquanto macabro».
«Ehi, funzionava anche peggio», disse Bobby. «Quando era vivo papà, li derubavamo, toglievamo loro i vestiti e li uccidevamo. Ma credo che alla fine papà si sia sentito in colpa, per questo si è sparato. Era lui quello seduto alla scrivania».
«Simpatico».
«Comunque, ora che c'è il nuovo Joey's la gente vale più da viva. Li condanniamo per violazione di proprietà e loro scontano la pena sulle biciclette. Ma i soci hanno un lasciapassare. Non puoi rompere le palle ai clienti».
Bobby borbottò un «Oooh» e il mulo si fermò davanti a una casa di mattoni ancora in buono stato. «Floyd, scendi qui».
«Cosa?», protestò Floyd salendo di due ottave.
«Cazzo, Floyd, siamo gli unici ad avere delle galline nel raggio di quindici chilometri. Vuoi che ce le freghino mentre siamo via? E ora scendi dal carro».
«Ma voglio vedere le ragazze del Joey's».
«Muoviti!».
Floyd brontolò qualcosa, ma scese a terra.
Un istante dopo il carro era di nuovo in cammino.
«Non c'è fratello migliore di lui, ma è più arrapato di una lepre delle praterie. Ci sono solo quattro ragazze al Joey's e lui si è fatto ognuna di loro almeno una mezza dozzina di volte».
Mortimer non trovò nulla da rimproverargli.
«In generale, però, possiamo considerarci relativamente ricchi rispetto alla gente del posto», continuò Bobby. «Abbiamo galline che fanno le uova, e possiamo barattarle. Abbiamo due maiali e stiamo cercando di farli accoppiare, così se funziona potremmo diventare i più grandi allevatori di maiali di questo fottuto Stato. Mi piace pensare in grande».
Lo stomaco di Mortimer brontolò. Un piatto di uova e pancetta sarebbe stato il paradiso. E caffè. Una tazza di caffè.
Una bistecca. Avrebbe ucciso per una grossa bistecca con l'osso.
No, ucciso no. Quel genere di cose non era più solo un modo di dire.
«E io potrei lavorare al Joey's», disse Sue Ellen.
«Diamine, bimba, quel locale è famoso per le ragazze formose e provocanti.
Perché dovrebbero volere quel tuo culo secco?», la schernì Bobby.
«Chiudi il becco, Bobby. Un bravo fratello dovrebbe sostenere una sorella che vuole fare carriera».
«Non hai tette».
« Ti ho detto di chiudere il becco. Puzzi come il piscio di gatto. Sta' zitto. Le tette non sono tutto. Io sono un tipo raffinato. Vesto con eleganza».
Bobby diede di gomito a Mortimer. «Da quando ha trovato quei vecchi vestiti si crede Elizabeth Taylor».
«Non so nemmeno chi cavolo sia», disse Sue Ellen facendo una linguaccia al fratello. «Stronzo». Toccò Mortimer sulla spalla. «Tu mi trovi attraente, vero, Mr... ehi, non sappiamo nemmeno come ti chiami».
«Mortimer».
«Mortimer, tu mi trovi attraente, vero?».
Ti prego, lasciami in pace.
Sue Ellen gli strattonò la spalla. «Dico sul serio. Sono carina, Vero? Affascinante».
Mortimer deglutì a fatica, si schiarì la gola e annuì. «Sei graziosa».
Bobby scoppiò a ridere. «Ma dai, Sue Ellen, è un socio Platinum. Potrebbe avere un fottio di puttane bionde e con le tette grosse ai suoi piedi». Altra gomitata. «Eh, amico? Il fior fiore delle puttane, eh?»
«Quanto manca ancora?»
«Oh, non molto. Stai tranquillo».
Cloppete cloppete cloppete.
Come era accaduto a Spring City, anche a Cleveland, nel Tennessee, gli abitanti avevano deciso di radunarsi nel centro cittadino, abbandonando la periferia per la sicurezza relativa offerta da edifici in mattoni e strade strette, quasi fosse un borgo medievale con le case assiepate entro la cinta delle mura. Più che a Spring City, il centro cittadino era stato trasformato in una fortezza, con rottami di automobili disposti lungo le strada per rendere il transito più lento e tortuoso. Bobby manovrò abilmente le redini guidando il mulo lungo il percorso a zig zag. A un isolato dal palazzo di giustizia, un paio di uomini armati di fucile fecero scorrere di lato una barriera arrangiata con pezzi di metallo e assicurata a carrelli del supermercato.
Una delle guardie fece cenno di entrare. «Cos'hai lì, Bobby Qualcuno per le biciclette?»
«Questo no», rispose Bobby guidando il carro oltre la barriera. «Ha una carta Platinum».
La guardia scoppiò a ridere. «Hai sentito?», disse facendo l'occhiolino al compagno. «È arrivato un playboy in città. Nascondi le tue figlie».
Mortimer abbozzò un sorriso e li salutò con un cenno della mano.
Superato il palazzo di giustizia, Mortimer notò altri due uomini armati di fucili che pattugliavano il tetto.
«Come mai tutta questa vigilanza?»
«Strisce Rosse».
«Cosa cercano qui?»
«Sempre le stesse cose», rispose Bobby. «Cibo, armi, vestiti, donne».
«E sangue», aggiunse Sue Ellen con espressione di colpo seria Bobby tirò le redini e il mulo si fermò adagio davanti a un'imponente chiesa di pietra. «Ci siamo», informò Mortimer. «Sue Ellen, aiutami a portare dentro queste uova».
Mortimer scese dal carro, si stirò fino a far scricchiolare le giunture. Era tutto indolenzito. Guardò le grandi doppie porte chiuse della chiesa, poi chiese a Bobby: «Lì dentro?»
«Lì dentro».
Mortimer spinse i battenti ed entrò. L'ambiente era cavernoso, e le alte mura e il soffitto a volta rimandavano l'eco dei suoi passi. Le panche dovevano essere state portate via; c'era solo la vastità dello spazio interno a separarlo dall'altare. Si ricordò che nelle cattedrali medievali non c'erano panche. Gli abitanti delle campagne restavano in piedi e si inginocchiavano sul freddo pavimento di pietra. Allora la gente prendeva sul serio la religione. Gente tosta per un'epoca oscura.
La fame e la stanchezza si fecero sentire di colpo, la debolezza gli diede un lieve senso di vertigine.
Il sole al tramonto allungò i suoi raggi dentro le finestre, accudendo di rosso e di arancio le vetrate colorate. Mortimer si trovò avvolto in una luce sacra che gli comunicò un po' di calore e lo attirò verso l'altare.
All'improvviso sentì le membra pesanti come piombo: il peso del viaggio, la fatica di scappare da un pericolo per ricadere in un altro. Ripensando agli eventi degli ultimi giorni, Mortimer non riusciva a credere di essere ancora vivo. Forse era stato una sorta di miracolo. Forse la mano di Dio l'aveva guidato fin qui. Forse Dio voleva ricordargli, mostrargli che anche in questo mondo devastato, anche in questo periodo di smarrimento, un potere superiore era ancora presente, si interessava ancora alle misere creature di questa ridicola umanità, che strisciavano e si mi nascondevano sulla terra come tanti insetti.
Mortimer si lasciò cadere in ginocchio davanti all'altare; la luce del sole lo accecò, filtrando all'interno con un'angolazione perfetta, accendendo le particelle di polvere sospese nell'aria mine tante meteore in fiamme nell'atmosfera. Mortimer giunse le mani, fissando lo sguardo negli occhi tormentati del Cristo.
In quel momento di silenzio il tempo sembrò essersi fermato.
Nella quiete assoluta si levarono delle voci, limpide e intonale. Un inno sorto dal niente, un canto melodioso e chiaramente udibile. Strano eppure familiare. La musica riempì l'ambiente, riempì Mortimer, lo sollevò da terra.
E poi...
La figura del Cristo si mosse, lasciandolo senza fiato. Scese fluttuando verso di lui. Il suo cuore perse un colpo e Mortimer aprì la bocca per gridare.
«Attenzione, laggiù», gridò una voce.
Mortimer chiuse la bocca, sbatté le palpebre, individuò gli uomini fra le travi del soffitto che calavano il crocifisso appeso a una grossa fune.
«Spostati, amico».
Mortimer si spostò. Gli uomini grugnirono per lo sforzo, calando a poco a poco la pesante immagine. Adesso riconobbe la canzone: You Can't Always Get What You Want dei Rolling Stones.
I piedi del grande crocifisso toccarono il pavimento con un tonfo sordo.
«Attento a Gesù».