Horst Buhtz
Il tedesco dal cuore tenero
(Magdeburgo, 21 settembre 1923 / Langenfeld, 22 marzo 2015)
Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
Brillano tra le foglie cupe le arance d’oro.
Una brezza lieve dal cielo azzurro ispira,
il mirto è immobile, alto è l’alloro.
Questo breve canto viene fatto pronunciare da Goethe, che ne è l’autore, a Mignon, una giovane di origini italiane che ha nostalgia delle sue origini.
Quando, nell’estate del 1952, Buhtz viene convocato dal Torino per il tramite di Giulio Cappelli che lo strappa alla Roma, si dice felice di poter visitare e vivere nel “paese dove fioriscono i limoni”. Dal che si deduce che, oltre a essere un abile calciatore, il neo granata possiede anche una discreta cultura.
Una mente brillante, d’altra parte, che manifesta assai bene quando scende in campo, con un gioco semplice quanto produttivo. Si scrive di lui: “Buhtz è un giocatore di quantità e qualità. Il tifoso granata deve scordarsi i sudamericani, il suo non è un gioco spettacolare, ma essenziale e redditizio, quello che oggi serve a questa squadra in fase di rinascita”.
Da parte sua sa che non sarà facile imporsi nel calcio italiano, ma sopra ogni cosa è consapevole che farlo in casacca granata sarà ancora più arduo. Conosce la tragedia di Superga, ha sentito molto parlare anche in Germania del Grande Torino e di un fuoriclasse che si chiamava Valentino Mazzola. Una storia che lo ha commosso e vorrebbe sinceramente poter rendersi utile nel piano di ricostruzione del club e della squadra.
È accolto con una certa diffidenza. D’altra parte il calcio tedesco non ha seguaci da noi e il solo ad averlo preceduto nel nostro torneo è stato Ludwig Janda a Firenze e Novara. Come per scaramanzia, comunque, preferisce non accollarsi la maglia numero dieci che lascia ad altri, gli basta l’otto, quella che, gli raccontano, era di Ezio Loik, un atleta che gli assomiglia: non tanto alto, deciso, infaticabile, volenteroso.
Una voglia di esprimersi anche solleticata da un ingaggio per lui importante. Pur se le casse granata sono, come sempre, piuttosto asciutte, il corrispondente di 1500 marchi per quattro stagioni che intascherà, in aggiunta ai premi partita, sono un compenso che a casa si sarebbe sognato o avrebbe messo insieme in un arco di tempo quasi triplo.
Flemmatico, non gioca mai in affanno; preferisce meditare, attendere, aspettare il momento favorevole per gestire il pallone al meglio piuttosto che liberarsene senza costrutto. Sa stare in campo con esemplare linearità e correttezza, in modo leale, anche se il tackle non lo intimorisce, anzi lo va a cercare, ma sempre nei limiti. Ettore Berra, giornalista di rango, lo descrive in pochi tratti così:
Buhtz è un atleta che non commette falli, che non si agita mai, che non ama le ripicche, perché tutta la sua attività e la sua energia è soltanto rivolta al fine di costruire gioco. Ha temperamento, la formazione mentale e l’autorità del regista. Sembra lento, ma non è mai in ritardo su nessun pallone, ha l’occhio sempre vigile sulla scacchiera dell’azione, non si lamenta mai anche quando è servito male. È indulgente verso gli altri ed esigente verso di sé, in altre parole è sempre sereno e serenamente vede il gioco. Un elemento importante, tecnicamente superiore, specie al Torino, vale a dire in attacco il cui mastice di affiatamento non fa ancora presa; un maestro al cospetto di allievi di buona volontà e talvolta geniali, ma che hanno scarsa inclinazione alla chiarezza e alla quadratura del dialogo tecnico.
Registrare, coordinare però non basta in un Toro che ha anche bisogno di reti, dopo la partenza del goleador Riccardo Carapellese. E Buhtz riesce anche in questo. Nelle quattro stagioni in granata per ben tre volte è il cannoniere principe della squadra. Soltanto nel campionato 1954-55 Giancarlo Bacci gli sottrae la palma. Ma è cosa logica, visto che si tratta di una punta autentica e non di un centrocampista come lui. E poi la continuità. Salta pochissime gare, raccogliendo, in quattro annate, 127 gettoni e un corposo bottino di 38 gol che ne fanno uno degli stranieri più prolifici della storia granata.
Un calciatore che tutti gli allenatori vorrebbero in squadra, un uomo per tutte le stagioni, fatto di solidità e ingegno.