Il Toro degli invincibili
Cinque titoli vinti: 1942-43, 1945-46, 1946-47, 1947-48, 1948-49 e una Coppa Italia 1942-43
capitano: Valentino Mazzola
L’avvisaglia arriva già nel 1941-42, l’anno magico di una magica Roma, che va a vincere il primo dei suoi tricolori. Il Torino del presidente Ferruccio Novo, infatti, lotta fino all’ultimo per far sua la vittoria finale, ma, caduto a Venezia in un match decisivo a un passo dal traguardo, non ce l’aveva fatta. Eppure proprio da quella sconfitta in laguna era scaturita una nuova energia, una nuova linfa vitale era arrivata ad alimentare il club con il clamoroso accasare di Ezio Loik e Valentino Mazzola proprio dal Venezia del presidente Bennati. Una querelle forte si era improvvisamente impennata con una Juventus – e chi mai se no – che protestava con arroganza la sua precedenza all’acquisto dei due interni. In realtà era stata la lungimirante capacità di mediazione e di anticipo di Novo a rendere l’impresa perfetta.
A partire dall’estate del 1942 il suo Toro avrebbe potuto contare su una squadra che molti non esitavano a considerare quella da battere. Dopo tutto, non ci aveva poi messo tanto a dare carne sostanziosa al progetto di far risalire, come ai bei tempi, i granata al vertice del calcio italiano. Novo se lo sussurrava sotto voce e già si proiettava, giustamente, vincente.
E così era stato.
Malgrado una partenza col freno a mano, il solo sorprendente Livorno contrasta un Torino gagliardo che ha trovato nel rombo del quadrilatero di centrocampo una chiave vincente. Se la difesa è ancora in parte ancorata allo schema ormai quasi in disuso del metodo perché composta da quella che si può definire la vecchia guardia, dalla metà campo in su l’undici granata è tutto un brulicare di effervescente novità, grazie a un gruppo di attaccanti che più che a un pentagono di uomini pare una cinquina di killer con ampia licenza di scardinare, senza remissione, le altrui difese.
Anche se il titolo arriva solo nell’ultima, sofferta giornata con un gol di Mazzola che da questo momento si aggiudica con merito i gradi di capitano, è nel gioco, nella concretezza che non abbandona comunque mai la voglia di dare pure un tono estetico allo stare in campo, che i granata convincono. A tal punto da far bottino completo con la conquista anche della Coppa Italia. Non era ancora mai successo nella storia del nostro calcio che la stessa squadra avesse realizzato questa bella doppietta. Da questa perentorietà sono tutti avvertiti: rivali e osservatori, critici e addetti ai lavori, lo stesso c.u. della Nazionale: questo è il primo passo di quella che ha tutte le intenzioni di diventare una gloriosa galoppata sportiva.
L’interruzione per due stagioni causa guerra sottrae al Torino due titoli e forse altre coppe nazionali, torneo che viene decisamente messo da parte, dal momento che anche solo provare a imbastire campionati regionali è impresa ardua e a tratti impossibile.
Una delle virtù dei forti è saper attendere, pazientare, ed è quello che Novo sa fare con abilità, sempre muovendo le proprie pedine di conoscenza e tempismo con il solo obiettivo di portarsi in casa i giocatori più promettenti che il mercato possa offrire.
Quando la normalità torna e riprendere a giocare è cosa concreta, coloro che si stupiscono che il Torino si sia vestito con abiti ancora più sfarzosi di quelli già mostrati, ammettono con questo loro atteggiamento di non aver alcuna cognizione dell’abilità del presidente granata e del suo staff. Competenza, intuito, rapidità nell’agire e nel decidere, disponibilità economica e di scambio, capacità organizzativa.
Per la stagione 1945-46, la prima di autentico confronto fra le migliori squadre italiane, tutta la difesa del Torino è cambiata, con la sola eccezione di Giuseppe Grezar, rimasto al suo posto. Il portiere Bacigalupo, i terzini Ballarin e Maroso, il laterale Castigliano e il centrale Rigamonti. Cinque su sei, ma nessuno teme inceppamenti, non ci sono contraccolpi né contromisure da prendere per una rivoluzione così importante.
Il Toro vince. Lo fa di nuovo sul filo di lana, sul finire di un luglio caldo che porta il terzo scudetto della storia nella bacheca del club.
Il gusto del thriller che ha fino a qui accompagnato la squadra per la vittoria finale, viene decisamente abbandonato nelle stagioni che seguono. La squadra, che viene già indicata come grande prima che l’aggettivo le venga consegnato dal mito, diventa egemone nei tre campionati successivi.
Ciascuno si porta dietro una cifra caratteristica.
Nel 1946-47 svetta la prodezza di Mazzola. Si aggiudica la classifica dei cannonieri con 29 reti, il pur propenso al gol Gabetto lo segue a 19, ben dieci gettoni di distacco. Il capitano granata, a ventotto anni, sta raggiungendo il vertice della condizione psicofisica, anche se travagliate vicende personali non di rado lo distraggono emotivamente, screziando ancor più un carattere sovente bizzoso.
Nel 1947-48 letteralmente strabiliano i 125 gol che la squadra sa infilare in tutte le porte, con cannoneggiamenti siderali: 4-0 al Napoli; 6-0 alla Lucchese; 11 reti fra andata e ritorno alla Roma e pure 11 nel doppio confronto con la Salernitana; 5-0 a Internazionale e Fiorentina; al Bari 5-1; al Vicenza 4-0; 5-1 al Bologna; all’Atalanta 4-0; e 5-2 sia al Livorno che al Modena, per non dire del 10-0 all’Alessandria!
Nel campionato 1948-49, quello che si chiuderà anzitempo con la tragedia di Superga del 4 maggio, una cosa risalta, i granata stanno lasciando l’iperuranio, a tutti tranne a loro inaccessibile, per tornare sulla Terra. La squadra, comunque sempre compatta, sta assumendo un contorno dal tono meno implacabile, appare, come dire, più accessibile, diventa per tutti più credibile immaginarla in qualche momento più fragile, battibile. Il titolo è assegnato a posteriori, con i giovani rincalzi che vincono le ultime quattro partite opposti ai pari età schierati dalle altre squadre.
L’arcobaleno di gioia e vittorie, fatto di cinque scudetti filati e di dieci uomini dati alla Nazionale nello stesso match, si è sciolto, sfumato per sempre in un rogo sul colle di Superga, quando Torino, casa, era ormai in vista. Così ha voluto il Fato, così un destino, a esso sottomesso, che ha consegnato, nella sua brutalità, una bella storia di calcio, quella del Grande Torino, a preservarsi eterna nella sua cristallina limpida moralità sportiva.
Questi i Campionissimi vincenti, nella formazione che anche i piccoli granata, appena sbocciati al tifo, conoscono: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola e con loro tanti altri bravi.