Roberto Cravero
Fortissimamente Toro
(Venaria Reale, 3 gennaio 1964)
E poi dici che l’occhio non basta, non vede, che non è sempre facile azzeccarci.
Certo, se è quello di chi non mastica football come si deve, ma se, al contrario, è quello acuto e che punta lontano di un autentico maestro di calcio, conta e vale, eccome.
In tempi non sospetti, Matteo Dalla Riva, più di tre lustri al Torino a svezzare ragazzini, in un giudizio pienamente condiviso dal collega Marchiò, parlando del giovane Cravero non esita a esporsi affermando con sicurezza: «Il ragazzo ha classe da vendere, ricorda in questo il milanista Franco Baresi». La sparata sembra grossa, ma è la convinzione con cui è proposta che la rende una sorta di profezia.
Uno sguardo lungo, che si proietta molto in avanti e che a metà strada trova un’altra granitica, quanto importante attestazione, quando Cravero, non più ragazzino ma ancora in fase di crescita, viene incoraggiato da Giorgio Puia, che lo ha avuto come capitano della squadra “allievi” laureatasi campione d’Italia nel 1979-80, con queste, altrettanto profetiche parole: «Roberto, non farti distrarre da nulla, perché hai tutti i numeri per diventare un giocatore vero».
Da dove parte l’avventura nel calcio di questo granata a tutto tondo?
Prende le mosse una sera a tavola. La famiglia Cravero sta cenando nella casa di Pino Torinese dell’ex portiere granata Franco Sattolo, per tutti “Jerry” o “Diabolik” (per l’abitudine che aveva quando giocava di vestirsi tutto di nero). Sattolo, che da qualche tempo è inserito nel gruppo di preparatori della cantera granata e che ha in più occasioni potuto osservare Roberto in campo, è certo che l’eventuale provino non potrà che andar bene.
Detto fatto, la squadretta dell’oratorio di Venaria diventa un bel ricordo, Cravero è del Torino. L’avvocato Sergio Cozzolino, regista illuminato che dirige l’incredibile scuola del Filadelfia, accasa fra i suoi tanti giovani un altro futuro fuoriclasse e l’onnipresente segretario Angelo Zambruni gli fa sottoscrivere il primo cartellino. Anno su anno Cravero cresce. Stagione su stagione si affina con una rapidità e una intelligenza fuori dal comune.
Il padre Francesco che lo segue da sempre con una cura affettuosa e premurosa, accompagnandolo ad allenamenti e partite, ricorda gli anni di svezzamento con queste parole, confessate al giornalista Marco Bo:
Ad alimentare la mia speranza che Roberto potesse diventare un calciatore professionista c’era un particolare che può, in apparenza, sembrare trascurabile, ma non lo è. Ed è questo. Roberto aveva una qualità importante: ogni stagione gradualmente, ma in maniera costante, migliorava, si proponeva sempre fra i migliori della sua classe. Ovviamente, ogni stagione successiva era sempre più difficile, anche perché approdavano giocatori che venivano da fuori. Lui è sempre riuscito a crescere sotto qualche punto di vista. Una volta fisico, una volta tecnico, una volta tattico. In ogni caso, non smetteva mai di incrementare le sue qualità e certamente questo non solo veniva notato dai tecnici, ma stava anche a dire che il margine di ulteriore crescita esisteva ancora, era perfettibile. Per questo pensavo che almeno in C o in B ci sarebbe arrivato.
Quale che sia la categoria (dagli esordienti agli allievi, dalla Primavera alla squadra Berretti) è lui a indossare sul braccio la fascia di capitano. Anche qui il presagio di quello che avverrà quando il sogno della prima squadra uscirà, libero, dal cassetto delle emozioni e delle speranze.
Si sa, come nella vita, anche nella carriera di un calciatore sono le date, alcune in modo speciale, a segnare le tappe del cuore, i momenti, belli e meno belli.
La prima che Cravero incontra sulla sua strada di professionista è per certi versi magica. Il 16 maggio del 1982 (sei anni prima, in quello stesso giorno il Torino di Radice si era laureato campione d’Italia), ultima di campionato, il Torino accoglie un Como dimesso e retrocesso. La classica gara da giocare giacché non se ne può fare a meno e perché il calendario lo impone. Niente di meglio, quindi, per offrire la grande gioia dell’esordio a chi lo merita. Cravero è schierato libero con a fianco nella linea mediana Giacomo Ferri e Paolo Beruatto. La fiducia gli è concessa da Massimo Giacomini fattosi, in stagione, interprete di un autentico miracolo. Il club, ormai in crisi finanziaria per i grossi problemi di Pianelli al suo ultimo anno di presidenza, gli ha messo a disposizione un gruppo di giovani, molti inesperti, pressoché tutti allevati in casa, con un solo mandato: evitare la serie B e Giacomini, con paziente saggezza ce l’aveva fatta (in cambio di tanto, verrà immediatamente esonerato, per lasciare la panchina a Eugenio Bersellini, voluto dal neopresidente Sergio Rossi, subentrato a Pianelli).
Cravero, che sta già immaginandosi nella rosa granata dell’anno che verrà, accusa il primo colpo, la prima di possibili sventole che un calciatore che imbocca il professionismo deve immaginare di ricevere lungo il cammino. Corre voce che Bersellini non lo “veda”, non lo ritenga ancora pronto alla frequentazione costante dell’undici titolare e poi c’è Zaccarelli. A conferma, e come se non bastasse, il trainer caldeggia e ottiene l’acquisto dalla Fiorentina di un libero di esperienza, Roberto Galbiati. Per Cravero ogni transito in granata diventa utopia per un intero campionato, relegato fra i rincalzi.
Che fare?
Quando per la stagione 1983-84 lo reclama il Cesena non esita ad accettare, ci sta per due stagioni, prima agli ordini dell’ ex granata Bruno Bolchi, poi di Beppe Marchioro e Sandro Tiberi. Gioca sempre e con ottimo profitto, confermato titolare.
Intanto sulla panchina del Torino è tornato, un po’ a sorpresa, Gigi Radice che avalla senza dubbio il suo rientro nell’organico. Tornare a casa è come riabbracciare la terra promessa. È da quando ha dieci anni che indossa la casacca granata, rimetterla è un vero, autentico piacere. È convinto, ormai, che il rientro coincida con la svolta definitiva per il suo rapporto con il Toro, non può certo immaginare che non sarà così e che la peripezia dell’andare e venire avrà ancora da ripetersi.
Si parlava di date.
Cravero ne aggiunge un’altra alle sue indimenticabili. Il 25 agosto 1985 nella fase eliminatoria di Coppa Italia nel match contro il Rimini (vinto per 1-4) a inizio di secondo tempo subentra a Zaccarelli: è il suo secondo debutto in granata. L’annata è di transizione, perché appena Galbiati si accasa alla Lazio la titolarità di un ruolo (da interno o da libero, a seconda delle condizioni di Zaccarelli agli ultimi fuochi di una carriera straordinaria) è assodata.
È quindi da questo momento che la sua avventura nel Toro imbocca in modo saldo il binario di una continuità che lo porta a cogliere soddisfazioni importanti. Tanto per incominciare, si prende quella fascia bianca che segnala il capitano e che un poco, a dire il vero, gli mancava dai tempi delle giovanili. Sono gli anni della completa maturazione, in cui Cravero impone in modo definitivo la sua bravura, il sigillo della sua classe cristallina.
Gli elogi per lui da parte di tutti sono continui.
Si tratta di un giocatore baciato dalla classe e da un’intelligenza calcistica di prim’ordine, perché non resta imbalsamato in un ruolo (sebbene quello di libero gli sia il più congeniale), ma sa adattarsi, con puntiglio e profitto, anche in altre zone del campo. Per esempio a metà, dove Radice lo colloca sovente e dove il bagaglio raffinato che sciorina lo segnala su livelli altissimi. Vede il gioco come pochi, lo disbriga in modo rapido, valutandone gli esiti con prontezza. Ha un modo, verrebbe da dire, dolce e morbido, quasi baciato, di andare all’appuntamento col pallone, lo sa addomesticare con i due piedi, cosa che gli consente di giocare a testa alta, e qui la scuola del grande Zaccarelli ha lasciato il segno. In aggiunta, gli riesce anche, non di rado, di andare in gol e qui il nostro e suo taccuino sottolinea un’altra data ancora: il 14 febbraio 1988 il Torino sbanca la San Siro interista con una sua rete ottenuta con freddezza su calcio di rigore battendo Walter Zenga. Dovranno passare tre lustri prima che ai granata (stagione 2014-15, gol di Emiliano Moretti) riesca nuovamente l’impresa.
Tanto per cambiare, il Torino è scosso ancora una volta dall’incertezza.
Il nuovo presidente, Mario Gerbi, appassionato di antica data e dirigente sin dai tempi del Grande Torino, tentenna e la squadra ne risente. Si avvertono scricchiolii e come al solito mancano i quattrini. Cravero è un pezzo pregiato, metterlo sul mercato potrebbe voler garantire una boccata d’ossigeno. Se poi è la Juventus che bussa, si può star certi che l’offerta non potrà che essere vantaggiosa. Come sovente accade in questi casi, il diretto interessato è l’ultimo a venire a conoscenza della trattativa. E così per ben due volte, dopo essere caduto dalle nuvole, si ritrova a tu per tu con Gianpiero Boniperti, presidente juventino, che gli prospetta ponti d’oro. Cravero se ne risente quanto mai:
Io dissi subito di no, che non avrei accettato, quali che fossero le condizioni. Ascoltai con attenzione ciò che mi venne detto e proposto, risposi con orgoglio che ero lusingato ma che il capitano del Torino non sarebbe finito dall’altra parte. Ovviamente, ci rimisi un mucchio di soldi, persi il giro della Nazionale, nella quale già mi ero con speranza affacciato, e, per di più, l’anno dopo scesi con la squadra in serie B. Voltandomi indietro sono certo di aver fatto comunque bene a dire di no: ho dato un senso etico alla mia carriera. Che cosa avrei provato una volta smesso di giocare se avessi accettato?
Roberto Cravero come Gigi Riva: il gran rifiuto. Come il grande bomber non aveva ceduto alle pur faraoniche proposte bianconere giurando fedeltà eterna al suo Cagliari, a una città, a un’intera isola di appassionati; così Cravero, riconoscendo la sua appartenenza alla causa granata come unica e sola.
Una brutta staffilata, che non si sente di perdonare a chi gliela inflitta, anche se non sarà l’ultima. Una dirigenza che lascia comunque il posto a un nuovo presidente, nella figura di Gian Mauro Borsano, un ingegnere, carneade nel mondo del calcio, ma che ha idee assai chiare. Con lui il club viaggia alto. Torna subito in serie A con Fascetti, si rinnova nei ranghi grazie ad acquisti anche sensazionali, come quelli di Scifo e Martin Vazquez, e nella mentalità con l’arrivo in panchina di Emiliano Mondonico.
I sogni di grandezza di Borsano imprimono a tutto l’ambiente granata un’accelerazione d’intenti che ha del prodigioso. La squadra ottiene risultati importanti, scala la classifica nazionale, si aggiudica la Mitropa Cup 1991 e l’anno appresso arriva in finale in Coppa uefa, battuta soltanto dalla sfortuna. Nell’ultimo scontro ad Amsterdam contro gli olandesi dell’Ajax, il 13 maggio 1992 Cravero è uno dei protagonisti anche se, infortunato, deve lasciare il posto a Sordo a inizio ripresa. Il Torino, quella sera, non perde soltanto la prestigiosa coppa, ma anche la solidità e la fermezza acquisita nei tre anni precedenti.
Borsano ondeggia, annaspa; lo dicono coperto di debiti, lascia il timone a un sedicente sodale, illustre sconosciuto, Roberto Goveani, che ha funzione di copertura in quel momento critico, e non può fare a meno di mentire al popolo granata quando assicura che i pezzi da novanta della squadra non saranno ceduti. Come volevasi dimostrare: se ne vanno invece Lentini, Martin Vazquez e proprio Cravero, che riceve così la seconda pugnalata alle spalle. A nulla erano valse le promesse di non cessione. È accasato alla Lazio dell’ambizioso presidente Cragnotti. In biancazzurro si ferma per tre anni che lo completano in modo definitivo a livello calcistico e umano. Preziose esperienze con i tecnici, con il fattore “Zeta”: dalla panchina lo guidano infatti Zoff e Zeman, due di poche parole, ma di tanta sostanza.
Quando, a trentuno anni, la sirena del Torino, per voce dell’ennesimo nuovo presidente granata Gianmarco Calleri, torna a farsi sentire, Cravero non sa dire di no. Ha sempre desiderato chiudere in granata.
Arriva il terzo debutto: il 10 settembre 1995 il Torino, in casa, supera il Bari 3-1, nella mediana al suo fianco si schierano il lungo Maltagliati e il possente Milanese. È comunque sempre un’emozione tornare ancora una volta davanti al suo pubblico. Ma l’annata va storta, alla squadra non bastano tre allenatori Sonetti, Scoglio e Vieri per restare in serie A. Una brutta botta, ma Cravero fa una promessa a se stesso e al mondo granata: “appendo gli scarpini riportando i colori del Torino in alto”.
Questa volta la sua profezia non si realizzerà.
Il 21 giugno 1998 sul neutro di Reggio Emilia, dopo uno spareggio mortale con il Perugia finito ai rigori per conquistare l’ultimo posto libero per la A, chi si fosse attardato a uscire dallo stadio avrebbe visto a centro campo Roberto Cravero, seduto sul prato, la testa abbandonata fra le ginocchia piegate, il viso sconvolto dalla tensione, lasciarsi andare al pianto. È entrato in partita solo negli spasmi finali, ma ha sudato e sofferto più che se avesse giocato per l’intera sua drammatica durata. È il suo triste, malinconico addio al football, pane della sua vita per tanti anni.
Ma non lo è nei confronti del Torino. La dirigenza dei cosiddetti “genovesi”, che ha in Massimo Vidulich il presidente, lo convoca per un posto da team manager. Due stagioni sofferte, come quelle che seguiranno da d.s. per due annate in serie B sotto l’egida della coppia Attilio Romero-Francesco Ciminelli. Delusioni forti ben rimarginate dalla richiesta di suoi commenti calcistici sulle televisioni sportive più accreditate.
D’altronde, come non fare tesoro dell’esperienza di un campione autentico?
Letture consigliate:
Marco Bo, Roberto Cravero, l’ultima bandiera, Grafica Piemontese, Volpiano, 1998.
Franco Ossola, Forse non tutti sanno che… il grande Torino, Newton & Compton, Roma, 2018.
id., La storia del grande Torino in 501 domande e risposte, Newton & Compton, Roma, 2019.