28 Maggio

Spesso io mi figuro tutto il mondo a soqquadro, e il Cielo, e il Sole, e l’Oceano, e tutti i globi nelle fiamme e nel nulla; ma se anche in mezzo alla universale rovina io potessi stringere un’altra volta Teresa – un’altra volta soltanto fra queste braccia, io invocherei la distruzione del creato.

 

 

29 Maggio, all’alba

O illusione! perché quando ne’ miei sogni quest’anima è un paradiso, e Teresa è al mio fianco, e mi sento sospirar su la bocca, e – perché mi trovo poi un vuoto, un vuoto di tomba? Almen que’ beati momenti non fossero mai venuti, o non fossero fuggiti mai! – questa notte io cercava brancicando339 quella mano che me l’ha strappata dal seno: mi parea d’intendere da lontano un suo gemito; ma le coltri molli di pianto340, i miei capelli sudati, il mio petto ansante, la fitta e muta oscurità – tutto tutto mi gridava: Misero, tu deliri! Spaventato e languente mi sono buttato boccone sul letto abbracciando il guanciale, e cercando di tormentarmi nuovamente e d’illudermi.

Se tu mi vedessi stanco, squallido, taciturno errar su e giù per le montagne e cercar di Teresa, e temer di trovarla, sovente brontolar fra me stesso, chiamare, pregarla, e rispondere alle mie voci: arso dal Sole mi caccio sotto una macchia e m’addormento o vaneggio – ahi che sovente la saluto come se la vedessi, e mi pare di stringerla e di baciarla – poi mi svanisce, ed io tengo gli occhi inchiodati sui precipizj di qualche dirupo. Sì! conviene ch’io la finisca.

 

 

29 Maggio, a sera

Fuggir dunque, fuggire: ma dove? credimi, io mi sento malato: appena reggo341 questo mio corpo per potermelo strascinare sino alla villa, e confortarmi in quegli occhi e bere un altro sorso di vita, forse ultimo – ma senz’essa vorrei più questo inferno? Dianzi l’ho salutata per andarmene; non rispose – scesi le scale; ma non poteva scostarmi dal suo giardino: e – lo credi? la sua vista mi dà soggezione. Vedendola poi scendere con sua sorella ho tentato di tirarmi sotto una pergola e fuggirmene. La Isabellina ha gridato: Viscere mie342, viscere mie, non ci avete vedute? Colpito quasi da un fulmine mi sono precipitato sopra un sedile; la ragazza mi s’è gettata al collo carezzandomi, e dicendomi all’orecchio: Perché taci sempre? Non so se Teresa m’abbia guardato; sparì dentro un viale. Dopo mezz’ora tornò a chiamare la ragazza che stava ancora fra le mie ginocchia, e m’accorsi come le sue pupille erano rosse di pianto; non mi parlò, ma mi ammazzò con un’occhiata quasi volesse dirmi: Tu mi hai ridotta così.

 

 

2 giugno

Ecco tutto ne’ suoi veri sembianti. Ahi! non sapeva che in me s’annidasse questa furia che m’investe, m’arde, mi annienta, eppur non mi uccide. Dov’è la Natura? Dov’è la sua immensa bellezza? Dov’è l’intreccio pittoresco de’ colli ch’io contemplava dalla pianura inalzandomi con l’immaginazione nelle regioni dei cieli? mi sembrano rupi nude e non veggo che precipizj. Le loro falde coperte di ombre ospitali mi sono fatte nojose: io vi passeggiava un tempo fra le ingannevoli meditazioni della nostra debole filosofia. A qual pro se ci fanno conoscere le infermità nostre, né porgono i rimedj da risanarle? – Oggi io sentiva gemere la foresta ai colpi delle scuri: i contadini atterravano i roveri di duecento anni: – tutto père quaggiù343!

Guardo le piante ch’una volta scansava di calpestare, e mi soffermo sovr’esse e le strappo, e le sfioro344 gittandole fra la polvere rapita dai venti. Gemesse con me l’universo!

Sono uscito assai prima del Sole e correndo attraverso de’ solchi, cercava nella stanchezza del corpo qualche sopore a quest’anima tempestosa. La mia fronte era tutta sudore, e il mio petto ansava con difficile anelito. Soffia il vento della notte e mi scompiglia le chiome ed agghiaccia il sudore che grondavami dalle guance. – Oh! da quell’ora mi sento per tutte le membra un brivido, le mani fredde, le labbra livide, e gli occhi erranti fra le nuvole della morte.

Almeno costei non mi perseguitasse con la sua immagine, ovunque io mi vada, a piantarmisi faccia a faccia: perch’ella, o Lorenzo – perch’ella mi move qui dentro un terrore, una disperazione, una rabbia, una gran guerra – e medito talor di rapirla e di strascinarla con me nei deserti lungi dalla prepotenza degli uomini. – Ahi sciagurato! mi percuoto la fronte e bestemmio – partirò.

 

 

Lorenzo

 

A chi legge

 

Tu forse, o Lettore, ti se’ fatto amico di Jacopo, e brami di sapere la storia della sua passione; onde io per narrartela andrò quindi innanzi interrompendo la serie delle sue lettere.

La morte di Lauretta esacerbò la sua malinconia fatta ancora più nera per l’imminente ritorno di Odoardo. Diradò le sue visite in casa T*** e non parlava con anima nata345. Dimagrato, sparuto, con gli occhi incavati, ma spalancati e pensosi, la voce cupa, i passi tardi, andava per lo più inferrajuolato, senza cappello, e con le chiome giù per la faccia; vegliava le notti intere girando per le campagne, e il giorno fu spesso veduto dormire sotto qualche albero.

In questa, tornò Odoardo in compagnia di un giovine pittore che ripatriava da Roma. Quel giorno stesso incontrarono Jacopo. Odoardo gli si fe’ incontro abbracciandolo; Jacopo quasi sbigottito si arretrò. Il pittore gli disse che avendo udito a parlare di lui e dell’ingegno suo, da gran tempo bramava di conoscerlo di persona. – Ei lo interruppe?: Io? io, signor mio, non ho mai potuto conoscere me medesimo negli altri mortali; però non credo che gli altri possano mai conoscere se medesimi in me. Gli domandarono interpretazione di sì ambigue parole; ed ei per tutta risposta si ravvolse nel suo tabarro, si cacciò fra gli alberi; e sparì. Odoardo si dolse di questo contegno col padre di Teresa, il quale già incominciava a temere della passione di Jacopo.

Teresa dotata di una indole meno risentita, ma passionata346 ed ingenua; propensa a una affettuosa malinconia, priva nella solitudine d’ogni altro amico di cuore, nell’età in cui parla in noi la dolce necessità di amare e di essere riamati, incominciò a confidare a Jacopo tutta l’anima sua, e a poco a poco se ne innamorò; ma non ardiva confessarlo a se stessa: e dopo la sera di quel bacio viveva assai riservata, sfuggendo l’amante, e tremando alla presenza del padre. Allontanata da sua madre, senza consiglio e senza conforto, atterrita dal suo stato futuro, e dalla virtù e dall’amore, diventò solitaria, non parlava quasi mai, leggeva sempre, trascurava e il disegno, e la sua arpa, e il suo abbigliamento, e fu spesso sorpresa dai famigliari con le lagrime agli occhi. Scansava la compagnia delle giovinette sue amiche che a primavera villeggiavano a’ colli Euganei; e dileguandosi a tutti e alla sua sorellina, sedeva molte ore ne’ luoghi più appartati del suo giardino. Regnava quindi in quella casa un silenzio e una certa diffidenza che turbarono lo sposo trafitto anche da’ modi sdegnosi di Jacopo incapace di simulazione. Naturalmente parlava con enfasi; e sebbene conversando fosse taciturno, fra’ suoi amici era loquace, pronto al riso, e ad una allegria schietta, eccessiva. Ma in que’ giorni le sue parole ed ogni suo atto erano veementi e amari come l’anima sua. Istigato una sera da Odoardo che giustificava il trattato di Campo Formio, si diede a disputare, a gridare come un invasato, a minacciare, a percuotersi la testa, e a piangere d’ira. Avea sempre un’aria assoluta347; ma il signore T*** mi raccontava che allora o stava sepolto ne’ suoi pensieri, o se discorreva, s’infiammava d’improvviso; i suoi occhi metteano paura, e talvolta fra il discorso gli abbassava inondati di pianto. Odoardo si fe’ più circospetto, e sospettò del cangiamento di Jacopo.

Così passò tutto Giugno. Il misero giovine diveniva ogni dì più tetro ed infermo; né scriveva più alla sua famiglia, né rispondeva alle mie lettere. Spesso fu veduto da’ contadini cavalcare a briglia sciolta per luoghi scoscesi, e in mezzo alle fratte e a traverso de’ fossi, ed è maraviglia com’ei non sia pericolato348. Una mattina il pittore stando a ritrarre la prospettiva de’ monti, udì la sua voce fra il bosco: gli si accostò di soppiatto, e intese ch’ei declamava una scena delSaule349. Allora gli riuscì di disegnare il ritratto dell’Ortis, che sta in fronte a questa edizione, appunto quand’ei si soffermava pensoso dopo avere proferito que’ versi dell’atto I, scena I.

 

Precipitoso
Già mi sarei fra gl’inimici ferri
Scagliato io da gran tempo; avrei già tronca
Così la vita orribile ch’io vivo.

 

Poi lo vide arrampicarsi sino alla cima della montagna, guardare all’ingiù risolutamente con le braccia aperte, e tutto ad un tratto arretrarsi esclamando: O madre mia350!

Una domenica rimase a desinare in casa T***. Pregò Teresa perché suonasse, e le porse l’arpa egli stesso. Mentr’ella incominciava, entrò suo padre e le s’assise da canto. Jacopo pareva inondato da una dolce mestizia e il suo aspetto si andava rianimando; ma a poco a poco chinò la testa, e ricadde in una malinconia più compassionevole di prima. Teresa lo sogguardava e sforzavasi di reprimere il pianto: Jacopo se n’avvide, né potendosi contenere, s’alzò e partì. Il padre intenerito si voltò a Teresa dicendole: O figlia mia, tu vuoi dunque precipitare teco351 noi tutti? A queste parole le sgorgarono d’improvviso le lagrime; si gittò fra le braccia di suo padre, e gli confessò. In questa entrava Odoardo; e la subita352 partenza di Jacopo, e l’atteggiamento di Teresa, e il turbamento del signore T*** lo raffermarono ne’ suoi dubbj. Queste cose le ho udite dalla bocca di Teresa.

Il dì seguente, che fu la mattina de’ 7 luglio, Jacopo andò da Teresa, e vi trovò lo sposo, e il pittore che le faceva il ritratto nuziale. Teresa confusa e tremante uscì in fretta come per badare a qualche cosa di cui si era dimenticata; ma passando davanti a Jacopo gli disse ansiosamente sottovoce: Mio padre sa tutto. Ei non fe’ motto né cambiò viso; passeggiò tre o quattro volte su e giù per la stanza, ed uscì. Per tutto quel giorno non si lasciò vedere ad uomo vivente. Michele che lo aspettava a desinare, ne cercò invano. Non si ridusse a casa che a mezzanotte suonata. Si sdrajò vestito sul letto, e mandò a dormire il ragazzo. Poco dopo s’alzò e scrisse.

 

 

Mezzanotte

Io mandava alla Divinità i miei ringraziamenti, e i miei voti, ma io non la ho mai temuta. Eppure adesso che sento tutto il flagello delle sventure, io la temo e la supplico.

Il mio intelletto è acciecato, la mia anima è prostrata, il mio corpo è sbattuto353 dal languore della morte.

È vero! i disgraziati hanno bisogno di un altro mondo diverso da questo dove mangiano un pane amaro, e bevono l’acqua mescolata alle lagrime. La immaginazione lo crea, e il cuore si consola. La virtù sempre infelice quaggiù persevera con la speranza di un premio – ma sciagurati coloro che per non essere scellerati hanno bisogno della religione!

Mi sono prostrato in una chiesetta posta in Arquà, perché io sentiva che la mano di Dio pesava sopra il mio cuore.

Son io debole forse, Lorenzo? Il cielo non ti faccia mai sentire la necessità della solitudine, delle lagrime, e di una chiesa!

 

 

Ore 2

Il Cielo è tempestoso: le stelle rare e pallide; e la Luna mezza sepolta fra le nuvole batte con raggi lividi le mie finestre.

 

 

All’alba

Lorenzo, non odi? t’invoca l’amico tuo: qual sonno! spunta un raggio di giorno e forse per rinsanguinare i miei mali. – Dio non mi ode. Mi condanna anzi ad ogni minuto all’agonia della morte; e mi costringe a maledire i miei giorni che pur non sono macchiati di alcun delitto.

Che? se tu se’ un Dio forte, prepotente, geloso, che rivedi le iniquità de’ padri ne’ figli, e che visiti nel tuo furore la terza e la quarta generazione354, dovrò io sperar di placarti? Manda in me – bensì non in altri che in me – l’ira tua, la quale raccende nell’inferno le fiamme355 che dovranno ardere milioni e milioni di popoli a’ quali non ti se’ fatto conoscere. – Ma Teresa è innocente: e anziché stimarti crudele, t’adora con serenità soavissima d’animo. Io non t’adoro, appunto perché ti pavento356 – e sento pure che ho bisogno di te. Spogliati, deh! spogliati degli attributi357 di cui gli uomini t’hanno vestito per farti simile a loro. Non se’ tu forse il Consolatore degli afflitti? E il tuo Figlio Divino non si chiamava egli il Figlio dell’Uomo? Odimi dunque. Questo cuore ti sente, ma non t’offendere del gemito a cui la Natura costringe le viscere dilaniate dell’uomo. E mormoro contro di te, e piango, e t’invoco, sperando di liberare l’anima mia – di liberarla? ma e come, se non è piena di te? se non ti ha implorato nella prosperità, e solo rifugge al tuo ajuto, e domanda il tuo braccio or quando è atterrata nella miseria? se ti teme, e non ha in te veruna358 speranza? Né spera, né desidera che Teresa: e ti vedo in lei sola.

Ecco, o Lorenzo, fuor delle mie labbra il delitto per cui Dio ha ritirato il suo sguardo da me. Non l’ho mai adorato come adoro Teresa. – Bestemmia! Pari a Dio colei che sarà a un soffio scheletro e nulla? Vedi l’uomo umiliato. Dovrò dunque io anteporre Teresa a Dio? – Ah da lei si spande beltà celeste ed immensa, beltà onnipotente. Misuro l’universo con uno sguardo; contemplo con occhio attonito l’eternità; tutto è caos, tutto sfuma, e s’annulla; Dio mi diventa incomprensibile; e Teresa mi sta sempre davanti.

 

Dopo due giorni ammalò. Il padre di Teresa andò a visitarlo, e si giovò di quell’occasione a persuaderlo che s’allontanasse da’ colli Euganei. Come discreto e generoso ch’egli era, stimava l’ingegno e l’animo di Jacopo, e lo amava come il più caro amico ch’ei potesse aver mai; e m’accertò che in circostanze diverse avrebbe creduto d’ornare la sua famiglia pigliandosi per genero un giovine che se partecipava d’alcuni errori del nostro tempo, ed era dotato d’indomita tempra di cuore, aveva a ogni modo, al dire del signore T*** opinioni e virtù degne de’ secoli antichi. Ma Odoardo era ricco, e di una famiglia sotto la cui parentela il signore T*** fuggiva alle persecuzioni e alle insidie de’ suoi nemici, i quali lo accusavano d’avere desiderato la verace libertà del suo paese; delitto capitale in Italia. Bensì imparentandosi all’Ortis, avrebbe accelerato la rovina di lui, e della propria famiglia. Oltre di che aveva obbligata la sua fede359; e per mantenerla s’era ridotto a dividersi da una moglie a lui cara. Né i suoi bilanci domestici gli assentivano360 di accasare Teresa con una gran dote, necessaria alle mediocri sostanze dell’Ortis. Il signore T*** mi scrisse queste cose, e le disse a Jacopo che sapeale da sé, e le ascoltò con aspetto riposatissimo; ma non sì tosto udì parlare di dote. No, lo interruppe, esule, povero, oscuro a tutti i mortali, mi vorrei sotterrar vivo anziché domandarvi vostra figlia in sposa. Sono sfortunato, non però vile. Né i miei figliuoli dovranno riconoscere mai la loro fortuna dalla ricchezza della loro madre. Vostra figlia è più ricca di me, ed è promessa. Dunque? rispose il signore T***. – Jacopo non fiatò. Alzò gli occhi al cielo, e dopo molta ora: O Teresa, esclamò, sarai a ogni modo infelice! O amico mio, gli soggiunse allora amorevolmente il signore T***, e per chi mai cominciò ad essere misera se non per voi? Erasi già per amor mio rassegnata al suo stato; e sola poteva rappacificare una volta i suoi poveri genitori. Vi ha amato; e voi che pure l’amate con sì altera generosità, voi pur le rapite uno sposo, e manterrete discorde una casa ove foste, e siete, e sarete sempre accolto come figliuolo. Arrendetevi; allontanatevi per alcuni mesi. Forse avreste trovato in altri un padre severo: ma io! – sono stato anch’io sventurato; ho provato le passioni, pur troppo! e ne provo – e ho imparato a compiangerle, perché sento io pure il bisogno d’essere compatito. Bensì da voi solo all’età mia quasi canuta361 ho imparato come alle volte si stima l’uomo che ci danneggia, massime se è dotato di tale carattere da far parere generosi e tremendi gli affetti che in altri pajoni colpevoli insieme e risibili. Né io vel dissimulo: voi, dal dì che primamente vi ho conosciuto, avete assunto tale inesplicabile predominio362 sopra di me, da costringermi a temervi insieme ed amarvi: e spesso andava noverando i minuti per impazienza di rivedervi, e nel tempo stesso io sentivami preso d’un tremito subitaneo e secreto allorché i miei servi mi davano avviso che voi salivate le scale. Or voi abbiate pietà di me, e della vostra gioventù, e della fama363 di Teresa. La sua beltà e la sua salute vanno languendo; le sue viscere si struggono nel silenzio, e per voi. Io vi scongiuro in nome di Teresa, partite; sacrificate la vostra passione alla sua quiete; e non vogliate ch’io sia l’amico insieme e il marito e il padre più misero che sia mai nato. Jacopo parea intenerito: non però mutò aspetto, né gli cadde lagrima dagli occhi, né rispose parola; benché il signore T*** a mezzo il discorso si rattenesse a stento dal piangere: e restò a canto al letto di Jacopo sino a notte tardissima: ma né l’uno né l’altro aprirono più bocca se non quando si dissero addio. – La malattia del giovine aggravò; e ne’ giorni seguenti fu sovrappreso364 da febbre pericolosa.

Frattanto io sgomentato e dalle lettere recenti di Jacopo, e da quelle del padre di Teresa, studiava ogni via per accelerare la partenza dell’amico mio, come solo rimedio alla sua violenta passione. Né ebbi cuore di rivelarla a sua madre, la quale aveva già avuto molte altre dolorosissime prove dell’indole sua capace d’eccessi; e le dissi soltanto, ch’era un po’ malato, e che il mutar aria gli avrebbe certamente giovato.

In quel tempo stesso incominciavano a inferocire in Venezia le persecuzioni. Non v’erano leggi; ma tribunali arbitrarj; non accusatori, non difensori; bensì spie di pensieri, delitti nuovi, ignoti a chi n’era punito, e pene subite, inappellabili. I più sospettati gemevano carcerati; gli altri, benché d’antica e specchiata365 fama, erano tolti di notte alle proprie case, manomessi366 dagli sgherri, strascinati a’ confini e abbandonati alla ventura, senza l’addio de’ congiunti, e destituti d’ogni umano soccorso. Per alcuni pochi l’esilio scevro da questi modi violenti ed infami fu somma clemenza. Ed io pure tardo, e non ultimo e tacito martire367, vo da più mesi profugo per l’Italia volgendo senza nessuna speranza gli occhi lagrimosi alle sponde della mia patria. Onde io allora, adombrato368 anche per la libertà di Jacopo, persuasi sua madre, quantunque desolatissima, a raccomandargli che sino a tempi migliori cercasse rifuggio in altro paese; tanto più che quando s’era partito di Padova, si scusò allegando gli stessi pericoli. Fu fidata la lettera a un servo il quale giunse a’ colli Euganei la sera de’ 15 Luglio, e trovò Jacopo ancora a letto, sebbene migliorato d’assai. Gli sedeva vicino il padre di Teresa. Lesse la lettera sommessamente, e la posò sul guanciale; poco dopo la rilesse, e parve commosso; ma non ne parlò.

Il dì 19 s’alzò da letto. In quel giorno stesso sua madre gli riscrisse inviandogli danaro, due cambiali, e parecchie commendatizie, e scongiurandolo per le viscere di Dio che partisse. Assai prima di sera andò da Teresa; e non trovò che l’Isabellina la quale tutta intenerita contò ch’ei s’assise muto, si rizzò, la baciò, e se ne andò. Tornò dopo un’ora, e salendo per le scale la incontrò nuovamente, e se la strinse al petto, la baciò più volte, e la bagnò di lagrime. Si pose a scrivere, mutò varii fogli, e li stracciò poi tutti. Si aggirò pensieroso per l’orto. Un servo passandovi su l’imbrunire, lo vide sdrajato: ripassando, lo trovò ritto presso al rastrello369 in atto d’uscire, e col capo rivolto attentissimo verso la casa ch’era battuta dalla Luna.

Tornatosi a casa, rimandò il messo rispondendo a sua madre, che domani su l’alba partiva. Fece ordinare i cavalli alla posta più vicina. Innanzi di coricarsi, scrisse la lettera seguente per Teresa, e la consegnò all’ortolano. All’alba partì.

 

 

Ore 9

Perdonami, Teresa; io ho funestato la tua giovinezza, e la quiete della tua casa; ma fuggirò. Né io mi credeva dotato di tanta costanza. Posso lasciarti, e non morir di dolore; e non è poco; usiamo370 dunque di questo momento finché il cuore mi regge, e la ragione non mi abbandona affatto371. Pur la mia mente è sepolta nel solo pensiero di amarti sempre e di piangerti. Ma sarà obbligo mio di non più scriverti, né di mai più rivederti se non se quando sarò certissimo di lasciarti quieta davvero. Oggi t’ho cercato invano per dirti addio. Abbiti almeno, o Teresa, queste ultime righe ch’io bagno, tu ’l vedi, d’amarissime lagrime. Mandami in qualunque tempo, in qualunque luogo il tuo ritratto. Se l’amicizia, se l’amore – o la compassione e la gratitudine ti parlano ancora per questo sconsolato, non negarmi il ristoro che addolcirà tutti i miei patimenti. Tuo padre stesso me lo concederà, spero – egli egli che potrà vederti, ed udirti, e sentirsi riconfortato da te; mentr’io nelle ore fantastiche372 del mio dolore e delle mie passioni, nojato da tutto il mondo, diffidente di tutti, camminando sopra la terra come di locanda in locanda, e drizzando volontariamente i miei passi verso la sepoltura – perché ho veramente necessità di riposo – io mi conforterò intanto baciando dì e notte l’immagine tua: e così tu m’infonderai da lontano costanza da sopportare questa mia vita, – e finché avrò forze, io la sopporterò per te, e te lo giuro. E tu prega – prega, o Teresa, dalle viscere del tuo cuore purissimo il Cielo – non che mi perdoni373 i dolori, che forse avrò meritati, e che forse sono inseparabili dalla tempra dell’anima mia – bensì che non mi levi le poche facoltà che ancora mi avanzano, da tollerarli. Con l’immagine tua farò men angosciose le mie notti, e meno tristi i miei giorni solitarj, que’ giorni ch’io dovrò pur vivere senza di te. Morendo, io volgerò a te gli ultimi sguardi, io ti raccomanderò il mio sospiro; verserò sovra di te l’anima mia, ti porterò meco nella mia sepoltura attaccata al mio petto – e se è pure prescritto ch’io chiuda gli occhi in terra straniera, e dove nessun cuore mi piangerà, io ti richiamerò tacitamente al mio capezzale, e mi parrà di vederti in quell’aspetto, in quell’atto, con quella stessa pietà che io ti vedeva, quando una volta, assai prima che tu sapessi di amarmi, assai prima che tu t’accorgessi dell’amor mio – ed io era ancora innocente verso di te – mi assistevi nella mia malattia. – Di te non ho se non l’unica lettera che mi scrivesti quando io era in Padova: felice tempo! ma chi l’avrebbe mai detto? allora parevami che tu mi raccomandassi di ritornare: – ed ora? scrivo il decreto; ed eseguirò fra poche ore il decreto della nostra eterna separazione. Da quella tua lettera comincia la storia dell’amor nostro e non mi abbandonerà mai. O mia Teresa! e questi son pure delirj: ma sono insieme la sola consolazione di chi è insanabilmente infelice. Addio. Perdonami, mia Teresa – ohimè, io mi credeva più forte! – scrivo male e di un carattere appena leggibile; ma ho l’anima lacerata, e il pianto su gli occhi. Per carità non mi negare il tuo ritratto. Consegnalo a Lorenzo: e s’ei non me lo potrà far arrivare, lo custodirà come eredità santa che gli ricorderà sempre le tue virtù, e la tua bellezza, e l’unico eterno infelicissimo amore del suo misero amico. Addio – ma non è l’ultimo; mi rivedrai: e da quel giorno in poi sarò fatto tale da obbligare gli uomini ad avere pietà e rispetto alla nostra passione; e a te non sarà più delitto l’amarmi – pur se innanzi ch’io ti rivegga, il mio dolore mi scavasse la fossa, concedimi ch’io mi renda cara la morte con la certezza che tu m’hai amato. – Or sì ch’io sento in che dolore io ti lascio! Oh! potessi morire a’ tuoi piedi: oh! morire ed essere sepolto nella terra che avrà le tue ossa – ma addio374.

 

Michele dissemi che il suo padrone viaggiò per due poste375 silenziosissimo, e con aspetto assai calmo, e quasi sereno. Poi chiese il suo scrigno da viaggio; e tanto che si rimutavano i cavalli, scrisse il seguente biglietto al signore T***.

 

Signore ed amico mio376.

All’ortolano di casa mia ho raccomandato jer sera una lettera da ricapitarsi alla Signorina; – e bench’io l’abbia scritta quand’io già m’era saldamente deliberato a questo partito d’allontanarmi, temo a ogni modo d’avere versato sovra quel foglio tanta afflizione da contristare quella innocente. A lei dunque, signor mio, non rincresca di farsi mandare quella lettera dall’ortolano; e gli fo’ dire che non la fidi se non a lei solo. La serbi così sigillata o la bruci. Ma perché alla sua figliuola riescirebbe amarissimo ch’io mi partissi senza lasciarle un addio, e tutto jeri non mi fu dato mai di vederla – ecco qui annesso un polizzino377 pur sigillato – ed ardisco sperare ch’ella, signor mio, la consegnerà a Teresa T*** innanzi che diventi moglie del marchese378 Odoardo. – Non so se ci rivedremo – ho ben decretato di morire, non foss’altro, vicino alla mia casa paterna; ma quand’anche questo mio proponimento fosse deluso – sono certo ch’ella, signore ed amico mio, non vorrà mai dimenticarsi di me.

 

Il signore T*** mi fe’ capitare la lettera per Teresa (che ho riportato dianzi) a sigillo inviolato; – né tardò a dare a sua figlia il polizzino. L’ebbi sott’occhio; era di poche righe; e d’uomo che per allora pareva tornato in sé.

Tutti quasi i frammenti che seguono mi vennero per la posta in diversi fogli.

 

 

Rovigo, 20 Luglio

Io la mirava e diceva a me stesso: Che sarebbe di me se non potessi vederla più? e correva a piangere meco di consolazione sapendo ch’io le era vicino – e adesso?

Cos’è più l’universo? qual parte mai della terra potrà sostenermi senza Teresa? e mi pare di esserle lontano sognando. Ho avuto io tanta costanza? e m’è bastato il cuore di partire così – senza vederla? né un bacio, né un unico addio! A minuto a minuto credo di trovarmi alla porta della sua casa, e di leggere nella mestizia del suo volto, che m’ama. Fuggo; e con che velocità ogni minuto mi porta ognor più lontano da lei. E intanto? quante care illusioni! ma io l’ho perduta. Non so più obbedire né alla mia volontà, né alla mia ragione, né al mio cuore sbalordito: mi lascierò strascinare dal braccio prepotente del mio destino. Addio.

 

 

Ferrara, 20 Luglio, a sera

Io traversava il Po e rimirava le immense sue acque, e più volte fui per precipitarmi, e profondarmi379, e perdermi per sempre. Tutto è un punto!380 – ah s’io non avessi una madre cara e sventurata a cui la mia morte costerebbe amarissime lagrime!

Né finirò così da codardo. Sosterrò tutta la mia sciagura; berrò fino all’ultima lagrima il pianto che mi fu assegnato dal Cielo; e quando le difese saranno vane, disperate tutte le passioni, tutte le forze consunte; quando io avrò coraggio di mirare la Morte in faccia, e ragionare pacatamente con lei, ed assaporare l’amaro suo calice, ed espiate le altrui lagrime, e disperato di rasciugarle – allora.

Ma ora ch’io parlo non è forse tutto perduto? e non mi resta che la sola memoria e la certezza che tutto è perduto: – hai tu provata mai quella piena di dolore quando ci abbandonano tutte le speranze?

 

Né un bacio? né addio! – bensì le tue lagrime mi seguiranno nella mia sepoltura. La mia salute, la mia sorte, il mio cuore, tu – tu! – insomma tutto congiura, ed io vi obbedirò tutti.

 

 

Ore...

E ho avuto cuore di abbandonarla? anzi ti ho abbandonata, o Teresa, in uno stato più deplorabile del mio. Chi sarà tuo consolatore? e tremerai al solo mio nome poiché t’ho fatto vedere io – io primo, io unico sull’aurora della tua vita, le tempeste e le tenebre della sventura; e tu, o giovinetta, non sei ancora sì forte né da tollerare né da fuggire la vita. Tu, per anche non sai che l’alba e la sera sono tutt’uno381. Ah né io te lo voglio persuadere! – eppure non abbiamo più ajuto veruno dagli uomini, nessuna consolazione in noi stessi. Ormai non so che supplicare il sommo Iddio, e supplicarlo co’ miei gemiti, e cercare alcuna speranza fuori di questo mondo dove tutti ci perseguitano e ci abbandonano. E se gli spasimi, e le preghiere, e il rimorso ch’è fatto già mio carnefice, fossero offerte accolte dal Cielo, ah! tu non saresti così infelice, ed io benedirei tutti i miei tormenti. Frattanto nella mia disperazione mortale chi sa in che pericoli tu sei! né io posso difenderti, né rasciugare il tuo pianto, né raccogliere nel mio petto i tuoi secreti, né partecipare delle tue afflizioni; non so né dove fuggo, né come ti lascio, né quando potrò più rivederti.

Padre crudele – Teresa è sangue tuo! quell’altare è profanato382; la Natura ed il Cielo maledicono quei giuramenti; il ribrezzo, la gelosia, la discordia ed il pentimento gireranno fremendo intorno a quel letto383 e insanguineranno forse quelle catene384. Teresa è figlia tua; placati. Ti pentirai amaramente, ma tardi: fors’ella un giorno nell’orrore del suo stato maledirà i suoi giorni e i suoi genitori, e conturberà con le sue querele le tue ossa nel sepolcro, quando tu non potrai se non intenderla di sotterra. Placati. – Ohimè! tu non mi ascolti – e dove me la trascini? – la vittima è sacrificata! io odo il suo gemito – il mio nome nel suo ultimo gemito! Barbari! tremate – il vostro sangue, il mio sangue – Teresa sarà vendicata. – Ahi delirio! – ma io son pure omicida385.

Ma tu, Lorenzo mio, che non mi ajuti?386 io non ti scriveva perché un’eterna tempesta d’ira, di gelosia, di vendetta, di amore infuriava dentro di me; e tante passioni mi si gonfiavano nel petto, e mi soffocavano, e mi strozzavano quasi; io non poteva mandare parola, e sentiva il dolore impietrito dentro di me – e questo dolore regna ancora e mi chiude la voce e i sospiri, e m’inaridisce le lagrime: – mi sento mancata gran parte della vita, e quel poco che pure mi resta è avvilito dal languore e dalla oscurità della morte.

 

Or mi adiro sovente di essere partito, e mi accuso di viltà. – Perché mai non hanno ardito d’insultare alla mia passione? Se taluno avesse comandato a quella misera di non rivedermi; se me l’avessero a viva forza strappata, pensi tu ch’io l’avrei lasciata mai? Ma doveva io pagare d’ingratitudine un padre che mi chiamava amico, che tante volte commosso mi abbracciava dicendomi: E perché la sorte ti ha pur unito a noi disgraziati? Poteva io precipitare nel disonore e nella persecuzione una famiglia che in altre circostanze avrebbe diviso meco e la prosperità e l’infortunio? E che poteva io rispondergli quand’ei mi diceva sospirando e pregandomi: – Teresa è mia figlia! – Sì! divorerò nel rimorso e nella solitudine tutti i miei giorni: ma ringrazierò quella tremenda mano invisibile che mi rapì da quel precipizio donde io cadendo avrei strascinata meco nella voragine quella giovinetta innocente. E mi seguitava; ed io crudele andava pur soffermandomi, e voltando gli occhi guardando se affrettavasi dietro a’ miei passi precipitosi – e mi seguitava; ma con animo spaventato, e con deboli forze. Che? or non son io seduttore? – e non dovrò tormele387 eternamente dagli occhi? Potessi anzi nascondermi a tutto l’universo e piangere le mie sciagure! ma piangerli quando io gli ho esacerbati?

 

Niuno sa quale segreto sta sepolto qui dentro – e questo sudore freddo improvviso – e questo arretrarmi – e il lamento che tutte le sere vien di sotterra, e mi chiama – e quel cadavere – perché io, Lorenzo, non sono forse omicida; ma pur mi veggo insanguinato d’un omicidio388.

Spunta appena il giorno, ed io sto per partire. Da quanto tempo l’aurora mi trova sempre in un sonno da infermo! La notte non trovo mai posa. Poco fa io spalancava gli occhi urlando e guatandomi intorno come se mi vedessi sul capo il manigoldo389. Sento nello svegliarmi certi terrori, simile a quegli sciagurati che hanno le mani calde di delitto. – Addio addio. Parto, e ognor più lontano. Ti scriverò da Bologna dentr’oggi. Ringrazia mia madre. Pregala perché benedica il suo povero figliuolo. S’ella sapesse tutto il mio stato! ma taci: su le sue piaghe non aprire un’altra piaga390.

 

 

 

339 brancicando: è il gesticolare di chi procede a tentoni in una stanza buia.

340 coltri molli di pianto: coperte bagnate dalle lacrime. Si noti la ricercatezza di una scelta lessicale che porta Foscolo ad adottare il termine coltri, che da una parte significa ‘coperta’ (imbottita), dall’altra invece ‘drappo funebre che si poggia sulla bara’. Da questo punto dell’Ortis in poi la morte è sempre a un passo.

341 reggo: tengo in piedi («la malattia, di cui darà conto Lorenzo più avanti, è altro tratto tipico dell’eroe romantico, in quanto somatizzazione della sua costituzionale infelicità»; Pierantonio Frare).

342 Viscere mie: in alcune regioni meridionali i padri e le madri chiamano così i loro figli. Non è strano che una bambina come Isabellina usi nei confronti d’un carissimo amico quegli appellativi affettuosi con i quali gli altri si rivolgono a lei.

343 tutto père quaggiù!: espressione ripresa dal Monti dei Pensieri d’amore (X, 1).

344 le sfioro: ne distruggo i fiori.

345 anima nata: anima viva.

346 risentita, ma passionata: irascibile ma passionale.

347 assoluta: risoluta, decisa.

348 ed è... pericolato: ed è ben strano che non sia rovinato a terra.

349 Saule: è il Saul dell’Alfieri.

350 madre mia!: dalle parole ai fatti. Il suicidio diventa gesto possibile, anche se per il momento scongiurato.

351 precipitare teco: trascinare con te (nella disperazione).

352 subita: frettolosa.

353 sbattuto: reso pallido e disfatto.

354 quarta generazione: «Esodo, XX, 5» (n.d.a.).

355 le fiamme: «Malach, III, 3» (n.d.a.): Sanguineti corregge l’autore e specifica: III, 2.

356 ti pavento: ti temo.

357 attributi: Jacopo si riferisce soprattutto a quelli più terribili: primo fra tutti l’ira che colpisce gli ingiusti.

358 veruna: nessuna.

359 aveva obbligata la sua fede: impegnato il suo onore in una promessa solenne.

360 assentivano: consentivano.

361 età... canuta: in vecchiaia, età della saggezza, della quale sono simbolo i capelli bianchi (incanutirsi: ‘imbiancarsi’).

362 predominio: influenza.

363 fama: onorabilità.

364 sovrappreso: preso di nuovo (dà l’idea di una grave ricaduta).

365 specchiata: esemplare.

366 manomessi: maltrattati (indebitamente toccati).

367 martire: testimone (martiri furono infatti gli apostoli, testimoni della vita e della resurrezione del Cristo).

368 adombrato: angosciato.

369 rastrello: cancello (per lo più a stecche di legno verticali infisse nel telaio).

370 usiamo: approfittiamo.

371 affatto: del tutto.

372 fantastiche: deliranti.

373 perdoni: mi eviti.

374 addio: in questa lettera Foscolo attinge ampiamente all’epistola con la quale – dalla letteratura alla realtà – aveva troncato, nel 1801, la storia d’amore con Isabella Roncioni.

375 poste: erano le stazioni dove venivano sostituiti i cavalli delle carrozze nei viaggi avventurosi di una volta.

376 amico mio: «Anche questo biglietto fu omesso nelle edizioni susseguenti alla prima dove unicamente si legge; vedi la Notizia bibliografica in calce a questa ristampa» (n.d.a.).

377 polizzino: diminutivo di polizza, nel significato di ‘bigliettino’.

378 marchese: è la prima volta che veniamo a conoscenza del lignaggio nobiliare di Odoardo. Forse il tratto serviva al Foscolo per rendere ancora più distante e alternativo questo personaggio rispetto a Jacopo.

379 precipitarmi, e profondarmi: gettarmi nelle acque e affondarvi lentamente.

380 Tutto è un punto!: ci vorrebbe un solo istante.

381 l’alba... tutt’uno: tutti i giorni della nostra vita, tutte le sue stagioni, sono ugualmente all’insegna della sofferenza e dell’illusione.

382 profanato: trattandosi di un matrimonio imposto (a Teresa), il sacramento stesso – e l’altare che lo rappresenta – viene infangato.

383 quel letto: il letto nuziale.

384 quelle catene: il sacro vincolo del matrimonio.

385 son pure omicida: è Foscolo a spiegarci, nella Notizia bibliografica, che «Jacopo delira come Werther», temendo per il futuro infelice di Teresa sposa (che vede come «vittima sgozzata sull’altare») e bruciando di rimorso per il contadino inavvertitamente ucciso, come verrà meglio chiarito più avanti. Ma il proposito di suicidio con cui apre la lettera viene rimandato per un senso di «religiosa pietà per sua madre».

386 che... ajuti: cfr. Inferno, XXXIII, 69: «Padre mio, che non m’aiuti?».

387 tormele: togliermi a lei.

388 omicidio: «Di questo rimorso d’omicidio, che spesso prorompe dal secreto del misero giovine, il lettore vedrà la ragione verso la fine del libro, in una lettera datata 14 marzo» (n.d.a.).

389 il manigoldo: il mio carnefice.

390 piaga: a partire dall’edizione del 1816 la prima parte del romanzo termina qui, con una nuova allusione alla madre che è da tempo il nucleo emotivo attorno al quale si fissa l’attaccamento alla vita di Jacopo. Nell’edizione 1802 (quella scritta per mano certa dell’autore e non dovuta al completamento maldestro del Sassoli) ci si arrestava invece dopo le parole e quel cadavere.

Questo ebook appartiene a martina rotta - 91344 Edito da Newton Compton Editori Acquistato il 9/12/2014 7:44:43 AM con numero d'ordine 925062
I magnifici 7 capolavori della letteratura italiana
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