LO STRATEGIKON DI CECAUMENO
Secondo Dain e De Foucault, l'opera che esaminiamo per ultima, lo Strategikon di Cecaumeno, non può essere inserita nel canone degli studiosi bizantini di strategia, ma piuttosto nel genere dei libri che forniscono genericamente consigli su tutto, perché solo in parte tratta argomenti militari."6 Il titolo infatti fu aggiunto dal primo curatore moderno.
La mancanza di altri manoscritti che consentano un confronto è, in questo caso, una vera sfortuna, perché quest'unico manoscritto è stato sicuramente copiato da un amanuense che non capiva affatto quello che stava scrivendo, tanto che i successivi curatori dell'opera hanno dovuto cercare di rimediare ad alcuni errori grossolani e si sono trovati davanti a intere sequenze di caratteri senza alcun senso.
Anche la struttura del testo è problematica, perché tortuosa e ripetitiva: si salta da un argomento all'altro, poi si torna indietro, più volte e con molte ripetizioni. D'altra parte, l'opera ha il vantaggio di essere scritta nel greco colloquiale del suo tempo e quindi è libera dal peso del classicismo di tanti testi bizantini e dalle ambiguità che ne conseguono.
La cosa più interessante di questo libro, però, è il suo punto di vista. Il suo destinatario è, come in tanti altri manuali, uno strategos, comandante sul campo o comandante di un thema, ma questa volta l'autore non si preoccupa tanto della potenza e della gloria dell'Impero, quanto della carriera e dell'onore personale dell'uomo a cui si rivolge: è il consiglio di un nonno, un saggio anziano, a un uomo più giovane, un parente.
La predica iniziale, per esempio, comincia nel modo convenzionale: sì, uno strategos deve essere cauto, ma non si può cercare di giustificare la propria pusillanimità dicendo che ci si preoccupava della sicurezza delle truppe: «Se volevi mantenere le truppe al sicuro, perché sei entrato in territorio nemico?».
Poi, però, il consiglio che segue non è quello di cercare una via di mezzo tra l'eccessiva cautela e la temerarietà − il consiglio infallibile di Onasandro e simili − ma piuttosto quello di non perdere di vista quello che conta davvero: la tua reputazione personale, il tuo onore.121 Evita l'onta di apparire troppo prudente o troppo audace, scegliendo con cura operazioni che possano essere pianificate con precisione, ma che per qualche verso diano l'impressione di essere rischiose, in modo da acquistare la reputazione di uomo da temere. È implicito che si tratterebbe sempre di operazioni minori, mentre il grosso delle truppe verrebbe gestito sempre con molta cautela.
E ancora, quando tratta del modo in cui uno strategos alla direzione di un thema debba esercitare il suo ruolo di amministratore civile, Cecaumeno è categorico: «Mai, assolutamente mai, accettare una posizione che ti assegni il ruolo di responsabile dell'esazione delle tasse - non puoi servire contemporaneamente Dio e Mammona», anche se ad aver bisogno delle tasse era l'Impero.
La stessa motivazione ritorna quando Cecaumeno offre i suoi consigli di lettura: «Leggi libri, storie, testi ecclesiastici. E non dire: "Che vantaggio può venire a un soldato dai dogmi e dai libri della chiesa?". Saranno certamente utili». Cecaumeno sottolinea il fatto che la Bibbia è piena di consigli strategici e che anche nel Nuovo Testamento ci sono dei precetti in materia. Poi, però, viene fuori il motivo reale: «Voglio che tu conquisti l'ammirazione di tutti, per il tuo coraggio, la tua prudenza e la tua cultura».
Cecaumeno non era un cinico illuminista, era un cinico bizantino, quindi il testo contiene tutta la quota necessaria di invocazioni alla divinità, appassionate e comunque anche sincere, però non c'è alcun dubbio sul fatto che scriva come se il destino dell'Impero fosse per lui meno importante del successo personale del suo discepolo, che la cosa non gli crei alcun imbarazzo e che ne sia cosciente: «Questi consigli non si trovano in nessun altro trattato strategico».
Questo atteggiamento potrebbe avere delle motivazioni personali, ma non si può escludere che la sua causa sia invece circostanziale, che sia cioè un riflesso della decadenza dell'Impero. Il curatore dell'ultima edizione dell'opera dà al testo una collocazione molto precisa, tra il 1075 e il 1078, perché vi si cita Michele VII Ducas come imperatore in carica e del patriarca di Costantinopoli Xifilino (1065-1075) si dice che è morto.
Mezzo secolo prima, nel 1025, Basilio II, morendo, aveva lasciato un Impero largamente vittorioso, che si era espanso in tutte le direzioni, a nord e a ovest nei Balcani e in Italia, a est in Mesopotamia e nel Caucaso, e stava progettando un'invasione della Sicilia. Ma cinquanta anni sono un periodo molto lungo nella politica internazionale, specialmente per i Bizantini, che erano eternamente esposti agli ultimi arrivi dall'Asia centrale. Per secoli le popolazioni turche avevano continuato a muoversi a ovest, lungo il corridoio della steppa che passa a nord del Mar Nero, minacciando la frontiera danubiana e qualche volta violandola. Negli ultimi tempi quelle popolazioni avevano iniziato a muoversi verso sud, dirigendosi sulle ricchezze dell'Iran e della Mesopotamia e convertendosi all'Islam nel loro cammino. Alcuni si erano uniti al jihad contro l'Impero cristiano, o come mercenari, ghilman (schiavi-soldati), o come fedeli entusiasti sotto il comando arabo. Poi, però, c'era stato un cambio della guardia, perché i capi dei guerrieri turchi avevano progressivamente tolto ai sovrani arabi il dominio dei territori centrali dell'Islam, dall'Afghanistan all'Egitto. Alp Arsldn, della famiglia selgiuchide dei turchi Oguz, era già di fatto il signore dell'Iran e della Mesopotamia, dall'Oxus (Amu Darya) all'Eufrate, quando sconfisse e catturò Romano IV Diogene a Manzicerta, nell'agosto 1071, aprendo la strada dell'Anatolia ai numerosissimi turchi che lo avevano seguito in battaglia.
E quindi, se la datazione 1075-1078 è corretta, Cecaumeno scriveva in tempi catastrofici, perché l'Anatolia era l'Impero, o ne era almeno una parte essenziale, e adesso, con la sola eccezione del suo estremo bordo occidentale, era caduta sotto il dominio selgiuchide.
È possibile che l'opera di Cecaumeno, nonostante il suo stile, decisamente non letterario, in fondo non sia che letteratura alimentata da altra letteratura e non dalla vita. Però, sin dai brani d'apertura della parte strategica (sezione 24), il libro sembra testimoniare una reale esperienza di vita militare: la raccolta d'informazioni sulle potenzialità e sulle intenzioni del nemico è essenziale − se manca non è possibile ottenere buoni risultati.
Lo strategos cui l'esercito è stato affidato, quindi, viene invitato prima di tutto ad assumere un gran numero di spie «affidabili e dinamiche». Il termine usato è konsarios, da koursores o protokoursores, che nei testi precedenti indica incursori o esploratori della cavalleria leggera, ma che in questo caso comprende anche uomini che debbono lavorare sotto copertura. In effetti nel testo si specifica che devono lavorare individualmente e nessuno di loro deve conoscere gli altri colleghi, nel caso in cui qualcuno di loro fosse catturato (e poi costretto a parlare).'27 Le spie non bastano, ci vogliono anche gli esploratori (sinodikoi), in numero di otto, nove o dieci o anche più. Solo le spie possono sperare di penetrare nel quartier generale del nemico e sottrarre i piani di guerra, o almeno raccogliere qualche indizio, ma ci vogliono gli esploratori per capire quali operazioni il nemico abbia già avviato sul campo. Allo strategos si consiglia di essere generoso con i suoi esploratori, se si sono comportati bene, e di parlare con loro spesso, per capire chi è sincero e chi mente. Ma non deve confidare loro i suoi piani.
Si aggiunge un ulteriore consiglio, che sembra prodotto da amare esperienze, come quella di Manzicerta: furono soprattutto il tradimento e la defezione a decidere quella battaglia, ma ci fu anche carenza d'informazioni.
Pertanto fai tutto il possibile, ogni giorno, per scoprire dove si trova il nemico e cosa sta facendo.
Seguito da un altro consiglio rassegnato:
E anche se il nemico non è particolarmente astuto, tu non sottovalutarlo − comportati sempre come se fosse ricco d'ingegno e risorse.
Quando si giunge al metodo operativo bellico, Cecaumeno si mantiene nei limiti della stretta ortodossia, ripetendo il consiglio di tutti i manuali precedenti a partire dallo Strategikon di Maurizio, il consiglio in cui si compendia l'essenza del particolare modo bizantino di fare la guerra: non ti stancare mai di raccogliere informazioni tutt'intorno a te, conduci la campagna con vigore, ma combatti solo a piccole dosi, evitando di cercare la vittoria decisiva in una battaglia campale, perché una cosa come la vittoria definitiva non esiste − c'è solo un momento di pausa prima dell'arrivo di un nuovo nemico e in quel momento le perdite attuali, da entrambe le parti, saranno amaramente rimpiante.
Una volta però che si sia entrati in battaglia non è permesso ritirarsi, perché questo demoralizzerebbe le truppe. E per questo che il nemico va saggiato, messo alla prova, con piccoli scontri, prima della battaglia, sia per poterne valutare la forza, sia per capire in che modo combatta − perché potrebbe anche trattarsi di un nemico assolutamente nuovo, che l'Impero non aveva mai combattuto prima. Cecaumeno aveva familiarità con i testi classici dell'arte militare e si aspettava che anche per i suoi lettori fosse così − o, a ogni modo, questo è il motivo che adduce per giustificare la sua rinuncia a scrivere sulle formazioni di battaglia.
Invece insiste perché lo strategos scopra a quale etnia appartiene il nemico prima di disporre i suoi uomini in campo, perché ci sono popoli che combattono in un'unica falange, ma altri in due e altri ancora in ordine sparso. L'autore scrive che la migliore formazione di battaglia è quella romana, ma non porta argomenti per motivare il suo giudizio, con tutta probabilità per il fatto che la superiorità romana in campo militare era data per scontata.
Il tono è sempre moderato e benevolo, ma su un punto l'autore diviene feroce: è a favore della pena di morte per il comandante che sia rimasto sorpreso da un'incursione nemica nel proprio accampamento. Tutt'intorno al campo devono essere disposte molte sentinelle, anche quando un attacco appare improbabile, perché uno strategos non dovrebbe mai essere costretto a dire: «Non mi aspettavo un attacco da quella parte [del perimetro]» e a sentirsi rispondere: «Avevi un nemico o no? Se lo avevi, come è possibile che tu non abbia preso in considerazione anche le peggiori eventualità?».'" Questo passo richiama i manuali precedenti, ma può anche essere il frutto di un'esperienza personale: avendolo fatto personalmente, so benissimo che è più facile assegnare i posti di vigilanza alle sentinelle che assicurarsi che restino sveglie tutta la notte e notte dopo notte, anche se non succede niente, di solito − con l'eccezione di quella particolare notte in cui le sentinelle cadono addormentate.
Segue una serie di ingiunzioni (sezione 32): «Non sottovalutate i nemici per il fatto che sono barbari [nel testo ethnikon, non barbaroi], perché anch'essi hanno capacità di ragionare, saggezza innata e astuzia»; e «se capita qualcosa d'inaspettato, comportati con calma ed energia, per dare coraggio ai tuoi subordinati. Se ti lasci sopraffare dal panico, chi potrà guidare e rianimare l'esercito?». Quanto al modo di comportarsi con gli inviati in visita all'accampamento, Cecaumeno riecheggia le consuete procedure bizantine:
Costoro dovrebbero accamparsi in una zona posta più in basso dell'accampamento e con loro deve stare uno dei tuoi uomini di fiducia, in modo che essi non possano spiare il vostro esercito. Non debbono andare in giro come vogliono, né mettersi a parlare con qualcuno senza il tuo permesso. Inoltre se nel campo c'è qualcosa di veramente importante, non farli entrare affatto, invece leggi la loro lettera, rispondi e rispediscili indietro con doni magnifici […] faranno le tue lodi.
Tutti questi sono temi familiari, ma c'è anche un appello interessante al pensiero originale, che sarebbe il più grande dei luoghi comuni per l'uomo moderno, cui viene ripetuto quanto sia intelligente reinventare ogni cosa tutte le volte, ma è invece inusuale nella cultura bizantina:
Se sai per certo che il capo [archenos] del popolo contro il quale stai combattendo è un uomo astuto, allora prendi buona guardia dai suoi diabolici trucchi. Dovresti anche usare qualche contromisura, non solo quelle che hai appreso dagli antichi: inventane di nuove. E non venire a dire che questo non ti è stato insegnato dagli antichi.
Cecaumeno rispettava gli antichi come chiunque altro, ma evidentemente riteneva anche necessario scrollarsi di dosso l'ammirazione incantata dei testi classici.
Torna poi a prendersela con qualche non specificato classico − non però con Onasandro, questa volta − quando disapprova il consiglio di tenere lontana per tre anni dai combattimenti una formazione che abbia abbandonato il campo di battaglia. Dice invece:
Se immediatamente, lo stesso giorno della sconfitta, ti riesce di raccogliere anche solo un quarto del tuo esercito, non ti spaventare come quelli che hanno un cuore di coniglio, prendi quelli che sei riuscito a radunare e gettati di nuovo contro il nemico. Non di fronte, naturalmente, ma, all'inizio, sul retro o di fianco, quello stesso giorno e anche la notte.
Questo è un consiglio eccellente, perché, come sottolinea Cecaumeno, il nemico, avendo vinto, non starà in guardia e sarà facile prenderlo di sorpresa, trasformando così in vittoria una sconfitta.133 È così che l'esercito tedesco, sempre più privo di supporto aereo e in crescente inferiorità numerica di carri e mezzi di trasporto a partire dal 1943, riuscì a prolungare la sua resistenza all'avanzata dell'Armata Rossa sino alla fine. Proprio come voleva Cecaumeno, riuscì a lanciare dei contrattacchi ogni volta che aveva subìto sconfitte apparentemente devastanti. Niente è più difficile quando le truppe sono demoralizzate, le unità disorganizzate e le armi pesanti che sono rimaste disponibili hanno urgente bisogno di essere rimesse in ordine; e niente è più efficace, perché riesce a spezzare la grande spinta che le vittorie sul campo di battaglia dovrebbero produrre. I soldati dell'Armata Rossa, che dilagavano avanzando, si vedevano intrappolati in contrattacchi letali, condotti da nemici che, un momento prima, avevano visto fuggire in preda al panico. Ufficiali con la pistola in mano avevano fermato e raccolto quegli stessi soldati, li avevano inquadrati in improvvisate alarmheiten, avevano requisito qualsiasi carro armato e qualsiasi cannone controcarro riuscissero a vedere ed erano partiti, senza attendere istruzioni, per lanciare contrattacchi che spesso riuscivano a infliggere al nemico un numero sproporzionato di caduti e che in ogni caso rallentavano il passo dell'Armata Rossa. Fu così che gli eccellenti ufficiali dell'esercito tedesco diedero ai loro colleghi addetti allo sterminio il tempo di portare avanti il loro lavoro, perché la grande maggioranza delle vittime dei campi d'annientamento nazisti fu uccisa in quell'ultimo anno di guerra che i combattenti della Wehrmacht erano riusciti a strappare con la loro abilità tattica e con la pura forza della loro tenacia.
Un suggerimento come questo mostra che Cecaumeno, che avesse esperienza militare diretta o no, capiva comunque bene la dinamica del combattimento.
Il realismo a sangue freddo che pervade queste pagine viene esemplificato nel modo migliore nel passo in cui l'autore spiega cosa si debba fare con inviati nemici che chiedono al comandante bizantino un pagamento in oro, se non vuole essere attaccato: pagali, perché quello che si perde sarà sempre minore del danno che verrebbe inflitto al territorio imperiale in caso di battaglia e, inoltre, la battaglia è sempre un azzardo.134 Come abbiamo visto, anche i Romani, al massimo della loro forza, erano sempre disposti a pagare i nemici, se questo risultava meno dispendioso che combatterli: non andava bene per loro lo slogan «Milioni per la difesa, ma non un centesimo per tributo» del deputato americano Robert Goodloe Harper, perché da quando disse questo, il 18 giugno 1798, furono spesi veramente dei milioni. I Romani e i Bizantini erano meno romantici, ma Cecaumeno si spinge ancora oltre: «Respingete la richiesta nemica di ottenere territori, a meno che […] non accetti di esservi sottomesso e paghi un tributo» − in una forma di dipendenza feudale, se si può dire così − oppure, «se le cose vanno male», se c'è una necessità pressante, insomma, sì, fate quello che potete.
Cecaumeno è molto più ottimista in merito all'offensiva, quando il nemico resta intrappolato in una città fortificata: «Se non conosci l'esatta misura della sua forza, credimi, ha meno uomini e forze insufficienti». Il suo consiglio è di incaricare qualche konsarios di infiltrarsi nella città fortificata: «e non date retta a chi vi dice che non c'è modo di entrare, come è possibile tenere sotto sorveglianza un'area così grande?». Una volta che si trovi una via d'ingresso, non precipitatevi, ma restate a formazioni spiegate dinanzi al nemico, dopo aver inviato entro la città uomini opportunamente guidati, attendendo il momento in cui costoro invieranno il segnale pattuito, con fuoco o fumo. A quel punto, attaccate.
Tra gli strateghi bizantini, Cecaumeno è una figura minore, ma il suo libro, pur se tortuoso e disordinato, mostra che esisteva ancora nell'Impero una cultura militare viva e un interesse che permetteva a uomini d'affari o d'altre professioni di leggere trattati militari, o anche di scriverne. Questo dava ai Bizantini un vantaggio reale, quando si trattava di affrontare le vicissitudini della serie infinita delle loro guerre: disponevano di un patrimonio di procedure, tattiche e metodi operativi molto più ricco di quello dei loro nemici, sicché era difficile che venissero sorpresi da questi ultimi: era anzi più probabile che fossero loro a sorprendere, con qualche tattica, metodo operativo e stratagemma che era totalmente sconosciuto agli altri.