UNA GUERRA PER LA DISTRUZIONE DI UNO STATO: BASILIO II, 1014-1018

Per i Bizantini era una pratica abituale attaccare i Bulgari ogni volta che non erano impegnati in una campagna contro gli arabi. Giovanni I Zimisce, vincitore dei musulmani e di Svyatoslav della Rus' di Kiev, ottenne notevoli successi. Il suo trionfo fu totale: nel 971 pose fine allo stato bulgaro. Tutti i territori di cui si componeva vennero annessi e la Chiesa autocefala fu abolita. Quello che segui, però, non fu un tranquillo assoggettamento, ma una sollevazione quasi immediata in quella che oggi è la Macedonia, guidata dai kometopouloi, cioè i quattro figli di un comes (comandante locale, il nostro «conte»), il più giovane dei quali, Samuil o Samuele, sopravvisse ai suoi fratelli, giungendo infine a rivendicare il titolo di zar o basileus.

Le armate bizantine non potevano essere concentrate contro i kometopouloi, poiché erano in corso gravi lotte intestine. Nel 976, alla morte di Giovanni I, Barda Skleros, grande latifondista e comandante (domestikos) delle armate d'Oriente, si candidò al ruolo di tutore e protettore − ed effettivo signore − dei giovani co-imperatori Basilio II (976-1023), che all'epoca aveva diciotto anni, e Costantino VII (1025-1028), che ne aveva sedici. Quando la sua candidatura venne respinta si proclamò imperatore, scatenando una guerra civile su vasta scala che terminò solo nel 978, quando trovò rifugio a Bagdad, presso gli Abbasidi, lasciandosi alle spalle un esercito e un impero devastati, divisi e demoralizzati. Solo l'intervento di Barda Foca, altro ricco magnate ed esperto comandante militare, permise a Basilio e Costantino di conservare il trono.

Samuele fu quindi in grado di espandere la sua sfera di controllo oltre l'area macedone, sul territorio dell'odierna Bulgaria, rifornendo le sue truppe con vigorose scorrerie nella Grecia settentrionale e in Tracia.

Nel 986, quando l'ordine all'interno dell'Impero pareva ristabilito, e i musulmani arabi erano ancora impegnati nella lotta tra i Fatimidi ismailiti sciiti e i sunniti sotto la guida nominale della sovranità abbaside, Basilio II, che era ormai un adulto di ventotto anni ma non aveva ancora dato prova di sé sul campo, attaccò Samuele. Respinse i Bulgari marciando su Sardika, la moderna Sofia, per spingerla alla resa con un assedio. Nel X secolo, come vedremo, il metodo più in voga per superare le mura era quello di scalzarle scavando gallerie sotterranee, una tecnica che mostrava un evidente limite• quello della lentezza rispetto alle torri mobili e ai grandi arieti adottati in precedenza. In quel caso, Sardika tenne duro e Basilio decise di non insistere: forse le sue scorte si stavano esaurendo, o forse il profilarsi di una situazione di instabilità in patria lo richiamò con urgenza a Costantinopoli.

Basilio era avanzato su Sardika seguendo la «via imperiale» romana, la Basilike, che una volta collegava direttamente Costantinopoli all'Italia nord-orientale, proseguendo poi anche oltre, sino al Mare del Nord. Da Adrianopoli, oggi Edirne, nella parte europea della Turchia, la strada seguiva la valle del fiume Maritsa, avendo a nord gli alti e scoscesi Haimos, ossia la catena montuosa dei Balcani, da cui l'intera regione prende oggi il nome, e a sud l'impervia catena Rodope, poi passava per Sardika per giungere a Singidunum, la Belgrado dell'odierna Serbia, e infine ad Aquileia, superando il confine orientale di Venezia. Basilio, abbandonato l'assedio, riprese la strada per cui era venuto.

Le manovre di un imperatore che guida il suo esercito tra due catene montuose sono piuttosto prevedibili e gli uomini di Samuele, maestri nell'arte di operare incursioni a lungo raggio, eccellevano nella rapidità dei movimenti. Possedevano anche la peculiare tecnica bulgara per realizzare imboscate nei passi di montagna: erigevano rapidamente palizzate di fronte al nemico in avvicinamento e le munivano di difensori, per resistere meglio al tentativo nemico di aprirsi un varco e concedere quindi più tempo alle forze appostate in alto sul pendio per sferrare l'attacco sui nemici immobilizzati nel fondovalle. La successione degli eventi mostra prima di tutto che le forze di Samuele non si trovavano a Sardika o nei pressi della città, oppure che, se anche vi si fossero inizialmente trovate, erano poi riuscite a sorpassare le truppe bizantine in ritirata, sebbene queste ultime si muovessero su una vera strada mentre chi le superava doveva correre nascosto lungo il pendio montuoso che la sovrastava.

Il risultato, per Basilio, fu un duplice disastro. Le sue truppe caddero in un'imboscata nello stretto passo noto come Porta di Traiano, presso l'attuale città bulgara di Soukeis, subendo gravi perdite. Basilio abbandonò ingloriosamente la scena, salvandosi ma minando irrimediabilmente la sua autorità. Abbiamo il rarissimo dono di una testimonianza di prima mano, da parte di Leone Diacono:

L'esercito stava attraversando una gola boscosa, che era piena di caverne, e come l'ebbe passata sì trovò davanti a un terreno ripido, percorso da molti canali. Qui i Misiani [Bulgari] attaccarono i Romani, uccidendo un grande numero di uomini e impossessandosi delle ricchezze e dei quartieri imperiali e saccheggiando tutto il bagaglio dell'esercito. Io stesso, che narro questa triste storia, ero presente in quel tempo, per mia sfortuna, al seguito dell'imperatore e assolvendo gli obblighi di un monaco […] e i resti dell'esercito, passando per montagne [quasi] intransitabili, a sforzo sfuggirono all'attacco dei Misiani, perdendo quasi tutti i cavalli e il bagaglio che stavano portando, e fecero ritorno in territorio romano.

Fana-Cosroe, detto Adud al-Dawla (sostegno della dinastia), il persiano che era anche emiro degli sciiti duodecimani, pur se formalmente soggetto al califfo abbaside di Bagdad, reagì alla sconfitta di Basilio liberando Barda Skleros, che sino a quel momento era stato suo ospite e prigioniero. Quando costui rientrò nell'Anatolia orientale per tornare a reclamare l'Impero, Basilio si vide a sua volta costretto a richiedere ancora il soccorso di Barda Foca e della vasta rete delle sue amicizie. Ma Foca questa volta decise di schierarsi contro Basilio e l'élite burocratica di Costantinopoli e di spartirsi l'Impero con Barda Skleros.

Seguirono tre anni di guerra civile, e Basilio riuscì a riportare l'ordine solo nel 989, con l'aiuto di seimila guerrieri della Rus' di Kiev.

Dopo di che, nonostante le voci sulla possibilità di un'operazione in Bulgaria nel 995, la principale priorità di Basilio non poteva più essere Samuele, perché ancora una volta gli toccava ristabilire il potere e il prestigio imperiale a Oriente, minacciato non soltanto dai residui disordini della guerra civile, ma dal crescente potere dei Fatimidi. Costoro, che erano sciiti settimani ismailiti, avevano costituito un loro califfato rivale in Egitto e attuavano una vigorosa politica di espansione in Siria attraverso il deserto del Sinai. I Bizantini, che avevano da tempo respinto gli arabi all'interno della Cilicia e dell'Anatolia, erano in quel momento i signori dei potentati musulmani e cristiani dell'area, come pure delle tribù beduine, entro e oltre i confini siriani, e controllavano le importanti città di Antiochia e Aleppo.

Fu in quegli anni che Basilio II divenne l'imperatore col maggior numero di vittorie militari di tutta la storia bizantina. Il ripristino del potere imperiale in Oriente e la ricostituzione dei vecchi eserciti fu indubbiamente un successo. Nel 995 Basilio, reagendo a un assedio di Aleppo condotto da un esercito fatimide, accorse rapidamente sul posto e liberò la città, poi tentò un'avanzata verso Tripoli, la città dell'odierno Libano. Nel giro di pochi anni la spinta espansionistica dei Fatimidi venne arrestata con decisione: nel 1001 il califfo fatimide al-Hakim negoziò una tregua di dieci anni, che sarebbe poi stata rinnovata nel 1011 e ancora nel 1023.

Più a nord, nel frattempo, Basilio acquisì un vasto territorio in quelle regioni che oggi sono la Georgia meridionale, la Turchia orientale e l'Iran occidentale. In precedenza era riuscito a persuadere, o costringere, il signore armeno David di Tao (o Taron, o Tayk) a riconoscere l'Impero come suo erede, e ora, nell'anno 1000, alla morte di David, il testamento andava in esecuzione. In questo modo l'Impero realizzava a Oriente la maggiore espansione di tutta la sua storia, molto oltre l'area delle conquiste romane, a cui si dovevano aggiungere altre espansioni verso nord, nella zona del Caucaso, tramite l'acquisizione dei domini di altri principi locali.

 

prende oggi il nome, e a sud l'impervia catena Rodope, poi passava per Sardika per giungere a Singidunum, la Belgrado dell'odierna Serbia, e infine ad Aquileia, superando il confine orientale di Venezia. Basilio, abbandonato l'assedio, riprese la strada per cui era venuto.

Le manovre di un imperatore che guida il suo esercito tra due catene montuose sono piuttosto prevedibili e gli uomini di Samuele, maestri nell'arte di operare incursioni a lungo raggio, eccellevano nella rapidità dei movimenti. Possedevano anche la peculiare tecnica bulgara per realizzare imboscate nei passi di montagna: erigevano rapidamente palizzate di fronte al nemico in avvicinamento e le munivano di difensori, per resistere meglio al tentativo nemico di aprirsi un varco e concedere quindi più tempo alle forze appostate in alto sul pendio per sferrare l'attacco sui nemici immobilizzati nel fondovalle. La successione degli eventi mostra prima di tutto che le forze di Samuele non si trovavano a Sardika o nei pressi della città, oppure che, se anche vi si fossero inizialmente trovate, erano poi riuscite a sorpassare le truppe bizantine in ritirata, sebbene queste ultime si muovessero su una vera strada mentre chi le superava doveva correre nascosto lungo il pendio montuoso che la sovrastava.

Il risultato, per Basilio, fu un duplice disastro. Le sue truppe caddero in un'imboscata nello stretto passo noto come Porta di Traiano, presso l'attuale città bulgara di Soukeis, subendo gravi perdite. Basilio abbandonò ingloriosamente la scena, salvandosi ma minando irrimediabilmente la sua autorità. Abbiamo il rarissimo dono di una testimonianza di prima mano, da parte di Leone Diacono:

L'esercito stava attraversando una gola boscosa, che era piena di caverne, e come l'ebbe passata si trovò davanti a un terreno ripido, percorso da molti canali. Qui i Misiani [Bulgari] attaccarono i Romani, uccidendo un grande numero di uomini e impossessandosi delle ricchezze e dei quartieri imperiali e saccheggiando tutto il bagaglio dell'esercito. Io stesso, che narro questa triste storia, ero presente in quel tempo, per mia sfortuna, al seguito dell'imperatore e assolvendo gli obblighi di un monaco […] e i resti dell'esercito, passando per montagne [quasi] intransitabili, a sforzo sfuggirono all'attacco dei Misiani, perdendo quasi tutti i cavalli e il bagaglio che stavano portando, e fecero ritorno in territorio romano.

Fana-Cosroe, detto Adud al-Dawla (sostegno della dinastia), il persiano che era anche emiro degli sciiti duodecimani, pur se formalmente soggetto al califfo abbaside di Bagdad, reagì alla sconfitta di Basilio liberando Barda Skleros, che sino a quel momento era stato suo ospite e prigioniero. Quando costui rientrò nell'Anatolia orientale per tornare a reclamare l'Impero, Basilio si vide a sua volta costretto a richiedere ancora il soccorso di Barda Foca e della vasta rete delle sue amicizie. Ma Foca questa volta decise di schierarsi contro Basilio e l'élite burocratica di Costantinopoli e di spartirsi l'Impero con Barda Skleros.

Seguirono tre anni di guerra civile, e Basilio riuscì a riportare l'ordine solo nel 989, con l'aiuto di seimila guerrieri della Rus' di Kiev.

Dopo di che, nonostante le voci sulla possibilità di un'operazione in Bulgaria nel 995, la principale priorità di Basilio non poteva più essere Samuele, perché ancora una volta gli toccava ristabilire il potere e il prestigio imperiale a Oriente, minacciato non soltanto dai residui disordini della guerra civile, ma dal crescente potere dei Fatimidi. Costoro, che erano sciiti settimani ismailiti, avevano costituito un loro califfato rivale in Egitto e attuavano una vigorosa politica di espansione in Siria attraverso il deserto del Sinai. I Bizantini, che avevano da tempo respinto gli arabi all'interno della Cilicia e dell'Anatolia, erano in quel momento i signori dei potentati musulmani e cristiani dell'area, come pure delle tribù beduine, entro e oltre i confini siriani, e controllavano le importanti città di Antiochia e Aleppo.

Fu in quegli anni che Basilio II divenne l'imperatore col maggior numero di vittorie militari di tutta la storia bizantina. Il ripristino del potere imperiale in Oriente e la ricostituzione dei vecchi eserciti fu indubbiamente un successo. Nel 995 Basilio, reagendo a un assedio di Aleppo condotto da un esercito fatimide, accorse rapidamente sul posto e liberò la città, poi tentò un'avanzata verso Tripoli, la città dell'odierno Libano. Nel giro di pochi anni la spinta espansionistica dei Fatimidi venne arrestata con decisione: nel 1001 il califfo fatimide al-Hakim negoziò una tregua di dieci anni, che sarebbe poi stata rinnovata nel 1011 e ancora nel 1023.

Più a nord, nel frattempo, Basilio acquisì un vasto territorio in quelle regioni che oggi sono la Georgia meridionale, la Turchia orientale e l'Iran occidentale. In precedenza era riuscito a persuadere, o costringere, il signore armeno David di Tao (o Taron, o Tayk) a riconoscere l'Impero come suo erede, e ora, nell'anno 1000, alla morte di David, il testamento andava in esecuzione. In questo modo l'Impero realizzava a Oriente la maggiore espansione di tutta la sua storia, molto oltre l'area delle conquiste romane, a cui si dovevano aggiungere altre espansioni verso nord, nella zona del Caucaso, tramite l'acquisizione dei domini di altri principi locali.

 

Frattanto Samuele, dopo la vittoria del 986, aveva con successo am pliato il suo dominio: a ovest, verso il Mar Adriatico; a nord, in quello che oggi è il Kosovo; e a sud, in Grecia. Aveva anche gettato le basi per poter rivendicare il titolo imperiale, riportando in vita il patriarcato bulgaro a Ohrid, sulle coste del celebre lago. Quando una forza bizantina, agli ordini del famoso generale Niceforo Urano, presunto autore del manuale militare Taktika, annientò una forza bulgara nel 997, questo evento, pur vittorioso, mostrò quanto la situazione si fosse deteriorata per l'Impero: la battaglia fu combattuta ben all'interno del territorio greco, sul fiume Sperchios, vicino alla moderna Lamia, molto più vicino ad Atene che a Ohrid; Samuele non era mai stato così prossimo a una capitale.

Basilio non avviò il suo secondo grande tentativo di sbarazzarsi di Samuele sino al 1001, quando l'accordo con i Fatimidi parve sufficientemente sicuro. Questa volta Basilio non cercò di ricacciare indietro i Bulgari, come gli eserciti bizantini avevano fatto in precedenza, con scarsi se non disastrosi risultati. Non provò neppure ad attaccare Samuele sul terreno macedone a lui familiare, nella parte orientale della sua Bulgaria «allargata».

Si preparò invece a quel confronto decisivo privando Samuele dei territori più popolati e più fertili della Bulgaria originaria (e attuale): l'ampia valle fluviale a sud del Danubio.

Era là che i khan protobulgari avevano piantato i loro primi accampamenti e poi stabilito, a Pliska, la loro capitale, muovendosi in seguito a Veliki (grande) Preslav (entrambe le città si trovano oggi nel nord-est della Bulgaria). Per raggiungerle, le forze di Basilio probabilmente avanzarono lungo la costa del Mar Nero, restando ben lontane dall'alta catena degli Haimos (Balcani) con i suoi pericolosi passi. Se invece attraversarono le montagne − l'unica fonte quasi contemporanea di cui disponiamo, la Synopsis Historion di Giovanni Scilitze, non è esaustiva su questo punto − gli uomini di Basilio dovevano evidentemente avere appreso molto bene le contromisure per evitare il pericolo di imboscate. I manuali militari in circolazione a quel tempo proponevano soluzioni che si basavano su due principi fondamentali che i passi a bassa quota e le gole devono sempre essere preventivamente ispezionati da pattuglie in avanscoperta e che il tempo e le forze impiegate nella ricognizione non non sono mai sprecati, specialmente nelle zone montuose. A ogni modo, l'amara esperienza del 986 non venne ripetuta.

Nell'anno 6508 [dalla creazione, avvenuta secondo la tradizione bizantina nel 5509 a.C., quindi nel 1001], tredici anni dopo l'indizione, […] l'imperatore inviò una forza grande e potente contro i kastra [fortezze] bulgari oltre la catena Haemus [Haimos], sotto il comando del patrizio [patrikios, comandante sul campo] Teodorokanos e [Niceforo] Xiphias [protospatharios, comandante della forza]. La Grande Preslav e la Piccola Preslav furono conquistate; e anche Pliska; poi l'armata romana fece ritorno, senza riportare gravi perdite e trionfante.

Fatto questo, la campagna sistematica di Basilio per ridurre il territorio − e il prestigio − di Samuele prosegui, un anno dopo l'altro, per tagliare ogni base politica e logistica del suo potere.3' Alle iniziali operazioni sul suolo bulgaro segui una fase d'incursioni annuali nel cuore macedone delle terre di Samuele. I cavalieri bulgari erano in grado di trarre di che vivere dalla terra per periodi anche piuttosto lunghi, poiché non erano un esercito bizantino o moderno, incapace di essere autosufficiente se tagliato fuori dalle basi presso cui può rifornirsi. Ma Samuele non voleva o non poteva abbandonare le sue postazioni in Macedonia per una guerra di puro movimento. Così., quando Basilio si predispose ad attaccare nuovamente la Macedonia, era ormai evidente che si stava approntando lo scenario di una grande battaglia, che sarebbe risultata decisiva.

Lo scontro avvenne nel luglio 1014 sul passo di Kiedion, nelle montagne Belasica (o Belasitsa), tra le vallate dei fiumi Struma e Vardar, vicino al punto in cui i confini odierni di Macedonia, Grecia e Bulgaria s'incontrano. Samuele si affidò alla sua tattica collaudata: si posizionò davanti all'esercito di Basilio che stava avanzando e bloccò il passo con fossati e palizzate, creando lo scenario ideale per attuare un'altra grande imboscata. Riproponendo sempre la stessa tattica, però aveva permesso ai Bizantini di studiado bene, di individuarne i punti deboli e di progettare una risposta ad hoc. Il metodo di Samuele prevedeva l'ammassamento delle forze bulgare dietro gli ostacoli per contrastare l'avanzata di Basilio; ciò comportava che anch'esse dovessero trovarsi su un terreno posto sul fondo valle, che poteva essere tenuto sotto controllo dalle alture che si ergevano sui due lati.

Era questa la debolezza che i Bizantini riuscirono a sfruttare, inviando una loro forza a scalare quelle alture per poi ridiscendere e piombare sui Bulgari. Questi ultimi, sorpresi e storditi, non riuscirono a difendere a lungo le palizzate per respingere il grosso delle forze di Basilio, né a ritirarsi davanti all'attacco dei Bizantini. Ne risultò una strage, che fece guadagnare a Basilio il soprannome di Bulgaroktonos, il «Massacratore di Bulgari». La battaglia costò a Samuele l'esercito, il regno e la vita.

 

Il racconto di Scilitze può essere, almeno in parte, una costruzione letteraria, ma è anche coerente e abbastanza preciso:

L'imperatore continuò a invadere la Bulgaria ogni anno senza interruzione, lasciando ovunque devastazione […]. Samuele non poteva fare nulla in campo aperto né poteva opporsi all'imperatore in una battaglia in piena regola. Doveva dividersi su vari fronti e le sue truppe stavano scemando, così decise di chiudere la via alla Bulgaria con fossati e dighe. Sapeva che l'imperatore era uso giungere su una strada che passa per quello che è nominato Kiava Longus (Campu Lungu) e per il passo di montagna noto come Kleidion (chiave), così decise di bloccare questo passo […].

Costruì una fortificazione molto ampia, vi assegnò una guardia adeguata e attese l'imperatore, che debitamente giunse e tentò di aprirsi a forza la strada, ma la guardia oppose una strenua resistenza […].

L'imperatore aveva già rinunciato a passare quando [Niceforo] Xiphias, [allora strategos] di Filippopoli [era stato promosso a quel ruolo dal 1001], concordò con l'imperatore che quest'ultimo sarebbe rimasto sul posto e avrebbe condotto attacchi ripetuti, mentre Xiphias sarebbe andato a vedere se poteva fare qualcosa di utile […]. Condusse i suoi uomini indietro, per la via da cui erano venuti. Poi, arrampicandosi sulla montagna molto alta che si trova a mezzogiorno di Kleidion e che viene chiamata Valasitza [la Belasica macedone] passando attraverso sentieri da capre e territori selvaggi privi di strade, il ventinovesimo giorno di luglio, nell'anno dodicesimo dell'indizione [1014], improvvisamente apparve sopra i Bulgari e piombò su di loro alle spalle con grandi grida e passo tonante. Del tutto stupefatti dalla natura inaspettata di questo attacco, costoro si girarono e presero a fuggire. L'imperatore smantellò le opere difensive abbandonate e si gettò al loro inseguimento; molti caddero e ancora più numerosi furono i prigionieri. Samuele riuscì a salvarsi solo con l'aiuto del figlio, che intrepidamente oppose resistenza a quelli che attaccavano, pose il padre su un cavallo e lo condusse alla fortezza chiamata Prilapos [Prilep, in Macedonia]. Dicono che l'imperatore fece accecare i prigionieri, in numero di circa quindici migliaia, con l'ordine che a un solo uomo su ogni cento fosse lasciato un occhio, per poter essere di guida agli altri, poi li mandò da Samuele, che mori due giorni dopo, il 6 di ottobre.

La storia, spesso citata, dei 15.000 prigionieri accecati rimandati indietro in gruppi di 100 guidati da un uomo con un occhio solo suona come una favola, e probabilmente lo è, sebbene l'accecamento in quel tempo fosse molto diffuso, come punizione più cristiana, poiché non toglieva la vita che Dio aveva donato. Ma il fatto assodato che la resistenza bulgara sia durata per altri quattro anni, sino al 1018, pare smentire la perdita di 15.000 combattenti, un numero notevole, date le dimensioni della popolazione. Anche allora la sottomissione dei restanti capi bulgari non fu incondizionata: vennero infatti loro concesse alcune terre nella Bulgaria orientale. Forse solo un numero ristretto di prigionieri venne accecato e spedito a Prilep, per demoralizzare Samuele.

Più importante è il fatto che dopo Kleidion il dominio bizantino venne ristabilito su un'area che, per la prima volta in tre secoli, andava dal Mar Adriatico al Danubio. La manovra relazionale all'interno di una strategia di teatro di guerra è la forma più alta dell'arte militare.