13 Leone VI e la guerra navale
Leone VI si lamentava del fatto che, per la sua opera sulla guerra navale (Costituzione XIX), non potesse far riferimento a nessun testo antico e fosse pertanto costretto ad affidarsi al sapere pratico dei suoi capitani e ammiragli. Sarebbe difficile trovare un esempio migliore del testualismo pedissequo − se mi si consente l'espressione − della mentalità bizantina, che però coesisteva con il puro pragmatismo e, in realtà, persino con la trasgressione. (Come è noto, lo stesso Leone prese Zoe, la sua concubina «dagli occhi neri come il carbone», karbonopsina, come sua quarta moglie per poter legittimare il figlio, il futuro imperatore Costantino VII, nato sl nella camera da letto imperiale − porphyrogenitos − ma da madre nubile.) Forse Leone commise un peccato ancora più grave quando rivendicò l'invenzione della granata a mano, ossia del fuoco greco scagliato all'interno di otri, di cui si parlerà più ampiamente in seguito.
Sostanzialmente la Costituzione XIX riecheggia Siriano Magister: il capitano di una nave deve studiare teoria e pratica della navigazione, compresa la previsione dei venti attraverso l'osservazione dei corpi celesti − riuscire a raccogliere informazioni e dati sulla previsione dei venti sarebbe stato importantissimo, ma con il metodo suggerito era impossibile farlo. Seguono poi istruzioni generiche e superficiali su come dovrebbero essere costruite le navi da battaglia: non troppo strette, non troppo larghe. Dal VI al X secolo, ma anche dopo, l'imbarcazione in uso sarebbe stata il dromon, il dromone (nave da corsa) in una delle sue tante versioni, ma tutte con un albero centrale, due ponti, propulsione sia a remi sia a vela, e afratte, cioè senza alcun ponte a coprire l'ultima fila di vogatori.
I modelli andavano dai 25 ai 36 o anche 50 banchi di vogatori sulla fiancata di ogni ponte, per un totale di più di 200 uomini, oltre ad altri 100 a bordo, in maggioranza fanti addestrati al combattimento in mare (marines, cioè fanti di marina), al capitano e agli ufficiali. Sembra probabile, però, che 1'ousakios, un vascello più piccolo, con cento vogatori, come si capisce dal nome, e con un contingente di 30 o 40 fanti di marina, fosse l'imbarcazione più diffusa, soprattutto perché anche i vogatori del ponte superiore potevano partecipare al combattimento, a differenza di quelli del ponte inferiore, che al massimo potevano far passare le lance dalla fessura in cui erano posizionati i remi per danneggiare lo scafo delle navi nemiche che si accostavano. C'erano anche navi molto più leggere e veloci a due ponti, per ricognizioni e rapide incursioni, e piccole galee (galeas) con un solo banco di remi.
Le passerelle laterali e le posizioni di voga erano protette da scudi mobili e i vogatori manovravano il remo direttamente attraverso lo scafo, senza un sistema di bilanciamento e senza la protezione di una struttura che sostenesse i remi. Le vele quadrate vennero sostituite da quelle latine nel VII secolo. Le teste d'ariete erano ancora presenti all'epoca di Leone VI, ma vennero gradualmente rimpiazzate da rostri a becco, su cui i marinai potevano salire, anche se il combattimento si svolgeva prevalentemente con armi da lancio: i marinai potevano scagliare le loro frecce da un alto xylokastron (castello di legno) accanto all'albero maestro. C'erano anche uno o più lancia-pietre e lo hugron pur − fuoco liquido o «fuoco greco» − veniva scagliato in contenitori incendiati o spruzzato da sifoni a pistone o a pompa.