PER UNA LUNA MIGLIORE
«Che meravigliosa notte, che silenzio. E che Luna piena. Copernico brilla come argento liquido. E guardi Tycho! E Platone! (una pausa) È molto, professore, che manca dalla Luna?».
«L’ultima volta è stato dieci anni fa, di questa stagione. Mi dicono che è cambiata».
«Dieci anni! Se la vede adesso, non la riconosce».
«Probabilmente. So che gli amerlots hanno fatto grandi cose lassù».
«Ah, sì, grandi impianti. Molte residenze. Pieno di alberghi, di piscine, c’è un gran fervore edilizio. A Clavius, quel cratere giù, che sembra il picciòlo del satellite…».
«Conosco Clavius. Ebbene?».
«A Clavius, ho un cognato che ha un appalto, c’è anche un golf, un casino da gioco e un luna park. Non è esaltante pensare che lassù ora stanno divertendosi esattamente come qui da noi?».
«Sì, esaltante… A così vertiginosa distanza, sospesi nello spazio…».
«Non intendevo questo. Anche noi siamo a una vertiginosa distanza, da tutto, e sospesi nello spazio. Forse, un residuo di orgoglio tolemaico le fa credere che non siamo sospesi? O infilati a un piuolo? O sulle spalle di Atlante?».
«Me ne guarderei bene. Dicevo… Siamo sospesi, certamente. Il fatto è che divento vecchio e io la Luna la ricordo quand’era ancora deserta, senza luce, senz’acqua, senza strade, e per arrivarci!…».
«Lei parla di quarant’anni fa».
«Cinquanta. Il mio primo viaggio fu nel ’12. Ero ragazzo. Avevo vinto una borsa di studio».
«E della Luna ne ha un ricordo… ehm… esclusivo, da pioniere un po’ superato dagli avvenimenti».
«Do questa sensazione?».
«Professore, lei è uno di quegli spiriti sentimentali che rimpiangono il passato e vorrebbero fermare l’attimo fuggente? Non pensa che la Luna sia migliore oggi di quanto non lo fosse ai suoi tempi?».
«C’era del buono anche allora».
«Che cosa aveva di migliore?».
«Non ho detto: migliore. Ho detto che c’era del buono anche allora. Era senz’altro peggiore. Selvaggia, quasi. Ma per anni ci ho passato le vacanze, proprio a Clavius, mio padre dirigeva l’osservatorio. La ricordo volentieri così, voglio dire disorganizzata, con poche baracche, molto entusiasmo, una gran fede, un’inebriante speranza… Era piena di una strana pace e di solitudine. Era la “nostra” Luna».
«Uhm! Strana pace… solitudine… E lei dimentica i progressi».
«No, affatto. Vorrei che lei non travisasse il mio pensiero… ma talvolta, ricordando quei tempi, prima dell’Associazione, mi sento pervadere da una curiosa tenerezza. Come per qualcosa che sia morto e che pure continui a vivere in noi. Non so spiegarmi bene… ma le sarà successo di pensare a una persona scomparsa… come se fosse ancora viva, e di parlarle, di ridere con lei di cose usuali e senza importanza… O comunque (che confusione!) di ricordare il passato e di vederlo incompiuto, cioè ancora suscettibile di un nostro intervento».
«Nobili malinconie! Ma abbassiamo la voce, quel signore laggiù, l’ingegnere, potrebbe registrare la nostra conversazione. Per quanto… (una pausa) Dunque… che cosa le piace di quella preistoria? Forse l’esistenza assurda e disordinata che conducevano gli uomini prima dell’Evo lunare? L’eterna incertezza nella quale erano costretti a vivere, col timore delle guerre, della totale distruzione? Rimpiange le ridicole lotte tra le potenze d’allora? Le “duole” la Storia? Lei è per la perequazione dei bottoni?».
«No, no, sono per la centralizzazione!».
«Rimpiange le crudeli istituzioni di quei tempi? La famiglia, forse? Il matrimonio, con tutti i suoi pasticci tribali, gli amanti da allevare…».
«I figli, vuol dire».
«Già, i figli. O rimpiange quella tortuosa psicologia… come si chiamava? che scaturiva dall’istinto di riproduzione libero e mal diretto e che rende oggi illeggibile tutta la letteratura dell’Evo medio inferiore? Rimpiange… accidenti, come si chiamava… mi aiuti… quella cosa che facevano tutti… che ne parlavano sempre… quella cosa che si faceva anche a letto!».
«Forse… l’amore?».
«Precisamente, l’amore! Lo rimpiange?».
«Me ne guarderei bene».
«E che cosa, allora? Non le piace la Sistemazione Definitiva? Chiara, facile, che anche un bambino trova la sua strada? Non le piace il Pieno impiego del tempo libero? È per una riforma del Servizio sessuale obbligatorio? Parli, sono tutt’orecchi. Rimpiange l’arte di allora, quella scadente attività consolatoria per pochi eletti? Rifiuta l’arte a pressione? È contro l’Informazione totale? Contro la Deformazione parziale? Contro la Piramide?».
«Dio me ne guardi!».
«Lei ha nominato Dio. Rimpiange forse anche Dio?».
«Ma no… Ho detto così, Dio, per una vecchia abitudine».
«Lei ha l’abitudine di nominare Dio invano?».
«Che cosa vuol farmi dire? un’esclamazione… per dare forza al discorso».
«Come può un concetto tramontato dare forza a un discorso?».
«Ecco, questo è il punto: come può? Mistero. E ora la prego di scusarmi, sono un po’ stanco».
«Stanco un corno. Sia chiaro. Cos’è che non le va?».
«Niente. Tutto bene. Il mondo si avvia ad essere perfetto, forse lo è di già. La colpa è mia che sono nato con una deplorevole tendenza all’imperfezione. Mea maxima culpa! La felicità piena mi turba, la pace piena mi allarma, la Luna piena…».
«Ssst! Vuol rovinarsi? (una pausa) Lei non sa usare la Felicità condizionata, questo è il punto. Lei mi ricorda quelle popolazioni sottosviluppate e depresse di un secolo fa che trovavano fastidioso il Controllo totale».
«Sì, ha ragione, ci si deve fare l’abitudine. È per il nostro bene…».
«Buona sera. Di che stavate parlando, se è lecito?».
«Della Luna, ingegnere. Stavamo elogiandone il costante progresso. Il professore mi faceva notare che appena cinquant’anni fa la Luna era praticamente una landa selvaggia. Da non credersi! Ma ora, guardatela! Non si può non provare un nobile orgoglio pensando che è diventata una cosa nostra, un immenso telecentro, il presidio della pace eterna, il trampolino per il futuro. Ma ci dica, ci dica le sue impressioni, siamo impazienti».
«Sono tornato dalla Luna una settimana fa».
«Abbiamo tutte le fortune! Ci dica, ingegnere. (Che noia, adesso ci parlerà della Luna)».
«Bene, vi confesso che stento a riadattarmi al Pianeta. Ho un mese di ferie e non vedo l’ora di tornare a Keplero, nel Procellarum: io vivo lì, dirigo la Centrale d’Iponosofia».
«Interessante. Cosicché, la Terra, una delusione».
«La Terra! Mi sembra tutto vecchio, qui, polveroso e complicato. Per cominciare, c’è troppa aria, il che favorisce la conversazione. Ma il guaio è che è difficile capirsi. Troppe lingue, troppi concetti, troppi residui di filosofie putride che ammorbano la verità. E poi, guardatevi! Un guazzabuglio di razze, di popoli, una confusione… alti e bassi, belli e brutti, nudi e vestiti… e siete troppi, troppi! Non si circola più. È un via-vai faticoso, come in quella sciagurata torre di Babele doveva essere la domenica. Lassù siamo tutti eguali, sani, evoluti e condizionati. Abbiamo una sola lingua, poverissima di vocaboli, i verbi si coniugano soltanto al presente, gli avverbi e gli aggettivi sono cinque o sei in tutto, l’imprecisione risulta impossibile. Per mangiare diciamo “gnam”, per bere “bumba”, per dormire “dodò”. Il resto si fa senza dirlo».
«Questa lingua essenziale favorisce, immagino, il sorgere di una nuova poesia».
«Questa lingua essenziale ci serve per i telegrammi. Ogni altra attività letteraria ci è ignota. Professore: la letteratura è la denunzia di uno stato di imperfezione, sì, o no? Perché dovremmo coltivarla noi, che siamo perfetti? Non abbiamo bisogno di niente. Noi ignoriamo il passato e il futuro, coi quali voi vi torturate. È forse vita, la vostra? Sapete come vi chiamiamo, lassù? La “muffa”. Voi siete il prodotto statistico di sciagurate condizioni ambientali umide. I veri uomini siamo noi, che viviamo contro l’ambiente e lo dominiamo».
«Ah, vi invidio! Penso che lassù avrete raggiunto davvero la Piena felicità».
«Abbiamo abolito anche questo concetto. Noi “siamo”, e basta. Certe volte, a guardare dalle nostre cupole la Terra illuminata…».
«Uno spettacolo fantastico, nevvero?».
«… viene da vomitare, come se improvvisamente vi mettessero davanti, su un piatto, le vostre stesse viscere e in più tutti i vostri errori, le vostre colpe, la vostra miseria. Voi scegliete ancora, giudicate, amate…».
«Oh, no, ingegnere, lei esagera!».
«Non esagero. Voi “amate”. I vostri centri sensori, diciamolo pure, vi spingono continuamente ad una scelta, che è in fondo un atto d’amore. Voi avete ancora la vostra maledetta libertà…».
«Adesso lei ci offende!».
«Mi lasci finire. Voi avete ancora la vostra libertà di movimento. Siete come animali spaventati dall’esperienza, andate a spasso, oziate, vi nascondete, ridete e piangete, vi annusate, vi accoppiate, eccetera. Quel che vi manca è un minimo d’ordine. Ma state attenti, lassù sta venendo fuori una generazione dura, che pensa già ad espandersi».
«Lei crede, ingegnere, che la Terra sarebbe un obiettivo degno di interesse? Così povera, lercia, imperfetta? Non ci lusinghi…».
«Silenzio! Sentite?».
«Che cosa, professore? (Dio mio, che spavento!)».
«I cani! Sentite? I cani che abbaiano alla Luna! Si chiamano tra di loro, si rispondono da un cascinale all’altro… Tutta la collina velata dalla luce lunare è piena di cani… Come dice quel poeta?… “Un orizzonte di cani… un orizzonte di cani…”. E poi? Non ricordo il resto! E poi?».