LO SPAZIO È NOSTRO

Se hai deciso anche tu di partire, evita i mesi del caldo. Noi la sciocchezza l’altr’anno la facemmo a partire proprio per Ferragosto: un inferno. Dieci chilometri prima della Luna tutti fermi in fila, ad aspettare i timbri. Sei ore. C’era un tipo che timbrava, calmo, e tre che stavano a guardare, sembrava un ufficio postale italiano. E una volta arrivati, bello quanto vuoi, non eviti la delusione. È la Luna, che ti aspettavi?, sembra di stare in montagna. Pieno di turisti che si levano i pesi dalle scarpe per saltare e volare. Al solito, noi italiani ci facciamo la figura peggiore: ridiamo e gridiamo troppo. In un cratere, una guida dice: «C’è qualcuno che vuol cantare, per sentire l’eco?». Subito uno di Parma comincia a cantare la Tosca. «L’ora è fuggita…», roba da sprofondarsi per la vergogna. Ma c’era anche una comitiva di americani, il giorno che arrivammo, coi loro scafandri colorati, pieni di thermos, i bambini maleducati, le mogli energiche. Poi, tutti a fotografarsi, a mettersi pietre in tasca, per ricordo. A sera, la Luna è piena di cartacce, di scatole, di bottiglie vuote. Dormire, non se ne parla nemmeno: tutti cantano e, naturalmente, viene il complesso dell’emigrante: invece di canzoni allegre, inni patriottici e canti di montagna.

Peggio di tutti sono i turisti seri, scientifici, che disprezzano gli altri. Sempre a prendere misure, a scavare, a far calcoli. Vestono male di proposito, ti guardano con sufficienza e dicono: «Spazialturist». In genere sono tedeschi, studenti, ma anche torinesi.

Saprai già che sulla Luna si mangia male, quasi come in Inghilterra. Noi italiani, se andiamo fuori casa ci piace star bene, non rinunciare a niente. Ora, il caffè te lo scordi. Non parliamo poi dei nostri piatti. Su Giove, la sera che arriviamo: cannelloni. Benissimo, dico, cannelloni. Ci portano una salsiccia lunga un metro e illuminata dentro. Cosa vuoi mangiare, la rimando indietro, protesto, e mia moglie dice: «Vuoi sempre farti riconoscere». Ma dimmi tu se non avevo ragione.

Il servizio, l’ospitalità? Stendiamo un velo. Arriviamo stanchi morti su Urano: niente camere, che avevamo prenotato, tutto preso per il congresso degli uranisti. Allora mi sono fatto sentire e quando vedono un tipo deciso la camera esce fuori subito. Ma si vendicano con la forza di gravità: te ne danno poca e tu la notte ti svegli sul soffitto, come è successo a mia moglie. Va bene che lì le donne sono odiate.

Il triste di questi viaggi è che il tempo che ti resta libero per le riparazioni lo impieghi a cercare un alloggio. L’assistenza meccanica? Te ne racconto una: su Marte andiamo a vedere i canali di Schiaparelli, spettacolo, detto tra noi, che entusiasma la gente di lassù e che a noi ci lascia un po’ freddi, siamo abituati male. Comunque, andiamo. Ma si guasta un tubo e mi fermo. Non un’officina aperta dopo le tre. Nell’unica che mi aprono, il padrone guarda e dice, antipatico: «Tant pis pour vous». Ci stavamo disperando, quando arriva una comitiva di quattro russi del Movimento Pace e Libertà per un Cosmo Migliore. Guardano, uno entra nel razzo e dice: «Datemi una spinta». Lo spingiamo, si allontana, sparisce, noi restiamo lì a guardarci. Uno dei russi dice: «Talianski?». Sì. Tira fuori un portafogli comprato a Firenze e dice: «Bello. Dante. Machiavelli». E ride. Noi figurati la voglia che avevamo di ammirare portafogli o di parlare di letteratura, pensavamo che il russo era filato via e non sapeva riparare niente. Dopo un po’, un ronzio, eccolo che ritorna a motore acceso, si ferma, scende, dice sorridente: «Ingolfato». Lo ringraziamo, mia moglie voleva che gli facessi un regalo, ma non mi sembrava il caso. Abbracci, grandi risate, rimontano nel loro razzo e se ne vanno. Insomma, sono cose che fanno piacere. Girando lassù impari ad amare quelli della Terra.

Non andare mai su Plutone. Prima di tutto danno difficilmente il visto, poi una noia come su Plutone non la trovi nemmeno nel Canada. Appena arrivi, devi sgolarti per farti capire. Lo fanno apposta, hanno ordini in questo senso. Tu spieghi che vuoi una camera con due letti e loro ti portano un cacciavite. Le notizie non arrivano. La verità è che sono un’altra razza, tetri e contemplativi e ci daranno un sacco di guai, non è un mistero che preparano la guerra. Hanno riserve immense e odiano tutti gli altri perché credevano di essere i soli abitatori dell’Universo e avevano messo su una religione che ci escludeva. Bella pretesa, dirai, ma comprensibile, se pensi che vivono ai margini del Sistema. Poi si credono immortali e quando uno muore dicono che ha sbagliato. Sono tanto sospettosi che, appena arrivi, ti mettono una guida alle costole e non ti lascia più. Se fai domande, rispondono: «No capire», oppure: «Nix». Tanta era la nostra disperazione che la sera andiamo al cinema. Indovina che davano? Riso amaro.

Sai su Giove chi incontro? Franquillucci, il barman del Cavallino. Sta su, ha messo una rappresentanza di liquori, guadagna bene ma è stanco, forse vorrebbe tornare. Piangeva, abbracciandomi. Ma, d’altra parte, non s’è andato a sposare e non ha quattro figli? Ci invita a casa sua, ci fa conoscere moglie, parenti, amici, ma la serata riesce fiacca. Lui nostalgico, gli altri moralisti. Ce l’hanno con noi della Terra e ci rimproverano velatamente sempre le stesse colpe: troppa musica, troppo amore, poco lavoro, siamo sporchi, chiacchieroni. Ora, andare allo sprofondo per sentirsi ridire queste storie, sembra di stare in seconda classe, francamente non vale la pena. Volevo rispondergli: Ma qui ce l’avete il nostro sole? Il sole arriva debolissimo, lo puoi fissare. Be’, il primo giorno è bello, dici: quasi quasi mi trasferisco. Gente solida, strade larghe, pulizia, silenzio, pieno di scoiattoli. Poi li vedi quando si divertono: come bambini di un anno. Non conoscono la gioia, solo gli affari, il rispetto, la moderata velocità. Alla fine un po’ di chiasso ci starebbe bene. Rimpiangevo Zurigo.

Il paesaggio è ben tenuto, non c’è che dire. Hanno undici satelliti e la notte non sai quale guardare, dopo un po’ ti fanno girare la testa. Aggiungi che alle nove di sera tutto chiuso, non mangi che all’aerostazione. Ci andiamo, chiamo il cameriere, una faccia dura, ci ascolta e se ne va. Dopo un’ora ritorna con una bistecca e ce la divide in due. «Eh no» dico «abbiamo ordinato due bistecche, non una». Risponde: «È l’usanza della Casa. Quando si ordinano due bistecche, ne facciamo una grande da dividere». «Un momento» dico io «prima di tutto lei deve dimostrarmi che questa bistecca è grande. E poi, ammesso che sia grande, ma non lo è, se io ordinavo una bistecca e mia moglie la ordinava dopo, avreste fatto due bistecche, no?». Risponde: «È l’usanza della Casa». E faceva intendere: se non vi va, andatevene. Il fatto, vedi, è che sono troppo ricchi e la ricchezza porta alla superbia e all’intolleranza. Noi della Terra saremo poveri, ma nella vita siamo tutti eguali, ce la godiamo nel rispetto reciproco.

Un’altra cosa: la volgarità. In un pianeta nuovo dapprincipio ti sfugge, ti sembra tutto perfetto, ti sforzi anche tu di esserlo. Dopo un poco scopri la «loro» volgarità, magari nel modo di trattarti, di far grandi mangiate ubriacandosi, di sentire astio per le donne, di ammirare la mediocrità in tutte le sue forme, la potenza, la ricchezza, il successo. Allora, quando hai scoperto queste volgarità, esse ti diventano insopportabili: e quelle a cui siamo abituati sulla Terra ti sembrano, al ricordo, perdonabili, più dettate dall’esuberanza che dall’incapacità di pensare o di agire diversamente.

Anche su Saturno, la morte: la sera non trovi nessuno. Dormono, i maledetti, ed è quasi meglio, tanto sono scortesi. Io parlavo solo col portiere dell’albergo. Mi domandava: «È vero che vi fate sempre la guerra? È vero che non tutti, da voi, sono preti?». Sì, perché lì sono tutti preti, sembrava un seminario. Una sera usciamo, incontriamo solo un ubriaco, era un inglese. Ci siamo abbracciati e abbiamo cantato insieme Santa Lucia. Poi ci ha raccontato, piangendo, che non può tornare sulla Terra perché la moglie gli manda gli uscieri, non ho capito bene, ma insomma la moglie è scozzese e gli rimprovera di essere inglese, donnaiolo, pigro, spendaccione e meridionale.

Ecco tutto. Francamente è l’ultima volta. Su Venere, invece, altra aria. Intanto è vicino, poi sembra la Terra, molta civiltà, nessuno guarda quello che fai. La sera, in campagna, centinaia di razzi, fermi. Che fanno? Niente, l’amore. Nessuno li disturba. La stampa è libera, gli spettacoli persino troppo liberi. Rimpiangi di non aver vent’anni. Incontriamo uno studente romano, ci racconta che si è sistemato con quattro donne, neanche a cannonate lo faranno tornare sulla Terra. C’è venuto con una borsa di studio. Hai già capito che su Venere bisogna andarci soli.

Altro fatto che infastidisce, dappertutto, la completa ignoranza delle cose nostre. Dici: «La Terra», ti capiscono, sanno che è quella. Ma se dici: «L’Italia» loro dicono: «Che?». Gliela indichi al telescopio: «Italia, Stivale, Mediterraneo, Civiltà». Loro guardano e dicono: «Piccolo».

Non comprare mai niente. Tutto più caro che da noi, ovunque. Su Nettuno volevo comperare una cravatta, per ricordo: otto volte il nostro prezzo e poi, non era italiana? Su Giove, in una vetrina vedo un cappotto decente, ne avevo bisogno, mi avvicino, c’era scritto in francese: «Importé de la Terre». Vanno pazzi per la nostra eleganza, noi ci riconosciamo subito dalle scarpe. Loro portano zoccoli, ciabatte, barchette e le chiamano scarpe. Pensa.

Se posso darti un altro consiglio, non portare tua moglie, voglio dire la moglie in generale. Non so perché, le mogli, nello Spazio, peggiorano. Non hanno mai appetito, la sera invece hanno sonno, poi si svegliano alle cinque e quando anche tu ti svegli le trovi già vestite, hanno già fatto un giro attorno all’albergo e dicono: «Che facciamo? Vuoi partire?». Poi, mal di testa, e durante il viaggio guardano come guidi. Oppure ti fanno arrabbiare. Una sera guardavamo la Terra e io le dico: «Vedi quella striscia, nella Cina? È la Grande Muraglia». Lei subito, testarda: «È un fiume». «Ah» dico io «conoscerò bene i fiumi della Cina!». E lei: «Se vuoi litigare, dillo, che torno a casa». Un’altra sera, sempre sulla Luna, tutti a guardare la Terra, enorme illuminata. C’era da commuoversi, la Terra girava piano, vedevamo l’Atlantico, poi la Spagna, infine l’Italia. C’erano con noi anche certi amici di Brescia, tutti a gridare: «Guarda, l’Italia! Viva l’Italia!». Ma era un po’ coperta di nuvole e mia moglie dice: «Scommetto che a Roma sta piovendo e Adalgisa ha lasciato aperte le finestre».

Se hai proprio deciso di andare, scegli bene. Un po’ di Venere e il resto del tempo, dammi retta, vai su un satellite di Giove. Ce ne sono undici. Niente servizi, ma molta Natura, spendi poco e conosci la gente migliore, artisti per lo più. Quando andammo noi, giravano un film, certi di Roma, ed erano felici. Due s’erano comprati una casetta, ma conviene costruire. Poi, giri il posto in dieci minuti, la sera tutti a divertirsi. Sei mai stato a Ponza?

Soprattutto, evita i grandi pianeti, troppa gente, ti disgusti. Ti disgustano anche gli italiani un po’ ricchi, li trovi in ogni posto. Su Nettuno, nel miglior ristorante, un silenzio di tomba, sentivi solo le posate, ecco una voce di donna che grida: «Maurizio, finisci la frutta!». Italiani, naturalmente, tutti si voltano e fanno certe facce. E a spasso, che sentivi? «Patrizia, vieni qui e mettiti il paltoncino. Patrizia, vieni qui e togliti il paltoncino. Daniela, se vengo lì mi senti». E nella Valle della Meditazione, tutti zitti per rispetto al luogo, l’unico che si faceva notare non era forse un milanese, che urlava: «Giorgina, ma senti che pace?».

Quello che invece ti commuoverà, girando quei pianeti, è gli italiani che lavorano. Li trovi negli alberghi, nei garages. Un giorno su Saturno ci fermiamo perché uno, con uno scafandro rattoppato, ci fa segno agitando una bandierina. Appena lo vedo meglio, dico: «Questo è italiano». Lo interrogo, non era di Villa Celiera, in Abruzzo? Stava lì, in una cava di manganese e ci aveva fermato perché facevano brillare le mine. Gli domando: «Ti trovi bene?». (Bada che lassù è la morte). Dice: «Be’, un posto è uguale all’altro» e sorride. Da abbracciarlo. E aggiunge: «Il mese che viene, vado su Pelatone». Pensa, voleva dire Plutone. «E che ci vai a fare?» dico. Risponde: «Be’, c’è un mio cugino». Capisci, partono senza ingaggio, allo sbaraglio, sempre dietro uno zio o un cugino. E sulla Luna, chi credi che guarda i razzi al posteggio? Uno di Frosinone. E su Venere, chi vende i palloncini? Quattro di Benevento.