FESTIVALIA
Nei boschi dell’interno, nelle ampie riserve ma anche lungo le spiagge attorno alle città principali, i cantanti vivono felici. Poiché essi non aggrediscono l’uomo, se non provocati, si riproducono in pace, eccetto nei mesi in cui la caccia è permessa, da ottobre a dicembre, dopo la stagione degli amori e dei successi. Nelle strade dei parchi appositi cartelli segnalano il passaggio delle mandrie e più volte vedrete un’automobile ferma, circondata da un’intera famigliola di cantanti che prende mele e noccioline dalle mani dei viaggiatori, ricambiando con autografi. Io ammiro nel popolo festivaliano, spesso accusato di crudeltà, la sua pazienza verso questi animali rumorosi e infingardi, che non è possibile addomesticare se non con lunghi sforzi e che pertanto non sarebbero di nessuna utilità (anche la loro carne è dura) se a nobilitarli non fosse quella loro disposizione al canto che li fa quasi intoccabili in una terra dove il canto è tutto. Chi vuol dunque capire Festivalia cominci col frequentare i cantanti, a distinguere le loro infinite varietà, a conoscere i loro usi e costumi, a conoscere e approfondire il senso di quell’amabile dolore del mondo, che essi esprimono nei loro interminabili canti notturni.
I cantanti più vecchi e forti vivono isolati, incontrarli è questione di fortuna; tutti gli altri vivono in branchi o comunità e si lasciano avvicinare fotografare e carezzare. In questo loro buon naturale è da ricercarsi il successo dei cacciatori di frodo, che ne catturano parecchi per avviarli ai grandi mercati occidentali. In Festivalia non mancano leggi severe per proteggere le varie specie di cantanti dalla distruzione indiscriminata (sarebbe pericoloso, ad esempio, sparare a un soprano senza il permesso del sovrintendente), ma sappiamo come sia difficile applicare le leggi in un paese che nel canto cerca proprio una liberazione dall’imperio della legge comune.
Possedere un cantante di buona razza è motivo d’orgoglio per ogni famiglia rispettabile. Le altre si accontentano di incroci. Una particolare varietà di importazione, detta degli urlanti, è prosperata in questi ultimi anni grazie al clima mite e le autorità chiudono volentieri un occhio sulla loro cattura, perché l’eccessiva proliferazione della specie costituisce già una seria minaccia per l’agricoltura. Audacissimi, gli urlanti invadono volentieri i monumenti pubblici e li lordano. È persino permesso abbatterli «quando se ne ravvisi la necessità», formula molto elastica che giustifica non pochi abusi. Si aggiunga che prendere un urlante non è difficile, anche se la caccia riserva qualche emozione.
Io partecipai a una di queste battute in un antico tempio e ne conservo un ricordo poco lieto perché come ospite d’onore mi toccò di abbattere il primo animale. Era un bell’esemplare maschio, sui vent’anni, bruno, ricciuto, fortunatamente scapolo. Ho ancora nelle orecchie le sue urla strazianti nell’attimo che lo colpii e cadde dalla trabeazione dove s’era appollaiato per ringraziarci dell’applauso col quale lo avevamo attirato, subdolamente. Quei suoi occhi dolci e quasi umani seguitarono a fissarmi a lungo, mentre dalla bocca gli uscivano accorate proteste, chiedendomi perché straziavo il suo cuore e altre frasi del genere, tutte ritmate da «perché» disperatamente interrogativi, ai quali non potevo dare nemmeno il conforto di una risposta. Ha un perché la caccia ai cantanti? Sono cose che non si spiegano, ma si sentono.
Festivalia deve il nome alla sua forma geografica che ricorda uno stivale. Studiosi moderni sostengono che lo derivi invece dall’arcaico «fstvl» che vorrebbe significare «valle delle feste». Nell’attuale rigoglio filologico tutte le ipotesi sono egualmente valide e confutabili. Oggi la dizione «festival» viene qui usata per una qualsiasi riunione dove si canti e si suoni; e allora sorgerebbe una terza interpretazione, che Festivalia voglia dire «stivale canoro». È un’ipotesi che, pur essendo desunta a posteriori, ha perlomeno il pregio di aderire ad una realtà.
La prima impressione che il turista ha di questo paese così bello e gentile è che i suoi abitanti vivano in un irresolvibile conflitto di passioni a causa di amori non corrisposti o difficoltà sentimentali. Sembra una terra fatta per la comprensione e l’amore, ma le proteste più strazianti che si levano, a ogni ora del giorno e della notte, nelle strade, nei bar, nelle case e persino nei treni, sono di questo tono: «Non mi lasciare, resta con me, non mi abbandonare, torna da me, come farò senza di te, perché sei partita, perché non torni, t’aspetto notte e dì, non dimenticarmi, scordarmi, obliarmi», e altre simili disperate proteste che denunciano un grave e diffuso stato d’animo: il dolore di aver perso l’oggetto amato, la disperazione di non poterne rientrare in possesso.
Di fronte a questo stato di cose può sorprendere l’indifferenza delle autorità governative. Io sono convinto che la produzione nazionale ne risenta in molti campi, soprattutto in quello industriale e scientifico.
Sento già l’obiezione: che il reddito medio negli ultimi anni è aumentato. Già, come spiegare il fenomeno se non invocando la tortuosa psicologia festivaliana? Lasciamo questo mistero agli economisti e occupiamoci dei riflessi che il progressivo benessere ha avuto sui canti dei festivaliani. Un sensibile abbandono delle forme tradizionali si è verificato. Direi, in sostanza, che raggiunto un migliore livello di vita, i festivaliani lo hanno infuso nel loro «epos», addolcendo le antiche conclusioni passionali o rendendole lamentose, implacabili, frivole. Chi conosce anche di sfuggita la bassa letteratura di consumo festivaliana non si stupisce che i loro personaggi dominino oggi la canzone. Una volta si cantava di marinai, di contadini, di pescatori, di gente che stava in carcere per aver commesso un delitto passionale o che ne evadeva per commetterlo: e gli innamorati respinti annegavano il loro dolore nel vino o lo placavano col pugnale. Oggi trionfa il ceto medio. I personaggi sono evoluti, noiosi e fingono la passione con un linguaggio pur sempre tormentato (ma per ragioni sintattiche), che rivela un fondo bamboleggiante. Sarebbe opportuna un’indagine sui rapporti tra canzone e incremento della produzione dei beni di consumo, lo sviluppo del turismo e le vendite a rate.
Conversare, questo sì sta diventando un problema. Io laggiù temevo gli inviti a pranzo, in ogni famiglia la colazione e la cena si consumano ascoltando vari cantanti e siccome su un piccolo schermo di vetro appaiono le immagini di questi animali, si sta a tavola al buio. Tutti si ingozzano come possono, masticando pieni d’ammirazione e zittendo il primo che osa aprir bocca. Io mi vendicavo dando un calcio al cantante di casa. Puerile conforto.