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Preciso e puntuale

Non ci fu nessun bisogno di chiedersi chi fossero, perché bastava guardarli solamente e si capiva subito che erano una notizia lampo di cui speravi non far parte. L'antenna sulla loro auto continuava a dare lunghe frustate argentee anche dopo che avevano parcheggiato e iniziavano a camminare sul vialetto di terra. Entrambi indossavano una specie di cravatta, quella che sembra un laccio di scarpa, ma non la giacca. I loro passi sollevavano del fango. Le pistole facevano curvare le loro cinture, ma tenevano il mento alto.

Noi tre eravamo in piedi in una linea silenziosa dietro la zanzariera di Bev, mentre guardavamo fuori. C'era un gruppo di ragazzini che rideva forte dall'altra parte della strada mentre rompeva degli oggetti nel canale, e le lucciole cominciavano a uscire. Quell'antenna continuava a dare frustate argentee e a oscillare sul tetto della loro berlina bianca. Biscuit corse a grandi falcate mentre si avvicinavano, e li seguì. Sbuffava aria e scodinzolava amichevolmente.

Entrambi mantennero un'espressione piatta e annuirono nella nostra direzione, dietro la zanzariera.

Quello con la barba grigia disse: «Potreste venire tutti con noi?»

* * *

La preoccupazione era cresciuta rapidamente dopo cena, la notte precedente. Jason non era tornato. Bev aveva portato a casa delle costolette dal negozio di Otto e Belle, insieme a dell'insalata di cavolo con la maionese e dei fagioli, che dicevano lui amasse e fossero assolutamente del classico tipo e sapore del barbecue, ma il ragazzo non era tornato a cena. Gli era anche stato detto delle costolette a mezzogiorno. La preoccupazione diede appena un debole segnale nella testa di Jamalee solo allora. Camminava e guardava spesso fuori dalle finestre. Queste costolette venivano strofinate a secco nel modo tipico della valle e cotte lentamente, lentamente, molto lentamente, e anche i fagioli avevano preso un sapore affumicato, quindi fino a che gli avanzi nel suo piatto non raggiunsero i loro simili nella mia pancia, non mi passò assolutamente per la testa di dove, oh, dove potesse essere il piccolo Jason.

Bev e io dicemmo in continuazione, qualcosa come dieci volte, che aveva diciassette anni e probabilmente si era fatto un amico da qualche parte, lontano.

«Non lo conoscete veramente» disse Jamalee. «È una persona molto precisa per quanto riguarda il tempo, ama le costolette di Otto e Belle, avrebbe chiamato se avesse fatto così tardi e avrebbe lasciato detto di lasciargliene un po'.»

Non fu poi così lontano dove ci condussero con la loro auto. La radio continuava a emettere dei rumori, suoni di malfunzionamento elettrico, e talvolta delle voci attraversavano l'aria, ma non riuscivo mai a comprendere una frase completa che veniva pronunciata. Sedevo a un'estremità del sedile posteriore, Bev viaggiava al centro. I poliziotti non si voltarono mai né dissero nulla. Ci guidarono oltre il torrente, che ha un nome che non ricordo, lungo quel ponte nero e stretto con un segnale che avverte improvvisamente che è a una sola corsia. La strada era asfaltata fino a oltre il ponte, poi diventava scoscesa e cominciava a salire.

Riuscivo a sentire Jamalee che respirava; i suoi respiri erano lenti e senza ritmo, come se dovesse ricordarsi di inspirare.

In altro, prima di giungere in cima alla collina, ci fu una svolta brusca nella carreggiata. La svolta aveva ammassato un cumulo di fango creato dalle ruote che giravano su sé stesse; vi salimmo per prendere la curva, poi scendemmo e saltammo piuttosto duramente per un po'. I salti ci fecero irrigidire, e sul sedile posteriore sbattemmo l'uno contro l'altro diverse volte. Nessuno disse una parola.

Riuscii a vedere l'acqua quando ci fermammo. C'era una baracca di tronchi d'albero grezzi dall'altra parte dello stagno, l'acqua era verde e lo stagno lungo e stretto. Due o tre veicoli erano parcheggiati davanti a noi, e un'ambulanza era uno di quelli. Era il crepuscolo, e vari uomini stavano in piedi vicino alle sponde illuminate da torce elettriche.

Una volta scesi e con quelle frustate argentee sopra di noi, il poliziotto più giovane estrasse un piccolo barattolo blu pieno di quella crema al mentolo che si usa durante l'inverno quando il petto rantola. L'aprì e ne spalmò un bel po' proprio dove sarebbero dovuti essere i baffi se li avesse avuti, poi porse il barattolo a Bev.

«A che serve?» fece lei.

«È stato piuttosto caldo, signora. Anche l'acqua è calda in questo periodo dell'anno. Questa riduce… mi scusi… questa roba le farà sentire di meno gli odori.»

Quando Rossofuoco iniziava a cianciare, fare migliaia di congetture e avere la febbre, poteva difficilmente essere interrotta. Quando era in quello stato, riusciva senza dubbio a prevedere una serie di sventure: i fati demoniaci stavano aspettando il momento propizio nella soffitta di quella casa vuota lungo la strada in attesa del momento buono, e una grande sofferenza continuava ad aggirarsi sopra il suo cranio tenendo una stecca da biliardo… questo genere di cose. Non con le stesse parole, ma questi erano i concetti.

Quel discorso mi aveva spinto in giro per la città, nella tarda mattinata all'indomani delle costolette, con lei, alla ricerca di una qualsiasi traccia di Jason. La Ford aveva bisogno dell'olio e di una messa a punto. Questa Pinto mandava dei piccoli segnali grigi di emergenza dal tubo di scappamento, faceva lo stesso rumore di un fumatore accanito nel freddo dell'alba, e praticamente richiese a gran voce un avvocato per i diritti civili quando le feci fare una salita.

Jamalee agitava la sua testa di un rosso innaturale fuori dal finestrino dal lato del passeggero, non troppo entusiasta di essere vista sulla mia auto di merda, ma scrutando in lungo e in largo le strade mentre controllava volti e vicoli.

Anche quel giorno si potrebbe dire che la giornata fosse diventata bellissima: uno sconfinato cielo blu in alto e un caldo simile a burro sciolto con una bella brezza che scacciava gli odori delicati tutt'attorno. Tutti stavano fuori dalle proprie case. Biciclette, carrozzine e borse della spesa percorrevano la piazza. Anche gli ubriachi della Tiny Spot Tavern fra la piazza e i recinti per il bestiame erano barcollati fuori, alla luce, e facevano dei bagni di sole con le lattine di birra in mano.

Da Romelia ci dissero che era stata una giornata normale. Il giorno prima. Jason era arrivato e se ne era andato come da sua abitudine, e aveva detto, o forse no, qualche cosa più strana del solito.

Nuovamente nell'auto, chiesi: «Poteva avere una vita segreta?»

«No. Non lui. Aveva a malapena una vita pubblica.»

Lo colpirono con dei fasci di luce da una manciata di angolazioni, uno rimaneva fisso sul suo petto e gli altri scivolavano su di lui, illuminando alcune parti del suo corpo morto, poi si allontanavano nuovamente. Era un fagotto che giaceva sulla riva dello stagno. Indossava ancora tutto, incluse le scarpe. Lo stagno continuava a fare rumori, rumori simili a rigurgiti, come un bambino che non ama le carote passate. Forse era il vento. Stava lì steso sulla schiena con le braccia lungo i fianchi. Aveva degli ami nella pelle. Degli ami che venivano seguiti da lenze, conficcati uno qua e uno là, uno nella sua guancia, due nella mano color porpora che riuscivo a intravedere. Lo stagno sembrava pronto a vomitare.

Un ufficiale chiese: «È lui, vero?»

Jamalee si sporse in avanti, osservò solamente e sembrò colpita. Accidenti, il suo volto era freddo come una statua che ritraeva un momento di profonda, profonda e muta paura.

«Quello è mio figlio» disse Bev. Cadde sulle ginocchia e si spinse in avanti. «Ricordo quei calzini.»

Il Lake's Market sorgeva come un ingresso a Venus Holler. Non potevi entrare e uscire senza oltrepassare quel luogo. L'edificio era vecchio, in legno, verniciato di bianco, con un vialetto pieno di buchi in calcestruzzo che portava dal parcheggio fino all'ingresso, lungo forse un metro e venti. C'erano solo tre posti auto, e anche dal supermercato riuscivi a sentire i clacson che suonavano l'uno contro l'altro e delle voci brusche di tanto in tanto che facevano commenti del tipo 'su, amico, muovi il culo'.

Avevo avuto fortuna e avevo trovato un posto, entrammo entrambi. Mi era sempre piaciuto il Lake's Market: non c'erano norme inderogabili su dove andassero le cose negli scaffali, vendeva ogni tipo di birra economica in lattina a cui si potesse pensare e c'era un enorme vecchio gatto giallo che pesava circa nove chili e riusciva a fare dei peti da far uscire tutti da lì gridando.

«Ehi, ciao, Jamalee.»

«Signor Lake, come sta?»

«Non mi lamento.» Era un uomo alto, magro, dalle spalle curve e i capelli neri ondulati. «Ciao, Sammy.»

Feci un cenno con la testa, ma lei parlò subito. «Ha visto mio fratello?»

«No» disse, e fece una specie di risata. «Non posso dire di averlo visto.»

Faceva una specie di risata quando aveva detto praticamente tutto. Non so cosa la provocasse, ma era fatto così. Potevi dire che faceva più caldo che nell'Ade, e lui avrebbe riso. Mia moglie è scappata a Nashville con l'autista del furgone dei gelati; oppure sono stato sorteggiato alla Happy Bark e non lavorerò più; mia madre ha sposato un poliziotto… avrebbe riso per tutte quelle cose, e mille altre. «Non lo vedo da, oh, non so quanto. Fa quasi sempre capolino quando passa di qua.»

«Lo so» disse lei.

«È un bel ragazzo.»

«Già.»

«Non è tornato, vero? Da quanto?»

«Una notte.»

Scoppiò in un lungo attacco di riso.

«Diamine, Jamalee,» disse «penso che quel ragazzo si sia nascosto da qualche parte per imparare i segreti della notte. È tremendamente bello…»

«No» disse lei, e ce ne andammo.

Gli feci un cenno, per mostrare cortesia, mentre la porta sbatteva dietro di noi.

Sedeva nella Ford, con il viso che non faceva pensare a niente di buono. Le possibili risposte erano libere nella sua testa, e quelle cattive la stavano divorando nel profondo.

Ero incerto delle mie stesse emozioni, e sorrisi.

«Probabilmente non è scappato» dissi. «Il signor Lake probabilmente è una persona precisa. Avrà saputo…»

«No, no, no!»

Accidenti, questa follia non aveva fine, e avevamo iniziato a comprenderlo.

Chiunque l'avesse fatto, voleva farlo sembrare opera della natura. Della natura di Jason e di quella vera: della sua per essere finito in quello stagno in modo folle, di quella vera per aver eliminato un folle.

Non lo studiai a lungo, mentre stava lì nel fango a gonfiarsi assumendo un colorito diverso. C'erano delle lattine di cocktail confezionati di qualcuno che aveva fatto bisboccia, sparse vicino a dove giaceva il suo corpo. Whisky e limone, cuba libre e margarita.

La legge non sembrava interessata alle lattine, agli ami e nemmeno al corpo.

«Direi che si è immerso qui, probabilmente aveva bevuto, era tutto sudato e ha nuotato fino a dove è stato catturato da questi vecchi ami e lenze» disse uno di loro. «C'è un fondale accidentato in questo stagno, probabilmente si sono impigliati là sotto un migliaio di ami.»

«Degli ami piuttosto nuovi» constatai.

«Credo che alcuni lo possano essere.»

William, il signor John Law, era lì in mezzo alla folla, fece un passo in avanti e intervenne nella conversazione. Disse: «Sono veramente dispiaciuto, Bev. È una storia davvero triste. Credo che il ragazzo non sapesse nuotare molto bene, vero?»

«Non amava nuotare, no.»

«Lo vedo.»

«Voglio dire,» disse lei «Jason non sapeva affatto nuotare.»

Gli ufficiali distolsero lo sguardo da lei, diressero le loro luci verso lo stagno e scrutarono l'acqua scura con i fasci di luce.

«Ah, be',» disse William «quindi immagino non vi stupisca il fatto che sia annegato, vero?»