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Tutto doppio

Le occasioni come questa non sono molte e non avvengono di frequente.

Jamalee e Jason mi portarono in un bagno al piano di sopra dove c'era una vasca smisurata e chic, con una specie di panca sommersa. Potevi stenderti, galleggiare, muoverti, o sederti su quella panca scivolosa e fare un ragionamento profondo. M'immersi nel vapore e nelle bolle, m'insaponai, strofinai e restai a mollo. Quando uscii, c'era quest'accappatoio di seta, o di qualcosa di simile alla seta, che aspettava di essere indossato da me. L'accappatoio era blu come la ruota di un pavone. Trovai una lametta e mi rasai a fondo sul lavandino. C'erano sei o sette tipi di colonia, e mi tuffai su uno che non avevo mai sentito, Vetiver, il cui profumo era di alta classe e meraviglioso. L'intera scena era come un sogno folle che ti sembra di comprendere.

Con indosso solo quell'accappatoio e il mio nuovo profumo scesi al piano di sotto. Le scale andavano in una direzione, poi in un'altra, poi di nuovo in quella di prima, e mi sembravano salire vorticosamente. I ragazzi non tenevano niente di acceso al primo piano. Sembrava gli piacessero le candele ma non la luce delle lampadine. Su un tavolo c'erano tre candele che bruciavano ed emanavano una specie fluttuante di luce spirituale che era tipica di una seduta spiritica o di un furgone in cui stai facendo sesso.

Entrai nell'alone di luce soffusa, dove delle ombre si alzavano, si contrastavano e volavano in modo molto festoso sulle pareti. I miei nuovi amici sedevano a un lungo e massiccio tavolo con di fronte dei calici da vino, probabilmente di cristallo. Il vino sembrava nero. Notai tre calici.

Lei pronunciò le prime parole.

«Vorremmo assumerti.»

«Oh, be', io ho già un lavoro.» C'era una pala con sopra il mio nome nella sala caldaie alla fabbrica di cibo per cani, ma il mio nome era semplicemente scritto su un pezzo di nastro adesivo grigio che già si stava staccando un po' ai bordi. Avevo fatto molte promesse ragguardevoli per ottenere quel lavoro. La mia storia lavorativa era terribilmente irregolare, sì, nonostante tutta la merda che avevo inventato per andare avanti nei periodi morti. «E anche piuttosto buono.»

«Bene» disse lei. «Non era quello che volevo sentire, ma meglio per te. Questo lavoro, intendo. Lavori di lunedì?»

«Certamente. Fino a venerdì.»

«Ops!» disse Jason.

«Hai chiamato stamattina per dire che eri malato?»

Reagii scoccandole un'occhiata di meraviglia.

«Oggi è dome…»

«Mhm mhm, Sammy» disse lei. La sua testa rosso fuoco ondeggiò da una parte all'altra. «Mi spiace, ma siamo quasi all'ora di cena, tardi come vuole la moda, di lunedì sera. Hai dormito troppo: per mezza giornata, temo.»

Presi una sedia da vicino il tavolo. Mi presi le orecchie tra le dita e tirai, tirai con forza finché i miei occhi non si riempirono di lacrime e il mio cervello scattò sull'attenti. Il caporeparto mi aveva anche assunto a fatica.

«Sono affamato» dissi.

Mi alzai dal tavolo, trascinai i piedi nudi fino in cucina. Il rumore dei loro passi mi seguì da vicino. Tornai dove c'era tutto quel vetro e la gran vista, e non c'era altro se non l'oscurità causata da nuvole pesanti e frustate di pioggia su tutto il paesaggio. Dei grossi alberi folti stavano ondeggiando sul posto. Rimasi in silenzio, circa uno o due lunghi minuti, mentre fissavo fuori e ascoltavo il fango che aumentava.

«Cuciniamo al microonde una cena per Sammy» disse Jason dolcemente. «Ha bisogno di un pasto caldo.»

Non riuscivo a guardarli.

Quel caveau si aprì con un rumore di risucchio, quindi lui si destreggiò nella sezione del cibo surgelato e poi richiuse la porta.

«Che te ne pare di linguine con le vongole?»

Mi voltai, mi avvicinai e cedetti, cedetti mostrandomi per quello che ero.

«Be', ho sempre amato quel piatto,» dissi, sperando che veramente fosse così «tutte le volte che mi è stato servito.»

Ce la cavammo molto velocemente.

Loro due tenevano delle candele in mano e mi mostrarono la villa, portandomi di stanza in stanza. Avevo ancora quell'accappatoio blu pavone e il profumo dalle tonalità forti; la scena dava l'impressione di essere più o meno un colloquio di lavoro. Mi avevano assunto come 'addetto alla sicurezza'. Dovevo adeguare le mie intuizioni criminali in modo tale da poter difendere la villa, e la famiglia al suo interno, da qualsiasi cosa del mio genere si presentasse. Accendevano una luce in ciascuna stanza per un breve istante, poi la spegnevano e dicevano 'stanza del pianoforte' oppure 'stanza dello scudiero', 'sala da tè', 'appartamento della cameriera'.

Quel posto, anche se visto per brevi momenti di luce, aveva rivelato di contenere pressappoco il doppio di ogni cosa che valesse la pena avere.

Mentre osservavo, riuscii a comprendere quale tremenda responsabilità fosse, e stavo riflettendo che probabilmente potevo lavorare per gente con i loro privilegi.

Adesso questi due si presentavano come dei ragazzi assennati e lo sembravano ancor di più anche perché avevano visto gran parte del mondo e l'avevano studiato da un'angolazione elevata e di classe. Conoscevo il Delta in lungo e in largo, e un bel po' degli Ozark, anche Memphis certamente, e una volta assaporai per bene Houston; ma in qualsiasi luogo andassi, ne conoscevo solamente le parti a basso costo e dove si facevano poche domande. Loro invece mi facevano sentire investito da alcuni ricordi casuali della Grecia (le isole bianche brillanti e le folle in topless), Tokyo (non ci si deve lavare in quelle vasche bollenti, no grazie), Londra (meglio portarsi un ombrello), e la loro seconda casa, Parigi (dove gli chef conoscevano le date dei loro compleanni e preparavano delle feste a sorpresa con quelle pietanze celebrative delicate che non ho mai visto e potrei non avere le palle di assaggiare).

Arrivammo a una finestra larga con dei vetri enormi in cima alla scala, c'era un vaso gigantesco con una specie di piume che torreggiavano, e su un lato c'era una porta nera che Jamalee aprì spingendo, poi trovò un interruttore e illuminò la stanza. Osservò il letto antico con il baldacchino lussuoso e le pareti rivestite di specchi e di opere d'arte, e alcuni costosi mobili in legno.

«Questa» disse lei «sarà la tua stanza, Sammy.»

Diedi uno sguardo a quella camera ed ebbi un moto di esaltazione che guizzò fino alla testa, fuori dalle orecchie.

Era come se mi fossi introdotto furtivamente in una villa buia e in qualche modo mi fossi risvegliato nel sogno che stavo facendo da una vita intera.

Jason uscì dalla stanza e scese nell'atrio, e io le dissi: «Davvero? Questa stanza è veramente, veramente di prima scelta. Una dannata stanza di prima scelta.»

Le sue palpebre avevano delle ombre tracciate così pesantemente che sembrava osservarmi da due buchi blu nei nodi di un legno. Il suo viso, intendo il viso di Jamalee, si era già insinuato nella mia mente come un uncino.

«Be',» iniziò lei «se per qualche motivo non…»

In quel momento Jason entrò nella stanza, spense la candela di lei e la sua, e disse: «C'è la legge qua fuori con i lampeggianti accesi. Dobbiamo svignarcela, sorellina.»

La risposta di Jamalee fu una risata aperta. Il suo suono vibrò nell'oscurità. Mi colpì la schiena e rise in direzione del mio orecchio. Quella situazione la divertiva: il pericolo era arrivato e mi ero rivelato un cretino manovrabile. Meglio che non riuscissi a vedere la sua espressione.

«Quella non sarà mai la mia stanza, immagino.»