12
Quel desiderio passabile

Poi venne un lunedì.

Sapevo che non sarebbe andata bene, ma andò addirittura peggio.

«Non riesco a trovare delle sensazioni per tutto questo. Devo pensare, pensare, pensare prima di ogni movimento.» Il bel volto sbalordito di Jason si affacciò dalla porta a zanzariera, mentre sussurrava a Jam e a me. Sedevamo entrambi al lato della veranda come secchi della spazzatura, ma ascoltava i nostri consigli ogni volta che sgattaiolava fino alla porta e riusciva a sentirci. «Io non ci riesco così. Non ci riesco affatto.»

L'auto della donna era parcheggiata in strada, ed era un'auto blu brillante enorme, un Caddy, e la sua presenza nella nostra strada sporca poneva una domanda, ovvero cosa c'è di strano in questa immagine? La donna era entrata nella toilette per signore, ma non per incipriarsi nel senso stretto del termine. Aveva fatto uno shampoo, una messa in piega, una manicure, ed era diventata così civetta nei confronti di Jason con le sue parole, il tono e le dita insinuanti che lui aveva iniziato a perdere la testa.

Sussurrai: «Mettile una mano sulla coscia.»

«E poi?»

«Ah, be', falla scivolare sotto la gonna, proprio lì, e poi chiedile: Tosso prenderle la temperatura, signora?'»

«Cosa?»

Jamalee mi spinse e fece un verso di commiserazione.

«È terribile, Sammy. È patetico. Potrebbe funzionare con le maiale con cui sei stato, ma… be', non con quella donna.»

«E quindi?» C'erano delle perle di sudore nella sua voce. «Ditemelo velocemente. Sento la carta igienica che si srotola.»

«Jason,» dissi «non fare nulla se non rispondere. Tutto ciò che devi fare è rimanere immobile, non correre, e farle uno o due sorrisi. Credimi, ti perquisirà a fondo ogni istante per conto suo… probabilmente è al cesso per mettersi il suo affare.»

«Il suo co…?»

La donna indossava dei tacchi che attiravano l'attenzione mentre camminava, facendo tic tic tic sul pavimento. Il suo profumo mi raggiunse, addirittura fuori in mezzo allo sporco, e fece il suo effetto. Quell'odore mi diede uno stato d'animo, uno stato d'animo tale che volevo fare irruzione lì dentro, dire a Jason di allontanare il suo culo pelle e ossa favoloso e sguinzagliare il mio animale.

Il suo volto attraverso la zanzariera aveva un'espressione devastata.

Si voltò per affrontare quei passi.

«Ebbene, signora Mallahan, forse dovrei farle il mio massaggio alla testa e al collo. Gradirebbe prima una tazza di tè?»

«Ciò che gradirei, tigre, è che mi chiamassi Linda, come ti ho già chiesto prima.»

«Okay, Linda. Ho del tè alle erbe oppure quello normale.»

«Siediti vicino a me sul divano, lì, tigre, e spiegami i sapori delle erbe. Sono una persona da bourbon, principalmente. Tu, bel ragazzo, mi stai portando in dei posti nuovi.»

«Sei certa tu voglia che, ehm, mi sieda vicino a te, Linda?»

Quei passi iniziarono a ticchettare.

«Sembro confusa su ciò che voglio?»

Lui iniziò a seguirla.

«Non molto.»

Lui, almeno credo, stava tirando a indovinare ogni centimetro del percorso. Jason, ne sono convinto, non aveva avuto alcuna passera, dato che la passera si era impossessata di lui. Era lì sul divano, piuttosto veloce, mentre tirava a indovinare sul modo di darle appagamento, provava ogni ipotesi che possedeva con quella donna, e lui ne aveva solo una o due nel suo bagaglio con cui iniziare. Tutto ciò che aveva da offrirle era la sua bellezza e quel desiderio passabile.

Jamalee e io stavamo in ansia accanto alla veranda, pronti a dare delle istruzioni di allenamento durante ogni time-out. Il nostro posto era sotto la ringhiera del portico. C'erano degli scarafaggi là sotto, ragnatele, favi di vespe caduti, e le parti superiori appuntite di alcune bottiglie, di quelle che si scoprono improvvisamente con le proprie chiappe.

«Hai mai chiesto a quel ragazzo se riusciva a scoparsi una donna?»

«Non pongo domande di cui non voglio sentire le risposte.»

Il cielo era diventato grigio come la cenere e unto per l'umidità, come se un attacco di cuore stesse risalendo da sud. La terra profumava in modo invitante. I rumori provenienti dal divano oltrepassavano la piccola baracca e filtravano attraverso la zanzariera, giù fino a dove stavamo accucciati.

«Non è solo la vita» disse Jamalee. Mentre ascoltava suo fratello e quella donna, la sua posizione era diventata quella della bassa marea, esausta e indolente. «È sempre una lezione dannatamente vecchia che la vita ci impartisce.»

Le porte della casa dei sogni vennero chiuse con un suono secco.

Noi tre stavamo abbattuti in cucina, con Jamalee che si mordeva le labbra e Jason che si asciugava gli occhi, cercando di respirare lentamente e cancellare il rosso dal suo viso.

Disse: «Lo sapevo. Lo sapevo che sarebbe stato così.»

«Dai» dissi. «Non è tanto male.»

«Ora non sarò mai normale.»

«Piccolo, non saresti mai stato normale. Non tu. La normalità appartiene ad altre persone.»

Un treno di passaggio fece il suo incantesimo, ci mise in attesa dove ci trovavamo, prese del tempo dalle nostre vite e lo divorò. L'incantesimo era lungo, alto e ben accetto.

Jason affondò la testa nuovamente nel lavandino, lavandosi il viso per l'ottantasettesima volta o giù di lì. Quella donna aveva sfruttato il ragazzo come un mulo in affitto che odiava lavorare, continuava a cercare di scappare verso il pascolo aperto, quindi doveva essere frenato molto e comandato a bacchetta.

Alla fine lei aveva ridacchiato, ridacchiato e lo aveva chiamato 'Caro ragazzo'.

Non le era parso il caso, almeno così sembrava, di lasciargli una grande quantità di denaro.

«Immagino cosa faremo,» disse Jamalee «noi tre avremo solamente una bella festa di triste commiserazione. Ci accucceremo qui, tremeremo e fremeremo, e condivideremo delle storie sulla nostra debolezza. Tutte le cose inconsistenti di noi che ci rendono inutili. Ovvero quello che siamo, inutili.»

«Ora ascolta» disse Jason. La sua voce divenne alta. «Se vuoi, sorellina, possiamo essere completamente onesti con te… anche brutalmente onesti… ma preferirei di gran lunga se mantenessimo una copertura di zucchero su qualsiasi cosa mi riguardi. È chiedere troppo?»

Oltre la porta a zanzariera notai quel serpente. Un falso serpente corallo, avrei detto. Si fece vedere vicino a dove ci eravamo accovacciati come secchi della spazzatura. Il serpente si mosse lentamente e incurante, come se pensasse di giocare una partita di golf o qualcosa del genere. Lo vidi ondeggiare verso una zolla d'erba e poi all'improvviso non c'era più, scomparso completamente, come se non ci fosse mai stato, simile a una verità che non volevi raccontare.

Alla fine rimanemmo lì in piedi solo Jamalee e io. Lei aveva dei semicerchi di terra impressi sul suo camicione dove il suo sedere accucciato aveva incontrato il terreno. Lune di polvere con il tocco di un disegnatore. Attrassero i miei occhi.

«Avrò bisogno di un lavoro» disse Rossofuoco. «Mio fratello non sarà mai uno stallone.»

«Avevo i miei dubbi» dissi. Alzai le mani sui miei capelli a spazzola, poi mi accarezzai i parabordi. «Ma ha altri talenti.»

«Quindi mi troverò un lavoro, metterò da parte il denaro in quel modo. Posso trovarlo, un lavoro, e tu?»

«Mi dovranno impiccare, prima. Poi scoverò un qualche tipo di lavoro umile. Il lavoro umile è la mia principale aspirazione, ma vorrei essere morto mentre lo faccio.»

«Oh, merda, Sammy, quel futuro sembra terribile.» Era un giorno triste per la piccola Jam, il giorno in cui la realtà deviava completamente al di fuori del suo piano. La lasciava agitata, ferita e sorpresa. «Non è giusto.»

«Ah,» dissi «lo stiamo facendo.»

«Cosa?»

«Una festa di commiserazione. Come avevi detto: i miei pianti di una vita, i tuoi pianti di una vita; li celebreremo, ne parleremo fino a sviscerarli.»

Oh, in quel momento Jamalee non badò al mio commento. Mi lanciò un'occhiata che suggeriva che avrebbe potuto semplicemente ignorare la gravità della cosa e tutto il resto, finché non imparavo la mia dannata collocazione. Non mi lamenterò per il fatto che lei cercasse di farlo, ma se lo avessi fatto io sarebbe stata certamente una nuova scusa per me. No?