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Un altro periodo

Jamalee e Jason vivevano insieme come fratello e sorella che forse un tempo avevano giocato al dottore insieme più di quanto venga considerato giusto. A ciascuno erano familiari parti del corpo dell'altro che la maggior parte dei fratelli probabilmente reputa private, ma quella consapevolezza sembrava unirli ancora di più, anziché allontanarli.

La casa era quasi una stia: potevi misurarla con i passi, e li avresti contati sulle dita delle mani e dei piedi. Jamalee aveva messo dimora in un angolo del soggiorno, chiudendo la sua zona con una coperta che pendeva da una corda per il bucato inchiodata ai muri. Jason aveva una vera camera con un letto a castello. Mi diede quello sopra, ovvero la branda dell'ultimo arrivato, così come viene chiamata in tante altre circostanze.

Mi accontentai.

Ho sempre voluto inserirmi da qualche parte, e quella era la comitiva che mi avrebbe accolto.

La casa apparteneva a un autotrasportatore di legname che lavorava in nero e si faceva vedere due o tre volte al mese per crollare sul mio letto. Stava tutto il tempo lassù ad abbattere foreste e a trasportare il legname alle segherie. Sua moglie se ne era andata e portato i loro tre figli con sé. In passato avevano tenuto quei bambini come degli ostaggi per la macchina della previdenza sociale e avevano ritirato dei discreti assegni come riscatto. Il suo nome era Rod, e Rod voleva che quegli assegni continuassero ad arrivare, quindi aveva messo Jamalee a rispondere al telefono e a imitare sua moglie. Un foglio di carta era stato attaccato al muro sopra il telefono, e conteneva una specie di archivio sui suoi figli: date di nascita, colore degli occhi, situazioni scolastiche, scuse; in questo modo Jamalee poteva parlare tranquillamente con qualsiasi ficcanaso della previdenza sociale.

Lei prendeva una fetta di quel denaro, ma non penso molto grande. Il suo vantaggio principale era poter vivere gratuitamente in quella stia.

I fratelli Merridew condividevano la stia con il cane di Rod. Era un essere arruffato e indolente di nome Biscuit che aveva la personalità di un inutile vecchio zio alcolizzato. Biscuit principalmente stava sdraiato e batteva la sua coda compiaciuto. Ogni tanto si avvicinava alla porta a zanzariera e rimaneva lì a controllare la strada, quasi stesse sperando di vedere il postino che portava il suo assegno di invalidità, poi gemeva per il disappunto e si lasciava cadere nuovamente.

Era come se non me ne fossi mai andato, come se fossi stato sempre lì.

Quel primo pomeriggio Jam e io ci dividemmo una bevanda a base di gelato e soda nella veranda. Bev uscì dalla porta accanto passeggiando al braccio di un tipo difficile da ricordare. Non aveva nulla di particolare, se non una giacca verde e una macchina giapponese.

«Credo che vostra madre si stia pagando le bollette con quel tipo.»

«Noi non la chiamiamo madre, ma Bev.» Ci fu un taglio netto nella sua frase. «Bev è un porcospino, Sammy. Sai cosa voglio dire?»

«L'avevo già sentita, ma non ricordo.»

«Se Bev avesse tutti i cazzi che le sono stati infilati dentro attaccati fuori sul corpo, somiglierebbe a un maledetto porcospino.»

L'uomo tenne la portiera aperta per Bev. Lei indossava un bel vestito con dei disegni e quelle scarpe con il tacco a spillo. Credo che ci diede un'occhiata, una breve occhiata da volpe voltandosi appena.

«Sì» dissi. «Era così. Mi ero dimenticato la battuta finale.»

«Dovrai starle lontano.»

Il commento di Jam non mi interessò.

Non sono un tipo che esclude socialmente alcune persone solo perché hanno delle cattive abitudini.

Alla fine venne fuori che lei aveva compiuto da poco diciannove anni, e lui ne aveva diciassette e tre mesi. Si erano sentiti inutili a scuola come mi ero sentito anch'io. Jason era un apprendista parrucchiere da Romelia, sulla piazza. Dopo un certo numero di ore e giorni di esperienza, poteva fare l'esame per diventare professionista. Oltre a questo, Jamalee avrebbe gestito un'attività per lui, non lì ma in qualche altro luogo nelle alte sfere, dove la gente spendeva il denaro solo per non doverselo portare ancora dietro, e le donne ricche avrebbero ridacchiato amaramente se non avessero avuto un bel ragazzo come accompagnatore con cui essere viste dappertutto.

Forse luoghi simili esistevano solo nella zona di Beverly Hills oppure nel sud della Florida.

Il salone di Romelia era il luogo in cui i ragazzi apprendevano quando le persone degne di nota potevano essere fuori città, irrompevano quindi nelle case di questi clienti importanti e prendevano lezioni pratiche di comportamenti da benestanti. Avevano bisogno di imparare a sembrare naturali se circondati dal lusso, dato che il lusso era ciò a cui loro stessi ambivano. Jamalee iniziò subito a ristrutturare la mia immagine, facendomi andare nella direzione in cui voleva lei.

«Credo che ti chiamerò Samuel.»

«No. Sono Sammy. E lo sono sempre stato.»

«Ma Samuel è più adatto a un adulto.»

«Però non è il mio nome.»

«Ma Sammy è il nome di una persona che può solo lavare é passare la cera alle auto, mentre Samuel potrebbe essere il proprietario del concessionario.»

«Mia madre mi ha chiamato Sammy. È scritto sul mio certificato di nascita.»

«Veramente? Dici sul serio? Ti ha chiamato Sammy? Semplicemente Sammy?»

«Sì.»

«Affibbiarti quel nome è stato come scagliarti una maledizione. Oh, tesoro, tua madre ha avuto una dolorosa predizione di merda sulla tua intera vita e ti ha dato un nome che avrebbe aiutato tutto ciò che fosse doloroso e di merda a divenire realtà.»

«Non mi dici nulla di nuovo.»

«Abbiamo notato che non sei del tutto cattivo,» disse Jamalee «ma speriamo che tu lo sia abbastanza.»

Quello era il secondo giorno che trascorrevamo insieme, o forse anche di più. Poteva essere stato il secondo giorno, oppure una settimana dopo, ma in ogni caso lei e io stavamo seduti nella sala d'attesa da Romelia, mentre aspettavamo Jason.

«Non sono certo di volere l'etichetta di cattivo.»

Quella fu la mia prima percezione del fascino di Jason: c'erano tre donne che aspettavano che si liberasse. Ignoravano la ragazza che stava lavando i capelli e sedevano in una fila silenziosa, piena di aspettativa, in attesa che Jason sfregasse le loro teste, che a quel tempo era sostanzialmente quanto gli veniva permesso di fare. Riuscivi a vedere i loro volti mentre le sue dita lavoravano sul cuoio capelluto, percorrevano i loro capelli bagnati, massaggiavano le loro tempie, e le espressioni che le donne mostravano erano le stesse che avrebbero fatto davanti a un diamante non falso oppure durante le prime leccate d'amore. Probabilmente nessun uomo con cui non avessero una storia 'seria' aveva mai toccato prima le loro teste.

«Io stessa sono una ragazza cattiva, Sammy,» disse Jamalee «ma non molte persone ne traggono beneficio.»

«Preferisco la parola 'brusco'. Oppure 'difficile'.»

«Sei entrambe le cose, bello, se è questo che desideri.»

Gettai un occhio a Jason e, cazzo, quel ragazzo prendeva l'equivalente del suo peso in mance, praticamente ogni giorno. Aveva un bel futuro che lo implorava, dicendo 'Avvicinati, bellezza, e prenditi tutto quello che ho'.

«Lascia che ti spieghi i nostri piani» disse Jamalee, appoggiandosi a me, con la sua piccola testa sul mio avambraccio.

Questa ragazza era minuta e incontenibile. La sua testa sembrava un pomodoro raro dopo un acquazzone burrascoso che aveva ripulito tutto a fondo. Se mai potessi avere una Mustang '65, decappottabile, la vorrei del colore dei suoi capelli.

«Quando venni arrestata l'ultima volta per taccheggio» disse «e fu colpa mia - ero stata troppo spavalda e avevo provato a infilarmi un prosciutto affumicato sotto la gonna - mi mandarono da uno psicologo, uno strizzacervelli. Aveva tutti i tipi di diploma incorniciati sulla parete. Decise che il mio problema era legato all'educazione, perché vivevo qui, come sai bene, e mi chiese quindi dove avrei voluto vivere, e risposi 'Los Angeles'. Allora lui disse 'Si potrebbe fare'. Quindi io dissi 'Nel 1928'. Al sentire questa risposta, si appoggiò allo schienale della sedia. 'Ecco, questo è il tuo problema'. E, certamente, io già lo sapevo.»

«Mhm mhm. Mi piacerebbe tornare indietro nel tempo, quando l'uomo più importante era decisamente piccolo, e io potevo essere un gigante.»

«Giusto» disse lei, e la sua mano accarezzo il mio braccio. «Passare a un altro periodo, un periodo particolare di altri tempi, in cui io, proprio io, sarei stata un fenomeno felice, tenuta in alta considerazione e terribilmente, terribilmente speciale.»

«Ma cosa cerchi in questo mondo?»

Il salone di Romelia aveva un profumo forte, gli odori di tante donne, i suoi spray e le soluzioni per la permanente, tutto insieme. Si sentiva il rumore dei tacchi delle scarpe risuonare sul pavimento di linoleum.

«Giorni migliori.» Indicò quindi Jason, che sembrava rilucere per l'attenzione delle sue clienti. «Ci sono modi e modi per arrivare a quei giorni migliori. Faremo uso» disse, e agitò le dita in direzione di suo fratello «di ciò che abbiamo. Proprio lui. Quindi tu, Sammy, potresti assicurarti che verremo pagati per l'utilizzo di ciò che abbiamo.»

«Questa è certamente una parte importante di ogni affare. Di ogni buon affare.»

«Ecco perché ti trattiamo bene, Sammy. Ecco perché ti vogliamo nelle nostre vite. Ci fai sentire sicuri… o almeno più sicuri.»

Sul lavandino vidi Jason che avvolgeva un asciugamano attorno alla testa bagnata di questa signora alquanto bella, decisamente di una certa età ma graziosa, e si scambiarono delle occhiate veloci come se durante quello shampoo fossero accadute delle cose fra di loro che avrebbero provato a tenere segrete.

Mi accorsi di avere un debole per lei.