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La sceneggiata

Non sei nato per strozzarti con un cucchiaio d'argento, sai come funziona quando stai cercando un lavoro e ne hai bisogno: attendi in una sala d'attesa ordinaria, compili i moduli, entri in un'altra stanza con il linoleum, che è simile alla cera e cigola, e ci sono delle luci in alto che non nascondono un dettaglio; poi c'è la scrivania e l'uomo dietro di essa che pensa di essere un ammiraglio, oppure è una donna e allora pensa di essere in coda per il trono in qualche luogo, poi stai leccando il culo a uno dei due e sembri timido nei confronti della scrivania, mentre racconti come sia stata pessima tutta la tua vita, che vorresti essere un custode notturno di un'industria chimica, un allevatore di maiali in un mattatoio, oppure il ragazzo che consegna la pizza a domicilio, come rimanevi sveglio nel letto con la pelle d'oca mentre immaginavi solamente quanto la tua vita potesse essere vissuta in maniera ricca e completa un giorno se mai avessi potuto guadagnare una media di cinque dollari e quaranta centesimi l'ora.

Ma poi ci sono queste domande, come sempre: potrebbe spiegare cosa ha fatto da febbraio di quell'anno al luglio di quello successivo? E anche quell'altro anno, da maggio a settembre?

Oh, non l'avevo scritto? Diresti, poi inizieresti a spiattellare dei lavori immaginari, e saranno i migliori che avessi mai avuto, fra l'altro: addetto alle montagne russe del parco Six Flags, guida nel Delta e autista accompagnatore per quell'articolo in due parti del National Geographic, barista diurno da Silky O'Sullivan's.

I tuoi palmi cominciano a sudare e stai seduto lì, bisognoso, mentre la tua etica del lavoro e il tuo carattere sono a disposizione dei commenti di estranei con cui non condivideresti uno spinello a un festival di musica blues.

E non ottieni il lavoro.

Quei vecchi difetti traspaiono.

Neanche le bugie sono state d'aiuto.

Prima che accada tutto ciò, inizi a raccontare a quelli vicino a te che sei stato a dei colloqui che si sono rivelati pietosi quando in realtà non avevi mai fatto neanche la telefonata.

Jamalee perse la speranza qualche giorno dopo rispetto a quanto avrei fatto io.

Sedevamo in cucina piuttosto a lungo, e lasciavamo che il caldo ci dominasse così non dovevamo farlo noi. Lavoravo a ciò che rimaneva di una cassa dì birra che un cliente aveva lasciato alla porta accanto. Credo si fosse riscaldata troppo nella sua auto.

I nostri nuovi valori erano difficili da tenere stretti in un periodo di tale stress. Di sera, oppure in qualsiasi momento, ai vecchi tempi, che diamine, Jamalee avrebbe detto cose tipo 'Credo che le banche siano una cattiva idea in questi giorni' oppure 'C'era una macelleria dopo Cabool… probabilmente ci darebbe del lavoro' oppure 'Immagino tu non conosca alcuna persona benestante eccentrica che abbia il materasso pieno di banconote da venti dollari, vero Sammy?'

Non rispondevo mai a voce alta, facevo a malapena delle smorfie.

Quella pistola era in casa, nella sua mente, e a ogni tramonto riuscivo a sentire che eravamo sempre più vicini a compiere un crimine.

Già riuscivo a sentire delle porte d'acciaio che risuonavano con fragore e l'odore del vassoio per il pranzo con della merda etichettata e del tè insapore.

Poi arrivò quella sera, quando il tramonto dipinse delle dita rosa che rastrellavano un blu totale e apparve l'annuncio su The Scroll: 'Cercasi cameriera al country club. Atmosfera gradevole, possibile buono stipendio.'

West Table, nel Missouri, è una città che esiste senza dubbio (tutta lì, le case, i negozi, i semafori, le guglie della chiesa e le piccole baracche), ma non è una città speciale rispetto ad altre in cui si passa in auto senza rallentare. Il country club stava appollaiato dove un tempo finiva la città, anche se ora ne era spuntata una nuova, ma niente di particolare, che si snodava attorno a esso.

La strada che vi arrivava aveva ai bordi dei grossi alberi di pino alti, che creavano la loro meravigliosa tipica ombra e quel profumo che ti fa venire voglia di sonnecchiare e sognare. Un campo da golf occupava entrambi i lati della strada. Questa era asfaltata e terribilmente liscia.

«Non so cosa devo fare» disse Jamalee.

Jason si sporse in avanti e le diede dei colpetti sulla testa.

«Sii te stessa e sorridi.»

«Essere me stessa» disse. «Essere me stessa… ecco cosa mi ha portato qui.»

I suoi capelli facevano ancora parte di un orto; si era messa un ombretto verde e un rossetto di un rosso più chiaro rispetto ai suoi capelli, del tipo che faceva sembrare le labbra umide. Un paio di orecchini d'oro a cerchio dondolavano alle sue orecchie. Indossava un abito nero piuttosto attillato e molto corto che lasciava le spalle nude. Dei tacchi a spillo la elevavano oltre la categoria delle persone basse.

L'edificio del country club si adagiava su una bella piattaforma circondata da vecchi pini. Il locale era su tre piani, ma non uno sopra all'altro: erano come estesi, con un patio separato a ogni piano. Questi avevano dei tavoli di vetro tondi con degli ombrelloni da spiaggia sopra, a strisce con colori molto vivaci. I muri esterni erano di legno e di pietra nativa degli Ozark. Il legno era stato dipinto di un color crema.

C'erano i rumori di una piscina che non riuscivo a vedere.

«Oh, ragazzi, non voglio andare là dentro.»

Trovai un posto e parcheggiai.

«Jam,» dissi «possiamo rimanere o anche andarcene.»

«Non posso prendere e andarmene, devo entrare. Devo proprio.»

«Quindi fai ciò che devi fare, oppure stai zitta.»

Lei scese dall'auto, inspirò con forza, e si diresse verso la porta camminando decisa, conficcando quei tacchi a spillo a ogni passo. Teneva il mento alto e il suo corpo lo seguiva.

Si avvicinò l'ora di pranzo e il parcheggio si riempi. I membri avevano delle vetture lussuose, soprattutto quelle con un grosso culone in cui un mezzadro avrebbe potuto allevare una famiglia. C'erano alcuni furgoni con cabine allungate e ruote gonfie, e molte auto sportive basse.

Mi ero seduto su una staccionata di legno stretta che delimitava il parcheggio, sotto i pini, nell'ombra che profumava di bara. Evitavo il contatto visivo con i membri che si avvicinavano, molti dei quali indossavano scarpe da golf quindi emettevano un suono simile ai pony lenti sull'asfalto duro.

Jason aveva deciso di entrare, vedere a cosa fosse dovuto il ritardo, dire a Jamalee che ci stava venendo fame e sentivamo caldo.

Poco dopo le due porte a vetri si aprirono di scatto come facevano le porte dei saloon nei bar dei cowboy, e Jamalee uscì con passo deciso insieme a un paio di uomini che la affiancavano. Spingeva verso il basso quei tacchi a spillo come se stesse provando a pugnalare un organo vitale.

Disse, con il collo teso: «Sì, vi dirò io cosa io penso sia ridicolo… voi, teste di cazzo. Ecco cosa.»

«Va bene» disse un tizio. Entrambi indossavano degli abiti informali estivi che potevano benissimo vedersi anche a Venus Holler. «Dovrebbe lasciare il club, signorina.»

«Sì,» disse l'altro «sta dando ai membri uno spettacolo su cui avere degli incubi.»

Le persone che entravano e uscivano iniziarono a fermarsi. Si formò una piccola folla divertita. C'erano anelli di diamanti, orologi d'oro, scarpe così brutte che dovevano essere costate una fortuna, e abbronzature da Redneck Riviera. Queste persone erano in alto nella scala dei salari, e ci tenevano che si sapesse.

«Io ho già degli incubi,» disse Jam «e voi stronzi ci siete in tutti.»

«Vuole che chiami la polizia? Lo farò. Chiamerò la polizia. È ciò che vuole?»

«Vorrei che baciassi il mio culo mentre lo chiami orchidea.»

«Ogni volta che apre bocca, signorina, mostra per quale motivo lei non appartiene a questo club.»

Non appena arrivai sul posto, vicino a Jam, vidi Jason che arrivava da dietro, tra la folla. La folla comprese che era con lei, credo, e lo fece passare finché non fu a fianco della sorella.

L'altro tipo che l'aveva portata fuori aveva forse quarantacinque anni, più o meno, si era fatto qualche drink, immaginai, e stava lì in piedi come un'erezione da risveglio alta un metro e ottantatré. Disse, guardando i fratelli Merridew: «Voi siete la peggiore feccia della città.»

La folla mormoro e ridacchio.

Questa espressione di assoluta franchezza pervase il bel viso di Jason, che disse: «Non penso di essere la peggiore feccia della città.» Non discusse il fatto che non fossero feccia, solo contestò la nostra posizione nella graduatoria di bassezza. Era sempre sottinteso per me che Jason parlasse per tutti noi. «Finiscila, ci sono delle persone…»

«Oh, chiudi quella boccuccia da insalata, finocchio.» Il signor Erezione da Risveglio gli si avvicinò, spinse un dito contro il petto di Jason e continuò a spingere. «Sei un obbrobrio per gli occhi di Dio, e fai anche saltare i miei dannati nervi. Malato…»

La piccola Jam raggiunse il volto dell'uomo con un colpo di borsetta; poi la sua testa rossa come il fuoco si piegò e colpì come un bulldozer la sua pancia. Lui non ci fece molto caso. Mise le mani attorno alla gola di lei.

Un signore anziano elegante con dei capelli biancastri, un abito color vaniglia e un papillon blu disse: «Ehi, basta. Basta, ragazzi, finitela qui. Finitela!»

Jason saltò addosso e morse le dita del signor Erezione finché non lasciò la presa, poi strinse un pugno fiacco e moscio, non molto utile, e quasi gli scagliò un cazzotto.

L'uomo sorrise come Babbo Natale che si presenta senza appuntamento e con un sacco da boxe rumoroso. Si poteva sentire la gente che tratteneva il respiro, principalmente donne, credo. Una disse, dapprima a bassa voce, poi a voce sempre più alta: «Non deve colpire quel ragazzo.»

Jason provò a rimanere in piedi. I suoi sforzi erano una specie di tentativo coraggioso, ma anche patetico e comico, e soprattutto uno spreco di energia da carboidrati e nervi. I rumori che produsse probabilmente vengono ancora imitati da quelle parti. Veniva trattato nello stesso modo in cui un gatto avrebbe trattato un pesce milione schizzato fuori dalla vasca sul tappeto ruvido.

Due soci del club trattennero Jamalee.

«Non deve colpire quel ragazzo.»

C'era un modesto rossore su una delle guance del ragazzo, una macchia di sangue sotto il suo naso, un aspetto di umiliazione permanente.

Credo che questo sia il punto in cui si scopre cosa voglia dire veramente il termine 'insieme'. Questo è il mio gruppo. Moltiplicalo per un numero infinito di volte.

Non posso dire che sapessi per certo cosa avrei dovuto fare.

Mi feci avanti ai margini di quella sceneggiata e colpii l'uomo con un pugno allo stomaco che lo fece barcollare e lo fece cadere con il culo a terra.

«Ora sto per chiamare la polizia.»

«Un combattimento corretto» dissi. Mi avvicinai all'uomo che era ancora in piedi. Gli feci intendere che c'era una carica di pericolo dentro di me; la mia testa barcollava lenta con un'espressione da folle. Questa faccia spaventosa è tutto ciò che quelli come me devono mostrare a quest'altro mondo, il mondo che ha in carico il nostro, che riunisce ogni autorità, che ottiene ogni rispetto riluttante. Se noi elementi inferiori non mostrassimo i denti più volte e non ci muovessimo velocemente per mordere, saremmo solamente della morbida e fertile terra su cui chiunque potrebbe camminare, in ogni momento, e sai pure che lo farebbero, dato che anche con i denti in mostra c'è un percorso senza erba netto nei nostri cervelli e sulle nostre schiene. «L'aveva chiesto.»

Mi accorsi di un guizzo negli occhi dell'uomo, e fu tutto ciò che notai prima di sentire le mie costole rompersi e di provare a ingoiare il mio fegato, o questo fu ciò che sembrò. La mia vista improvvisamente si oscurò. Naso, guancia, mento strusciarono sull'asfalto. La mia colazione saltò su e schizzò fuori. La folla fece «Ohh.»

«Un combattimento corretto» disse qualcuno, ripetendo le mie parole per deridermi. «L'aveva chiesto.»

Mi girai e alzai lo sguardo dall'asfalto cocente, e quell'uomo in una di quelle uniformi verdi orribili che indossano i custodi stava in piedi su di me. Non era un giovincello… forse aveva una cinquantina d'anni. Poteva essere alto un metro e settantacinque, ma sembrava largo un metro e venti. Le sue mani avevano delle nocche gobbe da bar di periferia che erano state messe a fuoco in diverse sale per radiografie durante molti sabato notte. I suoi capelli erano grigi e il sole lo aveva bruciato di un color marrone simile a un polpettone. Il nome riportato sopra il suo taschino era 'Burt'. I suoi occhi non si staccarono da me, sorrise e disse: «Quello è un taglio di capelli speciale, figliolo. Li hai tagliati in quel modo di proposito?»

Se avessi avuto quella pistola a portata di mano, la vicenda avrebbe preso una piega difficile in quel preciso istante. Avrei scaricato due proiettili nelle sue dannate rotule solo per sentire la musica delle ossa in frantumi. Poi ne avrei conficcata una nella sua testa schifosa e avrei detto che si era trattato di un evento fortuito. Era un bene, suppongo, che la pistola fosse dall'altra parte della città, su uno scaffale di un ripostiglio, ma certamente aumentava la quantità di disprezzo nel mio tono di voce.

«Bastardo» dissi.

«Okay, figliolo. Dovrò rigirarti nella pastella e friggerti, per prima cosa, poi probabilmente ti verserò sopra del ketchup.»

Oh, il vecchio Burt era il successo comico dell'estate fra la folla dei soci, lì, nel parcheggio. Ridacchiavano, sghignazzavano sommessamente, sbuffavano, abbassavano gli occhiali da sole e si tamponavano gli occhi ridanciani.

Fu allora che Jamalee se ne andò, si perse la scena, l'osservò a distanza, fece venire in superficie e uscire la sua rimostranza, gridando.

Era priva dei freni inibitori.