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Nella primavera del 1943 Antonina finalmente poté alzarsi dal letto, nello stesso momento in cui marmotte, pipistrelli, ricci, moffette e ghiri uscivano dal letargo. Prima della guerra amava la frenesia dello zoo in primavera, con tutti i suoi rumorosi versi di lusinga, di rifiuto ed esultanza, specialmente di notte, nella quiete della città, quando i richiami delle bestie selvatiche uscivano dallo zoo come da un gigantesco Jukebox. Il tempo degli animali si scontrava con quello della città, producendo un insolito ritmo che lei adorava e di cui scrisse spesso, come in questo racconto fantastico nel suo libro per bambini sulle linci, Rysie:

Quando le notti primaverili avvolgono Varsavia in un manto scuro e le insegne luminose e sgargianti punteggiano le strade buie con i loro allegri riflessi, quando la quiete della città addormentata è interrotta dal clacson di un'automobile ritardataria, allora sulla riva destra della Vistola, tra i vecchi salici piangenti e i pioppi, si può udire il suono misterioso della natura e il richiamo lacerante della giungla. Si può sentire un'orchestra formata da lupi, iene, sciacalli e dingo. Il grido di un leone che si sveglia dal sonno paralizza nel terrore la vicina colonia di gabbiani.

. Gli uccelli spaventati gridano nelle paludi, mentre, nella loro gabbia, Tofi e Tufa [cuccioli di lince] intonano sommessamente una serenata nostalgica. I loro miagolii dalle note acute e penetranti si innalzano al di sopra degli altri rumori notturni dello zoo. Lontani dagli angoli più incontaminati del mondo, pensiamo alle leggi di Madre Natura, ai suoi innumerevoli segreti che ancora attendono di essere scoperti, e viviamo tra i nostri compagni terreni, gli animali.

Mentre il gelo era ancora nell'aria e i suoi muscoli deboli per la lunga immobilità, Antonina visse in un bozzolo di biancheria di lana, maglioni pesanti e calze spesse.

Muovendosi incerta per casa appoggiata a un bastone, dovette imparare nuovamente a camminare; le sue ginocchia tremavano e gli oggetti le scivolavano dalle mani. Dopo tanti anni, come trasformata in un bimbo ai suoi primi passi, si lasciava coccolare da Magdalena e dagli altri Ospiti, ma allo stesso tempo rimproverava se stessa e si sentiva «così imbarazzata e inutile».

Per tre mesi il suo lavoro era stato svolto da altre persone, e anche adesso, che era ansiosa di ritornare ai suoi compiti all'interno del laborioso nucleo famigliare, non era ancora in grado di svolgere le faccende di casa. «Che genere di donna sono diventata?» si colpevolizzava. Ogni volta che una frase del genere arrivava alle loro orecchie, Magdalena, Nunia e Maurycy ribattevano: «Smettila! Ti stiamo aiutando per puro egoismo. In che modo dobbiamo dirtelo? Il tuo unico compito è quello di recuperare le forze. E dacci degli ordini!

Ci è mancata tanto la tua energia, il tuo spirito e, sì, a volte anche la tua sbadataggine... Facci divertire di nuovo!»

Allora Antonina si metteva a ridere e piano piano ricominciava a dare la carica al meccanismo di quella folle famiglia come se si trattasse di un antico orologio. Nei suoi scritti dice che all'epoca era costantemente viziata e sotto sorveglianza («non mi permettevano di fare sforzi, mi evitavano il freddo, la fame e qualsiasi preoccupazione») e in cambio lei li ringraziava per «avermi vezzeggiata come nessuno aveva mai fatto». Queste sono le parole con cui Antonina più si avvicina a parlare della sua condizione di orfana. Sempre presenti nella loro assenza, i suoi defunti genitori facevano parte di ricordi intaccati dal tempo, un dolore che non si poteva esprimere a parole e risaliva a quando lei aveva solo nove anni, un estremo finale scritto dai bolscevichi, troppo spaventoso perché una bambina potesse continuare a pensarci. Forse i suoi genitori ossessionavano i suoi ricordi, ma lei non li menzionò mai nelle sue memorie.

Gli amici di Antonina le si strinsero intorno , cosicché all'interno di quell'abbraccio lei rifiorì e a volte «addirittura dimenticai l'occupazione» e il suo «incontenibile desiderio che la guerra finisse prima possibile».

Jan continuava a uscire di casa presto per ritornare appena prima del coprifuoco, e, sebbene gli abitanti della villa non lo vedessero mai al lavoro, a casa lo trovavano irascibile e agitato. Perché la loro esistenza continuasse a essere vivibile, controllava e ricontrollava ogni più piccolo dettaglio e rito giornaliero: una pesante responsabilità, dal momento che anche la minima cosa fuori posto, la minima dimenticanza o sbadataggine avrebbe potuto smascherarli. Non c'è da stupirsi, quindi, che questo sforzo lo portasse a essere più severo e che cominciasse a rivolgersi agli Ospiti come ai suoi «soldati» e ad Antonina come al suo «luogotenente».

Jan dettava legge nella villa e gli Ospiti non potevano permettersi di disobbedirgli, ma l'atmosfera cominciò a guastarsi perché, come un dittatore volubile, sembrava creare tensioni nella vita di tutti i giorni, alzando spesso la voce con Antonina, nonostante gli sforzi di quest'ultima per compiacerlo. Nel suo diario la donna scrive: «Era sempre in uno stato di allerta, si prendeva tutte le responsabilità sulle spalle e ci proteggeva dalle cose brutte che ci potevano accadere, cercando di controllare tutto molto attentamente. A volte ci parlava come se fossimo i suoi soldati. [...] Era freddo e si aspettava da me più che da tutte le altre persone che vivevano con noi. [...] La bella atmosfera che c'era stata in casa nostra era scomparsa».

Antonina racconta che nulla di quello che faceva sembrava andare abbastanza bene, niente lo rendeva orgoglioso di lei e il fatto di deluderlo costantemente la faceva sentire profondamente infelice. Con il tempo, gli Ospiti, che le erano devoti ed erano arrabbiati, smisero del tutto di parlare con Jan, evitando addirittura di incrociarne lo sguardo: trovando odioso il modo in cui la trattava, ma incapaci di confrontarsi con lui, cercarono di tagliarlo fuori. Jan si irritò per la loro protesta silenziosa e si lamentò del fatto che la disobbedienza civile in quella famiglia non avrebbe portato niente di buono; in ogni caso, perché mai ce l'avevano con lui e cercavano di escluderlo?

«Ehi, voi! Mi state ignorando solo perché ho criticato un po' Punia [Gattino selvatico]», diceva, usando uno dei teneri nomignoli con cui chiamava la moglie. «Non me lo merito proprio! Pensate che non abbia diritto di parola in casa mia?

Punia non ha sempre ragione!»

«Tu stai via tutto il giorno», disse Maurycy pazientemente.

«So che la tua vita fuori da questa casa è piena di ogni genere di pericoli e di tranelli. Ma questo la rende anche interessante. La situazione di Tola è diversa», aggiunse, usando un altro dei soprannomi di Antonina. «Mi fa pensare a un soldato che è costantemente in servizio su un campo di battaglia. Deve stare sempre in allerta. Come fai a non capirlo e a rimproverarla se di tanto in tanto è un po' soprappensiero?»

Un pomeriggio di marzo la governante gridò dalla cucina:

«Mio Dio! Al fuoco! Al fuoco!» Guardando fuori dalla finestra, Antonina vide un'enorme cappa di fumo e le fiamme di un incendio divorante nell'area dei magazzini dei tedeschi, dove una raffica di vento, senza alcun impedimento, stava diffondendo il fuoco tra i tetti delle baracche. Antonina afferrò la sua pelliccia e corse fuori per controllare gli edifici dello zoo e l'allevamento di volpi, che si trovavano a un soffio dalle fiamme.

Un soldato tedesco in bicicletta si avvicinava velocemente alla villa. Smontò di sella e disse in tono arrabbiato: «Voi avete appiccato il fuoco! Chi vive qui dentro?»

Antonina guardò la sua faccia scura e sorrise. «Non lo sa?» chiese gentilmente. «Qui vive il direttore del vecchio zoo di Varsavia. Io sono sua moglie. E siamo troppo seri per scherzetti come appiccare un incendio.»

È difficile restare in collera quando ci si scontra con la cortesia, per cui il soldato si calmò.

«Va bene, ma quelle costruzioni laggiù...»

«Sì. I nostri ex dipendenti occupano due piccoli appartamenti.

Sono brave persone che conosco e di cui mi fido. Sono certa che non hanno fatto niente di male. Perché dovrebbero mettere a repentaglio la loro vita per incendiare uno stupido pagliaio?»

«Bè, qualcosa gli ha dato inizio», insistette lui. «Non è certo stato un fulmine. Qualcuno deve avere appiccato il fuoco!»

Antonina lo guardò con aria innocente. «Non lo sa? Io sono quasi certa di sapere chi ha acceso il fuoco», replicò.

Il tedesco, stupito, aspettò che lei svelasse quel mistero.

A mano a mano che Antonina proseguiva nel suo tono amichevole, dalla sua memoria riemergevano parole tedesche usate raramente. «I vostri soldati portano di continuo le loro ragazze in quel posto. Le giornate sono piuttosto fredde ed è piacevole sedersi nel fieno. Molto probabilmente anche oggi c'è stata una coppietta, hanno fumato una sigaretta e hanno lasciato là un mozzicone... ed ecco le conseguenze.»

Nonostante il suo tedesco approssimativo il soldato capì perfettamente e si mise a ridere.

Muovendosi in direzione della casa i due parlarono di altre cose.

«Che cosa è successo agli animali dello zoo?» le chiese.

«Avevate il dodicesimo elefante nato in cattività. L'ho letto sul giornale. Dove si trova adesso?»

Antonina spiegò che Tuzinka era sopravvissuta a cinque giorni di bombardamento e che Lutz Heck l'aveva spedita a Königsberg insieme ad altri animali. Mentre si avvicinavano alla veranda, due agenti della polizia tedesca su una moto con il sidecar si fermarono accanto a loro. Il suo accompagnatore raccontò loro la storia e allora gli uomini scoppiarono in una risata volgare ed entrarono in casa per stilare un rapporto.

Poco dopo la loro partenza, il telefono si mise a squillare.

Antonina sentì una voce severa che le disse in tedesco: «Qui è la Gestapo». Poi proseguì troppo rapidamente perché lei potesse capire, ma colse tuttavia le parole «incendio» e «Con chi sto parlando?»

«Il pagliaio si è incendiato», rispose meglio che poteva.

«Una costruzione è crollata, è arrivato un mezzo dei pompieri e adesso è tutto a posto. La polizia tedesca è già stata qui e ha fatto rapporto.»

«Dice che hanno fatto un'ispezione? Tutto è sotto controllo? Bene. Danke schön.»

La mano le tremava così tanto che le fu difficile riagganciare il ricevitore. Una volta che il campo fu di nuovo libero, gli Ospiti emersero dai loro nascondigli e la abbracciarono, lodando il suo coraggio. Come riferì nel suo diario, Antonina non vedeva l'ora di parlarne con Jan.

Durante la cena, il marito ascoltò tutta la storia, ma invece di confortarla e approvare il suo comportamento, diventò silenzioso e assorto.

«Tutti noi sappiamo che la nostra Punia è un vero prodigio», disse. «Ma mi sorprende che siate tutti così eccitati da questo fatto. Ha agito esattamente nel modo che mi attendevo da lei. Lasciate che vi spieghi che cosa intendo da un punto di vista psicologico. Sapete già, dalle storie che vi abbiamo raccontato sullo zoo prima della guerra, che ogni volta che ho avuto un problema con qualche animale, che fosse malato o difficile da nutrire o semplicemente troppo selvatico, avevo l'abitudine di affidarlo a Punia. E facevo bene a comportarmi così, perché nessuno più di lei sa trattare con gli animali.

Perché vi sto dicendo questo? Non per tesserne le lodi, o per dimostrare quanto sia meravigliosa, o quanto ne sia innamorato, o per farle piacere. Come tutti sappiamo, fin da bambina, Punia ha vissuto circondata da molti animali e riesce a immedesimarsi in loro. È come se fosse una spugna.

È praticamente capace di leggere nelle loro menti. Per lei è Uno scherzo scoprire che cosa dà fastidio ai suoi amici animali.

Forse perché li tratta come persone. Ma l'avete vista voi stessi.

In un secondo può perdere la sua natura di Homo sapiens e trasformarsi in una pantera, in un tasso o in un topo muschiato!»

«Bè, in qualità di artista che lavora con gli animali», commentò Magdalena ridendo, «ho un occhio infallibile per questo genere di cose, e ho sempre detto che lei è una giovane leonessa.»

Jan continuò: «Ha un dono preciso, molto speciale: un modo di osservare e comprendere gli animali che è raro, e di certo non usuale per una naturalista autodidatta. È qualcosa di unico, un sesto senso».

Antonina rimase ad ascoltare con orgoglio il sorprendente discorso del marito, una lunga serie di elogi, così rari che subito dopo riportò il suo discorso parola per parola sul suo diario, aggiungendovi: «Stava parlando delle mie qualità, lodandomi di fronte ad altre persone. Non era mai successo prima! [...] Parlava sul serio? Mi aveva dato della "stupidà così tante volte che avevo iniziato a considerare quella parola come un secondo nome».

«Sto dicendo questo», disse Jan, «per spiegarvi un po' come gli animali reagiscono in diverse situazioni. Sappiamo quanto possano essere guardinghe le bestie selvatiche, quanto sia facile spaventarle quando l'istinto dice loro di mettersi sulla difensiva. Quando percepiscono che uno sconosciuto sta attraversando il loro territorio, diventano aggressive per proteggere se stesse. Ma nel caso di Punia, è come se questo istinto non fosse presente, cosa che le permette di non avere paura degli animali, che abbiano due o quattro zampe. E nemmeno lei incute timore agli animali. Questa combinazione può convincere le persone o gli animali intorno a lei a non attaccare. Soprattutto gli animali, che sono più sensibili alla telepatia degli esseri umani, e possono leggere le onde cerebrali altrui. Quando la nostra Punia sprigiona un interesse calmo e amichevole per i suoi animali, agisce come una sorta di parafulmine nei confronti della loro paura, la assorbe e la neutralizza. Grazie al suo tono di voce rassicurante, i suoi movimenti delicati, il modo sicuro con cui li guarda negli occhi, instilla in loro la fiducia nella sua capacità di proteggerli, guarirli, nutrirli e così via.

«Capite cosa sto cercando di dire? Punia è capace di sprigionare vibrazioni di calma e comprensione. Gli esseri umani non sono sensibili come gli altri animali quando si tratta di comunicare in questa maniera, ma tutti possono assorbire un po' di queste onde invisibili. Io penso che alcune persone riescano a captare decisamente meglio questi segnali, e non credo che questo abbia niente a che vedere con la loro capacità intellettuale. Anzi, può essere che siano proprio gli organismi più primitivi a essere più ricettivi. Se dovessimo usare una terminologia scientifica, potremmo chiederci: che tipo di trasmettitore psichico è Punia, e quale tipo di messaggio invia?»

Sembra che Jan sia stato influenzato da Friedrich Bernhard Marby (1882-1966), un occultista, astrologo, nonché antinazista, che coniugava la tradizione nordica dell'occultismo basato sulle rune con i princìpi scientifici della sua epoca:

L'uomo è come un ricevitore e trasmettitore, sensibile a onde e raggi cosmici, che animano l'intero universo, la cui natura e i cui effetti specifici dipendono dalle influenze dei pianeti, dal magnetismo terrestre e dalla forma fisica del paesaggio. (1)

Se oggi Jan fosse vivo, conoscerebbe la funzione dei neuroni specchio, cellule cerebrali che si trovano nella corteccia premotoria e si attivano prima che una persona si protenda per afferrare un sasso, faccia un passo in avanti, si volti o cominci a sorridere. La cosa sorprendente è che quegli stessi neuroni si attivano sia che noi facciamo qualcosa di questo genere, sia che noi guardiamo qualcun altro farlo, e, in entrambi i casi, suscitano sensazioni simili. Ora, imparare attraverso i propri errori è più rischioso che non imparare attraverso quelli di qualcun altro, cosa che ci aiuta a decifrare il mondo delle intenzioni, e rende possibile la realtà della nostra vita sociale. Il cervello ha sviluppato delle astute strategie per individuare e captare il pericolo, per cogliere rapidamente la gioia o il dolore altrui, sottoforma di sensazioni specifiche, senza dover ricorrere alle parole. Noi sentiamo ciò che vediamo, percepiamo gli altri come noi stessi.

«È una cosa buffa», continuò Jan, «non è una bambina, non è stupida, ma il suo rapporto con le altre persone è tendenzialmente ingenuo; lei crede che tutti siano onesti e gentili. Punia sa che intorno a lei ci sono anche persone cattive, ma non riesce proprio a credere che potrebbero davvero farle del male. Un'altra caratteristica di Punia che va a suo vantaggio è il modo in cui osserva la realtà che la circonda e come prende nota di ogni minimo particolare. Aveva visto i soldati dare appuntamento alle loro fidanzate su quel pagliaio e, conoscendo il greve senso dell'umorismo dei tedeschi, l'ha utilizzato a dovere in questa particolare situazione. Non si è preoccupata del suo tedesco approssimativo, perché la sua voce e la sua intonazione sono molto musicali e rassicuranti.

Il suo istinto e la sua intuizione le hanno detto esattamente quello che doveva fare. E, ovviamente, il suo aspetto è stata la sua carta vincente. È alta, snella, bionda: il prototipo ideale della donna tedesca, il tipo nordico. Sono certo che sia stata una freccia in più al suo arco.

«Ma se volete che vi dica che cosa penso sull'esito di questa tragicommedia, credo che i tedeschi abbiano trovato molto comoda la spiegazione di Punia per l'incendio che ha distrutto i loro edifici. Ha dato loro una scusa per non dover fare nessuna indagine sui furti che stanno avvenendo laggiù.

L'incendio è stato un facile espediente per coprire quel reato.

Se avessero davvero voluto punire qualcuno, Punia non se la sarebbe cavata così facilmente. Non voglio criticare la vostra eroina: Punia ha fatto un ottimo lavoro. E stata molto astuta, e sono felice di potermi fidare di lei, ma mi piace guardare le cose da un punto di vista più cinico.»

Così dicendo fece sembrare l'incubo che la moglie aveva appena vissuto relativamente privo di importanza e la reazione di Antonina fredda e calcolata, forse come lui si immaginava sarebbe stata la propria. Per quanto fosse piena di doti e abile nel fare ogni cosa, Antonina si rimetteva al giudizio di Jan, come se cercasse costantemente di agire all'altezza delle sue aspettative e di ottenerne l'approvazione, e spesso si sentiva inadeguata. A volte Rys, seguendo l'esempio del padre, esclamava che, in quanto maschio, anche lui poteva capire le cose meglio di una femmina svampita. Eppure Antonina emerge dai suoi diari come una donna che si sentiva profondamente amata da Jan, da Rys e dagli Ospiti, e come un importante sostegno per il marito, che considerava severo con tutti, ma ancora di più verso se stesso. Inoltre, era d'accordo con lui riguardo al modo sottile in cui comunicano gli animali.

Dopo la breve lezione di Jan sulla sua capacità di influire sulle menti, fece fatica ad addormentarsi. Tutte quelle lodi di fronte ai suoi amici! Un evento raro, come la luce negli inverni polacchi.

«Jan aveva ragione, la reazione dei soldati tedeschi alle mie onde telepatiche era simile a quella degli animali dello zoo», commenta Antonina nel suo diario. C'erano stati molti episodi straordinari nel suo passato in cui aveva avuto la certezza di poter costruire un legame invisibile con gli animali e fare in modo che avessero fiducia in lei. Secondo quanto ci riferisce, la sua prima esperienza di questo genere risaliva a quando era ancora una ragazza e passava tutto il suo tempo libero nelle scuderie, in mezzo a bizzosi cavalli purosangue; eppure, per quanto poteva ricordare, gli animali intorno a lei tendevano a calmarsi. Forse il suo straordinario grado di empatia faceva parte di una sensibilità più vicina alla natura animale che alcune persone ricevono in eredità, qualcosa che prende forma attraverso le esperienze dell'infanzia. Inoltre, e questo è molto importante nel caso di Antonina, i bambini con un legame compromesso con i loro genitori spesso sviluppano un legame più forte con la natura.

Quella notte restò sveglia a letto, a riflettere sul sottile velo che separa gli uomini dagli altri animali, il più fragile dei confini; un limite sul quale le persone erigevano «una simbolica Muraglia cinese», ma che lei vedeva come qualcosa di tanto sfuggente da essere quasi invisibile. «Se così non fosse, perché tenderemmo a umanizzare gli animali o a trattare come animali gli uomini?»

Per ore Antonina rimase distesa a pensare agli uomini e agli animali, a come la psicologia animale si fosse così poco sviluppata a confronto delle altre scienze. «Stiamo ancora camminando a occhi chiusi nel labirinto dell'enigma della psiche», pensò. «Ma, chissà, forse un giorno scopriremo i segreti del comportamento animale e arriveremo a dominare i nostri istinti più feroci.»

Nel frattempo, in quegli anni di guerra, Antonina e Jan portavano avanti la loro ricerca non ufficiale, vivendo a stretto contatto con mammiferi, rettili, insetti, uccelli e con una galleria di diversi esseri umani. Per quale motivo, si domandò, «gli animali talvolta riescono a reprimere i loro istinti predatori, anche se solo per qualche mese, mentre gli uomini, nonostante secoli di civilizzazione, possono rapidamente diventare più selvaggi di qualsiasi altra bestia?»