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West Street diventa la 11th Avenue proprio di fronte al molo 56, dove il traffico diretto a ovest si riversa fuori della 14th Street e svolta verso nord.
La grossa Tahoe nera restò imprigionata in un ingorgo e i suoni del suo clacson si aggiunsero a quelli di centinaia di automobilisti frustrati, suoni che rimbombavano contro gli alti edifici ed echeggiavano sul fiume. La Tahoe avanzò lentamente per nove isolati e svoltò prima a sinistra, nella 23rd Street, poi si diresse a nord sulla 12th Avenue. Procedette quasi a passo d'uomo, finché non oltrepassò la parte posteriore del Javits Conven-tion Center, per poi ritrovarsi imbottigliata nel traffico proveniente dalla West 42nd Street. La 12th Avenue si era già trasformata nella Miller Highway, ma i veicoli non accennarono a diminuire se non oltre il vecchio scalo ferroviario, immenso e disordinato. La Miller Highway, dopo un po', diventa la Henry Hudson Parkway. Una strada ancora piuttosto lenta ma che ben presto, all'altezza di Crotonville, sarebbe diventata, da Route 9A, com'era nota in gergo, Route 9 e li avrebbe portati a nord fino a Garrison, in linea retta, senza curve o deviazioni. Per il momento, però, erano ancora a Manhattan, bloccati a Riverside Park, un'ora e mezzo dopo essersi messi in marcia.
Il programma di videoscrittura, col cursore che attendeva paziente, nel bel mezzo di una parola incompleta, era il punto saliente. La porta socchiusa e la borsa abbandonata potevano non essere determinanti: di solito, gli impiegati portano con sé le loro cose e chiudono la porta, ma non sempre. Forse, la segretaria era uscita in corridoio perché le avevano chiesto un po' di carta o per aiutare qualcuno con la fotocopiatrice, dopodiché si era probabilmente allontanata con una collega per bere un caffè e raccon-tarsi i particolari scottanti dell'ultimo appuntamento. Una persona che pensa di assentarsi per un paio di minuti potrebbe lasciare la borsa in ufficio, la porta aperta e finire per star fuori mezz'ora. Ma nessuno lascia un documento non salvato. Quella donna, invece, l'aveva fatto. Nel chiudere la lettera, il computer aveva chiesto a Jack di salvare le modifiche apportate: ciò significava che la segretaria si era alzata dalla scrivania senza cliccare sull'icona SALVA, il che, per chi trascorre le proprie giornate a combattere con un software, è un'abitudine tanto radicata quanto quella di respirare.
Ciò gettava sulla faccenda una luce piuttosto sospetta. Reacher si trovava, in quel momento, nello spazioso atrio della Grand Central, con un bicchie-rone di caffè nero in mano. Chiuse il coperchio a pressione del contenitore e strinse il rotolo di banconote che teneva in tasca. Era abbastanza spesso per fare ciò che aveva programmato. Correndo, ripercorse i suoi passi e aggirò il binario sul quale un treno per Croton era pronto a partire.
La Henry Hudson Parkway si divide in un groviglio di rampe circolari nei pressi della 170th Street e le corsie settentrionali prendono nuovamente il nome di Riverside Drive. Stessa strada, stessa direzione, nessuna svolta, ma la dinamica complessa del traffico intenso fa sì che, se un auto-mobilista rallenta più della media, l'autostrada s'intasi in maniera dramma-tica: centinaia di veicoli si ritrovano in coda solo perché, due chilometri più avanti, un forestiero è rimasto disorientato. La grande Tahoe nera si fermò di fronte a Fort Washington e, per tutta la lunghezza del George Washington Bridge, procedette a singhiozzo. Successivamente, dove la Riverside Drive si allargava, riuscì a inserire la terza fino al cartello che indicava di nuovo la Henry Hudson Parkway e all'ingorgo nei pressi della barriera. L'auto attese in coda per pagare il pedaggio che le avrebbe consentito di uscire da Manhattan; quindi si diresse a nord attraverso il Bronx.
Esistono due tipi di treni che viaggiano lungo l'Hudson tra la Grand Central e Croton-Harmon: i locali e gli espressi. Questi ultimi non sono più veloci, ma effettuano un minor numero di fermate, riducendo la durata del viaggio a quarantanove-cinquantadue minuti. I locali, invece, fermano in tutte le stazioni, e le frenate, le attese, le accelerazioni fanno sì che il viaggio duri da sessantacinque a settantatré minuti. L'espresso permette dunque di risparmiare anche ventiquattro minuti.
Reacher era su un treno locale. Aveva pagato cinque dollari e mezzo al bigliettaio per un'andata in un orario non di punta ed era seduto di traverso su una panca. Si sentiva teso per il troppo caffè. La testa appoggiata al finestrino, si domandava dove diavolo fosse diretto, perché e che cosa avrebbe fatto quando fosse giunto a destinazione, se mai fosse arrivato in tempo. Ma in tempo per fare che?
La Route 9A divenne la Route 9 e si allontanò dal fiume, correndo verso Camp Smith. Raggiunto il Westchester, divenne abbastanza scorrevole.
Non era proprio una pista automobilistica, dato che le curve e le gobbe im-pedivano di mantenere una velocità sostenuta, però era quasi sgombra lungo tutto il suo alternarsi di tratti vecchi e nuovi che tagliavano i boschi.
Qua e là, si scorgevano alcune case, con alte staccionate, pareti di legno accuratamente dipinte e nomi scolpiti nei massi imponenti che fiancheg-giavano i cancelli d'entrata. La Tahoe procedeva spedita; uno dei due uomini era al volante, l'altro teneva una cartina aperta sulle ginocchia.
Oltrepassarono Peekskill e cercarono una strada a sinistra. La imboccarono e procedettero diritti verso il fiume, che supponevano si trovasse qualche chilometro davanti a loro, una grande frattura in quel paesaggio uniforme. Finalmente entrarono a Garrison e si misero a cercare l'indirizzo.
Non era un'impresa facile, dato che le aree residenziali erano molto spar-pagliate. Se un abitante possedeva il codice d'avviamento postale del centro, ciò non significava automaticamente che abitasse in città. Eppure i due imboccarono la strada giusta, svoltarono al momento opportuno e trovarono la via che stavano cercando. Quindi rallentarono e perlustrarono i boschi che si diradavano al di là del fiume, guardando i nomi scritti sulle cassette delle lettere. La via curvava e si allargava. Dopo un breve tratto, indi-viduarono la casa, frenarono bruscamente e parcheggiarono al margine della strada.
Reacher scese dal treno a Croton, settantun minuti dopo la partenza.
Corse lungo le scale, attraversò la stazione e si diresse verso i taxi. Ce n'erano quattro allineati, tutte Caprice vecchio modello, con le modanature di finto legno sulle fiancate. I taxisti erano rivolti verso l'entrata. La prima a reagire fu una donna robusta, che sollevò la testa a indicare che era pronta a prestargli attenzione.
«Conosce Garrison?» le chiese Reacher.
«Garrison? È lontano, signore, sono quasi quaranta chilometri», puntualizzò la donna.
«So dove si trova», ribatté Jack.
«Le costerà una quarantina di dollari.»
«Gliene darò cinquanta, ma devo arrivarci subito.»
Si sedette davanti, accanto a lei. L'automobile aveva l'odore tipico di tutti i vecchi taxi, un miscuglio di deodorante per auto piuttosto dolciastro e di detergente per tessuti. Il contachilometri aveva un numero altissimo e, quando la donna avviò il motore, il taxi iniziò a muoversi, beccheggiando come una barca tra le onde lunghe. Uscirono dal parcheggio e presero la Route 9, diretti a nord.
«A che indirizzo?» chiese la taxista, senza distogliere lo sguardo dalla strada.
Reacher le ripeté quello che gli aveva riferito l'assistente dello studio legale. La donna annuì e aumentò la velocità. «È sul fiume», commentò.
Mantenne la stessa velocità per un quarto d'ora, oltrepassò Peekskill e poi rallentò, cercando una particolare strada a sinistra. Poi curvò lentamente e si diresse a ovest. Reacher riusciva a sentire il fiume davanti a loro, un solco, largo un chilometro e mezzo, che tagliava in due il bosco. La donna sapeva dove andare; raggiunse il fiume e svoltò, decisa, verso nord, im-boccando una strada di campagna. I binari ferroviari scorrevano paralleli tra loro e l'acqua. Nessun treno in vista. Il terreno digradava verso l'acqua e Jack riuscì a scorgere West Point, davanti a sé e alla sua sinistra, sull'altra sponda del fiume.
«Dovrebbe essere da queste parti», mormorò la donna.
La strada di campagna era stretta, fiancheggiata da recinti di legno e ben curata lungo i bordi. C'erano cassette delle lettere ogni cento metri e pali della luce fra le cime degli alberi.
«Eccoci. Credo sia questa», annunciò a Reacher.
La strada era stretta, ma, in quel punto, diventava assolutamente imprati-cabile. C'era una lunga fila di auto parcheggiate lungo il ciglio, forse una quarantina, perlopiù nere o blu scuro. Tutte berline ultimo modello oppure grandi fuoristrada. La taxista entrò con cautela nel vialetto. La fila di macchine si estendeva fino alla casa. Un'altra dozzina di auto era parcheggiata nella piazzola antistante il garage. Due erano berline di Detroit, di un verde inconfondibile: veicoli dell'esercito. Reacher sapeva individuare una traccia del Dipartimento della Difesa a un chilometro di distanza.
«Le va bene qui?» gli chiese la donna.
«Credo di sì», rispose Jack, cauto.
Estrasse cinquanta dollari dal rotolo di banconote e glieli porse. Scese dall'auto e rimase in mezzo al vialetto, incerto. Dopo aver udito il taxi fare retromarcia, tornò verso la strada e osservò le macchine allineate. Guardò la cassetta della posta, sulla quale si leggeva un nome in piccole lettere d'alluminio: GARBER. Un nome che conosceva bene quanto il suo.
La casa sorgeva in un grande appezzamento, lasciato in gran parte incolto. L'abitazione era bassa e disarmonica: il rivestimento di legno di cedro scuro, le zanzariere brunastre alle finestre e il grande camino di pietra le davano l'aria di una modesta casa di periferia e, nel contempo, di un cot-tage accogliente. L'aria era calda, umida e densa di odori. Tutto era molto silenzioso, tanto che Jack udiva gli insetti affaccendati muoversi nel sottobosco e il fiume oltre la casa che, coi suoi rumori sporadici, si dirigeva verso sud. Si avvicinò e udì una conversazione sommessa dietro la casa.
Persone che parlavano a bassa voce. Molte persone. Seguì il brusio e aggirò il garage; si ritrovò in cima a una scalinata in cemento rivolta a ovest, che dava sul cortile posteriore e sul fiume blu intenso, quasi accecante per il sole. Due chilometri più in là, immersa nella foschia, lievemente spostata a nord-ovest, s'intravedeva l'accademia di West Point, bassa e grigia in lontananza. Il giardino sul retro era costituito da un'area pianeggiante dibo-scata, sulla cima del promontorio. Era coperto di erba tagliata bassa, e occupato da un centinaio di persone dall'aria grave. Quasi tutti, uomini e donne, erano vestiti di nero, abiti, cravatte, camicie e scarpe, eccetto una decina di ufficiali dell'esercito, che portavano l'uniforme. Conversavano in modo pacato, il volto serio, tenendo in mano piatti di carta e bicchieri di vino, la tristezza visibile nella curvatura delle spalle. Un funerale. Si era intrufolato in un funerale. Jack rimase immobile, imbarazzato, la sua sagoma stagliata contro l'orizzonte, con gli abiti che aveva indossato il giorno prima alle Keys, pantaloni sbiaditi, camicia spiegazzata color giallo chiaro, scarpe consumate, senza calze, capelli scompigliati e schiariti dal sole, la barba di un giorno. Osservò il gruppo di persone in lutto e, come se improvvisamente avesse battuto le mani, tutti ammutolirono e si voltarono a guardarlo. Jack restò impietrito. Lo fissavano tutti con occhi indagatori, silenziosi; lui li ricambiò con sguardo assente. Nessuno si mosse. Poi, una donna uscì dal gruppo, affidò piatto e bicchiere alla persona a lei più vicina e si diresse verso di lui.
Era una donna giovane, sulla trentina, vestita, come gli altri, con un rigo-roso abito nero. Era pallida e affaticata, ma molto bella. Straordinariamen-te bella, molto magra, alta sui tacchi, le gambe lunghe evidenziate da un paio di calze nere. Aveva i capelli biondi, lunghi e lisci, gli occhi azzurro cupo e i lineamenti delicati. Attraversò con grazia il prato e si fermò alla fine dei gradini di cemento, come se attendesse che Jack le andasse incontro.
«Ciao, Reacher», disse in tono pacato.
Lui la guardò. Quella donna sapeva chi fosse, e lui conosceva lei. Fu questione di qualche istante e, nonostante i quindici anni trascorsi, tutto gli tornò subito in mente: un'adolescente, cresciuta e tramutatasi in una ma-gnifica donna proprio davanti ai suoi occhi, in una frazione di secondo.
Garber, il nome sulla cassetta della posta. Leon Garber, per molti anni il suo ufficiale comandante. Ricordò i primi tempi della loro amicizia, quando chiacchieravano durante le grigliate, nelle serate calde e umide delle Filippine. E quella ragazzina slanciata che appariva e scompariva intorno al-l'edificio tetro della base, a quindici anni già abbastanza donna da risultare accattivante, ma ancora sufficientemente bambina da essere intoccabile.
Jodie, la figlia di Garber. La sua unica figlia, la luce della sua vita. Quella era Jodie Garber, quindici anni dopo, adulta e bellissima, e attendeva che Reacher scendesse gli scalini di cemento. Jack guardò i presenti e scese verso il prato.
«Ciao, Reacher», ripeté la donna, la voce fioca. Triste, come la scena intorno a lei.
«Ciao, Jodie», la salutò lui.
Improvvisamente, fu tentato di chiedere chi fosse morto, ma non riuscì a formulare la domanda in un modo che non risultasse insensibile o sciocco.
Lei percepì il suo imbarazzo e disse semplicemente: «Papà».
«Quando?» le chiese Reacher.
«Cinque giorni fa. Era malato da alcuni mesi e, improvvisamente, ha ceduto», rispose la donna.
«Mi dispiace molto», mormorò Jack.
Reacher guardò il fiume e quel centinaio di facce di fronte a lui divennero altrettanti volti di Leon Garber. Un uomo basso, tozzo e forte. Un sorriso ampio che sfoggiava sempre, che fosse felice, infuriato o in pericolo.
Un uomo coraggioso, fisicamente e mentalmente. Un grande leader, one-sto, giusto e sensibile: era stato il modello di Reacher durante gli anni cru-ciali della formazione. Il suo mentore, garante e protettore. Quell'uomo era andato controcorrente e l'aveva promosso due volte nel giro di diciotto me-si, facendolo diventare il più giovane maggiore dei tempi di pace a memoria d'uomo. In seguito, allargando le mani tozze, l'immancabile sorriso sulle labbra, aveva sempre negato ogni merito nei successi che Reacher aveva conseguito.
«Mi dispiace molto, Jodie», ripeté Jack.
La donna fece un cenno col capo, in silenzio.
«Non riesco a crederci», mormorò Reacher. «Non me ne rendo conto.
L'ho visto meno di un anno fa. Era in splendida forma. Si è ammalato?»
Jodie annuì ancora, senza tuttavia proferire parola.
«Ma è sempre stato forte come un toro», disse Jack.
«Già, è vero. Sempre tanto forte.»
«E giovane», aggiunse Reacher.
«Sessantaquattro anni.»
«Che cos'è accaduto?»
«Il cuore. Alla fine, ha ceduto. Ricordi che gli piaceva fingere di non averlo?»
«Aveva il cuore più grande che abbia mai conosciuto.»
«Me ne sono accorta. Dalla morte della mamma, dieci anni fa, siamo stati grandi amici. Gli volevo molto bene...»
«Anch'io. Come fosse mio padre, non il tuo», ammise Reacher.
«Parlava sempre di te.»
Reacher distolse lo sguardo, e si mise a fissare la forma sfocata degli edifici di West Point, grigi nella foschia. Era come inebetito. Ormai si trovava in quella fascia di età in cui la gente che conosceva iniziava a morire.
Suo padre era morto, sua madre e suo fratello anche. E ora anche la persona più vicina a un genitore adottivo che lui aveva mai conosciuto se n'e-ra andata.
«Sei mesi fa ha avuto un infarto», gli spiegò Jodie, gli occhi velati di tristezza. Si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, poi continuò. «Per un breve periodo, sembrava essersi ripreso, ma, in realtà, si stava lasciando andare. I medici stavano considerando la possibilità di un bypass, ma papà si è aggravato. Non sarebbe sopravvissuto a un intervento.»
«Sono davvero molto dispiaciuto», disse Reacher per la terza volta.
La donna gli si affiancò e lo prese sottobraccio. «Non devi», mormorò.
«Lui è sempre stato un uomo allegro. Meglio che non abbia sofferto molto.
Una lunga infermità gli avrebbe tolto la sua allegria.»
In un flash, Reacher vide il vecchio Garber, vigoroso e pieno di energie, e capì quanto si sarebbe disperato, se fosse rimasto invalido. Comprese anche come il suo vecchio cuore, stremato, avesse infine smesso di lottare. Si sentì triste.
«Vieni, ti presento qualcuno. Forse molti li conosci già», lo invitò Jodie.
«Non ho un vestito decente. Mi sento a disagio. Sarebbe meglio se me ne andassi», replicò Reacher.
«Non fa niente. Pensi che a papà importerebbe?»
Jack rivide Garber coi vecchi pantaloni spiegazzati color kaki e col berretto consunto. Era l'ufficiale peggio vestito dell'esercito americano e non era cambiato nei tredici anni che Reacher aveva trascorso al suo servizio.
A quel pensiero, sorrise brevemente. «Credo proprio di no», ammise.
Jodie lo condusse sul prato, dove Reacher riconobbe forse sei persone su cento. Due uomini in uniforme gli erano familiari; altri, in abito nero, erano individui con cui aveva lavorato, occasionalmente, in quella che gli sembrava un'altra vita. Strinse la mano a una decina di presenti e cercò di afferrarne i nomi, che, però, gli entravano da un orecchio e gli uscivano dall'altro. Poi la gente ricominciò a chiacchierare a bassa voce, a mangiare e a bere, e lo scalpore del suo arrivo venne subito dimenticato. Jodie era ancora attaccata al suo braccio, la mano fresca sulla pelle di lui.
«Sto cercando una persona. Questo è il vero motivo per cui sono qui», le rivelò Jack.
«Lo so. La signora Jacob, vero?»
Reacher fece cenno di sì. «È qui?» domandò.
«Sono io la signora Jacob», rivelò Jodie.
I due uomini nella Tahoe nera uscirono dalla fila di auto parcheggiate per allontanarsi dai fili della corrente, in modo che il telefono dell'auto potesse funzionare senza interferenze. L'autista compose un numero e, di lì a poco, uno squillo infranse il silenzio dell'abitacolo. Poi ecco la risposta, cento chilometri più a sud, all'ottantottesimo piano.
«Abbiamo un problema, capo. Qui è in corso una sorta di veglia, un funerale, a quanto pare. Ci saranno un centinaio di persone, non abbiamo avuto modo di prendere la Jacob. Non sappiamo nemmeno chi è, ci sono decine di donne, potrebbe essere una qualunque di loro», disse l'autista.
Nel microfono si udì il grugnito di Hobie. «C'è altro?»
«Ricorda il tipo del bar delle Keys? È appena arrivato qui con un dannato taxi. Dieci minuti dopo di noi... Ed è entrato.»
Si udì un crepitio, ma non fu possibile discernere una risposta.
«Allora che facciamo?» chiese l'autista.
«Restate lì. Magari nascondete l'auto e appostatevi da qualche parte. Attendete finché non se ne saranno andati tutti; è casa sua, per quanto ne so.
Forse la casa di famiglia o quella del week-end. Perciò tutti gli altri se ne andranno, mentre la signora Jacob rimarrà. Non tornate senza di lei, intesi?» sibilò Hobie.
«E lo scimmione?»
«Se va via, lasciatelo stare; altrimenti, uccidetelo. Ma portatemi la Jacob.»
«Tu sei la signora Jacob?» si meravigliò Reacher.
«Lo sono o, meglio, lo ero. Sono divorziata, ma ho mantenuto il nome per ragioni di lavoro», spiegò Jodie Garber.
«Chi era lui?»
«Un avvocato, come me. Sembrava che potesse funzionare...»
«Per quanto sei stata sposata?»
«Tre anni. Ci siamo incontrati all'università e ci siamo sposati quando abbiamo cominciato a lavorare. Io sono rimasta a Wall Street, ma lui è andato a lavorare in una ditta nel District of Columbia, un paio d'anni fa. Il nostro matrimonio non è finito per quello, ma, in certo qual modo, si è e-saurito a poco a poco. I documenti sono arrivati lo scorso autunno. Riusci-vo a fatica a ricordare chi fosse. Solo un nome: Alan Jacob.»
Nel giardino soleggiato, Reacher la guardò, rendendosi conto che l'aver scoperto che era stata sposata l'aveva sconvolto. A quindici anni, Jodie era una ragazzina magra e già avvenente, sicura di sé, eppure, nello stesso tempo, un po' timida. Lui stesso aveva assistito alla battaglia fra la timi-dezza e la curiosità quando Jodie si sedeva e, prendendo coraggio, gli parlava della vita e della morte, del bene e del male. Poi si agitava, si abbracciava le ginocchia ossute e spostava la conversazione sull'amore, sul sesso, sugli uomini e sulle donne. Dopodiché arrossiva e scompariva. Jack restava solo, una sensazione di gelo nel petto, furioso con se stesso per essere affascinato da lei. Alcuni giorni più tardi, la vedeva da qualche parte intorno alla base, ancora rossa di vergogna. E, quindici anni dopo, era un'autentica donna, il college e la facoltà di legge, sposata e divorziata, bellissima, composta ed elegante, mentre teneva il braccio intrecciato al suo, nel giardino del padre defunto.
«Tu sei sposato?» chiese lei.
«No.»
«E ne sei felice?»
«Sono sempre felice. Sempre lo sono stato e sempre lo sarò.»
«Che cosa fai?»
«Niente di particolare.»
Jack guardò oltre la testa della donna ed esaminò le facce dei presenti.
Individui compassati, con molti impegni, vite agiate, carriere brillanti. Li osservò con attenzione e si domandò chi fosse più pazzo, lui o loro. Gli tornò in mente l'espressione sul volto di Costello.
«Ero nelle Keys a scavare fosse per piscine», riprese.
La donna non mutò espressione. Cercò di stringergli l'avambraccio con la mano, troppo piccola per quel braccio massiccio. Ne risultò una delicata pressione col palmo.
«Costello ti ha trovato laggiù?» gli chiese.
Non mi ha cercato per invitarmi a un funerale, pensò Reacher. «Dobbiamo parlare di lui», le rispose.
«È in gamba, vero?»
Non abbastanza, pensò ancora Reacher. Qualche istante dopo, Jodie si allontanò per raggiungere i convenuti, desiderosi di porgerle le condoglianze. Il vino stava facendo effetto: il mormorio era diventato più forte.
Jack raggiunse il patio, dov'era stata sistemata una lunga tavola imbandita, prese un piatto di riso e pollo freddo e un bicchiere d'acqua. Notò alcuni vecchi mobili da giardino, ignorati dagli altri perché chiazzati dagli umori grigio-verdi degli alberi; si chinò sotto un ombrellone arrugginito, di color bianco, e sedette su una sedia sporca. Mentre mangiava, osservava i presenti. Sembravano riluttanti ad andarsene; l'attaccamento al vecchio Leon Garber era palpabile. Un uomo come lui suscitava affetto negli altri, forse troppo per essere espresso in sua presenza, cosicché poteva essere manifestato soltanto dopo, quando lui non c'era più. Jodie si muoveva tra i presenti, stringendo mani e sorridendo tristemente. Ognuno aveva una storia da raccontarle, un aneddoto sulla grande generosità di Garber, nascosta dietro la maschera di uomo burbero e irascibile. Anche Jack avrebbe potuto aggiungere qualche particolare, ma non l'avrebbe fatto: la figlia non aveva bisogno di sentirsi dire che il padre era buono. Lo sapeva già. La giovane si muoveva con la serenità di una persona che aveva amato quel vecchio arcigno per tutta la vita ed era stata ricambiata. Non c'era nulla che si fosse dimenticata di dirgli, e lo stesso valeva per il padre. Le persone vivono, poi muoiono e, se fanno entrambe le cose in modo dignitoso, non rimane granché da rimpiangere.
Lungo la stessa strada, i due sicari trovarono uno chalet disabitato. Portarono la Tahoe dietro il garage, dove sarebbe stata nascosta, ma pronta per ogni evenienza. Estrassero le 9 millimetri dal vano portaoggetti e se le infilarono nella tasca interna della giacca. Poi tornarono sulla strada e s'im-mersero nella boscaglia. L'avanzata fu faticosa. Si trovavano cento chilometri a nord di Manhattan, ma avrebbero potuto benissimo trovarsi nel Borneo: piante rampicanti ovunque che, col loro groviglio di rami, li affer-ravano, li facevano inciampare, sferzavano i volti e le mani. Gli alberi erano latifoglie inselvatichite, fondamentalmente infestanti; i rami sporgevano dal tronco a un'altezza molto bassa. Alla fine, giunsero in corrispondenza del vialetto dei Garber, ansimanti e sporchi di muschio e di polline. Si ad-dentrarono nella proprietà e trovarono una depressione nel terreno dove nascondersi e controllare il vialetto che risaliva dal giardino sul retro. La gente stava iniziando ad andarsene. Ben presto, l'identità della signora Jacob non sarebbe più stata un mistero. Se Hobie aveva ragione e quella era casa sua, allora con ogni probabilità era quell'esile biondina che salutava la gente in procinto di andarsene. Gli ospiti partivano, lei rimaneva. Sì, era Senz'altro la signora Jacob. I due sicari osservarono quella donna al centro dell'attenzione, mentre sorrideva coraggiosamente, abbracciava e salutava i presenti. Gli ospiti sfilarono sul vialetto, soli, in coppia o in gruppi più numerosi. Alcune auto si misero in moto, emettendo un fumo bluastro dal tubo di scarico. Dalla posizione in cui erano, i due uomini udivano lo stridio delle automobili che uscivano dalla lunga fila in cui erano parcheggiate, lo sfregamento dei pneumatici sul marciapiede, il borbottio dei motori che acceleravano lungo la strada. Sarebbe stato facile. Molto presto lei sarebbe rimasta sola, triste, annichilita. E, a quel punto, avrebbe ricevuto la visita di un paio di ospiti extra. Forse, vedendoli, avrebbe pensato che fossero arrivati in ritardo per il funerale. Dopotutto, erano in abito scuro e cravatta: un vestito adatto per il distretto finanziario di Manhattan lo è anche per un funerale.
Reacher seguì gli ultimi due ospiti su per i gradini di cemento, fuori del giardino. Uno era un colonnello, l'altro un generale a due stellette, con u-n'uniforme immacolata. Come al solito, in un luogo in cui cibo e bevande erano gratuiti, i soldati erano sempre gli ultimi ad andarsene. Jack non conosceva il colonnello, ma credette di riconoscere il generale. Anche questi, forse, l'aveva riconosciuto, ma entrambi fecero finta di nulla, non desiderando avventurarsi in lunghe e complicate spiegazioni sulla rispettiva vita.
L'alto ufficiale strinse formalmente la mano a Jodie, poi entrambi scattaro-no sull'attenti e salutarono. Movimenti decisi, da parata, le scarpe lucide che battevano sul vialetto scuro, lo sguardo rigorosamente rivolto in avanti... Una scena quasi bizzarra nella verde quiete di quella strada di campagna. Salirono sull'ultima auto rimasta davanti al garage, una delle grandi berline verdi parcheggiate vicino alla casa. I primi ad arrivare, gli ultimi ad andarsene, dato che, finita la Guerra Fredda, in tempo di pace, non avevano nulla da fare tutto il giorno. Quella era la ragione per cui Reacher era felice di essersi congedato e, mentre osservava l'auto militare girarsi e uscire, si convinse ancora di più di avere fatto la scelta giusta.
Jodie si avvicinò al suo fianco e lo prese di nuovo sottobraccio. «Bene.
Ecco fatto», disse, tranquilla.
Quando il rumore dell'auto si affievolì, cadde il silenzio.
«Dov'è sepolto?» chiese Reacher.
«Nel cimitero in città. Avrebbe potuto scegliere Arlington, naturalmente, ma non ha voluto. Vuoi andarci?» domandò Jodie.
«No, non sono fatto per queste cose. Per lui, ora, non fa differenza, giusto? Sapeva che mi sarebbe mancato perché gliel'ho detto tanto tempo fa.»
Jodie annuì, senza lasciargli il braccio.
«Dobbiamo parlare di Costello», le ricordò Reacher.
«Perché? Ti ha dato il messaggio, no?»
«No. Mi ha trovato, ma io mi sono insospettito e non gli ho detto che ero Jack Reacher.»
Lei sollevò lo sguardo, sbalordita. «Perché?»
«Abitudine, credo. Non mi piace essere coinvolto. Non conoscevo nessuna Jacob, perciò l'ho ignorato. Ero felice e sereno, laggiù.»
Jodie lo stava ancora fissando. «Forse avrei dovuto usare il nome Garber», mormorò. «Dopotutto, la faccenda riguardava mio padre. Ma ho con-tattato Costello tramite lo studio e non ci ho nemmeno pensato. Lo avresti ascoltato se ti avesse fatto il nome di Garber, giusto?»
«Certo», rispose lui.
«E non ti saresti insospettito.»
«Possiamo entrare?» le chiese Jack.
Lei rimase di nuovo sorpresa. «Perché?»
«Perché è una questione importante.»
La videro dirigersi con lui verso la porta d'entrata. La donna aprì la zanzariera e Reacher la tenne ferma mentre lei girava la maniglia della porta.
Una porta enorme, di legno scuro, che si richiuse alle loro spalle.
Dieci secondi più tardi, si accese una luce fioca dietro una finestra, sul lato sinistro della casa. I sicari pensarono che si trattasse del soggiorno, tanto ombreggiato dalla vegetazione selvaggia da avere bisogno di luce anche durante il giorno. I due si accucciarono nell'avvallamento umido e attesero, mentre gli insetti svolazzavano tra i raggi di sole. Si scambiarono un'occhiata e si misero in ascolto. Nessun rumore. Poi si alzarono e raggiunsero il vialetto. Di lì corsero acquattati fino all'angolo del garage, si appiattirono contro il muro e si portarono sulla parte anteriore dell'edificio.
A quel punto, estrassero le pistole dalla giacca e, tenendole verso il basso, raggiunsero, uno alla volta, il portico principale della casa, avanzando, cauti, sulle vecchie travi di legno. Infine, si acquattarono sul pavimento, la schiena contro la parete, uno per lato, di fianco alla porta d'entrata, le pistole in pugno. La signora Jacob era entrata da quella parte e ne sarebbe anche uscita. Era solo questione di tempo.
«L'hanno ucciso?» ripeté Jodie.
«E probabilmente hanno ammazzato anche la sua segretaria», aggiunse Reacher.
«Non ci posso credere. Per quale ragione?» mormorò la donna.
Attraverso un corridoio buio, Jodie l'aveva condotto fino a un piccolo studio, nell'angolo più remoto della casa. La finestra minuscola, il rivestimento di legno scuro e i divani di pelle marrone lo rendevano cupo, perciò la donna aveva acceso una lampada da tavolo, che aveva trasformato la stanza in un ambiente accogliente, simile ai bar d'anteguerra che Reacher aveva visto in Europa. Era piena di libri, edizioni economiche comprate decenni prima, e di fotografie sbiadite e incurvate, attaccate alle mensole con puntine da disegno. C'era anche una scrivania semplice, dove, probabilmente, il vecchio Garber faceva i conti e compilava i moduli per il versamento delle tasse, come faceva sul lavoro.
«Non lo so. Non so nulla. Nemmeno perché mi hai fatto cercare», rispose Reacher.
«Era papà che ti cercava», precisò Jodie. «Non mi ha mai detto la ragione. Ero impegnata con un processo, un caso complicato che durava da me-si e che mi dava molte preoccupazioni. So soltanto che, dopo essere stato male, papà è andato da un cardiologo. Là ha incontrato qualcuno e si è immischiato in qualcosa di strano. Era molto teso e mi sembrava si sentisse obbligato a intervenire. Più tardi, quand'è peggiorato, ha capito che avrebbe dovuto rinunciare al suo progetto e ha cominciato a dire che avrebbe voluto trovarti per avere un parere sulla faccenda, perché eri l'unica persona che poteva fare qualcosa. Si stava agitando sempre di più, il che non era proprio il caso, date le sue condizioni, perciò gli ho promesso che ti avrei rintracciato tramite Costello. Ci servivamo sempre di lui allo studio, ed era il meno che potessi fare.»
Tutto ciò aveva abbastanza senso, ma il primo pensiero di Reacher fu: Perché proprio io? Riusciva a capire il problema di Garber: era nel bel mezzo di qualcosa di grosso, in precarie condizioni di salute, non voleva venir meno a un obbligo e aveva bisogno di aiuto. Ma uno come Leon poteva ricevere aiuto da qualsiasi parte. Le pagine gialle di Manhattan erano piene d'investigatori. Se, invece, si fosse trattato di qualcosa di troppo mi-sterioso o di troppo personale per un investigatore, allora gli sarebbe bastato alzare il telefono e una decina di amici della polizia militare sarebbero accorsi immediatamente in suo aiuto. Dieci? No, una ventina; macché, forse un centinaio. Tutti disponibili e in debito per gentilezze e favori ricevuti durante la carriera. Per quella ragione, Reacher si stava domandando: Perché io?
«Chi era la persona che ha incontrato dal cardiologo?»
Jodie si strinse nelle spalle, sconsolata. «Non lo so. Ero troppo presa dal mio lavoro, non ne abbiamo mai parlato in maniera approfondita.»
«Costello è venuto qui? Ha discusso direttamente con lui?»
La giovane donna annuì. «L'ho chiamato e gli ho detto che l'avremmo pagato tramite lo studio, ma che doveva venire quassù per sapere tutti i dettagli. Mi ha richiamata un paio di giorni dopo, per informarmi che aveva parlato con papà e che aveva già avviato le ricerche. Voleva che lo in-gaggiassi ufficialmente, con tanto di documenti, perché l'indagine avrebbe potuto rivelarsi costosa. E io l'ho fatto: non volevo che papà si preoccupas-se delle spese o di altro.»
«Per questo mi ha detto che il suo cliente era la signora Jacob, non Leon Garber. Io l'ho ignorato e l'ho mandato a morire.»
Jodie scosse il capo e lo guardò con durezza, come avrebbe guardato un nuovo socio che avesse commesso un grave errore. Ciò lo colse di sorpresa: gli veniva ancora spontaneo pensare a lei come a una ragazzina di quindici anni, non come a un'avvocatessa trentenne impegnata in lunghi e complicati processi. «Non è come dici. Quello che è successo è molto chiaro. Papà ha raccontato la storia a Costello, che deve aver tentato qualche scorciatoia prima di venirti a cercare; ha pestato i piedi sbagliati e qualcuno si è messo in guardia. Quel qualcuno l'ha ucciso per scoprire per chi stesse indagando e su che cosa. Non conta come hai agito tu. Sarebbero comunque arrivati a Costello per chiedergli chi l'avesse messo su quella pista. In verità, sono io che l'ho mandato a morire», mormorò Jodie.
«In realtà, è stato Leon. Tramite te.»
«Per la precisione, allora, è stata la persona che papà ha incontrato alla clinica cardiologica. È stato lui, tramite papà e me.»
«Devo trovarlo», asserì Reacher.
«Che importanza ha ora?»
«Credo che ne abbia. Se Leon era preoccupato per qualcosa, allora lo sono anch'io. È così che funzionava tra noi», replicò lui.
Jodie si alzò di scatto e si diresse verso gli scaffali, poi staccò la puntina da disegno da una fotografia. La guardò intensamente, e la passò a Reacher. «Te la ricordi?» gli chiese.
La foto doveva avere almeno quindici anni, i colori avevano assunto una tonalità sbiadita, come fanno tutte le vecchie Kodak col tempo e con la lu-ce. Raffigurava il cielo limpido di Manila sopra un cortile fangoso. Leon Garber era a sinistra, cinquant'anni circa, pantaloni di servizio verde oliva, immancabilmente stropicciati. Reacher stava a destra, ventiquattr'anni, tenente, trenta centimetri più alto di Garber e un sorriso che esprimeva tutto il vigore della giovinezza. Tra i due c'era Jodie, quindici anni, in prendiso-le, un braccio nudo attorno alle spalle del padre, l'altro attorno alla vita di Reacher. Aveva gli occhi socchiusi per il sole, sorrideva ed era piegata verso Jack, come se lo stesse abbracciando con tutta la forza del suo corpi-cino abbronzato.
«Ricordi? Papà aveva appena comprato la Nikon allo spaccio. Con l'au-toscatto. Aveva preso in prestito un cavalletto e non vedeva l'ora di provarlo!»
Jack ricordava benissimo. Ricordava l'odore dei suoi capelli quel giorno, nel sole caldo del Pacifico. Capelli puliti, giovani. Ricordava la sensazione del corpo di Jodie contro il suo. Ricordava l'effetto del suo braccio esile intorno alla vita. E ricordava di aver raccomandato a se stesso: Calma, ragazzo, ha soltanto quindici anni ed è la figlia del tuo ufficiale comandante.
«La considerava la sua foto di famiglia», affermò Jodie.
«Questa è la ragione per cui lo faccio. È così che funziona tra noi.»
Jodie guardò a lungo la fotografia, turbata.
«E poi c'è la segretaria...» proseguì lui. «Si saranno fatti dire chi era il cliente. Lei avrà confessato. E anche se non l'ha fatto, lo scopriranno in ogni caso. A me ci sono voluti trenta secondi e una telefonata. Quindi verranno a cercarti per chiederti chi c'è dietro tutto questo.»
Con sguardo assente, la donna posò la foto sulla scrivania. «Ma io non lo so.»
«E pensi che ti crederanno?»
Lei guardò verso la finestra. «D'accordo, che dovrei fare?»
«Andare via da qui. Questo è certo. È un luogo troppo solitario, troppo isolato. Hai un posto dove stare, in città?» chiese Jack.
«Sì. Un loft su Lower Broadway.»
«Hai una macchina?»
«Sicuro, in garage. Ma, stanotte, avevo intenzione di rimanere qui. Devo trovare il testamento, preparare i documenti, sistemare tutto. Volevo partire domani mattina presto.»
«Fa' tutto ciò che devi adesso, il più rapidamente possibile. Poi ce ne andremo. Dico sul serio, Jodie. Quali che siano, queste persone non scherza-no», l'avvertì Reacher, lo sguardo convincente più delle parole.
«Bene, iniziamo dalla scrivania. Puoi darmi una mano, se vuoi», gli disse la donna.
Dal diploma di scuola superiore fino al congedo per motivi di salute, Leon Garber aveva servito l'esercito per quasi cinquant'anni. La sua scrivania lo dimostrava. I cassetti in alto contenevano penne, matite e righelli, tutti in file ordinate; quelli inferiori, alti il doppio, ospitavano un archivio perfettamente organizzato, in cui ogni cartella recava un'etichetta scritta a mano. Tasse, telefono, elettricità, riscaldamento, manutenzione, garanzie degli elettrodomestici. C'era poi un'etichetta scritta in colore diverso: TESTAMENTO E ULTIME VOLONTÀ. Jodie estrasse tutti i documenti dai cassetti e Reacher trovò, nell'armadio, una valigetta di pelle consunta, in cui stipare il tutto: ne forzò un po' la parte superiore e la chiuse. Poi prese la vecchia foto dal tavolo e la guardò di nuovo.
«Ti dava fastidio? Il modo in cui mi considerava, intendo. Come uno di famiglia», chiese a Jodie.
Lei si fermò sulla soglia. «Ci stavo male. E un giorno ti dirò esattamente perché», rispose.
Lui la guardò, ma la donna si voltò e scomparve nel corridoio. «Prendo le mie cose», gridò. «Faccio in cinque minuti, d'accordo?»
Reacher si avvicinò alla libreria e rimise la foto dov'era. Poi spense la luce e portò la valigia fuori della stanza. Rimasto in piedi nel corridoio silenzioso, cominciò a guardarsi attorno. Era una casa accogliente, che a un certo punto era stata anche ampliata. Era chiaro: si notava un nucleo centrale di stanze disposte secondo un ordine logico, mentre altre si aprivano sul corridoio nel quale si trovava, che curvava ad angolo. Jack entrò nel soggiorno: le finestre davano sul cortile anteriore e sul fiume e, dall'estremità del camino, si potevano scorgere gli edifici di West Point. L'aria era immobile e odorava di vernice vecchia. Il pavimento era di legno chiaro, le pareti color crema e i mobili pesanti; c'erano un vecchio televisore, senza videoregistratore, numerosi libri, quadri e altre fotografie. Niente s'intonava: era una casa comoda, ma non progettata da un architetto, una casa evo-luta col tempo. Una casa vissuta. Garber doveva averla acquistata trent'an-ni prima, probabilmente quando la madre di Jodie era rimasta incinta. Si trattava di un'abitudine comune tra i militari: gli ufficiali sposati con figli compravano spesso una casa, di solito nei dintorni della loro prima base di assegnazione o vicino a una località che ritenevano sarebbe diventata determinante per la loro vita, come West Point. L'acquistavano e, di solito, la lasciavano vuota mentre vivevano oltremare. Era importante avere un'ancora, un luogo dove tornare quando tutto fosse finito. Un luogo in cui le lo-ro famiglie avrebbero potuto vivere, se la postazione estera si fosse rivelata inadeguata o se l'istruzione dei figli avesse richiesto maggiore stabilità.
I genitori di Reacher si erano comportati in modo diverso. Non avevano mai comprato una casa; Jack non aveva mai avuto un tetto vero e proprio.
Squallidi alloggi di servizio e caserme erano stati la sua dimora, insieme con gli alberghi economici dell'ultimo periodo. Era certo di non desiderare nulla di diverso, di non voler vivere in una casa propria. Quel desiderio non lo sfiorava nemmeno. Il coinvolgimento che ciò avrebbe implicato lo spaventava, lo sentiva come un peso fisico, proprio come la valigia che teneva in mano. Il bilancio, le bollette, le tasse sulla proprietà, l'assicurazione, le garanzie, le riparazioni, la manutenzione, le decisioni da prendere, il tetto da riparare o la cucina da cambiare, i lavori in giardino...
Fece qualche passo e guardò il prato dalla finestra: il lavoro di giardinag-gio era l'emblema di tutte quelle futili procedure. Dapprima perdi un sacco di tempo e di soldi per far crescere l'erba, poi ne spendi altrettanti per ta-gliarla. Ti arrabbi perché cresce troppo, poi ti preoccupi perché rimane corta troppo a lungo; consumi acqua preziosa in estate e fertilizzanti costosi in autunno. Roba da matti! Tuttavia, se c'era una casa che poteva fargli cambiare idea, era proprio quella di Garber. Aveva un'aria tanto casuale, così poco... esigente. Sembrava addirittura aver tratto beneficio dall'essere stata trascurata. Jack riusciva perfino a immaginare di viverci. Inoltre il panorama era affascinante. L'Hudson, che vi scorreva accanto, era concreto e rassicurante. Quel vecchio fiume avrebbe continuato a scorrere, qualsiasi cosa fosse accaduta alle case e ai giardini che ne costeggiavano le sponde.
«Bene, credo di essere pronta!» Jodie interruppe il flusso dei suoi pensieri.
Apparve sulla porta del soggiorno, con in mano un borsone di pelle. Si era tolta l'abito nero del funerale e aveva indossato un paio di Levi's sbiaditi e una felpa azzurro cenere, con un logo che Reacher non riuscì a decifrare. Si era pettinata, ma l'elettricità statica le aveva scompigliato alcune ciocche. Jodie se le ravviò con la mano e se le portò dietro l'orecchio. La felpa azzurra richiamava il colore degli occhi e metteva in risalto la carna-gione chiara. Gli ultimi quindici anni non le avevano fatto che bene.
Attraversarono la cucina e sprangarono la porta che dava sul cortile.
Staccarono tutti gli elettrodomestici e controllarono che i rubinetti fossero chiusi. Quindi tornarono in corridoio e aprirono la porta d'ingresso.