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Jack Reacher vide lo sconosciuto entrare dall'apertura in cui ci sarebbe dovuta essere la porta. Il bar dava direttamente sul marciapiede; all'esterno, sotto una vecchia vite rinsecchita che offriva un'ombra irrisoria, si trovavano tavoli e sedie. Si trattava quindi di un locale per metà all'aperto e per metà al coperto, al quale si accedeva attraverso un muro che non c'era. Reacher immaginò che esistesse una sorta d'inferriata con cui sbarrare l'apertura quando il bar chiudeva. Sempre che chiudesse... Jack, in effetti, non l'aveva mai visto chiuso, benché ci avesse trascorso parecchie ore.
L'individuo restò in piedi nella stanza buia, per qualche istante, battendo le palpebre per abituarsi alla penombra dopo il soie abbagliante di Key West. Erano le quattro di un pomeriggio di giugno, nella parte più meridionale degli Stati Uniti, situata ben più a sud di gran parte delle Bahamas.
Il sole era accecante, il caldo torrido. Reacher, seduto a un tavolino in fondo al locale, sorseggiando acqua da una bottiglia di plastica, attese.
L'uomo si stava guardando intorno. Il bar era un locale dal soffitto basso, costruito con vecchie assi di colore scuro, che sembravano essere apparte-nute ad antiche barche a vela, alle quali erano inchiodati vari oggetti nauti-ci: strumenti di ottone, sfere di vetro, vecchie reti. Attrezzatura da pesca, pensò Reacher, sebbene non avesse mai preso un pesce in vita sua, né guidato una barca a vela. Ogni centimetro delle pareti, soffitto compreso, era ricoperto da biglietti da visita. Alcuni sembravano nuovi, altri vecchi e sgualciti, a rappresentare imprese effettuate decenni prima.
L'individuo avanzò nella penombra, in direzione del bancone. Doveva essere sulla sessantina, era robusto e di media statura. Un medico l'avrebbe definito in sovrappeso; Reacher, invece, vide un uomo sano, pur con qualche chilo di troppo; un uomo che prendeva atto del passare del tempo, senza preoccuparsene più di tanto. Era vestito come chi, proveniente da una città del Nord, avesse dovuto partire, all'improvviso, per un luogo caldo: pantaloni grigio chiaro, che si restringevano alle caviglie; giacca beige, estiva e stropicciata; camicia bianca col colletto slacciato, che lasciava intravedere la pelle bianco-bluastra del collo; calze scure e scarpe da città.
Veniva da New York o da Chicago, o, forse, da Boston, ipotizzò Reacher; sicuramente, trascorreva gran parte dell'estate in edifici o in auto dotati d'aria condizionata, e doveva tenere quegli abiti, acquistati forse vent'anni prima, in fondo all'armadio, da cui li tirava fuori, di tanto in tanto, per qualche particolare occasione.
L'uomo raggiunse il bancone, frugò nella giacca ed estrasse un portafoglio di pelle nera pregiata, sorprendentemente gonfio, modellato intorno al suo contenuto. Reacher vide lo sconosciuto aprirlo, mostrarlo al barista e domandargli sommessamente qualcosa. Questi distolse lo sguardo, come se fosse stato insultato. L'uomo ripose il portafoglio nella giacca e si lisciò le ciocche di capelli grigi sul cranio sudato. Poi mormorò un'altra frase e il barista gli porse una birra presa da una cassetta piena di ghiaccio. Prima di berne un lungo sorso, l'individuo robusto si premette la bottiglia fredda contro la faccia. Ruttò con discrezione, portandosi la mano alla bocca, e poi sorrise, come per scusarsi.
Reacher bevve una sorsata d'acqua. L'uomo più in forma che avesse conosciuto era un soldato belga, il quale giurava che la chiave della buona salute era fare tutto ciò che si desiderava purché si bevessero cinque litri d'acqua minerale al giorno. Reacher calcolò che cinque litri erano circa un gallone e, dal momento che il belga era un tipo agile e pesava la metà di lui, lui avrebbe dovuto bere due galloni d'acqua al giorno, ossia dieci bottiglie intere. Da quand'era giunto nel caldo dell'isola aveva seguito quella dieta, che pareva funzionare, dato che non si era mai sentito meglio di allora. Ogni pomeriggio, alle quattro, si sedeva a quel tavolino e beveva tre bottiglie d'acqua naturale a temperatura ambiente; in tal modo, aveva finito per assuefarsi all'acqua, come un tempo gli era accaduto col caffè.
Il sessantenne stava di fianco al bancone, intento a sorseggiare la birra e a scrutare il locale. Reacher era l'unica persona presente, oltre al barista.
L'uomo si avvicinò e, con un movimento della bottiglia, chiese il permesso di sedersi. Mentre strappava il sigillo di plastica della terza bottiglia, Reacher indicò la sedia opposta alla sua. Lo sconosciuto si sedette pesantemente, debordando dalla sedia. Era uno di quelli che portavano le chiavi, i soldi e il fazzoletto nelle tasche dei pantaloni, il che faceva aumentare a di-smisura la circonferenza dei fianchi.
«Lei è Jack Reacher?» esordì lo sconosciuto.
Non era né di Chicago né di Boston, ma di New York. La voce era identica a quella di un conoscente di Jack, che aveva trascorso i primi vent'anni della propria vita senza mai allontanarsi per più di cento metri da Fulton Street.
«Jack Reacher?» domandò di nuovo l'uomo.
Da vicino, aveva occhi piccoli e saggi, incorniciati da sopracciglia sporgenti. Reacher bevve e lo guardò attraverso l'acqua limpida della bottiglia.
«Lei è Jack Reacher?» chiese l'uomo per la terza volta.
Reacher appoggiò la bottiglia sul tavolino e mentì: «No».
L'uomo sembrò deluso. Sollevò il polsino della camicia per controllare l'orologio. Quindi spostò la sua mole in avanti sulla sedia, come per alzarsi, ma poi si risedette, quasi che, all'improvviso, avesse scoperto di avere molto tempo a disposizione. «Le quattro e cinque.»
Reacher annuì. L'uomo alzò la bottiglia vuota verso il barista, che subito gliene portò un'altra.
«Il caldo... Lo soffro molto», mormorò.
Reacher riprese a sorseggiare l'acqua.
«Conosce un certo Jack Reacher da queste parti?» incalzò l'uomo.
«Me lo potrebbe descrivere?» s'informò Reacher.
Lo sconosciuto, dopo aver bevuto una lunga sorsata dalla seconda bottiglia, si asciugò le labbra col dorso della mano, approfittandone per nascondere un secondo, discreto rutto.
«Veramente, no. È alto e robusto, questo è tutto ciò che so. Perciò ho chiesto a lei.»
«C'è tanta gente alta e robusta da queste parti. Ovunque.»
«Il nome non le dice nulla?»
«Dovrebbe? Chi vuole saperlo?» chiese Reacher.
Il tizio sorrise, come per scusarsi di non essersi presentato. «Costello.
Piacere di conoscerla.»
Reacher fece un cenno col capo e sollevò lievemente la bottiglia in segno di saluto. «Va alla ricerca di persone scomparse?» chiese.
«Investigatore privato», rispose Costello.
«Sta cercando un tipo di nome Reacher? Che ha fatto?» domandò Jack.
«Niente, per quel che ne so. Sono solo stato incaricato di rintracciarlo.»
«Pensa che sia quaggiù?»
«La settimana scorsa era qui. Ha un conto corrente in Virginia e, negli ultimi tempi, ha fatto alcuni versamenti», spiegò Costello.
«Da Key West?»
«Ogni settimana. Da tre mesi.»
«Quindi?»
«Quindi lavora qui. O lo ha fatto per tre mesi. Presumibilmente, qualcuno lo conosce.»
«Ma nessuno sa chi è», indovinò Reacher.
«Ho chiesto in tutta Duval Street, che sembra essere il centro delle attività di questa città. Una ragazza che lavora in un night mi ha riferito che c'è un tizio, alto e robusto, che gira da queste parti proprio da tre mesi e che beve acqua tutti i giorni, alle quattro, in questo posto.» Poi tacque, fissando duramente Reacher, come se gli stesse lanciando una sfida.
Jack sorseggiò un po' d'acqua e replicò: «Una semplice coincidenza».
«Già», aggiunse Costello e, portandosi la bottiglia alle labbra, bevve, tenendo gli occhi vecchi e saggi fissi su Reacher.
«C'è un gran viavai da queste parti. Gente che va e che viene in continuazione», commentò Reacher.
«Già», ripeté Costello.
«Ma terrò gli occhi aperti», disse Jack.
«Gliene sarei grato», asserì ambiguamente Costello.
«Chi lo cerca?» incalzò Reacher.
«La mia cliente, la signora Jacob», rivelò Costello.
Jack bevve un altro sorso d'acqua. Quel nome non gli ricordava nulla.
Jacob? Mai sentita nominare.
«D'accordo, se mi capita d'incontrarlo, glielo dirò, ma non ci speri troppo: non frequento molta gente.»
«Lei lavora qui?»
Reacher annuì. «Scavo fosse per piscine», rispose.
Costello sembrò sorpreso, come se non si fosse mai chiesto come venissero costruite le piscine. «Guida la ruspa?» chiese.
Reacher sorrise, scuotendo il capo. «Non quaggiù. Scaviamo a mano», rispose.
«A mano? Sul serio? Coi badili?» si meravigliò Costello.
«Gli appezzamenti sono troppo piccoli per le ruspe, le strade troppo strette e gli alberi troppo bassi. Esca da Duval Street e se ne renderà conto di persona», spiegò Jack.
Improvvisamente, Costello parve molto soddisfatto. «Allora, con ogni probabilità, lei non conosce questo Reacher. A quanto dice la signora Jacob, era un ufficiale dell'esercito. Ho controllato e ho constatato che aveva ragione: era un maggiore. Medaglie al valore e tutto il resto. Secondo ciò che mi hanno riferito, si trattava di un pezzo grosso della polizia militare: un tipo come quello non si mette a scavare piscine con un dannato badile!»
esclamò.
Reacher bevve un lungo sorso d'acqua dalla bottiglia, per nascondere la sua espressione. «E che cosa farebbe, secondo lei?»
«Quaggiù? Non ne sono sicuro. Servizio di sorveglianza negli alberghi.
Forse ha un'attività. Magari, possiede uno yacht e lo affitta.»
«Perché mai dovrebbe trovarsi in questo luogo?»
«Giusto», convenne Costello. «È un posto infernale. Eppure lui è qui, ne sono certo. Ha abbandonato l'esercito due anni fa, ha depositato il denaro nella banca più vicina al Pentagono ed è scomparso. Il conto corrente indica prelievi da varie località, poi, per tre mesi, versamenti da qui. Deve aver viaggiato per un po', finché non si è stabilito qui. In qualche modo, deve guadagnarsi da vivere, quindi lo troverò.»
«Dunque vuole che chieda in giro?»
Costello scosse il capo. Stava già pianificando la mossa successiva.
«Non si preoccupi», rispose. Sollevò la sua mole dalla sedia ed estrasse dalla tasca dei pantaloni un rotolo di banconote accartocciate. Dopo aver messo cinque dollari sul tavolo, si allontanò. «È stato un piacere», si congedò, senza voltarsi.
Uscì dall'apertura nel muro e s'immerse nel bagliore pomeridiano. Reacher finì l'ultima bottiglia d'acqua e l'osservò scomparire. Erano le quattro e dieci.
Un'ora più tardi, Reacher stava percorrendo lentamente Duval Street, pensando a nuove disposizioni bancarie, a un posto dove poter cenare presto e alla ragione per cui aveva mentito a Costello. Anzitutto, decise di chiudere il conto e di tenersi, da quel momento in avanti, i soldi in tasca; poi avrebbe seguito il consiglio del suo amico belga e avrebbe mangiato una bella bistecca e un gelato, accompagnandoli con altre due bottiglie d'acqua. Infine, concluse che aveva mentito perché non c'era nessuna ragione per non farlo. Non esisteva nessun motivo per cui un investigatore privato di New York avesse dovuto cercarlo. Non aveva mai vissuto in quella città, né in nessun luogo del Nord. In realtà, non aveva mai vissuto in modo stabile da nessuna parte: era proprio quella la caratteristica saliente della sua vita, quella che l'aveva reso ciò che era. Figlio di un ufficiale dei marines, era stato trascinato qua e là per il mondo, fin dal giorno in cui era uscito, con sua madre, dal reparto di maternità di un ospedale di Berlino. Era vissuto in un'infinità di basi militari, perlopiù situate in aree remote e inospitali. Poi si era arruolato nell'esercito in qualità d'investigatore della polizia militare, e aveva vissuto e servito in quelle stesse basi finché, con l'avvento della pace, la sua unità non era stata sciolta. Allora si era trasferito negli Stati Uniti e aveva vagato come un turista squattrinato, fino a raggiungere la punta estrema del Paese, senza quasi più un soldo. Aveva trascorso un paio di giorni a scavare fosse nel terreno, poi i giorni si erano trasformati in settimane, le settimane in mesi, e Jack era ancora lì. Non aveva parenti vivi che potessero lasciargli un'eredità, non possedeva denaro, non aveva mai rubato nulla, né imbrogliato nessuno; non aveva avuto figli, il suo nome non compariva se non in un numero esiguo di documenti: era quasi invisibile. Inoltre non conosceva nessuno di nome Jacob: di questo era certo. Qualsiasi cosa volesse Costello, a lui non interessava. Certo non abbastanza da uscire allo scoperto e da restare coinvolto in qualcosa.
Essere invisibile era diventata per lui un'abitudine: in una parte del suo cervello, Jack sapeva che si trattava di una sorta di reazione allo stato in cui si trovava. Due anni prima, il suo mondo si era capovolto e Jack si era trasformato da pesce grosso di un piccolo stagno in una nullità, da membro anziano e apprezzato di una comunità solidamente strutturata in uno dei duecentosettanta milioni di civili anonimi, da individuo insostituibile a una persona tra le tante. Era abituato a essere, ogni minuto di ogni giorno, dove qualcuno gli ordinava di essere; in quel momento, invece, aveva davanti a sé quasi otto milioni di chilometri quadrati di terra e forse altri quarant'anni di vita, senza una mappa e senza un programma.
Una parte del suo cervello gli suggeriva che il suo atteggiamento, seppur di difesa, era comprensibile, la reazione di un uomo che amava star solo, però temeva la solitudine. Quell'atteggiamento, tuttavia, era eccessivo, e lui avrebbe dovuto prestarvi molta attenzione. L'altra parte del suo cervello, quella più remota, gli suggeriva che, in realtà, lui amava tale situazione, che adorava l'anonimato e la segretezza, dai quali traeva un senso di benessere, di conforto e di sicurezza. Jack tutelava con cura la sua condizione. Per quanto fosse all'apparenza cordiale e socievole, non rivelava mai nulla di sé. Gli piaceva pagare in contanti e viaggiare via terra: in tal modo non veniva mai registrato sulle liste passeggeri né dalle ricevute delle carte di credito. Reacher non svelava mai il suo vero nome. A Key West aveva pernottato in un albergo economico col nome di Harry S. Truman e, scartabellando il registro, aveva visto che non era l'unico: gran parte dei quarantuno presidenti avevano alloggiato lì, anche quelli di cui nessuno aveva mai sentito parlare, come John Tyler e Franklin Pierce. Jack aveva scoperto che i nomi non significavano molto nelle Keys, la gente sorrideva e salutava, agitando semplicemente la mano. Tutti presumevano che ognuno avesse qualcosa da nascondere; Reacher si trovava a suo agio in quel luogo, troppo a suo agio per lasciarlo in fretta.
Passeggiò per un'ora nella calura rumorosa, poi si lasciò alle spalle Duval Street e si avviò verso un ristorante appartato, dove lo conoscevano di vista, tenevano la sua marca d'acqua preferita e gli avrebbero servito una gigantesca bistecca.
La bistecca giunse accompagnata da un uovo, patatine fritte e un ricco assortimento di verdure locali, mentre il gelato gli venne servito con salsa al cioccolato caldo e noccioline. Jack bevve un altro quarto d'acqua, cui fe-ce seguire due tazze di caffè nero. Poi scostò la sedia dal tavolo e rimase seduto, l'aria soddisfatta.
«Desidera altro?» sorrise la cameriera.
Reacher ricambiò il sorriso e disse: «Sono a posto così».
«Pare proprio di sì.»
«Già!»
Era vero. Ben presto avrebbe compiuto trentanove anni, eppure si sentiva più in forma che mai. Aveva sempre avuto un bell'aspetto, ma negli ultimi tre mesi aveva raggiunto il massimo della forma. Era alto un metro e 95 centimetri; quando aveva lasciato l'esercito, pesava cento chili, però, un mese dopo aver cominciato a scavare piscine, il caldo e la fatica gliene avevano fatti perdere cinque. Poi, nei due mesi successivi, aveva recuperato ben diciotto chili di soli muscoli. Ogni giorno, spostava circa quattro tonnellate di terra, di roccia e di sabbia e aveva elaborato una tecnica di scavo che gli permetteva di far lavorare ogni parte del corpo. I risultati erano stati straordinari: il sole gli aveva conferito un'abbronzatura invidiabile e il suo fisico non era mai stato più tonico. Reacher aveva calcolato che necessita-va di circa quattromila calorie al giorno per mantenere quel livello, nonché dei suoi sette litri e mezzo d'acqua.
«Stasera va al lavoro?» gli chiese la donna.
Jack scoppiò a ridere. Durante il giorno, guadagnava facendo un allena-mento per il quale molti avrebbero dovuto pagare una fortuna in qualche rinomata palestra cittadina, e, la sera, svolgeva un'attività per cui veniva retribuito, ma che molti uomini sarebbero stati lieti di fare anche gratis.
Era il buttafuori del locale di strip-tease menzionato da Costello, in Duval Street: se ne stava seduto per tutto il tempo senza camicia, lo sguardo da duro, bevendo gratis e assicurandosi che le spogliarelliste non venissero molestate. La paga era di cinquanta dollari.
«È un lavoro ingrato, ma qualcuno deve pur farlo!» scherzò Jack.
La ragazza rise con lui, poi Reacher pagò il conto e si avviò verso Duval Street.
Duemilaquattrocento chilometri più a nord, a New York, proprio sotto Wall Street, l'amministratore delegato entrò nell'ascensore e scese di due piani, diretto all'ufficio del direttore finanziario. I due uomini entrarono insieme nell'ufficio interno e sedettero, a fianco a fianco, alla scrivania. Si trattava di un ufficio e di una scrivania lussuosi, del tipo che viene acquistato quando gli affari vanno a gonfie vele, e che diventano poi una sorta di duro rimprovero nei periodi di magra. L'ufficio di palissandro scuro era situato a un piano alto, aveva tende color crema alle finestre, accessori in ottone, una scrivania enorme, una lampada da tavolo italiana e un grande computer, costato più del dovuto. Il monitor, acceso, attendeva una password. L'amministratore delegato la digitò, premette il tasto invio e sul monitor apparve una sorta di bilancio. Si trattava dell'unico documento che rivelava la verità sulla compagnia, perciò era protetto da una password.
«Ce la faremo?» chiese l'amministratore delegato.
Quel giorno era stato il D-day. D stava per downsizing, ovvero licenzia-menti. Il responsabile del personale dell'impianto di produzione di Long Island si era messo all'opera alle otto del mattino. Lungo il corridoio, fuori del suo ufficio, la segretaria aveva allineato numerose sedie che, poco do-po, erano state occupate da una sfilza di persone in attesa di essere ricevute per un colloquio di pochi minuti da cui, con un grazie e un arrivederci, sarebbero uscite prive di qualsiasi mezzo di sussistenza.
«Ce la faremo?» chiese ancora l'amministratore delegato.
Il direttore finanziario stava trascrivendo grandi numeri su un foglio. Fe-ce una sottrazione e guardò il calendario, poi si strinse nelle spalle. «In teoria, sì. In pratica, no», rispose.
«No?» trasalì l'altro.
«Ciò che mi preoccupa è il fattore tempo», spiegò il responsabile finanziario. «Abbiamo fatto la cosa giusta, laggiù alla produzione, su questo non ci sono dubbi. L'ottanta per cento del personale è stato licenziato e abbiamo tenuto solo i dipendenti meno costosi, il che vuol dire un risparmio del novantuno per cento sul libro paga. Purtroppo, però, abbiamo dovuto pagarli tutti sino alla fine del mese prossimo. Perciò l'aumento del cash flow non si verificherà che fra sei settimane. In effetti, in questo momento il cash flow peggiora, perché quei bastardi stanno incassando assegni paga di sei settimane.»
L'amministratore delegato sospirò. «Quanto ci occorre?»
Il direttore finanziario spostò il mouse e aprì una finestra. «Un milione e centomila dollari. Per sei settimane», rispose:
«La banca?»
«Scordatela! Devo leccare culi tutti i giorni per mantenere ciò che già dobbiamo loro. Se chiedessi di più, mi riderebbero in faccia.»
«Ti potrebbero capitare cose ben peggiori», ribatté l'altro.
«Non è questo il punto. Se intuiscono che ancora non siamo solventi, ci chiederanno di restituire tutto il denaro. In un batter d'occhi.»
L'amministratore delegato tamburellò con le dita sul palissandro e si strinse nelle spalle. «Venderò qualche azione», propose.
L'altro scosse il capo. «Non puoi. Se immetti azioni sul mercato, il prezzo scenderà in picchiata. Il nostro prestito attuale è a garanzia azionaria e, se la situazione peggiora, ci taglieranno immediatamente ogni risorsa.»
«Merda! Solo sei settimane... Non ho intenzione di perdere tutto per sei schifose settimane. Non per un pidocchioso milione di dollari! È una somma insignificante.»
«Una somma insignificante che, però, non abbiamo.»
«Ci sarà pure un modo per ottenerla.»
Il responsabile finanziario non rispose, ma diede l'impressione di avere altro da dire.
«Parla!» lo incalzò il capo.
«Ho sentito delle voci», iniziò. «Pettegolezzi di conoscenti. Forse esiste qualcuno cui possiamo rivolgerci. Per sei settimane, potrebbe valerne la pena. Ho sentito parlare di un'organizzazione che concede prestiti alle a-ziende sull'orlo della rovina.»
«Onesta?»
«Apparentemente. Sembra rispettabile. Ha sede nel World Trade Center ed è specializzata in casi come il nostro.»
L'amministratore delegato fissò lo schermo. «In casi come quale?»
«Come questo», ripeté il direttore finanziario. «In cui sei quasi salvo, pe-rò le banche hanno troppa strizza al culo per accorgersene.»
L'altro annuì e si guardò intorno. Era un ufficio splendido; il suo si trovava due piani più in alto, in posizione angolare, ed era ancora più elegante. «D'accordo. Fallo», acconsentì.
«Io non posso. Questa persona tratta solo coi capi. Dovrai andarci tu», precisò il direttore finanziario.
La serata, al locale di strip-tease, si preannunciava tranquilla: una sera di giugno di metà settimana, troppo tardi per i vacanzieri invernali e primave-rili, troppo presto per quelli estivi che andavano ad abbrustolirsi al sole.
Non c'erano più di quaranta individui, due ragazze dietro il bancone, tre sul palco. Reacher stava osservando una donna di nome Crystal: era certo che quello non fosse il suo vero nome, anchie se non gliel'aveva mai chiesto.
Era la migliore. Guadagnava molto più di Reacher quand'era maggiore nella polizia militare e spendeva parte del denaro per mantenere una vecchia Porsche nera. Jack la udiva talvolta scorrazzare, nel primo pomeriggio, intorno ai terreni dove lavorava.
Il night era un locale lungo e stretto, al primo piano di un edificio, con un corridoio e un piccolo palco circolare, munito di un palo cromato. Lungo il corridoio e attorno al palco si stendeva una fila di sedie; sulle pareti, dipinte di nero opaco, c'erano numerosi specchi. L'intero luogo vibrava e rimbombava per la musica ad alto volume, proveniente da cinque o sei casse tanto potenti da sovrastare il rombo dell'aria condizionata.
Reacher stava con le spalle rivolte al bancone del bar, all'inizio della sa-la, abbastanza vicino alla porta da essere notato immediatamente da chi entrava e abbastanza vicino al palco da non far scordare al pubblico la sua presenza. Crystal, terminato il suo terzo numero, stava trascinando un o-mino dall'aspetto innocuo dietro le quinte per uno spettacolo privato da venti dollari, quando Reacher vide due uomini emergere dalla tromba delle scale. Erano stranieri, dei Nord. Sulla trentina, corpulenti e pallidi, l'aria minacciosa. Due tipi duri, con addosso abiti da mille dollari e scarpe lucide. Evidentemente erano stati inviati laggiù senza preavviso, ed erano ancora vestiti da ufficio. Si fermarono davanti alla cassa, a discutere sui tre dollari d'ingresso. La cassiera guardò con ansia in direzione di Reacher, il quale scese con agilità dallo sgabello e si avviò verso di lei.
«Qualche problema, ragazzi?» intervenne.
Aveva usato quella che lui chiamava «la camminata da universitario».
Aveva notato che i ragazzi del college, soprattutto in spiaggia, esibivano un'andatura rigida e zoppicante, come se fossero tanto muscolosi da non poter muovere braccia e gambe in modo normale. Quel modo di camminare rendeva comici gli studentelli di sessanta chili, ma Jack aveva imparato che incuteva molto timore se abbinato a un uomo di quasi due metri d'altezza e centotredici chili di peso. La camminata da studente era diventata uno strumento del suo nuovo lavoro, uno strumento che pareva funzionare proprio bene. I due tizi dagli abiti costosi ne furono di certo colpiti.
«Problemi?» ripeté Jack.
Quell'unica parola era di solito sufficiente per far desistere gran parte degli uomini. Ma quei due non sembrarono impressionati. Quando Reacher fu più vicino, avvertì qualcosa intorno a loro, un alone minaccioso, misto a sicurezza e forse a un pizzico d'arroganza, a suggerire che sapevano il fatto loro. Ma erano molto lontani da casa, il che li costringeva a una certa prudenza.
«Nessun problema, Tarzan», lo provocò l'uomo a sinistra.
Jack sorrise. L'avevano chiamato in mille modi, ma mai Tarzan. «Tre dollari per entrare», puntualizzò. «Per tornare di sotto, invece, non si pa-ga.»
«Vogliamo solo parlare con qualcuno», affermò il tizio a destra.
Entrambi avevano l'accento di New York.
«Non si parla molto qui dentro. La musica è troppo alta», rispose Reacher.
«Come ti chiami?» gli chiese il tipo che aveva parlato per primo.
Jack sorrise ancora. «Tarzan», scherzò.
«Stiamo cercando un certo Reacher. Jack Reacher. Lo conosci?»
«Mai sentito nominare.»
«Allora dobbiamo parlare con le ragazze. Ci è stato detto che potrebbero conoscerlo», disse lo sconosciuto.
«Non lo conoscono», rispose Reacher.
Il tizio a destra stava osservando, oltre le spalle di Reacher, la sala lunga e stretta e le ragazze dietro il bancone. Aveva intuito che Jack era l'unico addetto alla sicurezza in servizio.
«Va bene, Tarzan, togliti di mezzo. Ora entriamo.»
«Non sapete leggere? Eppure le parole sono scritte in grande» - Jack indicò un cartello appeso sopra la cassa, dove spiccavano grandi lettere fluorescenti su uno sfondo nero -, «'La direzione si riserva il diritto di rifiutare l'ingresso'. Io sono la direzione. E vi sto rifiutando l'ingresso.»
Il tizio guardò prima il cartello, poi il volto di Jack.
«Vuoi una traduzione? Devo sillabartelo? Significa che io sono il capo e voi non potete entrare», continuò Reacher.
«Risparmiaci le tue battute, Tarzan», fece l'uomo.
Reacher lasciò che avanzasse sino al suo fianco, poi sollevò la mano sinistra e lo afferrò per il gomito. Raddrizzò l'articolazione col palmo e affondò le dita nei nervi all'estremità del tricipite dello sconosciuto, il quale si dimenò come se fosse stato colpito da una scossa elettrica.
«Scendete», ordinò Reacher.
L'altro calcolò le probabilità di sopraffarlo; Reacher lo intuì e decise che era tempo di agire. Sollevò la mano destra all'altezza degli occhi, per fargli intendere che era libera e pronta all'azione. Era una mano enorme, scura e callosa per il tanto scavare. Il tizio colse al volo il messaggio, scrollò le spalle e iniziò a scendere le scale. Reacher indicò all'altro uomo di fare lo stesso.
«Ci rivedremo», minacciò l'uomo.
«Portate tutti i vostri amici. Sono tre dollari a testa», gridò Reacher.
Crystal si portò alle sue spalle. «Che volevano?» gli chiese.
«Cercavano qualcuno.»
«Un tizio di nome Reacher?»
Jack annuì.
«Oggi è la seconda volta», mormorò la donna. «È già stato qui un signore anziano. Lui ha pagato i tre dollari. Vuoi seguirli e scoprire chi sono?»
Jack esitò.
Crystal prese la camicia di lui dallo sgabello del bar e gliela porse. «Va'.
Ce la caveremo per un po'. È una serata tranquilla.»
Reacher prese la camicia e rivoltò le maniche. «Grazie, Crystal», mormorò e si avviò verso le scale.
«Di niente, Reacher», gli gridò la donna.
Jack si voltò, stupito, ma lei aveva già raggiunto le quinte. Lanciò uno sguardo assente alla cassiera e s'incamminò verso l'uscita.
Alle undici di sera, la vita a Key West è al culmine. Alcuni sono già giunti a metà della nottata, altri invece l'hanno appena iniziata. Duval Street è la strada principale, che attraversa l'isola da est a ovest, immersa nelle luci e nel rumore. Reacher non pensava che quei tizi lo aspettassero in Duval Street, era troppo affollata. Se volevano vendicarsi, avrebbero scelto un luogo isolato. Oltre la via principale, soprattutto verso nord, tutto diventava più tranquillo; la città era piccola, gli isolati minuscoli. Una breve passeggiata permetteva d'inoltrarsi in quelli che Reacher considerava i sobborghi, dove lui scavava le fosse per le piscine, in piccoli giardini di piccole case. I lampioni si diradavano e il rumore dei locali lasciava il posto al ronzio degli insetti notturni; l'odore di birra e di fumo veniva sosti-tuito dal puzzo di piante tropicali che germogliavano e marcivano.
Reacher camminò nell'oscurità, percorrendo una sorta di spirale, svol-tando a caso fra le stradine tranquille. Non c'era anima viva e Jack avanzava al centro della strada, in modo da lasciare tre o quattro metri tra lui e chiunque si fosse celato nell'oscurità di qualche portone. Non temeva che gli sparassero: sapeva che quei due non avevano armi. I loro abiti, non a-datti al luogo, dimostravano che erano partiti in fretta e furia; inoltre erano troppo aderenti per nascondere una pistola. Senza contare il fatto che avevano preso un aereo, dove non è facile salire con un'arma in tasca.
Dopo circa due chilometri, Reacher rinunciò. Key West è una città piccola, ma grande abbastanza perché due forestieri vi si perdano. Svoltò a sinistra, costeggiò il cimitero e tornò verso il rumore. Dall'altra parte della strada, c'era un uomo appoggiato a una rete metallica, scomposto e inerte: una vista piuttosto consueta a Key West. Tuttavia in quella sagoma c'era qualcosa di strano. E di familiare. Il fatto singolare era la posizione del braccio, intrappolato sotto il corpo. I nervi della spalla sarebbero stati tanto tesi da svegliare chiunque, per quanto ubriaco o drogato. Quello familiare era il pallido chiarore di una vecchia giacca beige. La metà superiore dell'uomo era chiara, quella inferiore, scura. Giacca beige, pantaloni grigi.
Reacher si fermò, guardandosi intorno. Quindi si avvicinò e si chinò.
Era Costello. La faccia era una maschera di sangue, irriconoscibile. Rivoli scuri e incrostati ricoprivano il triangolo di pelle bianco-bluastra, tipico di chi vive in città, che affiorava dalla camicia aperta. Reacher gli tastò il polso: nulla. Toccò la pelle col dorso della mano: era fredda. Il corpo non era rigido, ma quella era una notte molto calda. L'uomo doveva essere morto da circa un'ora. Controllò all'interno della giacca e constatò che il portafoglio era scomparso. Poi vide le mani. Tutte e dieci le dita avevano la punta amputata. Un taglio angolato e preciso, praticato con uno strumento affilato. Non con un bisturi, ma con una lama più ampia. Forse uno dei quei coltelli a segmento convesso, che si usano per tagliare il linoleum.